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Il canto delle sirene e il canto di Lighea: la vita e la morte dell’eroe

Capitolo III. Tomasi di Lampedusa e la sirena: Lighea e l’inversione dell’epos

3. Il canto delle sirene e il canto di Lighea: la vita e la morte dell’eroe

Ad una prima lettura il fine di Lampedusa nel racconto sembra essere chiaro: tratteggiare la psicologia di un personaggio apparentemente misantropo, un reietto che non ha più alcun amore per il suo lavoro e nessun tipo di aspettativa per il tempo che gli rimane da vivere, e che agogna un ritorno ad una dimensione passata, rimpiangendo la giovinezza perduta; la sirena, che esista o meno nel racconto che il vecchio La Ciura fa a Corbera, diventa il simbolo del ritorno ad una condizione di vita in cui il tempo sembra non dover mai trascorrere e in cui si riesce, solo per un istante, a superare i confini dell’umano per perdersi nella natura. L’eterna nostalgia provata da La Ciura prevede quindi l’idea che il suicidio finale, che simbolicamente lo riporta da Lighea, divenga l’unico mezzo per sottrarsi alla caducità della vita e ristabilire un’iniziale condizione di felicità perduta; nel triste finale il cadavere del professore non viene ritrovato dopo che questi si è gettato fuori bordo, ed il lascito testamentario all’università di Palermo e a Corbera, unica rimanenza terrena della sua esistenza, non può che marcire, oppure essere distrutto; l’immagine del frammento più grande del cratere, che raffigura i piedi di Odisseo ancora legati all’albero della nave, finisce per

reiterare l’immagine di un uomo che avrebbe voluto realmente ascoltare il canto

delle sirene, ma di fatto non ha potuto farlo per la limitazione stessa della natura

umana. Così la sirena diviene un simbolo del tentativo di sanare la frattura esistente tra uomo e natura, e il canto il richiamo verso un mondo che l’uomo non potrò mai dominare; in ciò riecheggia, seppur nel ribaltamento dei ruoli uomo/donna, la dicotomia presente nei racconti del XIX secolo, La sirenetta e

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Undine, in cui la sirena agogna la mortalità e conduce con le sue azioni la storia

verso un finale tragico, simile a quello del racconto di Lampedusa.35

Ai fini della nostra trattazione però immaginiamo non che La Ciura crei un passato in cui favoleggia di aver incontrato una creatura mitologica unicamente per rappresentare la propria dolente condizione esistenziale: immaginiamo invece che questo incontro ci sia stato, superiamo l’identificazione del lettore in

Corbera, che assiste ad un racconto che può sembrare completamente inventato dal vecchio La Ciura, e ammettiamo che invece le aspirazioni del vecchio siano veramente quelle di ricongiungersi con una presenza sovrannaturale che ha incontrato nella sua giovinezza. Ponendo a sistema questa tesi, il professore ha veramente conosciuto una sirena, ha veramente udito il suo canto ed ha

veramente sperimentato un’unione sessuale con una creatura talmente lontana dall’umanità da rifiutare in un secondo momento l’idea di sposarsi o considerare l’idea di unirsi ad altre donne. La Ciura perciò è per condizione simile a Odisseo, che incontra le sirene e ode il loro canto, ma allo stesso tempo è diverso dall’eroe omerico: la presenza della sirena irrompe nella vita del giovane laureando senza preavviso, e la separazione da essa è avvertita come un trauma da cui il

protagonista del racconto non si riprenderà mai più. Bisogna dunque concentrarsi sulle differenze e assonanze riscontrabili dal confronto con il paradigma omerico, che lascia nel testo di Lampedusa dei rimandi facilmente identificabili.

Occorre ricordare quali fossero le conclusioni a cui si è arrivati alla fine del capitolo II: le sirene sono una presenza maligna, che tenta di interrompere il cammino dell’eroe ingannandolo con la falsa promessa di restituire una gloria passata e ormai conclusa, ed al contempo mirano alla nullificazione totale

35Manetti propone un insieme di elementi che vanno a comporre il simbolismo della sirena di

Lampedusa, da ricercarsi nel confronto tra la presenza di Lighea e quella delle amanti di

Corbera: così Lighea è generosa in modo disinteressato, perennemente immortale mentre invece le amanti sono l’esatto opposto; la sirena parla in greco mentre le amanti in piemontese, la prima è pura mentre le amanti invece contaminate; infine quindi ogni elemento concorre per costituire un paradigma in cui la sirena è chiave di un’opposizione tra natura e cultura, Manetti 88-90. Per il percorso simbolico che ci porta a pensare al racconto come una serie di immagini contrapponibili vedi anche P. Magli “Il corpo come percorso sinestesico del testo”, in AA. VV.,

Le sirene: analisi semiotiche intorno ad un racconto di Tomasi di Lampedusa, a cura di Sandra

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dell’eroe, che rimarrebbe insepolto sulla loro isola; sfruttano inoltre l’idea che Odisseo debba necessariamente narrare se stesso alla corte dei Feaci per ottenere una nave e tornare in patria, e così facendo fanno credere all’eroe di poter

anticipare nel loro canto la celebrazione dell’eroe: in questo pervertono il canto delle muse, e cercano di presentarsi come portatrici di vita invece che di morte; infine il loro canto non esprime nulla di concreto, perché si limita a riportare falsità e, in aggiunta a questo, è soltanto l’annuncio di un canto, e non un canto di per sé: le sirene sono soltanto presenze che parlano all’eroe, ma non dicono niente, e questa loro presenza implica solamente l’esistenza di una voce che cerca di distruggere.36 L’idea è quindi quella per cui le sirene impediscano all’eroe un

giusto raggiungimento della casa tramite il nostos: Odisseo deve scansare l’idea del ritorno al passato e indirizzare la sua nave verso il futuro; in Lampedusa invece il nostos deve necessariamente rivolgersi al passato perché è stato interrotto quando l’eroe-La Ciura doveva divenire uno con la natura.

Gianfranco Marrone dice giustamente che tutto il racconto è articolato in una lunga serie di opposizioni tematiche, figurative e valoriali: autunno/estate, ombra/sole, moderno/antico, Torino/Sicilia, dongiovannismo/castità,

morte/vita;37 particolarmente utili per questo passaggio sono quelle che danno

vita al parallelo geografico, in cui si riflette la grande attenzione che Lampedusa usa nell’elencare i luoghi in cui è ambientata la vicenda. A questo punto, nella medesima opposizione, si riafferma nuovamente la volontà di mettere in scena un contrasto tra il mondo della cultura e il mondo della natura, nel momento in cui l’ambiente di Torino, grigio e mesto, va ad opporsi invece a quello della Sicilia, luminoso e rigoglioso. In questa opposizione si avverte una cura particolare nel mettere in risalto i toponimi di Torino e d’intorni: l’appartamento di Corbera in via Peyron, il teatro Carlo Felice, il bar frequentato dai vecchi ufficiali in via Po, il ristorante Specchi, le zone di Rivoli e Moncalieri, l’appartamento di La Ciura

36Vedi cap. II, pp. 102-103

37Vedi G. Marrone, “Narrazione e simbolismo. L’analisi testuale di Roland Barthes” in AA.

VV., Le sirene: analisi semiotiche intorno ad un racconto di Tomasi di Lampedusa, a cura di Sandra Cavicchioli, 1997, Bologna, CLUEB, pp. 173-210

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in via Bertola; il teatro delle vicende collocate nel presente della storia viene costantemente rimarcato come un luogo geograficamente definito da

insediamenti umani (le zone del centro storico di Torino e d’intorni), mentre invece è il teatro del passato ad essere privo di connotazioni specifiche: fatta eccezione per la sola Augusta, che viene menzionata anche come connessione con la vita dell’autore, l’ambiente della storia è soltanto quello di

una pura distesa di mare, con in fondo l’Etna non più spietato, avvolto nei vapori del mattino. Il porto era completamente deserto, come mi hai detto che lo è ancora adesso, e di una bellezza unica. La casetta nelle sue stanze malandate conteneva in tutto il sofà sul quale avevo passato la notte, un tavolo e tre sedie; in cucina qualche pentola di coccio e un vecchio lume. Dietro la casa un albero di fico e un pozzo. Un paradiso. (pp. 65-66)

L’incontro con la sirena avviene in un contesto in cui la presenza umana non è percepita, se non per il giovane La Ciura e una breve comparsata del contadino che gli reca gli approvvigionamenti (p. 70); l’allontanamento del giovane dalla società è una condizione necessaria per l’incontro con una creatura che è, in tutto e per tutto, un’emanazione della natura stessa. Nell’Odissea le sirene vengono ugualmente incontrate in un contesto in cui il riferimento geografico non esiste (la rotta tracciata da Circe per Odisseo non ha rimandi alla toponomastica dei luoghi, fatta eccezione per la citazione dell’isola Trinacria, tappa finale del viaggio), e in cui a dominare è la presenza del sovrannaturale rispetto all’umano; apparentemente in Lampedusa non v’è differenza rispetto all’epica, non fosse che il movimento di La Ciura, simile a quello di Odisseo, comporta però una

differenza nel significato dell’allontanamento dalle sirene. In Omero, la prospettiva delle sirene riguardante la possibilità di rimanere presso di loro trovava nell’eroe un rifiuto netto tramite il legarsi all’albero della nave, rimanere insieme ai compagni e continuare il viaggio verso la civiltà: la decisione giusta da prendere era evitare un inganno manifesto, eliminare la possibilità di restare nelle terre del sovrannaturale e finire il viaggio come re di Itaca; l’eroe, nel passato del racconto, sceglie la vita invece che la morte, e una volta finita la narrazione presso i Feaci ritorna al presente, pronto a rimettersi in viaggio verso

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la patria. Nel caso di Lampedusa, la scelta giusta è sempre stata quella di seguire Lighea in fondo al mare, accettare la proposta di abbandonare la civiltà ed essere qualcosa più che umano: «dovresti seguirmi adesso nel mare e scamperesti ai dolori, alla vecchiaia» (p. 72); «tutti hanno seguito il mio invito, sono venuti a ritrovarmi, alcuni subito, altri trascorso ciò che per loro era molto tempo» (pp. 73-74). Il rifiuto del professore comporta invece che, una volta terminata la rievocazione del tempo passato, la sua esistenza venga riportata ad un presente in cui lui è tornato nella società, abbandonando il luogo completamente naturale, ma il viaggio non sia realmente finito: il nostos di Odisseo si conclude ad Itaca, nel futuro, dopo le peripezie e dopo la necessità di aver narrato queste peripezie; il nostos di La Ciura invece si indirizza invece direttamente nella memoria, all’incontro con la sirena, al ritorno al momento in cui la sua vita poteva

assurgere ad un livello superiore, ma così non è stato. Quel che accade è quindi che il cammino dei due, in senso materiale, è identico, ma diverso in senso di realizzazione personale: entrambi hanno ascoltato la sirena e se ne sono

distaccati, ma laddove Odisseo ha preso la decisione corretta, il professore invece ha interrotto il suo cammino di ritorno alla natura; nel racconto di Lampedusa il sistema per completare il proprio essere non era allontanarsi dalla sirena, bensì accettare la sirena.

Questa decisione influisce inevitabilmente sulla vita del professore, e Lampedusa ci fornisce una lunga descrizione della condizione esistenziale del protagonista generata dal cammino abortito: Corbera lo incontra una volta abbandonate le amanti nel caffè di via Po, presenza costante delle sue serate una volta uscito dalla sede del giornale. Le parole utilizzate per descrivere gli

avventori del caffè sono «esangui ombre di tenenti, colonnelli, magistrati e professori in pensione, e vane apparenze» che popolano una «specie di Ade» (p. 43); più avanti viene detto «Limbo» (p. 46), «gli Inferi di via Po» (p. 51), i camerieri vengono definiti custodi dell’Ade (p. 52), e nelle parole di La Ciura stesso il luogo diviene un «Erebo pieno di ombre» (p. 53): il luogo dell’incontro tra i due personaggi diventa, ironicamente, una sorta di aldilà, in cui i vecchi protagonisti della vita sociale vivono e non vivono allo stesso tempo, sospesi in

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una realtà comunque raggiungibile da enti esterni (tant’è che il giovane Corbera vi si avventura, nonostante faccia fatica a ritrovarsi in quel consorzio), simbolo di una condizione di vita in cui l’essenza di ciò che si è stati in passato continua vivere in modo distorto nel presente.38

Il richiamo all’aldilà classico assume un particolare significato se messo a confronto con il viaggio dell’Odissea (nel momento in cui la tappa precedente rispetto alle sirene è proprio la nekya) e tenendo anche presenti le conclusioni del capitolo II, in cui si stabiliva l’idea che il canto delle sirene fosse a tutti gli effetti un tentativo di anticipare la gloria che l’eroe conquista solamente post mortem rivelantesi invece come una distruzione dell’eroe sia sul piano materiale (i resti esposti sul prato) che letterario (se Odisseo fosse morto sull’isola delle sirene l’augurio delle incantatrici, cioè che la sua vita e le sue imprese fossero conosciute a tutti, sarebbe decaduta fin da subito, nel momento in cui nessun testimone sarebbe rimasto per narrarlo). Dobbiamo perciò ipotizzare un percorso per Odisseo che comporta come tappe 1) il ritorno dal regno dei morti, con Circe che saluta sulla spiaggia i membri della spedizione come «morti due volte»; 2) l’inganno delle sirene, e il passaggio di fronte all’isola come accettazione della vita e rifiuto della morte (evitando di rimanere permanentemente in un Ade in terra); 3) il ritorno alla civiltà come completamento del nostos: il viaggio, così descritto, assume l’aspetto di un cammino già completato nel passato rispetto al presente della storia, mentre narra alla reggia dei Feaci, in cui il rifiuto di

diventare eterno tramite il canto delle sirene viene sostituito dalla prospettiva per la quale è una scelta migliore tornare ad Itaca da moglie e figlio ed invecchiare come re. Nel caso di La Ciura i valori sono completamente invertiti, dato che

38 Questa tensione tra «mondo della natura» e «mondo della cultura» è centrale anche nel già

citato racconto di Wilde, cap. III, n. 20; il pescatore si allontana da un mondo in cui l’uomo, Dio e il diavolo sono membri di una triade in cui si riflette la negazione dello spirito primigenio del mondo, simboleggiato invece invece dalla sirena, i tritoni, i fauni e tutti gli spiriti che abitano il mare e i boschi e che l’uomo rigetta come esseri demoniaci: il pescatore, per amore della sirena, decide di rinunciare alla sua anima, lasciandosi alle spalle ogni aspetto del reale che neghi la natura. In questa scelta l’Anima (che nella seconda parte della storia, una volta staccata

materialmente dal protagonista tramite un sortilegio, assume il ruolo di diretto interlocutore del pescatore) diviene allegoria dell’attaccamento dell’uomo verso tutto ciò che è materiale, mentre invece l’amore, che lega il pescatore alla sirena, diviene l’unico mezzo per raggiungere la piena realizzazione personale.

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sappiamo che invece è l’immortalità della gioventù ad essere preferibile all’invecchiamento (questo nelle parole di Lighea, che invitano il giovane a seguirla negli abissi, ma anche nelle parole del professore, che commenta la foto del se stesso ventenne con un risoluto «E questo paesano, questo era ed è, e sarà Rosario La Ciura» (p. 58): a questo punto allora dobbiamo considerare che la vita al di fuori dell’incontro con la sirena, unico momento in cui il professore si sente a contatto con la vera natura del mondo, debba ritenersi una degradazione, uno svilimento della vita stessa (il concetto è rafforzato ulteriormente dalla

considerazione di La Ciura relativa alle amanti di Corbera, «ammalate, ho detto bene, ammalate: fra cinquanta, sessanta anni, forse molto prima creperanno: quindi sono fin da ora ammalate» (p. 54). Quindi, ogni attimo della vita di La Ciura è una sorta di Ade, un inferno in terra da cui è possibile sfuggire solamente tramite l’accettazione della sirena e del suo canto: in questo senso il suo percorso si può articolare nelle tappe 1) condizione iniziale del giovane La Ciura, che come qualsiasi uomo sperimenta una perpetua condizione di morte, simile a quella delle amanti di Corbera; 2) incontro tra la Ciura e la sirena, che porta ad un possibile allontanamento della morte terrena; 3) rifiuto/impossibilità di

raggiungere la sirena che si trasforma in un ritorno/permanenza dell’Ade in terra. Così, simbolicamente, i venti giorni della frequentazione tra La Ciura e Lighea (p. 70), si oppongono ai vent’anni passati da quando il vecchio non mette più piede in Sicilia (pp. 44 e 49), riecheggianti ironicamente il lasso di tempo passato da quando Odisseo salpò da Itaca alla volta di Troia.39

Il problema rimane quindi nel rifiuto/accettazione della sirena: se per Odisseo l’unico sistema per mantenere il suo status di eroe sta nell’udire il canto con lo stratagemma del restare legato all’albero, in Lampedusa il canto doveva essere assecondato fino in fondo, al punto tale da arrestare il cammino nel mondo degli

39Pur se intervenendo riguardo Il canto d’Amore di J. Alfred Prufrock, terminante con la

melodia delle sirene, Pietro Boitani riesce a sintetizzare perfettamente il concetto con parole valide tanto per la poesia di T.S. Eliot che per la Lighea di Tomasi di Lampedusa; «Le sirene cantano solamente fra di loro: la poesia è un sogno chiuso in se stesso e nel passato, verso il quale si può soltanto provare nostalgia. Le voci che ci raggiungono sono quelle dei nostri simili, e proprio esse, riportandoci al mondo presente, ci fanno naufragare come l’Ulisse di Dante», Boitani, p. 195

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uomini e passare in quello della natura. Non a caso lo stratagemma del turare le orecchie per evitare di rimanere preda dell’incantesimo in Lighea si rivolge al mondo dei mortali, e non a quello delle sirene, «Come Odisseo mi turerò le orecchie per non sentire le fandonie di quei minorati, e saranno belle giornate di navigazione: sole, azzurro, odor di mare» (p. 58); e allo stesso tempo la morte priva di sepoltura, possibile fine dell’eroe omerico nel caso ascolti il canto e fermi la nave, prospettiva demonizzata dall’anima del defunto Elpenore nell’Ade, è invece pienamente accettata da La Ciura, che per ritornare da Lighea cade in

mare (presumibilmente si getta), «e benché delle scialuppe fossero state

immediatamente messe in mare, il corpo non era stato ritrovato» (p. 76): la rimanenza mortale, necessariamente tumulata per permettere il ricordo del defunto, viene annullata nel racconto di Lampedusa, in cui del cadavere non v’è traccia proprio perché tornato a far parte del ciclo naturale delle cose.40

Rimane da considerare l’aspetto del canto, così come si presenta nell’Odissea e quindi in Lighea; da quanto emerso precedentemente sappiamo già che le sirene di Omero cantano la vita, mentre quella di Lampedusa canta la morte, e muovendosi lungo questa interpretazione ormai consolidata andrà aggiunto un ulteriore livello di lettura, integrando le considerazioni già esposte alla fine del capitolo II.

Nel racconto di Lampedusa si fa accenno al canto della sirena a p. 57, quando il professore puntualizza che ciò che si dice nelle leggende sono «frottole piccolo borghesi dei poeti; nessuno sfugge»; una volta che la sirena inizia a parlare, La Ciura narra che aveva una

voce gutturale, velata, risuonante di armonici innumerevoli; come sfondo alle parole in essa si avvertivano le risacche impigrite dei mari estivi, il fruscio delle ultime spume sulla spiaggia, il passaggio dei venti sulle onde lunari (…) il canto delle sirene non esiste; la musica cui non si sfugge è quella della loro voce (pp. 68-69);

40A riguardo il richiamo è proprio al canto di Ariel ne La Tempesta di Shakespeare, in cui il

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in più la sirena «parlava greco», e rassicurava ulteriormente l’amante riguardo il fatto di «non credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo, amiamo soltanto». Quando poi Lighea lanciandosi in acqua si accomiata da La Ciura, quest’ultimo ode nel rumore nelle onde «una nota differente, più bassa fra lo squittio acuto dei gabbiani, intravedere scapigliature fulminee tra scoglio e scoglio» (p. 75). La sirena dunque ha un linguaggio proprio in modo da