Capitolo II. Il canto, la tentazione e la morte dell’eroe
3. Le sirene e la femminilità nell’Odissea
3.2 Calipso
Il personaggio è presente prima di Circe nell’intreccio della storia, ma dal punto di vista cronologico la tappa a Ogigia è precede, nel libro I e nel libro V; la sosta è anche la più lunga del nostos, coprendendo sette anni e relegando l’eroe sull’isola della ninfa, dalla quale viene liberato solamente dall’intervento divino. Calipso nel mito è una dea, figlia di Atlante,19 uno dei titani che si ribellò a Zeus,
che abita in un’isola nel mezzo del mare, e lì «strega Odisseo con dolci discorsi, nel tentativo di fargli scordare la casa», αἰεὶ δὲ μαλακοῖσι καὶ αἱμυλίοισι λόγοισιν θέλγει, ὅπως Ἰθάκης ἐπιλήσεται. Nel libro I, durante il concilio degli dei, Atena prega Zeus di liberare Odisseo dalla sua prigionia, inviando Hermes alla ninfa «dai bei capelli» (νύμφῃ ἐυπλοκάμῳ, con l’epiteto εὐπλόκαμος che ritornerà nel testo nel libro XI per indicare anche un attributo di Circe), perché le ordini di rilasciare l’eroe. La ninfa compare nel libro V; Hermes si avvicina alla sua grotta mentre canta al telaio con una bella voce, e il fuoco che arde all’interno sparge per tutta l’isola l’odore di cedro e tio, πῦρ μὲν ἐπ᾽ ἐσχαρόφιν μέγα καίετο, τηλόσε δ᾽ ὀδμὴ κέδρου τ᾽ εὐκεάτοιο θύου τ᾽ ἀνὰ νῆσον ὀδώδει δαιομένων: ἡ δ᾽ ἔνδον ἀοιδιάουσ᾽ ὀπὶ καλῇ ἱστὸν ἐποιχομένη χρυσείῃ κερκίδ᾽ ὕφαινεν;20 la grotta è
circondata da un bosco di ontani, pioppi e cipressi, su cui stanno appollaiati civette, falchi e cornacchie; in più quattro rivoli d’acqua si dipartono dalla
caverna, che fanno prosperare d’intorno prati di viole e di apio, tanto che «anche un dio sarebbe rimasto incantato da tale vista», ἔνθα κ᾽ ἔπειτα καὶ ἀθάνατός περ ἐπελθὼν θηήσαιτο ἰδὼν καὶ τερφθείη φρεσὶν ᾗσιν.21 Calipso ed Hermes si
parlano da dei, con il testo che ricorda nuovamente la natura divina di entrambi (vv. 79-80, 102), anche tramite il cibo che Calipso porge ad Hermes, «ambrosia e
19Secondo le varie versioni del mito, Calipso può essere figlia di Atlante, Oceano oppure Nereo;
la madre è indicata in Teti (Ap. I. 2. 7, Hes. Th. 359); a seconda delle varie strade percorribili, potrebbero essere una delle Atlantidi, oppure un’oceanina, quindi un’altra creatura marina.
20Ci troviamo nuovamente di fronte alla forma ὀπὶ καλῇ; in questo caso, dato che l’abilità di
Calipso di stregare tramite la voce è manifesta fin da subito, l’uso della formula indica il riconoscimento da parte di una divinità di un essere che parla con i suoi stessi toni; Hermes, che è dio, ode la ὀπὶ καλῇ perché riconosce in Calipso un’altra dea.
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nettare rosso» (vv. 92-93), mentre successivamente offrirà cibo umano a Odisseo (vv. 196-197); in più Calipso è anche in grado di comandare i fenomeni
atmosferici, come lei stessa afferma (vv. 165-170). Durante il dialogo tra i due, dopo che Hermes le rivela il comando di Zeus, Odisseo non è presente, dato che nonostante gli incantamenti della ninfa è sulla riva del mare e piange in ricordo della patria lontana (vv. 151-158, 81-84); e sempre durante il dialogo, Calipso, ormai rassegnata, rivela che tutta la sua azione nei confronti dell’eroe era
improntata al farlo divenire suo sposo, renderlo «immortale» (vv. 135-136). Una volta che l’eroe ha ottenuto il permesso di partire, c’è tempo per un’ultima proposta da parte della dea, che offre all’eroe di restare con lei, e rimanere immortale: il rifiuto finale di Odisseo non è determinato dal non ricambiare le profferte di Calipso, ma dall’anteposizione del ritorno in patria dalla legittima moglie. A questo punto l’eroe può riprendere il nostos, interrotto per sette anni, ed abbandonare il luogo in cui, ancora una volta, l’ospitalità stava per segnarne il destino.
Sono numerose le somiglianze che nascono dal confronto tra Circe e Calipso: entrambe sono divinità, entrambe sono aiutate da ninfe che fanno loro da
ancelle,22 entrambe fanno della voce e del canto una delle loro caratteristiche
principali (entrambe sono intente a cantare e filare una tela), ed entrambe
rappresentano per l’eroe un’insidia che consiste nell’ospitalità, nell’idea di poter rendere il luogo in cui viene invitato a risiedere una nuova Itaca, e l’anfitrione una nuova Penelope.23 In entrambi i casi la situazione in cui l’eroe si viene a
trovare viene risolta unicamente da un intervento divino, ed in entrambi i casi è il dio Hermes a salvarlo: con Calipso viene inviato come messo per riportare il volere degli dei, mentre con Circe offre spontaneamente il suo aiuto, donando l’erba molu.24 In entrambi i casi l’eroe sperimenta prima una condizione di
22Anche Calipso, come Circe, ha delle ninfe come aiutanti nel suo antro, V 198-200
23 Come nel caso di Circe, anche da Calipso Odisseo avrà una discendenza: dall’unione tra i due
nasceranno, secondo tradizioni posteriori alla stesura dei poemi, Nausinoo e Nausitono, (Th. 1017-1018)
24In entrambi i casi è una divinità che si oppone ad un’altra, fungendo da salvatore ex machina
del protagonista: come precedentemente visto nel paragrafo 1, lo stesso Hermes, dio protettore di ladri e bugiardi, è caratterizzato dall’abilità nel θέλγειν (V 47, XXIV 3); potremmo dire che
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assoluto pericolo, che per intervento divino riesce a rivolgersi in un aiuto da parte di colei che stava attentando alla sua vita; in entrambi i casi, una situazione in cui un agente esterno cerca di imprigionare l’eroe tramite il θέλγειν finisce per
ribaltarsi, con il θέλγειν stesso che muta in un sincero aiuto da parte del carceriere. Anche in questo caso il θέλγειν occupa una posizione centrale nell’economia del racconto, benché nei due casi la sua presenza venga svelata con dinamiche diverse; nel passo di Circe viene rivelata dall’intervento di
Hermes, e in un secondo momento il termine compare quando il filtro della maga non fa effetto e la vittoria dell’eroe è prossima; in Calipso il verbo appare fin da subito, data la natura prolungata dell’azione che lega Odisseo a Calipso, e gli impedisce di lasciare l’isola: l’azione dell’incantesimo vocale è un dato acquisito nella narrazione, e non soggetto ad un parziale colpo di scena che interessa invece Circe prima come ospite e quindi come nemica. La parziale differenza da ritrovare con il canto delle sirene, è che nel caso del libro XII il θέλγειν è il principale agente della dimenticanza, mentre nei due casi presi in esame nel paragrafo è invece solo una parte dell’azione magica: Circe lo utilizza solo per attirare i viandanti, mentre Calipso se ne serve come strumento immobilizzante per l’eroe, non sortendo però alcun effetto nel far scordare l’esistenza della patria.
Il punto focale che sta alla base delle tre tappe, Circe-Calipso-Sirene, è sempre quello che un’apparente situazione di calma e quiete in cui l’eroe sperimenta la gioia (nel caso di Circe e Calipso anche l’appagamento sessuale) sia invece da considerarsi dannosa e distruttiva per il suo status di eroe quanto la minaccia del ciclope e di Scilla e Cariddi; benché ad Eea e Ogigia, a differenza dell’isola delle sirene, non sia contemplato anche l’annientamento fisico, in realtà il fatto stesso di rimandare la partenza, di ritardare il naturale proseguimento della
trasformazione di Odisseo da guerriero tout court a sovrano di Itaca, rappresenta una dissoluzione dell’ideale eroico. Come brillantemente sintetizzato da Robert Graves e Florence Weinberg, l’apparente rappresentazione di Ogigia e dell’antro
solamente un dio, figlio di Zeus, contraddistinto dalla capacità di stregare, può battere una divinità minore sul suo stesso campo.
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di Calipso come un locus amoenus (tale può essere solo per un dio, come nel caso di Hermes), contiene una serie di elementi che ne ribaltano completamente il senso, trasformandolo in un luogo di morte:25 apparentemente Calipso è una
ninfa, e l’atto del cantare e del tessere simboleggia la creazione della vita sulla distruzione, così come le piante che vengono bruciate nella grotta riempiono di buoni aromi l’isola. Al tempo stesso però gli ontani, i cipressi e i pioppi sono alberi consacrati a divinità oltremondane, e sono sormontati da gufi, falconi e cormorani, uccelli del malaugurio; Calipso (il cui nome etimologicamente può essere reso con «colei che nasconde») propone una falsa immortalità all’eroe, una prospettiva di cristallizzazione del momento presente impossibile per un uomo che, seduto al suo banchetto, non può che consumare cibi terrestri; così il rifiuto di Odisseo è da intendersi come un ritorno alla piena libertà razionale e il rifiuto di una vita incompleta.
Possiamo considerare le sirene come una riproposizione di un pericolo già paventato negli episodi di Circe e Calipso: degli esseri in parte femminili, che cercano di trattenere l’eroe, e in parte vi riescono, per limitarne la libertà, tramutare la sua essenza dinamica in qualcosa di statico, e nel caso delle sirene ucciderlo anche fisicamente. Punto fondamentale dei tre passi è l’utilizzo del verbo θέλγειν, come sintomo più o meno evidente di un particolare inganno in atto, così come l’utilizzo del termine ὀψ per designare la voce divina che si lega all’atto del raggiro. Le sirene, così come Circe e Calipso, sono delle performers
25Ogni tappa dell’Odissea, secondo Graves, è da intendersi come un simbolico superamento
della morte; così Calipso è una dea della morte, circondata da piante come il prezzemolo, che richiama il compianto funebre, e il giaggiolo, che è un fiore connesso con la morte; tutta la scena è segnata da un’apparente bellezza, in implicito contrasto con la natura mortifera del luogo, Graves, pp. 680-681 ; F.M.Weinberg, The cave: the evolution of a metaphoric field from
Homer to Ariosto, New York, Peter Lang, 1986, pp. 19-24. Contrariamente a questa teoria,
Privitera sposa l’idea che invece Ogigia si debba considerare come una sorta di «terzo polo», un
eden che si pone a metà tra il mondo dei vivi e dei morti; Odisseo a quel punto non rifiuterebbe
un’immortalità che, allegoricamente, implica la morte dell’eroe, ma l’idea stessa, in sé e per sé, dell’essere un dio. La vera rinascita dell’eroe si ha solo più avanti nel poema, quando una volta sbarcato ad Itaca, la dimensione delle avventure marine si trasforma in quella terrena, con Atena, che fino a quel momento era rimasta distante dall’eroe e che ora si presenta come sua aiutante, (XIII 217 ss).: da questo evento inizia un nuovo ciclo, Privitera, pp. 99-112
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che usano la propria abilità canora, di origine divina, per annullare il nostos e soggiogare il protagonista in una dimensione di puro piacere.