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Tesi di diritto previdenziale " I benefici previdenziali per gli esposti all'amianto".

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INDICE

PREMESSA

1. IL QUADRO NORMATIVO IN TEMA DI BENEFICI

PREVIDENZIALI PER I LAVORATORI ESPOSTI

ALL'AMIANTO

1.1 Brevi cenni sull'emersione delle conoscenze scientifiche sulla pericolosità dell'amianto

1.2 La normativa sull'amianto in Italia 1.3 Le direttive europee in tema di amianto

1.4 La dismissione dell'amianto in Italia: le Leggi n.257del 1992 e n.271 del 1993

1.5 I Decreti ministeriali del 2000 1.6 La normativa del 2003

1.7 La legge di attuazione del Protocollo sul welfare del 23 Luglio 2007 1.8 La legge 190/2014

1.9 La pensione di invalidità per gli esposti all'amianto

2. L'ESPOSIZIONE ALL'AMIANTO

2.1 L'intervento giurisprudenziale nella creazione del concetto di 2.2 valore-soglia di esposizione

2.3Il problema della determinazione della dose soglia

2.4 La codificazione del concetto di esposizione qualificata ad opera della legge del 2003

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3. I SOGGETI DESTINATARI DEI BENEFICI

PREVIDENZIALI PER L'ESPOSIZIONE AD AMIANTO

3.1 I lavoratori già pensionati alla data dell'entrata in vigore della legge 257/92

3.2 I lavoratori assicurati presso enti previdenziali diversi dall' Inail

3.3 I lavoratori dipendenti delle ferrovie dello stato 3.4 i lavoratori militari

3.5 D.l 30 Settembre 2003 n 269 art 47 e lavoratori non assicurati I.N.AI.L

3.7 I lavoratori autonomi

4. PRESCRIZIONE E DECADENZA

4.1L'evoluzione giurisprudenziale sulla decadenza nella materia amianto 4.2Prestazione autonoma o necessaria?

4.3Prestazioni riconosciute solo n parte 4.4La domanda amministrativa necessaria

4.5La decadenza semestrale introdotta dall'art 47 4.6Un'inedita versione della decadenza

4.7Principi costituzionali e perdita definitiva del diritto 4.8 La prescrizione

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PREMESSA

L'amianto1, detto anche asbesto è un minerale naturale a struttura fibrosa appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli, le cui particolari proprietà risultano conosciute ed apprezzate sin dai tempi più antichi.

Romani e Persiani lo utilizzavano infatti per finalità magiche e rituali, come ad esempio la creazione di tuniche funebri, impiegate nella cremazione dei defunti, con lo scopo di far ottenere alle ceneri un aspetto più puro e chiaro, ovvero utilizzato come isolante acustico, veniva infatti avvolto attorno ad arbusti da abbattere per attutire il rumore nella caduta2.

Tra le svariate doti di questo materiale, spicca una grandissima resistenza alle alte temperature ed agli agenti chimici-biologici che lo rendono

particolarmente resistente all'usura3, proprietà fonoassorbenti e un'ottima capacità di legarsi con altri materiali, caratteristiche che, unite ad un elevata facilità nella reperibilità, ed un basso costo di lavorazione, finirono per far ottenere all'amianto la fama di “ miglior termodispersore al mondo ”.

Grazie a tali indubbie qualità, l'asbesto, a partire dalla rivoluzione

industriale, fu oggetto di impiego massiccio e sproporzionato, venne infatti usato nella creazione di svariati prodotti4, nessun settore escluso,

dall'industria, ove venne utilizzato per la produzione di innumerevoli manufatti, all'edilizia, per la realizzazione di tetti, lastre, cementi,

rivestimenti e canne fumarie, al settore trasporti per la costruzione di freni, frizioni, vernici e guarnizioni.

1 Dal greco amiantos “ incorruttibile”

2 Tali impieghi sono descritti da Plino il Vecchio( 23-79 d.C) nella sua Naturalis Historia , dove lo definisce “sostanza rara e preziosa”

3 Asbesto dal greco inestinguibile.

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Una rapida diffusione mondiale di proporzioni ciclopiche5, un utilizzo smodato che colpì anche lo Stato italiano6, uno dei maggior produttori al mondo di amianto, grazie al all'elevato numero di giacimenti amiantiferi presenti sul territorio nazionale .

Milioni di lavoratori7 furono impegnati nella lavorazione e utilizzo di quello che per molti anni è stato considerato un materiale ideale, incredibilmente duttile e versatile, di facile fruizione e soprattutto economico, ma che si è invece rivelato essere tossico e mortale.

Sofferenza, morte e gravi patologie respiratorie si sono rivelate essere l'altra faccia della medaglia di quello che per anni ed anni venne considerato un materiale industrialmente perfetto.

L'amianto uccide8, questo è quello che la scienza medica ha accertato con un significativo grado di probabilità.

Ad oggi infatti risulta pacificamente accertata la correlazione tra esposizione a fibre di amianto ed emersione di gravissime patologie

respiratorie e cardiache, tra le quali l'asbestosi, il mesotelioma pleurico, le placche pleuriche e tumori del polmone.

La pericolosità dell'amianto deriva dalla particolare composizione

morfologica, dal fatto che una volta soggetto a disgregazione è in grado di rilasciare fibre aereodisperse nell'ambiente circostante, facilmente inalabili e ingeribili, talmente minuscole9 da riuscire a penetrare negli alveoli

polmonari e responsabili dell'insorgenza di gravissimi e irreversibili danni a carico dell'apparato respiratorio.

5 “tra il 1880 al 1930 , la produzione mondiale cumulativa è stata stimata di 5.000.000 tonnellate e solo nell'anno 1976 ne sono state prodotte 5.178.000” Amianto : aspetti medici con storia degli impieghi industriali ed evoluzione dei livelli espositivi e degli aspetti normativi di Vito Foa e Claudio Colosio

6 “Dal secondo dopoguerra fino a quando ne è stato bandito definitivamente l’uso, sono state prodotte quasi 4 milioni di tonnellate di amianto grezzo.” da Il Responsabile Amianto, metodi di valutazione e e gestione del rischio amianto di Cavariani Fulvio

7 Ezio Bonnani stima che il 40% di tutti i lavoratori fu esposto all'asbesto in www.eziobonanni.jimido.com

8 L'ILO , l'Agenzia del lavoro dell' ONU stima 120 mila decessi l'anno nel mondo. 9 Una fibra di amianto è 1.300 volte più sottile di un capello umano

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La tossicità dipende quindi dalla possibilità che l'amianto venga frantumato, ergo risultano decisamente piu pericolosi i tipi di amianto friabile che, data la particolare composizione, può essere facilmente ridotto in polvere con la semplice pressione manuale, mentre con riferimento all'amianto compatto, ove le fibre si trovano legate in una matrice stabile, il rischio morbigeno è connesso al grado di conservazione e manutenzione dei materiali

Risulta così chiaro come i soggetti maggiormente esposti al rischio di contrarre le c.d. malattie asbesto-correlate siano i lavoratori che per anni sono stati adibiti alla lavorazione e manipolazione di amianto e dei prodotti composti da esso.

Per lungo tempo milioni di lavoratori hanno maneggiato quello che è stato definito sostanza killer, il più delle volte senza alcun minima protezione sanitaria che li tutelasse anche solo parzialmente dal rischio di inalare fibre tossiche.

E questo, per quanto riguarda l'Italia10 fino al 1992, quando finalmente, con la legge 27 Marzo 1992 n. 257 è stata bandita “ l'importazione,

l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto”11.

Una normativa vergognosamente tardiva, visto che le certezze scientifiche sulla

correlazione tra esposizione alle fibre di amianto e rischio morbigeno, risalirebbero ad oltre un secolo fa, un lasso di tempo infinito, in cui, come spesso accade, purtroppo, la salute dei lavoratori è stata sacrificata in favore dei forti interessi economici delle società operanti nel mercato dell'amianto. La messa al bando non ha tuttavia lasciato il terreno saturo da

problematiche, da una parte si pone infatti il problema della salvaguardia della salute di quei lavoratori adibiti alle operazioni di bonifica e rimozione, che risultano tuttora correntemente esposti, dall'altra si pone il problema di

10 L'amianto è ancora utilizzato nei Paesi in via di sviluppo e perfino in alcuni Paesi dell’Unione europea, nonostante che la direttiva 2003/18/CE d abbia previsto l’obbligo di cessarne totalmente l’utilizzo entro il 15 aprile 2006.

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assicurare un'adeguata tutela per gli ex esposti, tanto i soggetti malati, tanto i c.d.“esposti sani”12 visto che le patologie sopracitate hanno un elevato grado di latenza13, cosi che anche se l' amianto non è più usato continua

incessantemente a mietere vittime14 anche a distanza di anni dalla sua dismissione.

La legge 257/92 oltre a vietarne l'utilizzo, ha previsto a favore dei soggetti dipendenti delle imprese lavoranti l'amianto un triplice ordine di benefici previdenziali, consistenti in una maggiorazione contributiva per gli anni dell'esposizione, un trattamento di integrazione salariale e la possibilità di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.

La norma, che nel prevedere i suddetti benefici non si fa apprezzare per una particolare minuzia nella predisposizione dei criteri necessari per ottenere il trattamento, ha posto non pochi problemi interpretativi, tanto in ordine ai requisiti utili alla maturazione di tali provvidenze, quanto all'individuazione dei soggetti destinatari della normativa stessa e dunque rea di essere

caratterizzata da un esagerata vaghezza prescrittiva, fu alla base di un vivace dibattito interpretativo già dai primi anni dopo la sua entrata in vigore. Nel tentativo di risolvere il contenzioso dilagante in materia di benefici previdenziali, negli anni si è assistito ad un susseguirsi di leggi, decreti legge e provvedimenti amministrativi, che più che porre linee guida per l'accesso alle provvidenze disciplinate dall'art 13 legge 257, hanno complicato la materia, creando un clima d'incertezze e contraddizioni.

Non solo interventi legislativi, ma anche un'opera creativo-restrittiva della giurisprudenza, il cui intento comune, altro non fu che quello di ridurre in maniera drastica la platea dei soggetti legittimati a richiedere tali situazioni di favore, in vista di un unica finalità, quella di salvaguardare la spesa

12 Cosi Michele Miscione identifica i lavoratori esposti all'amianto non affetti da patologie asbesto correlate in “Gli esposti sani all'amianto ed i benefici previdenziali”

13 Da 10 a 15 anni per l’asbestosi ed anche 20 - 40 anni per il carcinoma polmonare ed il mesotelioma.

14 Il picco si prevede, per via della lunga latenza di queste malattie (per il mesotelioma si parla di 25-50 anni), attorno al 2015-2020 secondo l’Ispesl

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pubblica, riducendo i costi sociali.

Fu così che in materia amianto, cominciarono ad essere creati limiti di varia natura, come ad esempio l'introduzione, prima solo giurisprudenziale e poi legislativa, di una soglia di esposizione, sotto la quale “l'amianto è

respirabile15”, ovvero la condizione dei soggetti già pensionati all'entrata in vigore della legge del 92, per i quali “ l'amianto non è dannoso”16.

La tesi si propone quindi di analizzare i punti critici principali di una

normativa fumosa, contraddittoria e imprecisa, che ha dato vita ad una serie di diseguaglianze inspiegabili.

Un quadro normativo che ha dato vita ad un contenzioso senza fine, non ancora giunto al termine, che ha posto i lavoratori esposti all'amianto nella condizione di dover affrontare, per vedersi riconosciuto quanto a loro spettante a norma di legge, anni e anni di battaglie legali.

Una situazione inconcepibile dove enti previdenziali, giurisprudenza e lo stesso legislatore sembrano essersi prodigati per creare nuovi sbarramenti all'accesso alle maggiorazioni contributive previste per gli esposti

all'amianto, colpevoli di aver preferito, alla corretta applicazione della legge, l 'interesse economico al minor esborso a carico dello stato, negando ai lavoratori del settore amiantifero qualsivoglia tutela previdenziale a vedersi riconosciuto un conforto quantomeno economico per i danni che l'esposizione professionale ha prodotto o che presumibilmente produrrà in futuro.

15 Cass . sez.lav. n. 21684 del 2004

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CAPITOLO I:

IL QUADRO NORMATIVO IN TEMA DI BENEFICI

PREVIDENZIALI PER I LAVORATORI ESPOSTI

ALL'AMIANTO

1.1 Brevi cenni sull'emersione delle conoscenze scientifiche sulla

pericolosità dell' amianto.

Tutt'altro che recente risulta la scoperta dell'esistenza del nesso causale intercorrente tra esposizione alle polveri di asbesto e insorgenza di patologie ai danni del sistema respiratorio.

Già in tempi antichissimi parrebbe fosse conosciuta la correlazione tra amianto e danni alla salute, tant'è che già Plino il Vecchio avrebbe sconsigliato l'acquisto di schiavi in precedenza adibiti all'estrazione dell'amianto, perchè affetti da problemi respiratori 17.

Senza dover retrocedere così lontano nel tempo, possiamo ben affermare che già alla fine del XIX18 secolo l'incidenza negativa dell'amianto sullo stato di salute dei lavoratori adibiti alla sua lavorazione fosse già un dato

quantomeno noto, e si può constatare come già nel 1898, Lucy Deane,

ispettrice del lavoro inglese, rilevò per la prima volta in una sua relazione “i disastrosi effetti della polvere di asbesto”19.

17 Diverse fonti indicano come nella sua Naturalis Historis Plino il Vecchio avesse sottolineato come gli schiavi lavoranti presso cave d'amianto presentassero uno stato di salute peggiore rispetto ad altri schiavi, anche se a ben vedere, come evidenziato in “Amianto e

Responsabilità civile e penale” da Marco Bona, non v'è alcun riscontro materiale di quanto sopra affermato.

18 Ad esempio si ricorda che nel 1889 in Inghilterra il Capo Ispettore delle fabbriche, annotava la pericolosità delle fibre di amianto descrivendo come la compsizione in piccole fibre aghiformi risultasse pericolosa per la salute lavoratori. in”Annual Report of the Chief inspector of factories and workshop” , citato da “Amianto e Responsabilità civile e penale e risarcimento danni”, 2012

19 Lucy Deane 1898 in “ Report on the health of workers in abestos and other dustytrades” citato da M.mengozzo “La consulenza medico legale, le principali malattie asbesto correlate e la verifica nel nesso causale, 2015 p 5

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L'anno seguente, tal Dott. Hubert Murray, nel corso di un autopsia sul corpo di un lavoratore esposto all'asbesto, sottolineò il legame esistente tra

alterazioni polmonari e lavorazioni delle polveri di amianto20.

La collocazione temporale dell'emersione delle conoscenze scientifiche circa la pericolosità dell'amianto risulta di fondamentale importanza

nell'individuazione del dies a quo21 per attribuire una probabile responsabilità penale o civile.

Ed è cosi che ancora oggi, per escludere una propria responsabilità in materia, le società amiantifere cercano di fare leva su una mancata

tempestiva conoscenza degli effetti cancerogeni22, sebbene non possano dirsi recenti i primi interventi medici volti a sottolineare la tossicità del materiale. Molti gli sforzi profusi, tanto da enti privati quanto da enti pubblici, di

occultare le scoperte scientifiche sull'amianto, minimizzando i rischi connessi alla sua lavorazione, impedendo l'emersione di quanto, a livello medico, fosse già noto da anni, con il mero intento di salvaguardare il redditizio mercato dell'asbesto.

Molti i casi in cui le lobby intervenirono fino a negare la possibile correlazione tra esposizione e insorgenza di patologie correlate.

Un esempio è dato dal caso che vide coinvolti nel 1906 la British Asbestos Company, una delle più grandi società impiegate nella lavorazione

dell'amianto, e i redattori del settimanale “Il Progresso del Canavese e delle Valli di Stura”.

La società citò in giudizio il direttore, l'avvocato Carlo Pich e il gerente Arturo Mariani, colpevoli secondo l'impresa, di aver diffuso notizie diffamanti e errate sugli effetti del materiale, scrivendo come l'industria

20 Testimonianza riportata in Minutes of Evidence, London 1907

21 Dibattito non ancora giunto al termine che vede orientamenti giurisprudenziali contrapposti.

22 Ad esempio confindustria nell'audizione conferita alla camera del lavoro al senato l'11 febbraio 2010, sottolinea la mancata conoscenza della tossicità dell'amianto prima degli anni ottanta.

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dell'amianto fosse una tra le attività più nocive al mondo, capace di mietere annualmente un numero considerevole di vittime.

Ebbene la giurisprudenza, prima il tribunale23 di Torino e poi la Corte d' Appello diede un importante contributo in materia di conoscibilità degli effetti tossici, in quanto rigettò il ricorso della società sottolineando come fosse “cognizione pratica comune, e cognizione facilmente apprezzabile da ogni persona dotata di elementare cultura, che l'aspirazione del pulviscolo di materie minerali silicee come quelle dell'amianto puo essere

maggiormente nociva ...e produrre delle lesioni ed alterazioni dell'apparato respiratorio”24

Risultava quindi chiaro come già nel 1906, la giurisprudenza avesse gia una qualche idea degli effetti lesivi dell'avvenuta esposizione all'amianto.

In Italia si ricorda poi, come già nel 1908, durante il XVIII Congresso della Società italiana di medicina a Roma, il Dottor Scarpa rilevò come nei soggetti affetti da asbestosi, che avessero lavorato in presenza delle polveri di amianto, la patologia si presentasse in una forma particolarmente rapida e aggressiva.

Nel 1918 Frederik Hofmann, vice presidente della Prudential Life Insurance Company, pubblicò una relazione nella quale descriveva come ritenesse ormai pacifica la relazione tra determinate patologie polmonari e l'esposizione all'asbesto, evidenziando come fosse uso comune delle compagnie assicurative negare qualsivoglia copertura per i lavoratori impiegati in aziende del settore in questione25.

Nel 1927 W.E Cooke coniò il termine asbestosi per descrivere quella fibrosi polmonare che affliggeva i lavoratori del settore amianto, rilevata in seguito all'autopsia eseguita su una donna deceduta dopo aver prestato servizio in un azienda tessile di asbesto26.

23 Tribunale di Torino sentenza 31 Ottobe 1906 n. 1197 24 App. torino sez. civile 4 Giugno 1907 n 578

25 In The Health Effects of Asbestos, Dorsett D. Smith 26 Cooke W.E pulmonary asbestosis 1927

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Ulteriore contributo in materia è da ascriversi a Merewether, che nel 1930, ribadì il nesso tra esposizione ed effetti patogeni, sottolineando come non fosse possibile una soglia di esposizione di sicurezza, tale da garantire la salvaguardia totale del lavoratore, convincendo così il legislatore inglese ad adottare una normativa di tutela e prevenzione per gli operai adibiti alla lavorazione27 del materiale.

Oltre agli sforzi profusi dalle società che utilizzavano e commercializzavano amianto nell'elaborazione di tesi negazioniste28 circa la tossicità e gli effetti cancerogeni dell'esposizione alle polveri, risulta decisiva e colpevole anche l'inerzia del legislatore italiano, che ben avrebbe dovuto e potuto intervenire tempestivamente sulla scorta di quanto precedentemente già appurato da scienza medica e giurisprudenza.

Il ruolo causale dell'asbesto nella contrazione di malattie a carico del sistema respiratorio è stato infatti osservato a livello scientifico dai primi anni 3029, ed appurato con sufficiente certezza negli anni 60, attraverso l'affermazione di diverse testimonianze scientifiche univoche e

inconfutabili30 .

Risulta allora ancor piu grave che il bando dei prodotti contenenti amianto dal mercato italiano, sia intervenuto ad almeno 30 anni di distanza dal consolidarsi delle dottrine scientifiche che ne affermarono la tossicità, un ritardo vergognoso ed epocale, i cui responsabili possono senz'altro ritenersi tanto i potenti industriali del settore, che con le loro tesi negazioniste

cercarono di occultare i risultati medici, tanto il legislatore, pienamente

27 In Merewether e Price “Report on effects of asbstos dust on the lung and Dust Supression in the Asbestos Industry”, London H.M stationery office 1930

28 Un altro esempio fra i tanti delle strategie ostruzionistiche è dato dalla azienda Jhonson e Malville , che propose ai lavoratori malati accordi trasattivi e fece riscrivere una relazione sull'amianto con lo scopo di minimizzare gli effetti lesivi dell'asbesto.

29 Si portano ad esempio la pubblicazione dell'articolo di Gloyne in “Rassegna di medicina applicata al lavoro industriale” febbraio 1938 , 286 secondo il quale “l'asbetosi aumenta notevolmente la pericolosità e tossicità dei tumori”, ovvero l'importante contributo dato da G. Mottura in “ Anatomia patologica e patogenesi dell'asbesto polmonare”, in rassegna medica industriale , 1940.

30 Soprattutto nel 1965, anno in cui furono pubblicati in Italia i dati emersi durante la New York Academy of science, sul legame tra patologie cancerogene ed esposizone ad asbesto.

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colpevole di non aver codificato prima quanto emerso a livello scientifico già da svariati anni.

1.2 La normativa sull'amianto in Italia

Il primissimo intervento legislativo italiano in materia amianto è da

ascriversi al R.d n 442/1909, contenente il “regolamento per l'applicazione del testo unico sulla tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli”, che annoverava nell'elenco dei lavori insalubri e pericolosi, ai quali minori e donne non potevano essere adibiti se non con l'adozione di specifiche cautele, la filatura e la tessitura delle fibre di amianto.

Successivamente il R.d n 530 del 14/ 4/1927, rubricato “regolamento generale per l'igiene del lavoro” nel prevedere regole per la protezione e la prevenzione della salute dei lavoratori, all'art 17 dispose che il datore di lavoro dovesse adottare i necessari provvedimenti per impedire, per quanto possibile, l'aspirazione dei gas, vapori, odori o fumi dispersi nell'ambiente lavorativo.

Inoltre, anche se già con i R.d. 928/1929, veniva ad essere istituita l'assicurazione obbligatoria a carico dei datori di lavoro del settore

industriale, le patologie da asbesto-silicosi vi verranno incluse solo con la legge 455/1943, significativamente intitolata “estensione dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali alla silicosi ed all’asbestosi”. Si ricorda infine come il D.p.r. 1124/1965 abbia disposto l'obbligo del pagamento del premio supplementare I.N.A.I.L per l'asbestosi e silicosi a carico dei datori di lavoro per le prestazioni elencate nella tabella 8, qualora risulti in concreto una dispersione di amianto negli ambienti lavorativi, tale da determinare un rischio effettivo di contrarre tali patologie.31

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Emergeva chiaramente una decisa consapevolezza degli effetti cancerogeni dell'asbesto ,vista l'intenzione del legislatore di risarcire, seppur

minimamente, i lavoratori affetti da una patologia causata dall'esposizione professionale e, sebbene tali disposizioni rappresentassero una qualche presa di coscienza in ordine alle conseguenze nocive dell'utilizzo del materiale, non risultavano tuttavia sufficienti per porre in essere un'adeguata e completa tutela idonea a salvaguardare il lavoratore dal rischio di contrarre malattie dovute al prolungato contatto con le fibre di amianto.

Una consapevolezza che rimase celata dietro una normativa decisamente incompleta, dovuta ad un legislatore “sordo” che per anni mancherà di disporre previsioni indonee e necessarie alla tutela dei lavoratori, nemmeno dopo il 1948, anno in cui il diritto alla salute assunse valore di diritto

fondamentale costituzionalmente garantito.

1.3 Le direttive europee in tema di amianto

Anche la legislazione comunitaria si è fatta notare per una forte tardività nella presa di coscienza della pericolosità dell'amianto e nella susseguente predisposizione di norme che tutelassero i lavoratori impiegati nella sua lavorazione .

Il primo intervento risale agli anni 80, anno in cui le conoscenze scientifiche sulla tossicità dell'asbesto risultavo ormai consolidate,con confutabile certezza, da almeno 30 anni.

Con l'emanazione della direttiva 477/83/CEE rubricata “sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro”, l'Unione Europea ha predisposto una serie di disposizioni volte a ridurre il rischio proveniente dall'esposizione dei lavoratori alle polveri di

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asbesto, prevedendo una tutela di tipo preventivo, con la consguenza che qualsiasi attività in cui vi fosse esposizione avrebbe dovuto essere

necessariamente e preventivamente analizzata, valutatata e controllata, limitando al quantitativo minimo il numero dei lavoratori adibiti alla lavorazione dell'amianto, arrivando a vietarne alcuni specifici usi32.

La Direttiva, all'art. 18, prevedeva inoltre l'obbligo per gli stati membri di recepimento entro l'1 Gennaio 1987.

Come accaduto anche in altre occasioni, l'Italia mancò di un tempestivo adempimento della direttiva, e in conseguenza di ciò venne condannata33 dalla Corte di Giustizia Europea per non aver predisposto, nei termini previsti, i provvedimenti necessari all'attuazione di quanto a livello comunitario disposto, risultando insufficienti gli strumenti di tutela già previsti dal legislatore interno34 e posti a sostegno della difesa dello Stato italiano.

Finalmente, l'Italia con decreto legislativo 15 Agosto 1991 n. 277 ha dato attuazione alle disposizione comunitarie in tema di esposizione professionale all'amianto, prevedendo misure volte a salvaguardare la salute e la

sicurezza dei lavoratori esposti.

Per la prima volta vengono previste all'interno dell'ordinamento italiano disposizioni volte a tutelare il lavoratore contro i rischi specifici del contatto con le polveri o i materiali contenenti asbesto.

In particolar modo viene previsto a carico del datore di lavoro l'obbligo di effettuare accertamenti sui livelli di dispersione di amianto negli ambienti lavorativi, al fine di poter disporre misure preventive igenico-sanitarie con cui garantire ai soggetti esposti livelli minimi di sicurezza , disponendo

32 Art 2 direttiva CEE 477/83 “Sono vietati l’uso dell’amianto in applicazione a spruzzo”. 33 Corte di Giustizia n. 240 del 1990

34 La Reppubblica italiana, seppur ammettendo la mancata adozione dei provveddimenti necessari all'attuazione della direttiva, sottolineò come fossero già presenti varie dispposizioni volte a tutelare la salute dei lavoratori come ad es legge 455 /1943 o il generale obbligo di tutela previsto dall'art 2087 c.c.

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l'introduzione di un valore-soglia di dispersione, oltre il quale il datore avrebbe dovuto rispettare un ulteriore complesso di doveri e cautele. Una riproduzione pedissequa che si limitava a ricalcare, senza perlatro seguire compiutamente35 quanto già previsto a livello comunitario, sebbene la direttiva prevedesse espressamente la possibilità di predisporre condizioni migliorative di maggior tutela per i lavoratori36.

La successiva direttiva europea, la 383/91/CEE, riprendendo quanto già disposto dalla prima, ribadendo la nocività dell'asbesto, ne dispose la sua sostituzione con altri materiali, arrivando a vietarne l'utilizzo di 5 tipi. Rimaneva la possibilità di utilizzare un solo tipo d' amianto, il crisotilo, materiale il cui uso verrà bandito dalla Comunità Europea con direttiva 77/99/CEE, con obbligo di adempimento entro il 1° Gennaio 200537.

1.4 La dismissione dell'amianto in Italia: le Leggi 257del 1992 e

271 del 1993

Il 12 Marzo 1992 venne finalmente emanata la norma che ben può essere considerata la legge quadro di tutto l'impianto normativo relativo all'asbesto. La legge 257/1992 , rubricata “norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto” vieta38 “ l'estrazione l'importazione, l'esportazione, la

commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto, o di prodotti contenenti amianto”39.

La norma oltre a prevedere disposizioni propriamente procedimentali, volte a disciplinare le operazioni di bonifica e dismissione, ha previsto al titolo IV,

35 Manca infatti ancora un registro nazionale dei casi accertati di asbestosi e mesotelioma cosi come previsto dall'art 17 della direttiva comunitaria.

36 Art. 1 c 3 Direttiva 477/83/CEE

37 Fortunatamente la messa al bando del crisolito venne anticipata da molti paesi membri Ue, tra cui l'Italia.

38 Tranne che per le specifiche deroghe previste dalla stessa norma ai sensi c 2 art 1. 39 Art 2 legge 257 del 92

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denominato appunto “misure di sostegno dei lavoratori”, un triplice ordine di benefici previdenziali40 a favore dei dipendenti delle imprese utilizzatrici di asbesto, che in virtù del bando del materiale, fossero impegnate in processi di ristrutturazione e conversione produttiva41, al fine di neutralizzare o

comunque ridurre le conseguenze negative che la dismissione dell'amianto avrebbe comportato sul livello occupazionale42, soprattutto per

l'incollocabilità di quei lavoratori che dopo anni e anni di lavoro, avessero ormai raggiunto un certo grado di conoscenze professionali ormai non più riconvertibili o ricollocabili sul mercato del lavoro.

Nell'intenzione del legislatore del 92, la necessità di disporre una serie di strumenti volti ad incentivare l'esodo dei lavoratori dipendenti di quelle aziende, che, visto il divieto di utilizzo dell'asbesto, si trovassero in corso di cessazione attività o riconversione, con la predisposizione di particolari misure agevolative di natura previdenziale, quali: un trattamento

straordinario di integrazione salariale43, la possibilità di un pensionamento anticipato per i soggetti aventi almeno 30 anni di contribuzione44 e una rivalutazione contributiva aggiuntiva, consistente nella moltiplicazione del periodo contributivo soggetto all'esposizione per un coefficiente di 1,5%. Il coefficiente di 1,5, previsto dalla disposizione, risulta valido sia con riferimento alla determinazione del quantum del trattamento pensionistico sia ai fini della della maturazione del diritto al pensionamento.

La norma prevede tre categorie di lavoratori legittimati a richiedere la rivalutazione del periodo contributivo45, nel comma 6 tale beneficio viene anzitutto riconosciuto ai dipendenti di cave e miniere di amianto, mentre il

40 Art 13 legge 257 del 92 41 Testo originario

42 Tale finalità è evidenziata da M.Serrazza in “Benefici previdenziali per i lavoratori esposti ad amianto , profili d diritto sostanziale e processuale”. Trento , 2008.

43 Art 13 c 1 : per quanto riguarda il prepensionamento , la contribuzione complessiva è data dagli anni di contribuzione versata più l accredito dei contributi figurativi, calcolato tramite l'applicazione del coefficiente di 1,5% moltiplicato per gli anni di esposizione all'amianto 44 Art 13c2 legge 26571992

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comma 7 concede il godimento della provvidenza in questione a quei soggetti che, avendo espletato la propria prestazione professionale in presenza delle polveri di asbesto, avessero contratto una patologia correlata.

Tali disposizioni non hanno posto in passato particolari dubbi interpretativi nella loro applicazione, visto che in tali casi l' unico presupposto per la concessione della provvidenza si configura nella documentazione relativa allo svolgimento di un'attività lavorativa in cave o miniere d'amianto ovvero nella certificazione I.N.A.I.L che attesti la contrazione di una patologia professionale asbesto correlata, senza che sia necessario provare l'esistenza di ulteriori requisiti relativi alla durata o al grado di esposizione .

Cosi non è stato invece per quanto previsto dal comma 8 art 13 della legge, che prevedendo la possibilità di richiedere la supervalutazione anche per i c.d. esposti sani, qualora questi avessero“svolto periodi di lavoro soggetti ad assicurazione obbligatoria contro malattie professionali derivanti da esposizione da amianto per un periodo superiore ai 10 anni”, sollevò non pochi dubbi ermeneutici che spesso finirono per impedire un'applicazione della norma conforme al dettato legislativo.

Le incertezze maggiori sono state causate dall'esagerata vaghezza e

genericità della disposizione, tanto con riferimento al periodo lavorativo che concretamente dovesse essere preso in considerazione per il conteggio della rivalutazione, tanto per l'individuazione dei requisiti necessari per il godimento dei benefici contributivi previsti.

Per ciò che attiene il periodo oggetto di rivalutazione, si ricorda come, in un primo momento la giurisprudenza ,optando per la tesi restrittiva, ricollegò l'accesso ai benefici alla teoria di graduazione del rischio, per la quale il periodo da utilizzare in concreto per il calcolo della rivalutazione

contributiva, fosse solamente il periodo coperto da assicurazione obbligatoria che avesse ecceduto i 10 anni.

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Così il Consiglio di Stato46 si espresse, fondando la decisione sull'assunto che una diversità di trattamento posta in essere nei commi 6,7 e 8 potesse ben essere giustificata da una diversa graduazione del rischio di contrarre

patologia morbigena, che nello specifico si rilevava essere maggiore nel caso dei lavoratori addetti alle miniere e cave, dato lo strettissimo contatto con il materiale tossico ovvero l'avvenuta contrazione di una patologia asbesto correlata, nel caso di lavoratori esposti malati.

La diversità di trattamento poteva dunque essere ritenuta legittima in vista del maggior/minor grado di rischio effettivo, rischio che nelle altre tipologie di lavoratori previste dal c 8, poteva sussistere solo nel periodo considerato per presunzione legale rischioso, e quindi, il solo periodo eccedente i 10 anni di esposizione.

La tesi rispondeva inoltre ad esigenze di carattere prettamente economico avendo come scopo quello di limitare la spesa pubblica, riducendo

significativamente il numero di anni da assoggettare a contribuzione aggiuntiva.

La mancata risoluzione dei dubbi interpretativi, portò all'emanazione di una serie di decreti legge e circolari interpretative con cui tanto governo quanto gli enti previdenziali si proponevano di fare chiarezza.

Il governo emanò il decreto legge 5 Aprile 1993 n 95, che finalmente pose fine alla questione, prevedendo che il periodo da tenere in considerazione per il computo della rivalutazione fosse “l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti da esposizione

all'amianto”47.

Il decreto non convertito, venne reiterato attraverso il decreto 5 Giugno 1993 n 196, con un ulteriore modifica, volta ad operare una forte limitazione che riducesse drasticamente il novero di soggetti ammessi a godere del beneficio

46 Consiglio di stato 24/02/93 in Consiglio di stato 1994, I; 507 47 Art1 c. 1 d.l 5 aprile 1993 n 95

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previdenziale in questione, prevedendo che tale provvidenza potesse essere concesso solo “ ai lavoratori dipendenti da imprese che utilizzano o estraggono l'amianto come materia prima”.

La novellazione relativa ai legittimati, che si poneva come scopo quello di ridurre gli oneri a carico dello Stato, ponendosi tra l'altro in linea con le originarie finalità della norma, non venne riprese in sede di conversione del disegno legge.

La legge di conversione 4 Agosto 1993 n 271 estese infatti i benefici in questione a “tutti i lavoratori che nel corso dell'attività lavorativa fossero stati esposti all'amianto”.

Il risultato di tale modifica, fu come è ovvio un ampliamento esponenziale dei possibili beneficiari, e una conseguente impossibilità economica degli enti previdenziali di far fronte a tutte le domande inoltrate48.

La soppressione del riferimento ai “dipendenti d' imprese anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite” fu quindi tutt'altro che solamente letterale, e comportò anzi il totale stravolgimento della funzione di una legge che, pensata e prodotta per sostenere le imprese interessate da uno stato di difficoltà conseguente al divieto di lavorazione dell'amianto, diventa uno strumento volto a disporre una serie di

“risarcimenti previdenziali”, volti a ristorare il lavoratore delle conseguenze pregiudizievoli anche solo eventuali, prodotte dall'esposizione al materiale tossico49.

Una scelta consapevole e necessaria, perchè anche se non vi è malattia (o non vi è ancora) il lavoratore vivrà sempre nella paura di ritrovarsi ammalato ed è quindi giusto che ottenga tali benefici aventi natura

compensativa, non solo nel caso di effettivo danno alla salute, ma anche nel

48 Al tempo dell'entrata in vigore della legge del 92 si erano stimati circa 2500 dipendenti a cui potesse applicarsi mentre si arrivati nel 2010 a 150.000 proposte approvate.

49 Così in “Il rischio amianto: ruolo della giurisprudenza ed ultime novità in, R.Riverso in il Lavoro nella giurisprudenza, 2009,121 e cosi anche da quanto emerge dai lavori

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caso di una possibile peggioramento della qualità della vita, dovuto alla costante preoccupazione costante di una probabile e futura insorgenza patologica asbesto correlata.

Ed è così che la legge, pensata quale ammortizzatore sociale, finisce per acquisire natura compensativa50 del danno alla salute o comunque del rischio patito in conseguenza del prolungato contatto con un materiale altamente cancerogeno.

La modifica apportata dalla norma ebbe in un primo momento, come risultato, un'interpretazione estensiva che allargò a dismisura la platea dei destinatari fino a ricomprendere tutti i lavoratori, senza nessun riferimento al settore di appartenenza, richiedendo quale unico requisito per il possibile conseguimento della contribuzione aggiuntiva, la prova di un'avvenuta esposizione decennale all'amianto.

L'impossibilità di un'adeguata copertura finanziaria a fronte dell'incremento smodato delle domande, fece si che gli anni successivi al 1993 furono

caratterizzati dalla presenza di svariati interventi legislativi e circolari amministrative, volti a limitare la concessione del beneficio.

Fu così che la norma, che molto chiaramente prevedeva la sola esposizione decennale all'asbesto, quale unico requisito per la concessione del beneficio, venne gravata da ulteriori oneri di carattere tecnico-procedurale.

L'I.N.P.S, con una circolare emanata nel 1993 pose a carico dei soggetti richiedenti le prestazioni previdenziali previste dall'art 13 c. 8 legge 257/1992, l'onere di una duplice allegazione, la domanda d'ammissione doveva infatti essere accompagnata da una dichiarazione del datore che attestasse l'avvenuta esposizione e da una dichiarazione I.N.A.I.L che

provasse lo svolgimento di una prestazione lavorativa soggetta allo specifico

50 Così varie sentenze tra cui Cort.Cost. 5/2000 in cui “ lo scopo è rinvenuto nella finalità di offrire ai lavoratori esposti all'amianto per apprezzabili periodi di tempo un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che presentino potenzialità morbigeno” e cosi, tra le altre anche Cass. sez. lav. 4913 /2001 e Cort.Cost 127 /2002

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obbligo assicurativo connesso all'esposizione all'amianto, ancorando quindi il godimento della provvidenza ad un doppio requisito: l'esposizione

decennale alla polvere d'asbesto e l'avvenuto pagamento del premio supplementare contro l asbestosi.

A dimostrazione del clima di dubbi e incertezze che si era venuto a creare, l'anno dopo una circolare I.N.P.S, la numero 129 del 1994, pose

un'interpretazione della norma diametralmente opposta, prevedendo che l'accesso ai benefici fosse aperto anche a quei lavoratori che, seppur non impiegati in prestazioni per le quali sussistesse l'obbligo di pagamento del premio supplementare contro l'asbestosi, lavoravano in un ambiente in cui la polvere d'amianto presente, pur potendo essere nociva e causa di diverse malattie respiratorie, non fosse presente in concentrazione tale da

giustificarne l'obbligo al pagamento.

La circolare estendendo il beneficio a tutti i lavoratori esposti,

indipendentemente dal pagamento del premio supplementare per l'asbestosi, diede un'interpretazione corretta suffragata per altro dalla giurisprudenza51. Appare chiaro infatti che i soggetti per i quali, in base all'art 153 dpr n 1124/1965, sia dovuto il pagamento di tale onere, non siano necessariamente tutti i lavoratori comunque esposti alle fibre d'asbesto, ma soltanto quei lavoratori appartenenti alla classe operaia; invece il comma 8 dell'art 13, nella sua stesura finale, sembra piuttosto riferirsi a tutti i lavoratori, qualunque categoria essi appartengano, che siano stati comunque esposti all'amianto.

51 Cosi anche Cass.Civ. Sez. lav. 11 Luglio 2002 n 10114 inail c. Rosin in Giust. Civ. Mass. 2002, 1201 che sottolinea come “il generico richiamo invece alla assicurazione per le malattie professionali derivanti dall'amianto, e quindi anche a quelle non tabellate, sta ad indicare che il legislatore ha inteso riferirsi alla assicurazione generale malattie professionali. I benefici in questione pertanto competono a tutti i lavoratori iscritti alla assicurazione malattie gestita dall'Inail, che siano esposti all'amianto per un periodo ultradecennale”.

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E in particolar modo, in relazione al fatto che, come opportunamente sottolineato dalla giurisprudenza52, il premio aggiuntivo in questione sia dovuto solo e soltanto qualora risulti accertata in concreto, nell'ambiente professionale ove si svolga una delle lavorazioni tabellate dalla suddetta norma, una dispersione di fibre di amianto, tale da determinare un rischio effettivo di contrarre silicosi e asbestosi.

Risulta cosi alla luce di quanto giurisprudenzialmente affermato, che il termine “esposizione all'amianto” utilizzato dalla norma del 92 dovrebbe essere letto nel senso di ricomprendere al suo interno qualsiasi lavoratore che svolga la sua attività in ambienti ove vi sia una diffusione dell'amianto, indipendentemente dallo svolgimento di specifiche prestazioni a stretto contatto con il materiale che ne giustifichino il pagamento dell'onere supplementare.

Sulla scorta di quanto affermato dalla circolare, l'anno seguente l'I.N.P.S.53 diramò un messaggio con l'intento di disporre criteri applicativi per la concessione dei benefici previdenziali in questione, vista la difficoltà sorta nel reperire riscontri oggettivi relativi all'avvenuta esposizione, conferendo all'I.N.A.I.L. il compito di procedere all'accertamento del rischio e dell' esistenza dei presupposti utili per la fruizione dei benefici, prevedendo due diverse procedure54 a seconda che fosse stato o meno pagato il premio supplementare.

52 Cass ss.uu 1 Giugno2006 n. 13025, Cass. 23 Ottobre 2003 n. 15865; Cass sez.lav n.6602 29 Marzo 2005

53 Circolare I.N.P.S n. 309 del 1995

54 Per i lavorati soggetti al pagamento del premio supplementare la domanda all'I.N.A.I.L doveva essere corredata dalla dichiarazione della specifica azienda del pagamento del premio supplementare con riferimento a quel determinato dipendente, mentre nel caso di lavoratori non soggetti al pagamento supplementare la procedura è più complessa mancando ogni riferimento oggettivo di esposizione all'amianto,il lavoratore pertanto doveva presentare un curriculum contenente gli ambienti professionali frequentati, tale dichiarazione è valutata dalla CONTARP che formula un parere sulla presenza del rischio all'intero degli ambienti lavorativi indicati.

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La circolare conferma dunque, inequivocabilmente, l'applicabilità della disposizione anche ai soggetti per i quali55 non sussista un obbligo

legalmente previsto di versare il premio, ma comunque un rischio effettivo di contrarre diversa patologia56 asbesto correlata per la quale non sia stato disposto l'obbligo al versamento del premio supplementare ma che risultino comunque coperte dall'ordinario premio assicurativo.

1.5 I Decreti ministeriali anni 1999 e 2000

Da quanto sopra esposto, risulta chiaro come la mancanza di specifiche disposizioni normative, che disciplinassero i criteri utili all'acquisizione di riscontri oggettivi circa l'avvenuta esposizione decennale, avesse creato un clima di costante incertezza nell'applicazione di quanto disposto dall'art 13 c. 8 legge 257/92.

Un aumento spropositato dei costi, non preventivato dagli stanziamenti pubblici, dovuto ad un ampliamento dei possibili beneficiari, frutto di una quadro normativo fumoso, contraddittorio e poco chiaro, nel quale si

innestava un intervento particolarmente oppugnabile della giurisprudenza, fu il quadro venutosi a delineare negli anni successivi all'entrata in vigore della norma.

Per dirimere il contenzioso che si era venuto a creare e per risolvere gli svariati problemi tecnico-applicativi che si interponevano all'applicazione dell'art 13 c 8 , nell'attesa di un intervento del legislatore, a partire dagli

55 Il beneficio di cui art 18 c 8 compete a tutti lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo pluridcennale e INDIPENDETEMENTE DAL PAGAMENTO dell inail da parte del datore di lavoro del premio assicurativo per l asbestosi pret.milano 6/7/1999 in D&L 1999,946

56 Secondo Gariboldi .s in Rischio amianto, nel caso di mancato pagamento del premio “ il rischio nel caso di mancato pagamento del premio dovrebbe essere interpretata non come un'azione non dovuta “ e titolari del beneficio sarebbero perciò i lavoratori per i quali si sarebbe dovuto pagare il premio supplementare perl' asbestosi.”

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anni 2000 il Governo cominciò ad emanare una serie di atti d'indirizzo contenenti specifiche linee guida impartite all'I.N.A.I.L sulla base delle quali l'ente potesse rilasciare le dichiarazioni di esposizione professionale alla polvere d'asbesto.

Tali provvedimenti avevano quale contenuto l'indicazione in base ai settori produttivi, delle aziende e delle mansioni che potevano essere considerati “ esposti all'amianto” con diritto ai benefici ex L. 257/1992.

L'emissione dei decreti ministeriali, ebbe tuttavia risultato inverso rispetto a quello prefissatosi dal governo, crebbe infatti il numero delle controversi in materia di benefici previdenziali, in quanto molte delle aziende interessate dagli atti cominciarono ad impugnare tanto i decreti ministeriali tanto le certificazioni INAIL rilasciate sulla base degli stessi, contestandone la legittimità.

Per arginare il contenzioso che si era venuto a creare venne inserita, in un provvedimento legislativo, una disposizione di sanatoria contenuta nell’art. 18, comma 8, della legge n. 179/2002.

La disposizione prevede infatti che “Le certificazioni rilasciate o che saranno rilasciate dall’INAIL sulla base degli atti d’indirizzo emanati sulla materia dal ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge sono valide ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall’articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n.257, e successive modificazioni”.

In base al disposto legislativo, qualora vi sia dichiarazione I.N.A.I.L.

conforme a quanto previsto dall'atto indirizzo, i benefici non potranno essere negati, costituendo dunque, tali provvedimenti, presunzione legale57

dell'avvenuta esposizione all'amianto.

Il lavoratore sarà quindi esonerato dall'arduo onere di dimostrare, a distanza di molti anni, di aver espletato la propria prestazione professionale in

57 Cass. Civ. Sez. lav. 22 Dicembre 2006, n.27451 INPS c. Collardo e altro in Giust. Civ. Mass. 2006 ,12

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ambienti ove fosse presente una dispersione di polveri d'asbesto, essendo comunque ammissibile, da parte dell'interessato, la prova contraria atta a contrastare il contenuto della dichiarazione I.NAIL58.

1.6

La questione di costituzionalità sulla legge 257 del 1992

La legge 257 /92, come modificata dalla legge 1993 è stata oggetto di questione di legittimità, sollevata dal Tribunale di Ravenna e il Pretore di Vicenza.

Il Tribunale di Ravenna59, muovendo dall'assunto secondo il quale l'unica interpretazione plausibile potesse essere quella che attribuisce il beneficio a tutti i lavoratori dei quali fosse stata provata una qualunque esposizione decennale all'amianto, ritenne la concessione del trattamento “svincolata nei sui presupposti applicativi da qualunque parametro”.

La mancanza di qualsivoglia criterio di riferimento per l'attribuzione dei trattamenti previdenziali previsti dalla disposizione in esame, avrebbe avuto come conseguenza, sul piano pratico, l'impossibilità di determinare con precisione i beneficiari della norma, con il risultato, che la sua applicazione in sede giudiziaria avrebbe ben potuto essere frutto di valutazioni del tutto libere e discrezionali, tali da consentirne un' interpretazione non oggettiva ed imparziale, in violazione del principio di uguaglianza previsto dall'art. 3 della Costituzione, in quanto comportante l'equiparazione nella concessione dei benefici previdenziali, di situazioni oggettivamente diverse quali quelle di un rischio possibile ed effettivo e quelle in cui il rischio fosse meramente probabile.

58 Cass. Civ. Sez. lav., 27 Aprile 2007, n .10037, Conti c. inps in Giust. Civ. Mass. 2007,4 ;Cass. Civ. Sez. Mass., 1 Agosto 2005, n.16119,INPS c. Abbattista e altro in Giust. Civ. Mass. 2005,6.

(26)

Oltre a tale vizio, sollevato altresì dal Pretore di Vicenza 60, il tribunale sottolineò come, l'indeterminatezza della norma e l'assenza di ulteriori limiti nella concessione delle provvidenze in questione, oltre l'esposizione

decennale, ben potesse comportare un'applicazione smodata della norma, con un decisivo ampliamento dei soggetti a cui essa potesse rivolgersi. Dall'applicazione generalizzata della norma discenderebbe dunque uno smisurato ampliamento del novero dei beneficiari con la conseguente impossibilità "di determinare la provvista dei mezzi finanziari per far fronte agli enormemente rilevanti oneri a carico dello Stato" in palese violazione dell'articolo 81 c. 4 della costituzione.

Tra i vizi lamentati dunque, da una parte la supposta violazione del principio di uguaglianza, discendente dal fatto di aver previsto requisiti troppo

generici, e dall'altra l'impossibilita di individuare preventivamente il numero dei possibili destinatari , facendo venir meno la possibilità di un'indicazione della copertura finanziaria.

La Corte Costituzionale, con sentenza 5/2000 ha ritenuto infondate entrambe le questioni di costituzionalità.

La Corte ha infatti sottolineato come la norma contenga invece un precetto puntualmente definito nei suoi elementi, consistente nel criterio

dell'esposizione decennale, idoneo a poterne dare una completa e corretta applicazione, non potendo vertere il giudizio di legittimità costituzionale sulla bontà e sulla congruità della legge e non potendo dunque essere lamentata “qualsiasi incoerenza, disarmonia o contraddittorietà della previsione normativa”.

La violazione del principio è stato dunque ritenuta inesistente, in quanto essendo ben definiti i contorni della fattispecie che ne permettono un'idonea e congrua attuazione della legge, non si realizzerebbe nessuna omologazione di tutele per situazioni oggettivamente diverse.

(27)

Di riflesso, essendo stata ritenuta la norma sufficientemente descritta nei suoi criteri tecnico-applicativi, è stata ritenuta automaticamente non fondata anche la seconda doglianza.

Non sarebbe dunque ravvisabile, a parere della corte, una violazione dell'art. 81 c. 4, esistendo tra l'altro nella legge una specifica disposizione di

copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'applicazione dell'art. 13 c .8 legge 257 del92, ed essendo la norma, a suo tempo, stata ritenuta adeguata in termini di copertura finanziaria dalla Corte dei Conti.61

1.

6 La normativa del 2003

La materia dei benefici contributivi per i lavoratori esposti all'amianto è stata profondamente riformata dall'art 47 d.l. del 30 settembre 2003 n. 269, la cui epigrafe “disposizioni urgenti per lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici”, chiarisce da principio l'intento dell'intervento normativo in oggetto.

La norma infatti, predispone una serie di condizioni peggiorative nell'accesso alle provvidenze a favore degli esposti all'asbesto, con la chiara ed unica finalità di ridurre drasticamente la spesa pubblica .

L'art. 47 prevede anzitutto una forte riduzione del coefficiente di

rivalutazione contributiva che da 1,50 passa ad essere 1 e 25, comportando dunque una diminuzione del 50% del beneficio previsto62 .

Inoltre, il suddetto coefficiente, secondo la nuova normativa, viene preso in considerazione solo con riferimento al quantum del trattamento

pensionistico, e non più per la maturazione del diritto all'accesso a pensione, con la conseguenza che per godere della supervalutazione in questione il

61 Delibera n 6/ref/93 del 5 Novembre 1993

62 Cosi come sottolineato da E.Bonanni in “Benefici contributivi per esposizione ad amianto”, ove evidenzia come il beneficio in questione sia stato ridotto “della metà della metà”

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lavoratore dovrà raggiungere il diritto al trattamento di quiescenza secondo gli ordinari criteri dell'ordinamento previdenziale.

La circostanza che il lavoratore debba autonomamente maturare i requisiti anagrafico-contributivi necessari per l'accesso a pensione, senza che possa più fruire del prepensionamento, confermerebbe la natura risarcitorio-compensativa63 della norma, con lo scopo di risarcire il lavoratore delle conseguenze negative sulla salute, subite o quantomeno potenziali64, esauritasi ormai la finalità d' incentivo all'esodo, essendosi da ritenere ormai prodotti i risultati del bando dell'amianto dal mercato italiano. L'aver previsto una normativa contenente benefici differenti e meno

favorevoli rispetto a quanto previsto dall'art. 13 della legge 275 del 92, ha comportato subito dopo l'entrata in vigore, problemi di diritto inter

temporale, per la mancata indicazione da parte della norma dei soggetti a cui dovesse applicarsi la disciplina disciplina sopravvenuta.

Alla luce di quanto previsto dai principi generali dell'ordinamento risultava da principio chiaro che, non avendo al suo interno nessuna disposizione che ne stabilisse l'efficacia retroattiva, la legge non potesse far altro che disporre per l'avvenire e quindi fosse da applicarsi ai soli soggetti soggetti che alla data di entrata in vigore non avessero ancora maturato il diritto alla pensione.

Quanto previsto in base alla regola generale di irretroattività, fu

propriamente puntualizzato in sede di conversione del decreto, la legge n 326 del 2003 dispose infatti espressamente con l art. 6 bis che “ Sono comunque fatte salve le previgenti disposizioni per i lavoratori che abbiano già

63 Anche se come sottolinea R.Riverso la riduzione del coefficiente trascurerebbe invece la stessa natura compensativa dell'attività pericolosa svolta di tali beneficiin “Benefici amianto: passato, presente, futuro” in Diritto pratica Lavoro 2003, n 41, 2779

64 È necessaria dunque la previsione di un risarcimento, perchè nel caso di lavoratori esposti all'amianto vi è comunque un danno; “perchè non è facile né bello vivere con l'ipoteca di malattie che possono condurre al decesso” in “Questione amianto: contributi pensionistici Fondo in favore delle vittime” di R. Riverso in Il lavoro nella giurisprudenza n.6, 2008, 581.

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maturato, alla data di entrata in vigore del presente decreto, il diritto di trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, nonchè coloro che alla data di entrata in vigore del presente decreto, fruiscono dei

trattamenti di mobilità, ovvero che abbiano definito la risoluzione del rapporto di lavoro in relazione alla domanda di pensionamento”.

La disposizione65 non solo prende in considerazione la situazione di quei soggetti che al 2 ottobre avessero inoltrato domanda volta ad ottenere il trattamento pensionistico, ovvero l'avessero già ottenuto ma anche la situazione dei lavoratori che al momento dell'entrata in vigore della legge avessero maturato i requisiti contributivi e anagrafici per l'accesso al trattamento pensionistico66, indipendentemente dalla presentazione della richiesta67, salvaguardando quindi la posizione di quei soggetti titolari di situazioni giuridiche prodottesi in un periodo antecedentemente

all'introduzione delle modifiche normative in pejus.

La norma, sebbene facesse salve le ragioni di quei lavoratori già in possesso dei criteri necessari per l'accesso a pensione, ovvero quelli titolari di

posizioni giuridiche precisamente definite in sede giuridica, nulla disponeva per i soggetti che già avessero ottenuto la certificazione I.N.A.I.L di

esposizione alla polvere d'amianto o che solo ne avessero richiesto il riconoscimento.

65 Oltre in sede di conversione viene soppresso il riferimento all'assicurazione obbligatoria, ammettendo a richiedere del beneficio anche i soggetti svolgenti presentazioni non soggette ad assicurazione presso IN.A.I.L, in linea con l'orientamento giurisprudenziale

prevalente .

66 Come chiarito dalla Corte di Cassazione, con sentenza 18.11.2004, n. 21862, l’art. 3, comma 132, della l.2003, n. 350, ha disposto che “in favore dei lavoratori che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all’articolo 13 comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, sono fatte salve le disposizioni previgenti alla medesima data del 2 ottobre 2003” e che tale salvezza vale anche per“coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengono sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data”.

67“Fossero in possesso di tutti i requisiti richiesti per la maturazione del diritto al conseguimento degli originari benefici” indipendentemente alla domanda di pensione (requisiti pensionistici generali e esposizione decennale all'amianto) Corte Cass. n. 8453 del 2014.

(30)

Il vulnus normativo pregiudicava infatti quei dei lavoratori, titolari di situazioni già accertate in sede amministrativa, previsione aggravata dal disposto contenuto nel c. 2 art. 47, secondo il quale la norma sopravvenuta sarebbe stata da applicarsi anche ai lavoratori a cui fossero “state rilasciate dall’INAIL le certificazioni relative all’esposizione all’amianto sulla base degli atti d'indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto”68.

La previsione normativa cosi facendo incideva su situazioni definitivamente accertate ,spogliando degli effetti giuridici una procedura amministrativa ormai giunta a termine.

Ciò oltre a porre situazioni d 'iniquità inspiegabili, contrastava con il principio generale del nostro ordinamento di tutela dei c.d. diritti quesiti quale corollario del principio d'irretroattività della legge, in quanto

applicava la norma sopravvenuta a quei dipendenti che già, e non facilmente, fossero riusciti ad ottenere la certificazione di esposizione all'amianto

dall'I.N.A.I.L andando ad incidere su situazioni giuridiche già giunte a maturazione ed entrate a far parte della sfera giuridica dei lavoratori e quindi divenute definitive ed immutabili69.

Si rese quindi necessario un ulteriore modifica normativa introdotta dalla legge finanziaria 2004, legge 350 /2003 art. 132 c.23.

La disposizione, che interviene sanando i difetti della precedente legge, allarga le maglie dei soggetti ammessi a godere della previgente disciplina prevedendo che la normativa più favorevole sia da applicarsi ai “lavoratori che abbiano già maturato alla data del 2 0ttrobre 2003 il diritto al

conseguimento dei benefici previdenziali ,anche a coloro che abbiano

68 Art 47 comma 2 d.l 269/03

69 Come ha ben osservato la corte di cassazione “ il diritto pensionistico va valutato con riferimento alla normativa vigente al momento del perfezionamento della pensione Cass. Civ. Sez. lav. 8847/2011 e Cass. Civ. Sez. lav 8848/2011

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avanzato domanda di riconoscimento o che ottengano sentenza favorevole per cause avviate entro la stessa data,restano valide le certificazioni già rilasciate inail”.

La norma oltre a sottolineare la validità delle certificazioni ormai rilasciate 70

estende l'ambito operativo della norma piu favorevole anche a quei soggetti il cui diritto al beneficio pensionistico non sia maturato71 ma che abbiano acquisito situazioni giuridiche consolidate attraverso un procedimento amministrativo o giudiziario, tutelando dunque i diritti acquisiti, ivi compresi quelli maturati da tutti i lavoratori che prima del 2.10.2003 avessero ottenuto o semplicemente richiesto all’I.N.A.I.L la certificazione dell’esposizione all’amianto, ancorché gli stessi lavoratori non avessero maturato alla stessa data e i requisiti contributivi ed anagrafici.

Alla luce di quanto normativamente affermato e di quanto puntualizzato dalla giurisprudenza72 risulta ormai pacifico che rientrino nell'applicazione della norma previgente e più favorevole la situazione di quei soggetti che alla data del 2 ottobre 2003, avessero maturato diritto a pensione, ma anche coloro che entro tale data avessero non solo ottenuto certificazione di

riconoscimento I.N.A.I.L.73 in sede amministrativa ma che semplicemente74 ne

70 Cosi già previsto peraltro dalla legge n.179 del 31 Luglio 2002 per la quale “le certificazioni INAIL rilasciate sulla base degli atti d 'indirizzo emanati sulla materi dal ministero del lavoro e delle politiche sociali sono valide ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali art 13 c 8 legge 257 del 1992 e successive modificazioni.

71 “ per maturazione deve intendersi la maturazione del diritto a pensione e per coloro che non abbiano acquisito tale diritto la salvezza concerne gli assicurati che alla data del 2 ottobre avessero già avviato procedimento amministrativo o giudiziario di accertamento”, Cass 21862 /2004

72 Cass. Civ. Sez. lav 15 Luglio 2005 n.15008

73 Come chiarito da C.Cass 18.11.2004 n. 21862 “ sono fatte salve le disposizioni prevgenti per i lavoratori che bbiano alla data del 2 Ottrobre 2003 gia maturato il diritto al

conseguimento dei benefici” e “ tale salvezza vale anche per coloro che hanno avanzato domanda di riconoscimento INAIL o che ne abbiano ottenuto sentenza favorevole entro la stessa data “.

74 Cass. Civ. Sez. lav. 2004 n 21862 in D&PL 2005, 1124 la modifica legge 350 va interpretata nel senso di ritenere per maturazione diritto intendersi maturazione diritto a pensione e per coloro che non abbiano maturato diritto a pensione la salvezza concerne

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avessero inoltrato domanda , ovvero i soggetti che sempre in tale data avessero ottenuto sentenza favorevole in sede giudiziaria75.

La norma cosi facendo ha tutelato tutte le situazioni giuridiche sorte prima dell'introduzione delle disposizioni sfavorevoli e ciò in linea con quanto stabilito dalla giurisprudenza76 che ha sottolineato come sia ben possibile per il legislatore, in materia previdenziale, intervenire modificando la normativa previgente prevedendo disposizioni peggiorative, ma che tali previsioni non possano in alcun modo “incidere su situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustando l'affidamento del cittadino alla sicurezza

giuridica”.

La norma comporterebbe un equo bilanciamento tra l'esigenza di garantire un contenimento della spesa pubblica e la necessità di predisporre una tutela giuridica per tutti quei lavoratori che avessero già perfezionato la fattispecie giuridica necessaria per l'ottenimento dei benefici disposti dall'art 13 legge 257/92.

Tuttavia permane l'incoerenza posta dalla drastica riduzione del coefficiente in palese contrasto con la finalità idennitario-compensatoria della norma, di risarcire il lavoratore.

La disposizione non sarebbe supportata dunque da ragioni propriamente giuridiche ma troverebbe la sua ragion d'essere solo in esigenze meramente finanziarie.

La norma ha altresì previsto ulteriori condizioni peggiorative volte a ridurre l' ambito di operatività dei benefici stessi, che saranno meglio approfondite nei prossimi capitoli .

esclusivamente gli assicurati che alla data abbiano avviato procedimento amministrativo o giudiziario per accertamento del diritto rivalutazione contributiva

75 Mentre nessun effetto conservativo può avere il rigetto della domanda in quanto “sembra ovvia l' impossibilita di attribuire rilevanza conservativa all'accidente di una sentenza favorevole , travolta poi nei gradi successivi di giudizio” cosi Cass. Civ. Sez. lav. 15008/2005.

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