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Il ruolo dell'advisor nel turnaround delle PMI: il caso Concredito

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

Tesi di laurea:

Il ruolo dell'advisor nel turnaround delle PMI: il caso Concredito

Relatore:

Ch.mo Prof. Luca Nannini

Candidato e matricola: Ferdinando Villifranchi 539853

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INDICE

INTRODUZIONE

1 IL FENOMENO DI CRISI D’IMPRESA

1.1 Declino e crisi d’impresa

1.2 L’evoluzione e gli stadi della crisi 1.3 Le cause della crisi

1.3.1 Le cause interne ed esterne 1.3.2 Le cause strategiche e strutturali

1.4 I modelli di prevenzione e individuazione del declino e della crisi

2 IL BUSINESS PLAN: UNO STRUMENTO PER LA

GESTIONE DELLA CRISI

2.1 Definizione ed obiettivi del Business Plan

2.2 Gli impatti delle strategie fondanti il Business Plan sulle dinamiche aziendali 2.2.1 Il riposizionamento competitivo

2.2.2 La ristrutturazione organizzativa 2.2.3 La ristrutturazione finanziaria

2.3 Il Business Plan come strumento di risanamento aziendale 2.4 Struttura e contenuti del Business Plan

2.4.1 Analisi della dimensione descrittiva 2.4.2 Analisi della dimensione quantitativa 2.5 Da “Business Plan” ad “ActionPlan”

2.6 La pianificazione strategica e la continuità aziendale

3 LE PMI E L’INSERIMENTO NEL CONTESTO

ECONOMICO ATTUALE

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3.2 L’evoluzione delle pmi 3.3 Pmi e crisi aziendale

3.4 Le difficoltà delle Pmi nel riconoscimento dell’importanza strategica del Business Plan

4 IL RUOLO DELL’ADVISOR E IL SUPPORTO

SPECIFICO ALLE PMI: IL CASO CONCREDITO

4.1 Funzione ed obiettivi dell’advisor 4.2 Advisor tra crisi aziendale e turnaround

4.2.1 Le attività dell’advisor nel turnaround delle pmi 4.3 Il caso Concredito

4.3.1 Il sostegno all’elaborazione del piano di risanamento

4.3.2 Le modalità di superamento della crisi e il ritorno all’equilibrio economico

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

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A mamma, papà, Raffaele e a chi come loro Non ha mai smesso di credere in me.

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INTRODUZIONE

L’ultima crisi recessiva mondiale ha evidenziato le criticità e le debolezze dei sistemi economici, rendendo di conseguenza il fenomeno di crisi d’impresa di rilevante attualità. La crisi ha avuto anche una conseguenza sui mercati, incrementandone la dinamicità ed accentuando la competitività, tutto questo ha reso l’ambiente in cui opera l’azienda, molto più rischioso. In questo nuovo contesto, è maggiormente impegnativo riuscire a ottenere un durevole vantaggio competitivo e conseguentemente ottenere successo: l’azienda deve riuscire ad anticipare le evoluzioni ambientali, nonché saper identificare in modo rapido e preciso i fattori critici di successo che caratterizzeranno il mercato o, per assurdo, essere essa stessa fattore di modifica dell’ambiente per modificare le regole della concorrenza. Appare evidente, dunque, che non tutti i sistemi aziendali sono adeguati e, soprattutto, hanno le competenze per riuscire a fronteggiare le turbolenze del mercato e dell’ambiente circostante. È fondamentale, perciò, affiancare all’imprenditorialità la conoscenza di strumenti che possono non soltanto supportare la gestione di situazioni di turnaround, ma addirittura prevenire queste situazioni, attraverso una logica, coerente ed adeguata programmazione, che è conseguenza della lungimiranza e visione imprenditoriale.

Lo studio di questa materia ha destato in me un grande interesse, anche perché mi ha aiutato a capire le dinamiche della crisi in cui riversano molte aziende italiane e, soprattutto, trovare strumenti, modalità e sistemi che le stesse aziende dovrebbero adottare per superare queste situazioni, e, in futuro, prevenire ulteriori occasioni di crisi.

Questo lavoro è anche frutto di un’esperienza di tirocinio presso la società Concredito, una società di consulenza per le piccole e medie imprese, che tra i tanti servizi che offre alle aziende, c’è anche quella della gestione finanziaria (accesso al credito, miglioramento rapporto con le banche, ecc.) e gestione della crisi, attraverso l’utilizzo di strumenti, come piani industriali e finanziari, che possano, nel loro scopo di programmazione, definire e ben delineare le strategie e le azioni volte a risanare e rilanciare, nel tempo, l’impresa.

L’obiettivo del presente lavoro è pertanto quello di analizzare tematiche di attuale riferimento come quello della crisi aziendale, avendo poi un occhio di riguardo per quelle dinamiche che caratterizzano le piccole e medie imprese e di quelli che sono gli strumenti utili per gestire e prevenire situazioni di crisi e esporre l’analisi di un caso concreto.

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Nel primo capitolo, approfondirò la definizione di crisi d’impresa, evidenziandone il carattere poliedrico. Si è poi indagato sul processo di formazione e di sviluppo della crisi, evidenziando i vari stadi. Poi, successivamente si sono evidenziate le cause, interne e esterne, strategiche e strutturali, che potrebbero compromettere il fisiologico sviluppo aziendale. Il capitolo si conclude con l’identificazione di modelli che permettono l’individuazione e, ancor prima, la prevenzione di eventuali condizioni e circostanze di dissesto e crisi aziendale.

Nel secondo capitolo si passa ad analizzare il Business Plan, strumento essenziale per la gestione della crisi aziendale, nonché per la programmazione strategica, organizzativa e finanziaria del rilancio dell’azienda. Il business plan può essere anche un utile strumento di prevenzione alla crisi, infatti, la sua attività di programmazione è necessaria per dare all’azienda un approccio dinamico e mutevole alla gestione, senza mai precludere l’ottica di medio-lungo termine. Nello specifico, si è cercato di dare una definizione di business plan, evidenziando, dall’altro lato, gli obiettivi per cui esso nasce. Si sono poi evidenziati gli impatti del piano industriale, in termini strategici, organizzativi e finanziari, su quelle che sono le azioni da porre in essere per raggiungere gli obiettivi fissati. Si è poi messo in risalto, in modo specifico, il business plan come strumento di gestione della crisi, evidenziando tutte i requisiti e peculiarità che il piano di risanamento deve avere. Dopodiché si è passati a descrivere in modo dettagliato la struttura, i contenuti che caratterizzano il business plan, nonché i principi che devono accompagnare la sua redazione. È stato analizzato anche il processo che porta la trasformazione del piano alle reali condizioni operative, dunque Actionplan. Per ultimo si è messo in luce la rilevanza che ha il business plan in termini strategici, come principale documento/strumento in cui si sostanzia la capacità dell’azienda di mutare e guardare al domani e quindi di salvaguardare la sua continuità.

Nel terzo capitolo è stata analizzata la fenomenologia delle piccole e medie imprese, cercando prima di definirle nelle varie sfaccettature, prendendo in considerazione diverse teorie che, nel tempo, hanno cercato di spiegarne le dinamiche. Successivamente è stato analizzato il processo che ha determinato l’evoluzione delle piccole e medie realtà come tipologia di impresa, nonché tutte le forme organizzative che, nel tempo, esse hanno assunto. Poi sono state analizzate le motivazioni e le cause principali delle crisi delle pmi e di come queste cause siano, molto spesso, originate dallo stesso soggetto economico, incapace di governare adeguatamente l’impresa. Ciò è legato alle carenze imprenditoriali e ad una conduzione attraverso un’ottica di breve termine che spiega l’assenza, a volte totale, di basilari strumenti di programmazione e

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pianificazione, che sono un aspetto essenziale per guidare l’azienda, in modo da non precludere l’ottica di medio-lungo termine. Alla fine si è cercato di elencare eventuali soluzioni pragmatiche a questi deficit che connotano la maggioranza delle pmi.

Nel quarto ed ultimo capitolo si è dato adito all’importanza generale al ruolo ricoperto dall’advisor, e, più nello specifico, alla rilevanza che la loro esperienza, le loro competenze e professionalità possono avere per le piccole e medie imprese. In particolare, si è evidenziato il supporto che essi possono dare nella gestione della crisi, attraverso la redazione di piani di risanamento che, da un lato, sono degli ottimi strumenti di controllo interni e, dall’altro, dei fondamentali documenti di sintesi per i soggetti esterni, che dovranno materialmente sostenere l’azienda, dando nuova linfa alla sua economicità e per riconquistare posizioni di successo. Successivamente è stato presentato il caso Concredito, specificando la sua mission e definendo il suo raggio d’azione. Sono state messe in evidenza le azioni che la società pone in essere quando si trova ad affrontare situazioni di crisi riferite a piccole medie imprese.

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1 IL FENOMENO DI CRISI D’IMPRESA

1.1 Declino e crisi d’impresa

“La crisi può essere una vera benedizione per ogni persona e per ogni nazione, perché è proprio la crisi a portare progresso. La creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.” [Albert Einstein]

Il tema del declino e della crisi d’impresa appare, in generale, tra i campi più esplorati dell’economia, soprattutto in periodi come questo, ove c’è un’elevata sensibilità sociale ed economica dopo la crisi finanziaria mondiale di circa un decennio fa, che ha avuto impatti rilevanti sulle economie e sulle realtà aziendali di diversi paesi che, ancora oggi, sembrano patire gli strascichi di questa enorme depressione economico-finanziaria.

La recente crisi economica globale ha visto la crisi ed il fallimento di un rilevante numero di aziende; alcune, però, hanno colto l’occasione per avviare delle grandi ristrutturazioni industriali fondate su un’efficace ed efficiente azione strategica. Questo fa capire come, in realtà, la crisi d’impresa non è un fenomeno sporadico, anzi, è un fenomeno strettamente collegato al dinamismo e all’instabilità dell’ambiente e alla capacità delle aziende di reagire o, in alcuni casi, anticipare tali cambiamenti.

La crisi d’impresa è diventato un fenomeno sempre più frequente nei sistemi industriali moderni e sempre più spesso coinvolge: 1

− Interi settori o parte di essi, come conseguenza del mutamento generale delle condizioni operative e degli squilibri preesistenti (crisi diffuse);

− Singole aziende, che prima erano efficienti e ben amministrate, che poi vedono ridursi le loro capacità di generare reddito in relazione a specifiche debolezze generati dai turbamenti e dalle variabili ambientali (casi particolari).

Tutto ciò ha assunto una connotazione anche positiva che spinge l’evoluzione dei sistemi e delle imprese verso soluzioni innovative e nuovi equilibri. Questo accade in virtù

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dell’autonomia di scelta che caratterizza le aziende: infatti ogni impresa definisce sé stessa e la propria attività, qualificando così l’ambiente come ciò che è diverso ed esterno rispetto a sé e selezionando in esso il proprio “dominio operativo”, cioè la porzione con la quale instaurare rapporti diretti e specifici. L’azienda, quindi, attraverso una serie di scelte qualifica sé, il suo ambiente ed i suoi interlocutori.

Il processo si sviluppa in modo progressivo ed attraverso una serie di scelte a fronte delle quali si delineano delle situazioni ambientali che solo in parte sono riconducibili alla volontà dell’azienda. Infatti, le azioni di ogni singola impresa si fondono con quelle delle altre imprese presenti e tutte insieme definiscono i tratti strutturali e le dinamiche competitive dell’ambiente.2

Gli ambienti, col tempo, si sono modificati e sono diventati molto più dinamici e complessi, con una grande ricchezza di fenomeni imprevedibili e molto spesso neanche ipotizzabili. La dinamicità ambientale è determinata anche dalla singola azienda, che attraverso il processo di gestione ed interazione con il mercato, svolge delle azioni che suscitano una serie di reazioni da parte delle altre aziende concorrenti, che si muovono per raggiungere a loro volta un equilibrio economico a valere nel tempo. Questi atteggiamenti di difesa e di competizione, da parte dei singoli sistemi aziendali, provocano degli spostamenti inaspettati nei flussi e nelle condizioni di economicità. La crescita di ogni singola impresa diventa condizionata da questa “economicità vagante” che, spostandosi da un’impresa all’altra, finisce per modificare la struttura e il funzionamento dell’intero sistema economico. Ogni singola azione concorrenziale, infatti, provoca sul mercato una serie di reazioni a catena, per cui la massa di economicità può risultare anche molto diversa da quella che era nelle intenzioni dei promotori.3

Il sistema dei rischi d’azienda, dunque, trae origine proprio dalla discrasia che connota i cambiamenti dell’ambiente rispetto a quelli dell’azienda stessa. L’azienda si trova di fronte a due alternative: proiettarsi nel futuro per tentare di innescare o anticipare i mutamenti esterni, o attendere i segnali di questi per poi reagire e adeguarsi. Ad ogni modo, sia nell’uno che nell’altro caso la scelta potrebbe rivelarsi sbagliata: da un lato a causa di previsioni inesatte; dall’altro a causa di tardivi meccanismi di adeguamento.4 Sicuramente la circostanza da evitare

è quella di restare inermi, subendo passivamente il cambiamento ambientale.

2 Garzella S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli Editore, Napoli,

2005, pp.6-7

3 Bertini U., Il sistema d’azienda, Giappichelli Editore, 1990, p.103

4 Garzella S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli Editore, Napoli,

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Nel rapporto con l’ambiente, l’azienda costruisce le sue condizioni di sopravvivenza e di sviluppo, ma allo stesso tempo trovano origine situazioni di pericolo che finiscono per minacciarne la stessa vita. Il rischio d’impresa, infatti, scaturisce da una serie di fattori di natura interna ed esterna, questi ultimi di solito sono incontrollabili dall’azienda; esso si esprime proprio nell’incertezza e variabilità dei risultati economico-finanziari che scaturiscono dal processo gestionale e trova nella crisi la sua materializzazione più evidente. Lo studio del rischio si sviluppa in relazione alla struttura quali-quantitativa del patrimonio aziendale, nonché in relazione alla tipica struttura organizzativa, operativa e finanziaria di riferimento. Ed è proprio in questo contesto che si sviluppa il fenomeno di crisi d’impresa: cioè dinanzi al cambiamento dell’ambiente, che proviene da scelte e dalle azioni di tutte le aziende che ne fanno parte, l’azienda di riferimento, quindi, non riesce a mutare e a rendersi flessibile dinanzi a quel cambiamento ambientale. Si genera così un conflitto tra i fattori e le determinanti di successo richiesti per competere nel nuovo ambiente e quella che è la struttura aziendale, rimasta statica e inerme davanti al cambiamento. Quello che si materializza è il fenomeno dell’obsolescenza che colpisce le strutture operative ed organizzative: cioè il progresso e il dinamismo ambientale rendono non più appetibili quelle strutture che fino a quel momento avevano caratterizzato le aziende, divenute poco funzionali per le nuove esigenze e determinanti di successo richieste dal nuovo ambiente.5

Nell’ambiente contemporaneo la regola non è la stabilità, ma il cambiamento. Concorrenza, tecnologia e domanda sono variabili fondamentali nell’economia moderna e, in quanto tali, sono soggetti a mutamenti rapidi, e talvolta così repentini, tali da costringere le imprese a riadattare le loro strategie e le loro strutture organizzative per riuscire a sopravvivere, ma ancor di più se vogliono rafforzare i propri vantaggi competitivi.

Seppur il cambiamento è l’unica strada da intraprendere per il successo aziendale, non sempre è così semplice da imboccare, a causa di diverse forze che si oppongono al mutamento. Dopo che un’impresa ha superato lo stato embrionale ed entra in quella dello sviluppo, la struttura organizzativa comincia a generare forze che rendono l’impresa resistente al cambiamento. Quando si entra nella fase di maturità queste stesse forze aumentano la loro intensità. Tutto ciò rende statico l’ambiente e poco incline al cambiamento; la situazione diventa

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ulteriormente problematica se l’ambiente è molto dinamico, perché è richiesta una notevole flessibilità all’azienda per poter continuare ad essere competitiva e raggiungere il successo.6

Richiamando il fenomeno dell’obsolescenza, si determina una diminuzione del valore degli assets aziendali, che colpisce non solo i singoli fattori, ma anche il sistema relazionale ed operativo che unisce tali fattori. Quindi i meccanismi di governo o processi aziendali si rivelano superati e non più adatti ad assicurare le condizioni aziendali di sviluppo a seguito dei cambiamenti avvenuti all’esterno e, in particolare, a seguito degli atteggiamenti innovativi o dei nuovi modelli delle imprese concorrenti.7 La possibile inadeguatezza delle strutture

aziendali finisce con l’agire trasversalmente sull’intero sistema dei rischi, minando anche la stessa prospettiva economica.

Finora si è parlato in modo molto generico della crisi d’impresa, riportando l’origine di tale fenomeno alle dinamiche che caratterizzano il rapporto azienda-ambiente, evidenziando i concetti di cambiamento e flessibilità, che sono alla base del fenomeno di crisi. In realtà parlare solo di crisi può destare confusione, anche perché non è corretto parlare di crisi aziendale in ogni e qualsiasi situazione, in cui l’azienda viene a trovarsi, che possa peggiorare o scompensare le normali condizioni d’equilibrio aziendale. Spesso, erroneamente, si dà troppa enfasi al concetto di crisi dimenticando quello di declino.8

Il declino coincide con la perdita di capacità reddituali da parte dell’impresa, quantificabile in una riduzione del reddito prodotto o, caso estremo, nella sua totale assenza. In particolare, “il declino” può essere collegato ad una performance negativa in termini di Δ W, cioè della distruzione di valore; e misurato nella sua intensità dalla entità di tale distruzione in un definito arco temporale (annuale, ma anche pluriennale). Deriva da ciò che l’idea di declino come distruzione di valore del capitale economico. Le condizioni per far sì che un’impresa possa effettivamente considerarsi in declino si verificano quando:9

− la riduzione della capacità reddituale è sensibile: il realizzo di una perdita in sé non significa che l’impresa sia in declino;

− il ritorno ai flussi reddituali ante declino comporta un’azione di risanamento aziendale, che incide più o meno significativamente sull’assetto strutturale dell’impresa;

6 Garzella S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli Editore, Napoli,

2005, p. 11

7 Ibidem, p. 19

8 Guatri L., Turnaround: declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995, p.106 9 Ibidem, p.107

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− la riduzione dei flussi reddituali si riferisce al passato e deve essere soprattutto prospettica;

− sono aumentati i rischi d’impresa, i quali comportano una sua complessiva riduzione di valore.

Si aggiunge che, di solito, il declino sia un processo lento, il quale porta l’impresa a perdere valore in maniera graduale nel tempo.

Il passaggio dal declino alla crisi si verifica quando l’incapacità di generare redditi da parte dell’impresa diventa irreversibile, e quando tale situazione si palesa verso l’ambiente esterno: in altre parole, il declino, diventando crisi, esplode all’esterno ed origina una condizione di “non ritorno” se non accadono altri eventi: tra i quali, in primo luogo, interventi e sacrifici dei vari stakeholder (e non dei soli portatori di capitale). Si può pertanto arrivare a concludere che la crisi è, per così dire, la fase conclamata, ed esternamente apparente, del declino; ed è un declino generalmente irreversibile senza consistenti interventi esterni.10

A valle di quanto sinora detto, si può arrivare a definire la crisi d’impresa come uno stato di incertezza, sia fisiologico che patologico, attraversato dal sistema impresa, originato da una o più cause, in cui vengono meno le sue capacità competitive e/o di consonanza, innescando un circolo vizioso, il quale comporta una riduzione o distruzione di valore che si protrae nel tempo. Tale stato viene percepito sia all’esterno che all’interno del sistema impresa, creando destabilizzazione e danni d’immagine per l’impresa.11

In buona sostanza, si può venire quindi a concludere che con lo stato di declino e di crisi, data la situazione di riduzione o distruzione di valore, vengono messe in dubbio le probabilità di sopravvivenza del sistema impresa, conseguenza questa del fatto che l’impresa distrugge valore.

Il declino e la crisi possono portare l’impresa ad uno stato di insolvenza, che può essere considerato anche come il segnale più evidente di una crisi in atto. L’insolvenza altro non è che l’incapacità dell’azienda di far fronte con regolarità ai propri impegni finanziari. Un’azienda che versa in condizioni di insolvenza è in dissesto, ovvero la fase terminale della crisi. Al fine di non raggiungere tale stadio, è utile avviare degli strumenti di pianificazione finanziaria:

10 Ibidem, p.107

11 Garzella S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli Editore, Napoli,

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− La liquidità di un’azienda si riconduce all’equilibrio finanziario, ed in particolare alla capacità di rispettare le scadenze nei pagamenti senza rischiare di compromettere le condizioni che garantiscono l’equilibrio economico e, appunto, finanziario.

− La solidità patrimoniale esprime, invece, l’adeguata correlazione della struttura delle fonti di finanziamento raccolte in relazione agli impieghi.12

Si può pertanto arrivare a concludere che l’incapacità di generare valore può comportare per il sistema impresa una situazione di squilibrio, che è strettamente connesso alla mancanza di risultati reddituali e squilibrio finanziario (ossia incapacità di soddisfare i debiti), la quale è già crisi.

La crisi determina l’avvio di un processo di risanamento o la cessazione d’azienda, dove con quest’ultima s’intende la situazione in cui la crisi evolve in uno stato irreversibile. La cessazione è preceduta dalla liquidazione che può essere in bonis oppure tramite procedura concorsuale. La scelta di risanare o cessare l’azienda non è casuale, anzi, essa si affida a valutazioni, di natura diversa, che faranno emergere la convenienza nel perseguire il risanamento ed il rilancio aziendale, piuttosto che la liquidazione degli assets aziendali. Si realizza, così, la fase terminale dell’azienda, che si presenta come fase eventuale (essendo l’equilibrio economico a valere nel tempo l’obiettivo di fondo di qualsiasi sistema d’azienda), e che esprime il rischio economico generale, sempre incombente sulla combinazione produttiva.13 La scelta del risanamento o della cessazione d’azienda è affidata a metodologie valutative classiche (metodologie basate su grandezze flussi e stock, metodologie miste e basate su grandezze di mercato), che permettono di giungere al valore economico dell’azienda “W”: esso è il valore attribuibile ad un’attività aziendale ipotizzando la sua continuazione. Il valore economico di un’azienda dev’essere sempre positivo e, comunque, superiore al suo valore di liquidazione (considerato come “valore soglia”). Il valore di liquidazione “V” è quello ottenibile dalla vendita dei singoli assets aziendali in modo disgiunto e che, quindi, implicitamente include l’ipotesi di una cessazione dell’attività aziendale. In definitiva, si sceglie di risanare un’azienda soltanto se il suo valore economico risulterà essere superiore al suo valore di liquidazione. 14

12 Danovi A., Quagli A., Crisi aziendali e processi di risanamento, IPSOA, Milano, 2012, p.46

13 Garzella S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli Editore, Napoli,

2005, p.13

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Si può dire, in sintesi, che la crisi è la materializzazione di una serie di rischi negativi che incombono sul sistema aziendale, che possono minare seriamente la continuità aziendale. Quindi l’unica azione che ci permette di uscire senza conseguenza dalla crisi è prevenirla. Prevenire la crisi significa avere una continua tensione verso il cambiamento; bisogna necessariamente avere un’ottica duale, cioè porre attenzione, contemporaneamente all’oggi e al domani (atteggiamento strabico).15 E’ proprio la vision del domani a scandire i ritmi e l’entità dei cambiamenti ed a definire il rapporto passivo, reattivo o proattivo che l’azienda instaura con l’ambiente. In alcuni casi si parla, addirittura, di crisi come opportunità: in effetti la crisi impone una consapevolezza da parte della governance, che si trova a dover affrontare obbligatoriamente un cambiamento strutturale, se si vuole ritornare nelle normali condizioni di equilibrio economico.16

Le imprese quindi dovrebbero attuare un percorso di cambiamento strategico: ovvero quel complesso di azioni che un’impresa avvia per muovere dalla situazione in cui si trova attualmente verso una situazione futura desiderata, con lo scopo di mantenere o incrementare i vantaggi competitivi.17 Non può però essere considerato strategico ogni forma di cambiamento: il cambiamento è strategico se e solo se apporta delle modifiche strutturali, cioè quando si vengono a modificare quel sistema di relazioni tendenzialmente stabili che caratterizzano l’azienda, nei suoi rapporti interni ed esterni.18 Quindi la crisi aziendale e la scomparsa di

singole aziende, soprattutto quelle ai margini del mercato, rappresentano il prezzo da pagare per il riequilibrio di alcuni settori o, addirittura, dell’intero sistema economico. La conseguenza è da considerare darwinistica: sul mercato restano soltanto quelle imprese, che più delle altre, presentano i connotati di efficienza, elasticità ed innovazione o che, comunque, hanno saputo proteggersi, in modo adeguato, dai rischi presentatisi.19

15 Ibidem, p.50 16 Ibidem, p. 15

17 Candelo E., Le strategie di turnaround, EGEA, Milano, 2005

18 Garzella S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse, Giappichelli Editore, Napoli,

2005, p.15

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1.2 L’evoluzione e gli stadi della crisi

La crisi, come è stato già ribadito, è una manifestazione di tipo patologico e si sviluppa, spesso, lentamente secondo un processo di deterioramento. Per meglio capire la manifestazione della crisi d’impresa, è opportuno evidenziare che essa non dev’essere interpretata come un fenomeno a doppio binario, che esiste o non esiste, ma come un processo composto da più stadi, un’evoluzione caratterizzata da diversi livelli di gravità e differenti modalità di manifestazione. Il concretizzarsi della crisi costituisce una minaccia per l’equilibrio dell’intero sistema aziendale, che può intraprendere una discesa lungo la spirale delle sinergie negative e causare, poi, il decesso d’impresa.20 È, infatti, evidente che “studiare la situazione economica di

un’impresa significa analizzarne l’attitudine a produrre, nel tempo futuro, dei redditi che consentono di remunerare adeguatamente il capitale investito”.21

Senza dubbio, affinché tutto questo avvenga, è necessario che l’impresa non operi più in condizioni fisiologiche, ma presenti condizioni tali da essere considerate patologiche. Il passaggio, da parte dell’azienda, dallo stato fisiologico a quello patologico non è istantaneo, bensì presenta un fenomeno graduale, all’interno del quale l’azienda troverà la manifestazione di diversi eventi che caratterizzeranno il passaggio da uno stato all’altro. Per la spiegazione di questo processo si può prendere spunto dalle diverse situazioni in cui si trova il sistema di coerenze. Si possono dunque distinguere quattro stati del sistema di coerenze:22

1. Lo stato fisiologico; 2. Lo stato di tensione; 3. Lo stato alterato; 4. Lo stato patologico.

Lo stato fisiologico dell’azienda ricerca nelle condizioni di equilibrio del sistema il suo cardine. Un’impresa quando svolge la sua attività in condizioni di normalità, essa si trova in uno stato di equilibrio del sistema delle coerenze. La normalità, però, non deve essere analizzata

20 “Il termine «equilibrio» dell’impresa potrà dunque pertanto significare quello stato di composizione e

funzionamento del sistema nel quale l’impresa, nell’aspetto economico che è fondamentale per il suo fine, ed a cui sono connesse le altre condizioni, può remunerare tutti i fattori della produzione, e conseguire almeno una quantità minima di reddito economico netto (profitto), avviandosi da tale punto minimo di equilibrio al raggiungimento di quel reddito che, entro un massimo, l’imprenditore giudicherà soddisfacente, secondo il suo tornaconto, misurato in termini di arbitraggio fra impieghi.” Si veda Amaduzzi A., L’Azienda nel suo sistema e

nell’ordine delle sue rilevazioni, Seconda edizione, Utet Torino,1987, pag. 200 21 Ferrero G., Le analisi di bilancio. Indici e flussi, Milano, Giuffrè, 1981, pag.241

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come una situazione statica, ma deve essere associata ad una dinamicità ed elasticità aziendale coerente con il grado di cambiamento ambientale, all’interno del quale l’azienda si inserisce. Lo stato di tensione si ha quando si sono generate delle rotture di alcune coerenze, ma si riesce a mantenere una “situazione fisiologica forzata” grazie all’effetto accumulo disponibile. Lo stato alterato, invece, si presenta quando si innesca il processo degenerativo, che compromette altri rapporti di coerenza sottoposti a maggior tensione, causando degli effetti manifesti. Infine, lo stato patologico si ha nel momento in cui l’intensità e la gravità dello stato alterato dovuto all’evoluzione del processo degenerativo pregiudica il finalismo d’impresa.

La dottrina è concorde a ritenere che, a seconda della gravità della crisi che può portare un’impresa da una situazione di declino fino al dissesto, è possibile distinguere quattro diversi stadi di sviluppo, per ognuno dei quali si possono individuare particolari caratteristiche e le manifestazioni salienti.23 I quattro stadi sono così distinti:

1. Lo stadio di incubazione; 2. Lo stadio di maturazione;

3. Lo stadio delle gravi ripercussioni;

4. Lo stadio delle ripercussioni sugli stakeholders.

Il processo può essere raggruppato in due fasi: il declino e la crisi.

Nella fase di declino troviamo lo stadio di incubazione e di maturazione. L’incubazione si manifesta attraverso segnali di squilibrio, inefficienze e decadenza che, se non vengono percepiti prontamente dal management e se ad essi non vengono posti rimedi, porteranno a rilevanti perdite economiche.24 La maturazione, invece, rappresenta un’evoluzione peggiorativa delle condizioni economiche, palesando una condizione sempre più grave della condizione aziendale che si manifesta con perdite da un punto di vista reddituale e con perdite di valore del capitale. La maturazione rappresenta il confine tra una situazione di declino e una di crisi.

23 Guatri L., Turnaround: declino crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995; al riguardo Arlotta afferma: “Lo

stadio della crisi è il punto di partenza: dai primi sintomi alla disfunzione intercorre del tempo fino a configurarsi una crisi acuta ed irreversibile. I fattori di crisi sono diversamente riconoscibili come pure la possibilità di intervento tempestivo.” Arlotta C., Carbone S., De Luca F.A., Tami A., Il controllo delle liquidità nelle strategie

aziendali e nelle situazioni di crisi. Il contributo del business plan, Commissione Finanza e Controllo di

Gestione, nr. 59, 2015

24 Inoltre Giannessi sostiene la stretta interdipendenza tra momento economico e momento finanziario: “gli

andamenti economici possono provocare effetti decisivi sugli andamenti finanziari e questi, reciprocamente, possono influire in maniera determinante. […] Si potrebbe dire che il successo di una azienda è essenzialmente legato al grado ottimo di convenienza degli aspetti che esprimono la natura degli andamenti economici e finanziari del sistema.” Si veda Giannessi E., L’equazione del fabbisogno di finanziamento delle aziende di

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La seconda fase è quella di crisi, all’interno della quale rientrano gli altri due stadi sopraelencati. Lo stadio delle gravi ripercussioni si riflette sui flussi finanziari, sulle capacità di credito e sull’affidabilità d’impresa. Le principali manifestazioni si sostanziano in carenze di cassa, perdita del credito e di fiducia, perdita rilevante o totale del valore del capitale e, infine, rischio di sopravvivenza. Ultimo stadio, che porterà definitivamente all’insolvenza25 e/o al dissesto, è quello delle ripercussioni sui “portatori d’interesse” dell’impresa.

Il concetto di “declino” può essere collegato all’ottenimento di una performance negativa in termini di variazione di valore, ossia alla sua distruzione, e misurato nella sua intensità dall’entità di tale distruzione in un definito arco temporale. Da ciò l’idea che un’impresa è in declino quando perde valore nel tempo. Da tale assunto discendono alcune conseguenze:26

− il declino non è solo identificabile in relazione a perdite economiche, ma, più in generale, al sensibile decrescimento dei flussi economici (pur nella permanenza della loro positività);

− per definire compiutamente il concetto di declino, occorre che la perdita di flussi sia sistematica e irreversibile (qualora non vengano posti in atto appropriati interventi risanatori);

− la misura dei flussi non è legata solamente al passato, ma anche e soprattutto alle attese dei rendimenti; è, cioè, la perdita di capacità reddituale dell’impresa - e non solo la diminuzione degli utili sul piano storico - a causare il declino (sempre che il fenomeno superi una certa soglia di intensità);

− non sono solo i flussi, ma anche i rischi, possono causare perdite di valore e, quindi, il declino dell’impresa.

La crisi, intesa in senso stretto, rappresenta un’ulteriore degenerazione rispetto alle condizioni del declino. Infatti, come dice lo stesso Zanda, si tratta di uno stato di grave instabilità originato da rilevanti perdite economiche (e di valore del capitale), da conseguenti forti squilibri nei flussi finanziari, dalla caduta della capacità di credito per perdita di fiducia (da parte dei clienti, dei fornitori, del personale, della comunità finanziaria in genere),

25 Lo stato di insolvenza si verifica quando l’impresa non è in grado di soddisfare regolarmente le proprie

obbligazioni. Dove l’avverbio “regolarmente” indica non solo alle debite Scadenze, ma anche con mezzi normali in relazione all’ordinario esercizio dell’impresa. Si veda Art.5, comma 2 Legge Fallimentare.

Inoltre l’insolvenza rappresenta solo l’anticamera del dissesto, che risulta essere la conseguenza peggiore della crisi, condizione per cui l’impresa si trova in uno stato degenerativo avanzato, caratterizzato da uno stato di permanente squilibrio a livello economico-finanziario e conseguentemente anche patrimoniale.

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dall’insolvenza - ossia dall’incapacità di far fronte regolarmente ai pagamenti in scadenza - e, quindi, dal dissesto, ossia da uno squilibrio patrimoniale definitivo.27

Dunque la crisi è la fase conclamata ed esteriormente apparente del declino, cioè la continuazione di una traiettoria negativa delle vicende dell’impresa in cui l’aggravamento degli squilibri economici e finanziari è pienamente percepito dall’ambiente di riferimento.28

La distinzione tra declino e crisi, il cui confine nella pratica può anche essere molto sottile29, è importante per spiegare come, in generale, il declino può rappresentare un passaggio relativamente fisiologico della vita di un’impresa, la quale può dunque essere vista come “una continua dialettica tra momenti di declino e fasi di ristrutturazione volontaria per ricostituire pienamente i vantaggi competitivi”.30

27 Zanda G., Lacchini M., Le prime avvisaglie della crisi: strumenti di accertamento, Milano, 1995 28 Sirleo G., La crisi d’impresa e i pani di ristrutturazione, Aracne editrice, Roma, 2009, p. 20

29 Osserva, in tal senso Guatri che «non è sempre agevole separare il «declino» dalla «crisi». “Almeno nelle fasi

iniziali, vere situazioni di crisi appaiono quali semplici forme di reversibile declino. Ciò accade ad esempio quando il flusso di cassa, a motivo degli scarsi o nulli investimenti dell’impresa in beni materiali o immateriali, o della contrazione dei volumi di attività con conseguente riduzione del capitale circolante, consente di rinviare nel tempo (spesso anche a lungo) l’esplosione delle difficoltà finanziarie; oppure quando gli imprenditori ed i manager interessati sono particolarmente abili nel dissimulare lo stato progredente di declino, od addirittura forniscono informazioni artefatte per arginare e rinviare la perdita di credibilità. Ma a parte queste situazioni particolari (seppur tutt’altro che rare) appare concettualmente arbitrario fissare un limite all’erosione prodotta dalle perdite (in termini di reddito e di valore) per stabilire quando comincia la crisi”. Si veda Guatri L.,

Turnaround: declino crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995, p. 110

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Figura 1.1 – I quattro stadi della crisi secondo l’approccio classico

Fonte: Guatri L., Turnaround: declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995

Oltre alla impostazione classica che, come si è visto, considera la crisi come un evolversi di manifestazioni, ognuna delle quali fa emergere uno stadio della crisi, anche gli approcci più recenti considerano la crisi come un processo che si sussegue e si evolve in stadi, che delineano la gravità e l’intensità della crisi stessa.

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Figura 1.2 – Gli stadi della crisi secondo l’approccio moderno

Fonte: Capizzi V., Le procedure di risanamento delle imprese in crisi: una valutazione

su base comparativa, Milano, 2012.

Così come per l’approccio classico31, anche in questo caso il primo stadio è rappresentato

dall’incubazione: esso si caratterizza per un rallentamento dei trend di crescita del fatturato, per l’insorgere delle prime inefficienze e per l’assenza di erosione patrimoniale. L’intervento del management può essere determinante già in questa prima fase, in quanto possono essere anticipati i fenomeni degenerativi legati a perdite economiche, in termini sia di reddito che di valore dell’impresa.

Il secondo stadio si caratterizza per i primi sintomi, che possono essere evidenziati con accurati sistemi di monitoraggio dei risultati. Tipici di questa fase sono il mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio previsti, l’aumento del livello di indebitamento e dei tassi applicati dalle banche, il continuo incremento delle inefficienze e la costante riduzione della liquidità.32

Con il terzo stadio si raggiunge la maturazione: si registra un crescente livello di indebitamento aziendale e perdite economiche. In questa fase l’equilibrio finanziario non è ancora compromesso e la possibilità di continuità aziendale non è ancora svanita ma è

31 Guatri L., Turnaround: declino, crisi e ritorno al valore, EGEA, Milano, 1995

32 Capizzi V., Le procedure di risanamento delle imprese in crisi: una valutazione su base comparativa, Milano,

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necessario intervenire tempestivamente, al fine di frenare il progressivo deterioramento delle condizioni aziendali. Qui c’è il palesamento dei segnali di crisi d’impresa, andando a marcare quel labile confine che, secondo la dottrina classica, separa il declino dalla crisi vera e propria.33

Il quarto stadio è rappresentato dalla diffusione delle disfunzioni, fase in cui la manifestazione della crisi d’impresa è visibile anche dall’esterno, a causa di inadempienze verso fornitori non strategici, perdita dell’immagine, di clientela, di affidabilità, riduzioni nelle dilazioni dei pagamenti e del patrimonio netto, flussi di cassa negativi e squilibri monetari e finanziari.

Infine, l’ultimo stadio è rappresentato dalla crisi acuta, caratterizzato da uno squilibrio globale, disfunzione generale, blocco dell’operatività, insolvenza prolungata, patrimonio netto negativo e situazione di generale dissesto.34

In questo modo, attraverso l’analisi di un approccio classico ed uno più moderno, si è dimostrato come la crisi d’impresa è un fenomeno che si manifesta nel corso del tempo. L’evoluzione e lo scorrere del tempo acuiscono la negatività del fenomeno, fino a raggiungere un punto in cui la crisi diventa irreversibile. Quindi è opportuno comprendere al meglio i vari stadi, per cogliere i segnali della crisi ed agire celermente, finché vi è l’opportunità e il tempo necessario per farlo. L’analisi degli stadi della crisi è necessaria anche per valutare quali interventi siano più adeguati per attuare per il ripristino della condizione di equilibrio aziendale.35

1.3 Le cause della crisi

L’origine della crisi può essere qualificata come un fenomeno altamente complesso, dato che può risultare difficile comprenderne le cause specifiche, e se l’impresa si trova in una condizione reversibile o meno.

In assoluto si può però osservare come l’origine della crisi sia interrelata e conseguente al verificarsi di un qualche evento negativo rischioso: in altre parole, dietro l’origine di uno stato di difficoltà o di crisi c’è sempre uno o più eventi scaturenti.36

33 Ibidem, pp. 110-115 34 Ibidem, pp. 110-115

35 Sottoriva C., Crisi e declino dell’impresa: interventi di turnaround e modelli previsionali, Milano, Giuffrè

Editore, pp. 36-37

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Si è molto discusso sui legami tra rischio e crisi: è significativo, quindi, fare distinzione tra governo dei rischi e governo della crisi, dato che rischio e crisi sono visti come due eventi strettamente concatenati ma al contempo distinti, legati questi da una relazione di tipo “causa-effetto”. Il governo dei rischi può quindi essere interpretato come un processo funzionale anche al governo delle crisi.37

In prima approssimazione si potrebbe constatare che le cause che portano al declino e alla crisi derivino dal verificarsi di eventi ad alto impatto; in realtà potrebbe accadere che l’impresa perda competitività senza impatti deflagranti. Pertanto, condizione necessaria affinché ci sia legame tra rischio e crisi è che la conseguenza derivante dal verificarsi dell’evento negativo comporti perdite, le quali vanno a loro volta ad incidere significativamente sulle capacità reddituali del sistema impresa (nel futuro).

Si può quindi affermare che a parità di evento questo può intaccare o meno le probabilità di sopravvivenza del sistema impresa a seconda delle conseguenze una volta che si è verificato, conseguenze considerate non solo in termini attuali (secondo una dimensione strettamente economico-finanziaria), ma anche e soprattutto in termini potenziali, ossia riguardanti la perdita di capacità reddituale che subisce l’impresa (del resto sempre riconducibili ad una dimensione economico-finanziaria).38

Si osserva infine che non sempre il legame tra la causa (il verificarsi dell’evento) e l’effetto (il declino e la crisi) sia immediato: spesso il declino e la crisi sono dovuti ad errori ed imperfezioni la cui origine va ricercata a ritroso nel tempo. La crisi d’impresa si manifesta in seguito al verificarsi di un evento (“triggering event”)39, il quale fa emergere imperfezioni la

cui origine va ricercata nel passato.

Molteplici sono le cause che possono dar origine al declino e la crisi dell’impresa. Molto spesso la dottrina si è divisa in due filoni contrapposti: una parte, “soggettivo-comportamentista”, attribuisce la principale causa del declino e crisi d’impresa al fattore umano e quindi alla cattiva gestione, agli errori manageriali dovuti a inadeguatezza ed incompetenza direzionale; l’altra parte, “obiettivo”, riconosce l’esistenza di alcune condizioni di oggettività che rendono l’impresa vulnerabile e quindi predisposta alla crisi, specie per il verificarsi di fattori esterni. In virtù di quanto appena detto, non è possibile associare il fenomeno di declino

37 Barton L. Hardigree D. «Risk and crisis management in facilities: emerging paradigms in assessing critical

incidents», Facilities, vol. 13, n. 9/10, 1995, pp. 11-14

38 Ibidem, pp. 11-14

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e crisi d’impresa unicamente alla variabile imprenditoriale-manageriale, né tantomeno le variabili ambientali, da sole, possono dare ragione di una crisi.40

È opportuno chiarire che l’innesco di un processo di crisi aziendale è dovuto all’inadeguatezza delle capacità imprenditoriali e competenze manageriali rispetto alla complessità dei problemi da gestire o alle difficoltà della situazione in rapporto al livello qualitativo del management. La crisi, quindi, è la risultante di eventi sfavorevoli sia interni che esterni all’impresa.41

Siccome gli eventi che possono impattare negativamente sull’azienda e poi, in futuro, tramutarsi in crisi irreversibili, sarebbe riduttivo ed incompleto fare un unico elenco di tipologie di cause. È più opportuno, invece, classificare le cause della crisi in macro aree per meglio comprendere le dinamiche che determinati eventi possono generare per l’azienda. In particolare, è importante chiarire la distinzione tra le già citate cause esterne ed interne, nonché approfondire le cause strategiche e strutturali che, seppur meno divulgate, nondimeno hanno impatti profondamente negativi per le imprese.42

1.3.1 Le cause interne ed esterne

Per cercare di entrare in profondità per capire con estrema precisione quale è stata l’origine del decadimento di un’azienda, e da cosa effettivamente è derivata la crisi, dobbiamo partire dalla distinzione tra cause interne e cause esterne43 che hanno agito o stanno agendo

sull’impresa.

40 Pencarelli T., Le crisi d’impresa: Diagnosi, previsione e procedure di risanamento, Franco Angeli Editore,

Milano, 2013, pp. 27-28

41 “Di sovente la crisi interna ed esterna si sovrappongono, ma devono essere analizzate distintamente anche al

fine di individuare correttamente i possibili interventi correttivi. La crisi esterna è correlata al quadro

macroeconomico o settoriale. La crisi interna può dipendere da molteplici fattori. In primis la perdita di fatturato e competitività, come pure rigidità operativa e carenze organizzative.” Arlotta C., Carbone S., De Luca F.A., Tami A., Il controllo delle liquidità nelle strategie aziendali e nelle situazioni di crisi. Il contributo del business

plan, Commissione Finanza e Controllo di Gestione, nr. 59, 2015, p. 31

42 Tedeschi- Toschi A., Crisi d’impresa e dottrina manageriale, in Finanza, Marketing e Produzione, n.2, pp.

77-116, p.97

43 Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè Editore, 1986, op. cit. Gilardoni A., Danovi A.,

Cambiamento, ristrutturazione e sviluppo dell’impresa, Milano, Egea, 2000, op. cit. Danovi A., Quagli A., Crisi aziendali e processi di risanamento, Ipsoa, 2012, op. cit. Sirleo G., La crisi d’impresa e i piani di

ristrutturazione. Profili economico-aziendali, Aracne, Roma, 2009, op. cit. Confalonieri M., Le cause dei dissesti aziendali, in Finanza Marketing Produzione, 1, 1993. Al riguardo Canziani: “Un’attenta analisi delle

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Le prime riguardano errori o disfunzioni che si originano e si propagano dall’interno del sistema impresa. Dato l’impatto che ne deriva (ossia il declino ed eventualmente la crisi), prevalentemente attribuibili alle scelte di governo del soggetto economico.44

Le cause interne possono essere dovute non solo alle decisioni assunte ma anche alle caratteristiche proprie dell’impresa. In particolare, la scarsa longevità e la dimensione d’impresa possono essere fattori che portano o contribuiscono allo stato di crisi.

Le cause esterne fanno riferimento ai cambiamenti che avvengono nell’ambiente ed alla conseguente difficoltà da parte delle imprese ad adattarsi al nuovo contesto creatosi.45

Quest’aspetto gode di particolare importanza nella prassi governativa delle imprese dato che, si ricorda, come queste siano sistemi aperti, continuamente sollecitati e spinti a confrontarsi con l’ambiente, a cui devono essere in grado di adattarsi e, se possibile, essere in grado di prevedere e anticipare i cambiamenti.46

I cambiamenti possono riguardare sia il contesto specifico di riferimento dell’impresa (il riferimento è alle “crisi settoriali”), nonché l’ambiente più generale (dando vita alle cosiddette “crisi sistemiche”)47.

Secondo una ricerca svolta negli USA, citata da D.B. Bibeault48, il declino sarebbe imputabile in una media di quattro casi su cinque a cause di tipo interno e ad un caso su cinque a cause esterne. Si può quindi asserire che esiste una netta prevalenza delle cause interne nel provocare il declino delle imprese, anche se negli ultimi decenni a partire dagli anni ’80 i fenomeni esterni, nella forma di fenomeni macro-economici, politici e sociali, hanno accentuato il loro peso in tutto il mondo.

A valle di questa classificazione, alcune osservazioni possono essere svolte. La prima è relativa al fatto che le cause interne ed esterne sono altamente interrelate tra loro, dato che le une possono essere all’origine delle altre, le quali a loro volta generano il declino e la crisi

aziendale (manager, soci e dipendenti), oppure ad altri fattori interni o esterni.” Canziani A., Le strategie

d’impresa, Etas Libri, Milano, 1977, pp. 15-20

44 Costa G., Giubitta P., Organizzazione aziendale. Mercati, gerarchie e convenzioni, McGraw-Hill, Milano,

2004, pp. 146 e 173-174

45 Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè Editore, 1986, p.11

46 Canziani A., Le circostanze di crisi nelle recenti esperienze delle imprese industriali italiane, Giuffrè, Milano,

1985, pag. 22 e 55

47 Cenciarini R.A., Ristrutturazione e crescita. Le strategie adottate dalle imprese di successo, Giuffrè Editore,

Milano, 1998, p. 79

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dell’impresa49 (si veda ad esempio il caso in cui i manager d’impresa, non essendo in grado di

leggere e interpretare in modo corretto la dinamica evolutiva del contesto di riferimento, assumono decisioni strategiche che si rilevano successivamente sbagliate; viceversa, si pensi alla perdita di credibilità dell’impresa nei confronti del mercato finanziario, derivante questa ad esempio da ripetuti errori gestionali, e comportante quindi una drastica riduzione dei finanziamenti).

Attraverso un’elencazione si potrebbe fare una macro-distinzione per individuare le principali cause esterne:50

− Cambiamenti delle variabili economiche generali: Per cambiamento delle variabili economiche generali ci si riferisce a tutte quelle variabili relative alla situazione economica generale difficilmente controllabile dal soggetto economico, ad esempio il tasso di sviluppo economico, il saggio di disoccupazione, l’inflazione, carenza del sistema paese, inadeguatezza del sistema bancario, mutamenti sfavorevoli della legislazione, ecc. Queste oltre a determinare il contesto economico generale possono influenzare direttamente il settore modificando il suo equilibrio fino a giungere ad una crisi di settore.

− Eventi catastrofici: guerre, attacchi terroristici, disastri ecologici, calamità naturali, ecc, sono eventi quasi impossibili da prevedere da parte delle imprese, ciononostante essi sono dei fattori che sono costantemente presenti nel macroambiente di riferimento e che le aziende subiscono. L’eventuale verificarsi di uno degli eventi sopra elencati comporta squilibri anche al sistema economico generale; le aziende sono i soggetti su cui i danni si ripercuotono.

Dinamiche settoriali: per dinamiche settoriali si intendono tutti quegli eventi che fanno parte di un settore, e che influenzano direttamente le scelte e le decisioni di un’azienda. il cambiamento delle preferenze e dei comportamenti dei possibili

49 B.M.Staw, L.E. Sandelands, J.E. Dutton, Threat-RigidityEffects in Organizational Behaviour:a Multilevel Analysis, Administrative Science Quarterly, vol.26, n.4, pp.501- 524, p.501, al riguardo si veda anche Slatter S.,

Lovett D., Corporate Turnaround. Managing Companies in Distress, Penguin, London, 1999

50 Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè Editore, 1986, p.13. Secondo Slatter e Lovett, le cause

interne sono ricondotte a: a) management inadeguato; b) carente controllo della gestione finanziaria; c) incapacita` a gestire le risorse aziendali; d) costi di funzionamento troppo elevati; e) politiche commerciali insufficienti; f) eccessivi carichi di attivita`; g) commesse di grandi dimensioni inesitate; h) politiche di acquisizioni inadeguate; i) errata politica degli investimenti; l) inerzia e confusione organizzativa. Tra le cause esterne: a) modificazioni nella domanda; b) dinamiche concorrenziali; c) andamento sfavorevole dei prezzi di beni/servizi, si veda Slatter S., Lovett D., Corporate Turnaround. Managing Companies in Distress, Penguin, London, 1999

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consumatori; le scelte dei competitors e le strategie da loro adottate; le caratteristiche dei canali distributivi; l’introduzione di nuove tecnologie; aumento dell’intensità della concorrenza; calo della domanda; spostamento della competizione sul prezzo; affievolimento delle barriere all’entrata; concorrenza aggressiva o ingresso di nuovi competitors; fenomeni dovuti all’obsolescenza; ecc.

La seconda macro-tipologia relativa alle cause della crisi si riferisce ai possibili da fattori interni. Questa è riconducibile all’evoluzione: della struttura, risorse umane, cultura e dalla capacità di gestione del top-management. Anche in questo caso si possono macro-classificare le principali cause della crisi:51

Inefficienza: La crisi da inefficienza si verifica quando uno o più settori dell’attività aziendale, in particolare l’area operativa, hanno dei rendimenti che non sono in linea con quelli dei concorrenti. Il raffronto con le aziende concorrenti avviene non solo sui costi ma anche sul rendimento dei fattori produttivi, come per esempio l’energia consumata per ogni prodotto, l’entità degli scarti delle materie prime, ore di lavoro su ogni prodotto. Ci sono diversi modi per avere un livello dei costi maggiori rispetto a quello dei concorrenti per esempio: impianti obsoleti, personale non idoneo o inefficienze logistiche. La crisi di inefficienza non dipende solo dall’area produttiva, ma dipende anche da altre aree come quella commerciale, amministrativa, organizzativa e finanziaria. L’inefficienza commerciale si verifica quando la rete di vendita è inefficiente e i costi che genera sono maggiori dei risultati di vendita. Anche nell’area amministrativa si verificano situazioni di inefficienze, come per esempio eccessi burocratici che si traducono in un’eccessiva rigidità aziendale e dipendono da procedure amministrative troppo complesse. Nell’area organizzativa le inefficienze più diffuse riguardano l’assenza di un budget annuale, in queste condizioni non c’è la possibilità di pianificazione necessaria per predisporre le decisioni a medio e a lungo termine. Nell’ambito dell’attività finanziaria le inefficienze dipendono sostanzialmente dal più elevato costo delle risorse aziendali rispetto alla

51 […] Le cause vengono attribuite a fattori concreti e misurabili, pur essendo il risultato di azioni intraprese dai

soggetti interni all’impresa […].” Si veda Chiodelli R., Fumagalli M., Perazzo V., La gestione straordinaria

delle situazioni di crisi d’impresa, Egea, Milano, 2016, p. 11.

Secondo Guatri, i cinque tipi di crisi si presentano spesso in modo combinato, cioè con una pluralità di concause, influenzandosi a vicenda, in Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, op.cit. pag 14

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concorrenza. Le cause sono due: debolezza contrattuale e incapacità degli addetti alla funzione finanziaria.

Sovraccapacità/ rigidità: Le crisi da sovraccapacità/rigidità si originano da alcune situazioni come: continua riduzione della domanda; perdita di quote di mercato; ricavi inferiori alle attese. La continua riduzione della domanda può derivare da un eccesso di capacità produttiva rispetto alla possibilità di assorbimento del mercato. Le crisi da sovraccapacità trae spesso origine da un eccesso di capacità nell’ambito dello stesso settore. Quest’ultima può avere diverse spiegazioni come la ricerca di economie di scala, dalla caduta della domanda globale, che è in stretta relazione con i cambiamenti dei gusti dei consumatori, errori di previsione. In queste circostanze le imprese più piccole vedono ridursi la propria domanda e di conseguenza questa condizione porterà alla crisi. Un secondo tipo di crisi da rigidità dipende dalla perdita di quote di mercato. In questo caso la crisi dipende solo dall’azienda interessata e non l’intero settore. Queste sono connesse a carenze specifiche dell’azienda, l’unica possibilità per evitare la crisi è quello di adeguare i costi. Ma ridurre i costi risulta abbastanza difficile in un contesto dove è la singola impresa ad essere in crisi e non l’intero settore, il risultato molto spesso, dopo continue perdite, è il dissesto.52 Un altro tipo di crisi da rigidità dipende dall’ottenimento dei ricavi inferiori delle attese e le cause sono ricondotte a due casi: mancata o insufficiente aumento della quota di mercato rispetto alle attese oppure sbagliata previsione dello sviluppo della domanda globale. Dopo l’eccesso di capacità l’azienda o attende che il mercato riassorba l’offerta subendo nel frattempo le perdite o tenta politiche aziendali aggressive.53

Carenza di programmazione/ innovazione: Le crisi da carenze di programmazione/innovazione va intesa come incapacità di adattare l’assetto aziendale ai cambiamenti ambientali. In queste situazioni le imprese adottano un atteggiamento miope guardando solo nell’immediato, avendo come unico obiettivo il risultato a breve termine trascurando le decisioni per il futuro. Queste imprese non stabiliscono obiettivi e né verificano la compatibilità con le proprie risorse, operano al fine di raggiungere obiettivi impossibili o comunque fuori

52 Guatri L., Crisi e risanamento delle imprese, Giuffrè Editore, 1986, p.25 53 Ibidem, p.26

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portata rispetto alle risorse a disposizione. È un atteggiamento casuale che si tradurrà in un progressivo peggioramento economico del reddito.54 Inoltre l’incapacità di programmare genera problemi di coinvolgimento anche del personale che si sentirà disorientato e non motivato nel raggiungere un preciso e valido obiettivo. Infatti definire degli obiettivi contraddittori, incerti, non precisi genererà reazioni negative. Il personale non sarà interessato al progetto partecipando con uno scarso impegno. Altro fattore di crisi deriva dall’assenza di innovazione, l’azienda difficilmente potrà prosperare senza trovare nuove idee. Nelle aziende di piccole dimensioni l’innovazione è collegata maggiormente alle capacità dell’imprenditore, allo stesso modo l’insuccesso dipende dall’incapacità di generare nuove idee. In rari casi un’attitudine conservatrice consente la sopravvivenza. Nelle aziende di grandi dimensioni le nuove idee, economicamente produttive si generano molto spesso con la ricerca. Infatti una ricerca efficace è la base per l’innovazione. In un ambiente in rapido mutamento, la ricerca è una condizione per la sopravvivenza. Anche se la ricerca porta dei risultati negativi nel breve periodo, è indispensabile per il lungo periodo.55

Squilibrio finanziario: Gli squilibri finanziari portano a perdite economiche e quindi all’insolvenza. Le perdite economiche sono caratterizzate da elevati oneri finanziari provocati dal pesante indebitamento dell’azienda. Inoltre gli oneri sostenuti da un’azienda in crisi sono maggiori rispetto a quelli dei concorrenti, che in condizioni positive del mercato hanno risultati soddisfacenti, mentre l’impresa in crisi farà fatica a raggiungere il pareggio. Invece, in uno stato negativo del mercato, le aziende migliori vedono contrarsi i loro risultati, mentre l’azienda con squilibrio finanziario subisce fatalmente una serie di perdite che minano ulteriormente la sua condizione finanziaria. In queste condizioni, l’impresa non avrà la possibilità di ottenere dal mercato ulteriori risorse finanziarie, oltre al fatto che l’autofinanziamento il più delle volte è nullo. Se le perdite continuano allora l’azienda precipiterà in uno stato di insolvenza.56

54 Ibidem, p. 32 55 Ibidem, p.34

56 Al riguardo Prosperi: “Nelle aziende con squilibri di tipo finanziario in atto si possono riscontrare uno o più

dei seguenti sintomi: netta prevalenza di mezzi finanziari a titolo di debito, prevalenza di debiti a breve termine, mancanza di correlazione tra mezzi finanziari stabilmente disponibili e investimenti a lungo termine”. Si veda Prosperi S., L’insolvenza e la crisi aziendale: aspetti introduttivi, Giuffrè, Milano, 2006, p. 5. Inoltre Sciarelli

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Con le descrizioni soprastanti si è cercato di evidenziare le principali cause interne/esterne del declino e crisi d’impresa. C’è da sottolineare che le crisi, però, sono provocate il più delle volte dall’azione di più fattori. L’insieme di più determinanti possono impattare in maniera così rilevante tale da rendere impossibile la reversibilità del declino, a meno che il soggetto economico non preveda o, comunque, si renda consapevole della gravità in atto e operi nel fare tutto quello che è essenziale, per risollevare l’azienda dalla situazione di carenza ed insufficienza.57

1.3.2 Le cause strategiche e strutturali

Facendo riferimento alla prospettiva sistemica-vitale, le cause originanti uno stato di declino o di crisi possono essere distinte in cause strategiche e strutturali.58

Con le prime si fa riferimento alle difficoltà conseguenti ad impostazioni strategiche di fondo errate: come le crisi derivanti da una diversificazione non performante. Altro esempio è relativo alle crisi conseguenti alle decisioni assunte da parte dei componenti dell’organo di governo che vanno a favore dei componenti stessi ed a discapito dell’impresa stessa.59 L’esempio in merito è relativo alle crisi d’impresa generate da decisioni non lungimiranti, ossia da decisioni che si palesano redditizie e generatrici di valore nell’immediato, ma che nel medio-lungo termine comportano una distruzione di valore d’impresa, e quindi una riduzione delle capacità di sopravvivenza dell’impresa.60

precisa: “Si commette un errore grossolano nel parlare di crisi finanziaria, perché l’aspetto finanziario non è né può essere principale o addirittura autonomo rispetto a quello economico. Le crisi sono sempre dovute a squilibri tra costi e ricavi che, successivamente, si traducono in fatti finanziari”. Sciarelli S., Pianificazione e controllo, Cedam, Padova, p.11

57 “Ciascun fenomeno di crisi potrà pertanto qualificarsi e definirsi non in funzione di singole e specifiche cause

ma in relazione al maggiore o minore peso esercitato da ciascuna di esse e in funzione della loro manifestazione temporale. […] Pertanto, qualsiasi tentativo di classificazione delle possibili tipologie di crisi in funzione delle relative cause è dunque caratterizzato da una elevata relatività e può pertanto fungere solo da matrice di analisi dei complessi fenomeni di crisi aziendale.” Si veda Migliori S., Crisi d’impresa e corporate governance, Franco Angeli, Milano, 2013, p. 39

58 Pencarelli T., Le crisi d’impresa: Diagnosi, previsione e procedure di risanamento, Franco Angeli Editore,

Milano, 2013, p.35

59 “L’alternanza dei risultati patrimoniali ed economici […] può anche essere funzionale a progetti di

arricchimento rapido e indebito da parte del management beneficiario di stock options, a danno di tutti gli altri

stakeholders della società», Demattè C., Creare fiducia negli investitori responsabilizzando ilmanagement,

Economia & Management, 2002, n. 5, pp. 3-12

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Le seconde attengono invece alla composizione ed alle relazioni emergenti tra le componenti della struttura operativa del sistema impresa: un esempio può essere la numerosità eccessiva della componente umana, rispetto alle necessità aziendali; oppure, al contrario, la scarsa dotazione di componenti all’interno della struttura organizzativa. 61

Comprendere se la natura dell’underperformance della società sia da ritenersi contingente, ovvero legata a errori di impostazione strategica, oppure strutturale, risulta essenziale, in particolare per favorire la selezione delle strategie di intervento maggiormente efficaci.62

Le crisi strategiche, dette anche di leadership o direzionali, sono legate alla sopravvenuta inadeguatezza del soggetto strategico di porre in essere strategie e processi capaci di assicurare il proseguimento delle finalità aziendali, garantendo l’efficace e l’efficiente governo economico dell’impresa. L’inadeguatezza può collegarsi o ad aspetti motivazionali, per cui il management non è culturalmente orientato a condotte volte ad assicurare il vitalismo aziendale ed a considerare prioritario il benessere dell’impresa rispetto ad altri possibili interessi particolari, oppure ad aspetti professionali. In quest’ultimo caso, l’inadeguatezza si lega con la carenza di competenze ed alla mancanza di una serie di “qualità” manageriali che inducono la direzione, in determinati contesti, a compiere errori che possono allontanare l’impresa dai binari di una efficace gestione strategica, conducendola a situazioni di declino e crisi.

La crisi strategica può manifestarsi, inoltre, in tutte quelle circostanze in cui l’organo di governo incontra difficoltà di adeguare cultura, competenze e metodi manageriali alle sfide imposte dai cambiamenti dei fattori critici di successo e delle regole dei contesti ambientali di riferimento. La crisi dell’organo di governo è alla base di gran parte delle crisi derivanti da errori strategici, conseguenza proprio della incapacità del vertice aziendale di comprendere l’evoluzione dei contesti e di programmare opportuni e tempestivi adeguamenti strategici.63

Questo tipo di crisi indica che il soggetto di governo non è più in grado di individuare correttamente i sovra sistemi di riferimento, di comprenderne le attese e di assicurarne adeguata soddisfazione mediante progetti che tengano conto di soddisfacenti ritorni in termini di rischio-rendimento.64

61 Similmente Sciarelli classifica le crisi in derivanti da errori nella strategia o da errori nella determinazione

della struttura, Si veda Sciarelli S., La crisi d’impresa, Cedam, Padova, 1995, p. 23

62 Chiodelli R., Fumagalli M., Quarta M., AIFA, la gestione straordinaria delle situazioni di crisi d’impresa,

Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital, 2015, p. 11

63 Ibidem, p. 37

64 Piciocchi P., Crisi d’impresa e monitoraggio di vitalità. L’approccio sistemico vitale per l’analisi dei processi di crisi, Giappichelli, Torino, 2003, p. 142

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