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3. LE PMI E L’INSERIMENTO NEL CONTESTO ECONOMICO ATTUALE

3.2 L’evoluzione delle pm

La nascita di una nuova impresa dà il via ad un processo che, comunque si voglia connotare, si traduce in una qualche forma di crescita. Gli studi che hanno cercato di interpretare la dinamica della crescita d’impresa costituiscono un ormai ben identificato filone d’indagine, particolarmente ricco di contributi e di modelli evolutivi, che si sono sviluppati a partire dagli anni ’60.

Già prima richiamati, due sono gli approcci che si son venuti delineandosi:264 il primo di matrice statunitense, che concepisce la piccola impresa come una configurazione organizzativa

262 Bonti M., Una, nessuna e centomila, Franco Angeli, 2012, Milano, pp. 42-43 263 Cfr. Art. 1 L.F.

instabile e precaria, in un momento transitorio, che evolve verso dimensioni maggiori oppure destinata a scomparire. La crescita diviene, pertanto, un percorso inevitabile. Crescita che è legata strettamente all’aumento dimensionale, a cui corrisponde, conseguentemente, uno stato “migliore e superiore” di organizzazione, rappresentata dalla grande impresa, connotata da una struttura professionale-manageriale adeguatamente complessa e sofisticata.

Il secondo approccio, di matrice europea, rifiutano l’idea di un imperativo della crescita e concepiscono la piccola e media impresa come una forma stabile di organizzazione, che scaturisce una combinazione “unica”, un’immedesimazione tra impresa e imprenditore. L’idea di fondo è che condizioni di equilibrio economico a valere nel tempo possano essere conseguite con qualsiasi dimensione, a fronte di un processo di sviluppo qualitativo.

Ritornando all’approccio di matrice statunitense, si può dire che, i modelli che seguono questo approccio, descrivono la crescita come un fenomeno dimensionale e individuano una sequenza ben determinata di stadi, differenziando i percorsi della crescita e dell’evoluzione. In particolare si fa riferimento:265 ai modelli di Steinmetz (1969), Greiner (1972), Kroeger (1974),

Churchill e Lewis (1983), Scott e Bruce (1988). A parte l’ultimo modello citato, che è suscettibile di applicazione ad imprese di qualsiasi dimensione, tutti gli altri risultano più specifici, focalizzandosi maggiormente sulla dinamica delle piccole e medie imprese, nell’intento di meglio coglierne le peculiarità.

La costruzione di questi modelli evolutivi parte dal presupposto che col trascorrere del tempo le imprese seguono percorsi di sviluppo “tipici”, le cui tappe sono segnate da modifiche significative riguardanti alcune variabili fondamentali di tipo istituzionale, organizzativo, strategico e manageriale. Il processo evolutivo si delinea, in questo senso, come un processo di cambiamento (inteso come modificazione e trasformazione), che necessita di essere accompagnato e sostenuto da interventi di riprogettazione organizzativa e strategica, al fine di riuscire nell’obiettivo di superare con successo le diverse fasi. 266

I modelli sopracitati, però, sono impregnati da una logica riduzionistica che non riguarda solo la natura deterministica del processo di crescita. Il fenomeno della crescita, infatti, risulta altresì ingabbiato prevalentemente all’interno di una sola dimensione di analisi, così annullando le varietà dei possibili percorsi di crescita. Il numero di variabili individuate come capaci di influenzare il processo di crescita ed evoluzione risulta, quindi, circoscritto, essendo

265 Ibidem, p. 80

266 Di Diego S., Micozzi F., Le reti d’impresa, Maggioli, 2013, p. 50; si veda anche Bonti M., Una, nessuna e centomila, Franco Angeli, 2012, Milano, p. 79

l’attenzione focalizzata su singoli fattori della crescita. E’ stato sottolineato, però, come quello delle piccole e medie imprese sia un fenomeno eterogeneo e multidimensionale e che implica percorsi di crescita differenti, con differenti determinanti ed effetti ad essi connessi.267

La questione è evidentemente più complessa: bisogna individuare un più ampio set di fattori capaci di influenzare la crescita; ciò comporta una riflessione più attenta sul come (come differenti fattori influenzano la crescita) e sul perché (per quali ragioni i suddetti fattori influenzano la crescita).268

A questo punto, l’approccio di matrice europeo propone di ampliare il numero delle determinanti della crescita, che vengono classificate in tre ambiti: variabili individuali, organizzative ed ambientali.269

Le variabili individuali emergono dal concepire la crescita come frutto delle decisioni dell’imprenditore, decisioni che sono tutt’altro che indifferenti rispetto ai tratti personali, alle motivazioni di crescita, alle competenze personali, al background personale. Pur risultando nell’insieme delle variabili chiave per spiegare la crescita, i primi due elementi sopraelencati si configurano come indispensabile premessa per dare il via al percorso evolutivo.

Le variabili organizzative si riferiscono alla capacità dell’impresa di acquisire, organizzare e trasformare le proprie risorse in prodotti e servizi mediante la predisposizione di adeguate routine, pratiche e strutture. Rientrano tra queste: il profilo dell’impresa in termini di età e dimensione, le strategie aziendali di crescita, le risorse in suo possesso (umane e finanziarie), la struttura organizzativa. Queste variabili mostrano di avere un impatto più diretto rispetto a quelle individuali.

Le variabili ambientali, infine, mettono a fuoco l’insieme delle forze esterne che possono incidere, favorendo ma molto più spesso ostacolando, il percorso di crescita delle piccole imprese. Il dinamismo ambientale, l’intensità competitiva, l’eterogeneità, l’ostilità. A queste poi si aggiungono le barriere di crescita di tipo istituzionale e finanziario. Si tratta di fattori che sono legate alle caratteristiche del settore in cui opera l’azienda, risultando in questo senso contrapposte a quelle firm-specific.

Questa posizione teorica, oggi largamente condivisa, viene ad attribuire alla minore dimensione (quindi anche alla decisione di non crescita) piena dignità, negandone il carattere di provvisorietà e precarietà: la piccola impresa “non è necessariamente grande in embrione”,

267 Bonti M., Una, nessuna e centomila, Franco Angeli, 2012, Milano, p. 93 268 Ibidem, p. 94

ma risulta capace di sviluppare una solida posizione competitiva grazie allo sviluppo di specifici vantaggi concorrenziali rispetto alla grande dimensione.270

Si distinguono, al riguardo, differenti percorsi di crescita sulla base di due indicatori: parametri della crescita (quantitativi e qualitativi), il focus della crescita (interno ed esterno). La dimensione quantitativa della crescita è quella tradizionale, misurata attraverso altrettanto tradizionali parametri (fatturato, nr. Dipendenti, volume produzione, ecc). La dimensione qualitativa richiama, invece, il set di competenze che la piccola impresa è riuscita a formare nel tempo. La crescita, dall’altro lato, avviene per vie interne o esterne. Nel primo caso si verifica uno sviluppo di nuove attività che fanno leva sulle risorse già in possesso dell’impresa, in termini di capitale umano, risorse tecnologiche e finanziarie. Nel secondo caso, invece, l’impresa si concentra sulle proprie competenze distintive e acquisendo dall’esterno le altre competenze di cui necessita. Le modalità della crescita esterna risultano, in questo senso, molto più varie: joint-venture, consorzi, accordi, fusioni ed acquisizioni. In tutti questi casi, si assiste ad una integrazione tra realtà aziendali diverse.271

Quando si parla di focus della crescita, in particolare di crescita esterna, si richiama un fenomeno che ha iniziato a diffondersi negli anni ’90 e che ha raccolto, nei decenni successivi, crescente attenzione, interesse e, soprattutto, diffusione. Si fa riferimento al fenomeno di reti (network) d’imprese.272

Dagli anni ’90 ad oggi ci sono stati profondi mutamenti che hanno proiettato la società contemporanea in una dimensione di cambiamento continuo, determinata da scelte politiche, sociali, economiche ma, soprattutto, da una profonda accelerazione dello sviluppo tecnologico e scientifico. Si è configurato, quindi, uno scenario in cui tutto è mobile e dove il cambiamento è la ragion d’essere del sistema economico e, in particolare, la tecnologia diventa il principale fattore strategico e vitale di cui si nutre la società ed il sistema economico per il suo funzionamento.273

270 Padroni G., Lo sviluppo della piccola e media impresa, Franco Angeli, Milano, 1993 271 Bonti M., Una, nessuna e centomila, Franco Angeli, 2012, Milano, pp. 98-99

272 Di Diego S., Micozzi F., Le reti d’impresa, Maggioli, 2013, p. 50; Al riguardo Cerato: “Le reti d’impresa

rappresentano, sotto il profilo economico-aziendale, una mera aggregazione a forma libera, fondata su relazioni di medio-lungo periodo, e finalizzata al conseguimento di obiettivi di varia natura (strategici, industriali, finanziari, ecc.). L’organizzazione del network può assumere diverse configurazioni, condizionate da una molteplicità di variabili, quali, ad esempio, le caratteristiche dei partecipanti, le finalità perseguite, l’oggetto della collaborazione ed il sistema di governance.” Cerato S., Cignoli U., Bana M., Reti d’impresa, Iposa, Milano, 2011

273 Diamantini D., Martinotti G., Pozzali A., E-learning e società della conoscenza. Territorio, tecnologie e informazione, Guerini & Associati, Milano, 2008

Questo scenario è caratterizzato da complessità e interdipendenze crescenti, dove le opportunità si possono creare quasi esclusivamente modellandole attorno a vulnerabilità e a rischi condivisi. E’ la complessità che crea le condizioni per uno sviluppo necessariamente evolutivo, simile alle “strutture dissipative” di cui parla Ilya Prigogine: ovvero tutte le creature viventi, e molte non viventi, mantengono la propria struttura mediante un continuo flusso di energia attraverso il proprio sistema.274

In un sistema in cui si abbreviano i cicli di vita dei prodotti/servizi e aumentano i costi per la ricerca e lo sviluppo, diventa determinante il concetto di aggregazione, utile a condividere informazioni strategiche, utilizzare risorse comuni, distribuire costi, condividere eventuali perdite che possono consentire di “ripartire” senza grandi svantaggi derivanti dall’eccessivo aggravio esercitato dal singolo soggetto. Si assiste, dunque, al passaggio da un tipo di “economia radicata” ad una “economia reticolare”.275

Le trasformazioni sociali ed economiche impongono, quindi, una riorganizzazione dell’assetto delle imprese che, per competere nei mercati globali e negli scenari determinati da indeterminatezza ed imprevedibilità, hanno attivato processi di ridefinizione dei propri assetti organizzativi e strategici. Nascono quindi le reti d’imprese: realtà non sempre omogenee, ma caratterizzate da rapporti ricorrenti e non occasionali, tra unità, da meccanismi di governo fondamentalmente di tipo non equity (non prevedono incroci proprietari) e oscillanti lungo un continuum tra un estremo, costituito da rapporti contrattuali/formali; e un altro definito da rapporti di natura sociale, interpersonale, informale, basati su meccanismi di clan e sulla fiducia reciproca.276

Una rete d’imprese, dunque, è un’aggregazione di aziende in grado di creare strutture e processi finalizzati all’assunzione congiunta di decisioni e all’integrazione dei propri sforzi, nell’intento comune di realizzare e produrre beni o servizi, sviluppare nuovi processi e prodotti,

274 Prigogine I., Kondepudi D., Termodinamica. Dai motori termici alle strutture dissipative, Bollate

Boringhieri, Torino, 2002

275 Barricelli D., Competitività e innovazione nei sistemi territoriali di pmi, Giuffrè Editore, Milano, 2013, p. 29 276 Bonti M., Una, nessuna e centomila, Franco Angeli, 2012, Milano, p. 101; Gentili afferma: “Le economie di

rete segnano un momento di rottura rispetto al passato. Le reti rappresentano il tratto distintivo del globalismo, ovvero del sistema economico che fa dell’interattività il proprio asse portante. Si tratta di reti organizzative diffuse, dove non esiste un unico centro di controllo. Il potere si situa fra i nodi di una rete. […] Di qui il passaggio dal government alla governance. I sistemi di pianificazione hanno bisogno di promuovere le

aggregazioni multiple, i partenariati diffusi e i sodalizi collaborativi.” Gentili L., Ripartire dalla crescita, le reti

accorciare i tempi di innovazione o di ingresso nei mercati, scambiare informazione e altre risorse per adattarsi alle contingenze ambientali.277

Il network tra imprese risulta uno strumento appropriato per gestire all’interno di un’economia reticolare la governance dei sistemi territoriali caratterizzati da un’elevata presenza di micro e piccole realtà organizzative. In questo senso la rete è importante in quanto strutturata per: 278

− Gestire la cooperazione tra imprese dotate di diverse capabilities, ed eterogeneità delle risorse (interconnessione);

− Bilanciare la prevedibilità tipica della gerarchia, con la flessibilità tipica del mercato (flessibilità organizzativa);

− Attivare processi di learning by interacting, finalizzati all’aumento dell’intensità innovativa;

− Attivare “processi di fiducia”, essenziali per ottenere buone performance e ridurre il grado di incertezza associato a transazioni economiche e al costo legato alla “non conoscenza”, attivando generatori di informazioni.

Le relazioni di fiducia nel network rappresentano un forte dispositivo di controllo organizzativo. La peculiarità della rete è da rinvenirsi, quindi, nella forte collaborazione che si realizza fra imprese distinte, che insieme cercano di raggiungere risultati altrimenti inaccessibili ad ognuna singolarmente considerata.

Esistono numerosi contributi che hanno spinto a riflettere sulle nuove forme organizzative reticolari, arricchendo le teorie delle reti e l’analisi dei business network. Tra tutte, la più utile, valida e, soprattutto, adatta classificazione, per meglio descrivere il fenomeno di reti d’impresa nel contesto italiano, porta ad individuare tre diverse categorie: le reti sociali, le reti burocratiche e le reti proprietarie.279

Le reti sociali rappresentano la modalità più semplice di collegamento fra attori in quanto esprimono relazioni informali dirette fra le imprese che, ricorrendo a meccanismi di mutuo aggiustamento e a comunicazioni informali, possono valutare il rispettivo grado di affidabilità e i comportamenti abituali. Queste relazioni, inizialmente informali e dirette, possono evolvere verso forme di influenza stabile tra imprese: si creano così condizioni favorevoli allo sviluppo di una fiducia reciproca tra gli attori, con conseguente riduzione del potenziale rischio di

277 Ibidem, p. 101

278 Barricelli D., Competitività e innovazione nei sistemi territoriali di pmi, Giuffrè Editore, Milano, 2013, p. 35 279 Bonti M., Una, nessuna e centomila, Franco Angeli, 2012, Milano, p. 104

comportamenti opportunistici. Sotto questo profilo, le reti sociali richiamano il modello del gruppo o clan. Questa tipologia di rete è fondamentale per interpretare molte forme di cooperazione inter-organizzativa tra le imprese minori. Inoltre, se è vero che le reti sociali consentono relazioni sia di tipo verticale che orizzontale, sono proprio queste ultime a vedere coinvolte le piccole e medie imprese. Con specifico riferimento alle imprese minori, i distretti possono essere considerati l’esempio storico più evidente e di maggiore successo di reti sociali, soprattutto per quello che concerne il contesto italiano. I distretti hanno ovviato, in particolare, alle problematiche e ai rischi connessi ai fenomeni di globalizzazione ed internazionalizzazione, diventati una strada da percorrere necessariamente, anche dalle piccole e medie imprese, per mantenere la competitività in un contesto globale. I meccanismi di coordinamento di queste reti risultano prevalentemente connessi a relazioni di tipo informale: accordi verbali, norme sociali comuni.280

Le reti burocratiche si caratterizza per l’utilizzo di meccanismi di coordinamento propri della gerarchia, quali l’autorità e regolazione basata su norme. Queste reti sono molto eterogenee e possono presentare dimensioni anche molto variabili. Principali esempi di reti burocratiche sono i consorzi, il franchising, associazioni temporanee di imprese, il licensing. Tra questi, lo strumento prevalentemente utilizzato dalle piccole e medie imprese è il consorzio. I consorzi sono forme di cooperazione inter-organizzativa finalizzate a mettere in comune tra gli attori e gestire informazioni, conoscenze e azioni volte a realizzare attività di commercializzazione, di ricerca e progettazione, di produzione. A seconda della finalità del consorzio e del tipo di attività, i meccanismi di coordinamento utilizzati e la complessità della gestione aumentano.281

Le reti proprietarie sono relazioni in cui le imprese partecipanti condividono diritti di proprietà e/o partecipazione ai risultati dell’attività svolta, senza tuttavia che da ciò derivi uno scambio di partecipazioni di controllo o di maggioranza tra due o più realtà, pervenendo talvolta anche alla creazione di un’”impresa congiunta”. Principali esempi di queste reti sono le joint venture e il capital venture. La joint venture è un contratto di società attraverso il quale due o più imprese conferiscono capitali e risorse, materiali e immateriali, necessari per la nascita di una nuova impresa separata dai partner, generalmente dotata di una propria organizzazione. Il

280 Ibidem, p. 105; si veda anche Bosco G. D., Calabrese M., Le reti d’imprese: nuovo approccio manageriale per la gestione della complessità sistemica, Giappichelli, Torino, 2015; Barricelli D., Competitività e

innovazione nei sistemi territoriali di pmi, Giuffrè Editore, Milano, 2013 281Bonti M., Una, nessuna e centomila, Franco Angeli, 2012, Milano, p. 107

capital venture è un meccanismo di coordinamento utilizzato per consentire ad un’impresa,

spesso specializzata, di impegnare capitali di rischio in attività o progetti estremamente innovativi condotti da imprese esistenti.282

In un clima di elevata competitività, di cambiamento continuo, che mette a dura prova i tessuti produttivi composti prevalentemente da fragili strutture organizzative, quali sono le micro, piccole e medie imprese, le organizzazioni reticolari e lo sviluppo aggregativo sembrano essere uno strumento necessario per accedere a informazioni e competenze non reperibili o sviluppabili economicamente all’interno. In realtà, alcune esperienze aziendali dimostrano come la forma a rete possa essere utilizzata dalle imprese minori per perseguire traguardi di assoluta eccellenza, oltre che per realizzare strategie di crescita compatibili con il mantenimento di punti di forza organizzativi tipici della piccola dimensione. E’ il caso della flessibilità, che rischierebbe di essere compromessa nei suoi aspetti strutturali e operativi seguendo unicamente una crescita dimensionale della stessa unità, che, al contrario, può essere arricchita di un significato strategico proprio grazie ad una crescita per vie esterne o, comunque, bilanciata (interna-esterna).283