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Tra retorica e diritto: alle origini della querela inofficiosi testamenti

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INTRODUZIONE

Nel tentativo di indagare l’origine dell’istituto della querela bisogna, prima di tutto, fare i conti con la consapevolezza che si tratta di un campo minato. L’occhio di un ricarcatore inesperto, come quello di chi scrive, si perde nello sterminato orizzonte dottrinale e disorientato, scruta le fonti, cercando di piegarle al proprio obiettivo. Alla necessità di non perdere mai di vista l’orientamento temporale, volendo rifuggire distonie cronologiche, si aggiungono i labili confini processuali e sostanziali dell’istituto in oggetto, che pur lasciando maggior spazio di indagine, lo comprimono inevitabilmente. È d’uopo, inoltre, notare l’impraticabilità di un approccio puro alla materia del diritto romano, poiché si tratta di uno studio mediato dalle categorizzazioni e dagli istituti del diritto moderno. È per questa serie di ragioni che si chiede, ancor prima di iniziare, la critica comprensione dell’autorevole lettore che si trovi sulla propria strada questo elaborato.

La querela inofficiosi testamenti è un rimedio processuale che si propone di limare l’iniquità di disposizioni testamentarie, valide iure civili e iure praetorio ma non per questo moralmente accettabili, poiché lesive di un valore intrinseco della società romana (e greca): la pietas. Nell’esplorare la linea di mezzo che lambisce le dimensioni sociale e giuridica, dopo essersi chiesti se tale istituto possa configurare un’arguta risposta ad una delle tante forme di abuso del diritto, si arriva al nucleo problematico della tesi: qual è l’origine della querela? Molteplici le risposte in dottrina, alcune archiviabili in toto altre solo parzialmente, che porteranno a parlare della querela nei termini di una fattispecie a formazione progressiva. L’intricata trama si scioglie alla prospettazione, quale deus ex machina, di una

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soluzione: l’origine retorica. È questo il Leitmotiv dell’intera indagine nonché il suo punto di arrivo. Si cercherà di dimostrare, in questa sede, come sia possibile centrare l’obiettivo attraversando i binari della retorica classica. La rilevanza dei mezzi offerti da tale disciplina, di cui si auspica una rivalutazione ai fini della formazione del legale moderno, si coglie proprio in quella dimensione un po’ sociale un po’ giuridica, della quale si diceva poc’anzi. Fermo l’obiettivo della ricerca, importa passare sommariamente attraverso le stanze di quell’edificio, i cui primi mattoni sono fatti di argilla autoctona, e selezionare ciò che interessa al giurista. Le scuole di retorica offrono un artificio, il color insaniae o finzione di follia, attraverso il quale coprire il fatto più grave dell’inofficiosità. Certo è che una tale deduzione, declinata in diversi modi ma identica nelle linee di fondo, la si ritrova in gran parte degli autori, che non condividono, però, la natura dell’origine dell’istituto. Allora c’è da chiedersi: in che modo spiegare questa discrasia? Qual è la soluzione prospettabile? Si tornerà ancora una volta all’origine retorica. A quel punto, messa in ordine la questione della datazione, si cercherà di mostrare quanto il prodotto delle scuole di retorica (la declamazione) condivida con l’istituto della querela, fornendo all’esperto di diritto gli strumenti per tentare di scavalcare le aporie ermeneutiche. In realtà il lettore è forse ignaro di trovarsi già in medias res (in punto di inventio, per l’esattezza), di essere inconsapevolmente parte attiva di questa tesi. Si è cercato di renderlo, nella brevità di questa introduzione, docilem, attentum e benivolum, se già non lo fosse per naturale predisposizione o in virtù del proprio ruolo. Dimostrando così che la conoscenza dell’armamentario retorico non è un polveroso bagaglio ma un’attuale strumentazione, che molto ha di giuridico e che diviene indispensabile per la comprensione di un istituto di diritto romano, di cui si sa ancora troppo poco.

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3 CAPITOLO I

QUERELA INOFFICIOSI TESTAMENTI

INQUADRAMENTO SOSTANZIALE E PROCESSUALE

Sommario : 1.1 Cenni introduttivi: successione e vocatio contra

testamentum 1.2 Una risposta all’abuso del diritto 1.3 «Nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest»: l’eccezione al principio 1.4 L’officium pietatis 1.5 Tesi a confronto: una terza via 1.5.1 La dottrina tra origine centumvirale e pretoria 1.5.2 Val. Max. 7.7.5: il superamento dell’origine pretoria 1.5.3 Oltre il ius controversum 1.6 Tra diritto e retorica: le declamazioni. Il rapporto con la q.i.t. (segue) 1.7. Il processo romano … 1.7.1 … e la querela 1.8 Conclusioni

1.1 Cenni introduttivi: successione e vocatio contra

testamentum

Con la morte della persona fisica sui iuris, centro di imputazione di diritti1, si apre la questione della destinazione dei rapporti giuridici patrimoniali, di cui tale soggetto, in vita, poteva vantare la titolarità2. Il ius privatum romano, recependo anche esigenze di ordine sociale, si preoccupa di regolare la ripartizione del patrimonium dell’estinto, volendo scongiurare la dissoluzione dello stesso e le conseguenze del

1 Cfr. B. ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo, 1979,19, il

quale, quasi volutamente aprendo la sua monografia con un tributo alla summa

divisio di gaiana memoria, precisa che il presupposto indispensabile perché si

possa parlare di capacità giuridica è la libertas. L’assenza di questa condizione si traduce nell’impossibilità di essere centro di riferimento di diritti soggettivi.

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Cfr. M. TALAMANCA, Elementi di diritto privato romano, Milano, 2001, 347 ss.

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caso3. L’atto di subentrare (succedere, successio)4 al soggetto scomparso viene a configurare la risposta dell’ordinamento a esigenze di certezza del diritto. Con il termine successione si identifica quel fenomeno per cui un soggetto terzo viene a sostituirsi al dante causa o nella globalità delle situazioni giuridiche attive e passive trasmissibili (successione universale) o in un rapporto giuridico specifico (successione particolare). Ferma questa bipartizione, è possibile individuare «ben precise accezioni tecnico-giuridiche»5 del fenomeno successorio, potendosi distinguere, in quanto alla causa, successioni inter vivos e mortis causa6. In generale, l’acquisto ereditario viene inserito nella cornice della successio in locum et ius7. Degna di nota è l’impossibilità di una catalogazione aprioristica dei diritti trasmissibili, apparendo preferibile un previo accertamento della natura del diritto, sul presupposto dell’inadeguatezza del mero riferimento alle situazioni patrimoniali8. Il fondamento della successio mortis causa è costituito dalla vocatio ad hereditatem, di cui i Romani conoscono tre

3 Cfr. A. GUARINO, Diritto privato romano, Napoli, 1997, 445.

4 Cfr. M. TALAMANCA, ibid., il quale nota, opportunamente, che la terminologia

ha una propria ragion d’essere, che si atteggia differentemente nel corso del tempo. Nel corredo cromosomico della categoria dogmatica di successio, elaborata dai

prudentes, non sembrano potersi ricomprendere entrambe le accezioni di

successione ma esclusivamente quella c.d. universale. Questa consapevolezza ha portato per molti anni la dottrina a ritenere interpolata la locuzione successio in

universum ius, di cui oggi si può ritenere la genuinità e la riferibilità ad ambedue le

categorie di successione. Per un’esegesi critica della locuzione successio v. S. SOLAZZI, Diritto ereditario romano, I, Napoli, 1932, 2 ss. V. anche P. VOCI,

Diritto ereditario romano, I, Milano, 1967, 163, il quale puntualizza, a ragione,

che «il significato fondamentale di succedere è generico: andare al posto di uno. Ciò permette l’utilizzazione del termine in due cerchie che dal punto di vista giuridico sono del tutto diverse: da un lato c’è il successore che al posto di altri va munito di diritto proprio; dall’altro c’è il successore che sostituisce un altro, proprio perché acquista i diritti o il diritto di lui».

5 Così A. D. MANFREDINI, La volontà oltre la morte. Profili di diritto ereditario romano, Torino, 1991, 9.

6 Cfr. A. D. MANFREDINI, ibid. 7

Cfr. A. GUARINO, Diritto, cit., 449.

8 Cfr. C. FADDA, Concetti fondamentali del diritto ereditario romano, I, Milano,

1949, 3, il quale, efficacemente, sostiene la tesi per cui «nell’antico diritto romano la successione non ebbe né carattere, né scopo patrimoniale, come generalmente si suole ritenere; che essa comprendeva tutta quanta la sfera giuridica del defunto».

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declinazioni: la vocatio ex testamento, la vocatio ab intestato e la c.d. vocatio contra testamentum9. Quest’ultima, nota anche come «successione necessaria», in una categorizzazione che non vanta cittadinanza capitolina10, deve essere considerata, a sua volta, relativamente a tre diversi aspetti: la praeteritio degli heredes sui, quella dei liberi e la violazione dell’officium pietatis11.

La libertà di testare del de cuius hereditate agitur non vanta l’ampiezza di principio assoluto12

. Non a caso «la ragione consiglia, l’utilità pubblica comanda, la morale approva che quella facoltà di disporre sia ristretta dentro certi confini»13. Appare, dunque, tale libertà, legata tra la morsa del ius civile nonché della concretezza procedurale, passando per il tramite del diritto pretorio14.

Nel ius civile la formula «sui heredes aut instituendi sunt aut exheredandi»15 racchiude l’onere del pater familias di non lasciare praeteriti i membri della prima classe degli heredes ab intestato16. Tali sono :

9 Cfr. A. GUARINO, Diritto, cit., 453. V. anche A. PETRUCCI, Lezioni di diritto privato romano, Torino, 2015,73, ove, pur ribadendo l’esistenza per il diritto

romano di un regime di successione contro il testamento, si puntualizza che la discussione dottrinale, vertente sull’identificabilità di un terzo tipo di successione (accanto a quelle ex testamento e ab intestato), non vivacizza la dottrina romanistica quanto quella moderna.

10 Cfr. A. GUARINO, Diritto, cit. , 478. 11

Cfr. A. GUARINO, ibid.

12 Cfr. A. F. DE BUJÁN, La legitimacion de los parientes colaterales privilegiados en la impugnacion del testamento inofficioso in SDHI, 55, 1989, 98-122.

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Così A. DOVERI, Istituzioni di diritto romano, Firenze, 1866, 499.

14 Cfr. P. VOCI, Diritto ereditario romano, II, Milano, 1963, 634 ss.

15 Cfr. A. MORDECHAI RABELLO, Effetti personali della “patria potestas”.I. Dalle origini al periodo degli Antonini, Milano, 1979, 137ss, il quale, definendo

ragionevolmente l’exheredatio come una delle esplicazioni della patria potestas, aggiunge: «è evidente che l’aver stabilito “sui heredes aut instituendi aut

exheredandi” aveva una notevole importanza. Di fronte ai pontefici e ai comizi

riuniti, il paterfamilias era sì teoricamente libero di diseredare il proprio figlio, ma in pratica non poteva farlo senza che esistesse una giusta causa, come, ad esempio, l’indegno comportamento del figlio; il non poter semplicemente praeterire i sui, ma il doverli diseredare nominatim, se non volesse istituirli eredi, costituiva quindi una notevole pressione psicologica a favore dell’istituzione dei sui ad eredi».

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Cfr. P. VOCI, Diritto, II, ibid. V. anche G. LA PIRA, La successione ereditaria

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a) i filii sui iam nati (figli maschi in potestà del testatore). Da istituire con il rigoroso e formale rispetto di norme generali e particolari, i membri di questo gruppo possono, viceversa, essere oggetto di exheredatio, individuabile nominatim, totale e non sottoponibile a condizione, a meno che non ci sia istituzione in senso opposto17. Escludendo la possibilità che l’istituzione di erede possa sopportare condizione risolutiva o termine, non si ammettono questi accidentalia neppure per la diseredazione espressa. La mancata osservanza di questo insieme ordinato di regole si rispecchia inevitabilmente sul profilo di nullità del testamento18;

b) i ceteri sui iam nati (figlie; nipoti ex filio). Per costoro la exheredatio non richiede un’indicazione puntuale – possono essere diseredati inter ceteros – e la heredis institutio non deve necessariamente corrispondere a una diseredazione sotto condizione opposta; la violazione di tali disposizioni non incide sul piano della nullità della disposizione testamentaria19;

c) i postumi sui (figli o ulteriori discendenti che acquistano la qualità di sui dopo la morte del testatore). Questa terza categoria ha subito un’estensione nel corso del tempo, che ha contribuito a mitigare le ipotesi di invalidità del testamento nel caso di sopravvenienza di un suus20. Essendo condizione di validità del testamento la heredis institutio (o la exheredatio) dei sui, nel caso di specie sono richieste le stesse

17 D.28.7.11 – Si quis testamento hic modo scripserit: ‘filius meus si Titium adoptauerit, heres esto: si non adoptauerit exheres esto’.

18 Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit. 638. 19

Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 640, che, peraltro, sottolinea come a sostituire la pena della nullità del testamento supplisce una sorta di ius adcrescendi. Il soggetto

praeteritus concorrendo con gli altri sui ottiene la stessa loro quota mentre in

rapporto con un extraneus ha diritto a metà dell’asse.

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formalità da osservare per i ceteri sui iam nati21. «L’omissione, l’istituzione e la diseredazione irrituali dei postumi non rendono il testamento invalido ab initio : solo il sopravvenire del postumo importa invalidità o, come dicono i Romani, rottura del testamento»22.

Condividendo con il regime di ius civile lo scopo attuativo di una successione ereditaria, nel sistema di diritto onorario, il bonorum possessor «fingendosi erede»23 subentra nell’universalità delle situazioni giuridiche del premorto24.

Gai 4.34 - Habemus adhunc alterius generis fictiones in quibusdam formulis, veluti cum sit, qui ex edicto bonorum possessionem petiit, fictio se herede agit. Cum enim praetorio iure, non legitimo succedat in locum defuncti, non habet directas actiones, et neque id quod defuncti fuit potest intendere suum esse, neque id quod ei debebatur potest intendere dare sibi oportere; itaque ficto se herede intendit.

Al regime rigido e formalista di diritto civile, dunque, si viene a sostituire un armonico intreccio25, della cui trama entrano a far parte

21 Cfr. P. VOCI, ibid. 22

Così P .VOCI, Diritto, II, cit., 643, il quale, a proposito, ne mette in risalto il motivo: «come il pater deve istituire o diseredare coloro che sono sui al tempo di perfezione del testamento, e solo a questa condizione il testamento nasce valido, così un testamento non può rimanere valido, quando dei sui sopravvengono dopo che esso sia stato perfezionato senza menzionarli».

23 Così G. LA PIRA, La successione , cit., 232 ss. 24 Cfr. G. LA PIRA, ibid.

25 Cfr. G. LA PIRA, La successione, cit., 242, che, nella sua monografia, afferma

apertamente: «questi due sistemi, civile e pretorio, si fondono in un sistema unico, che è tale non solo esternamente, ma anche intrinsecamente. Così che in questo sistema il designato – abbia la qualità di heres o quella di solo bonorum possessor - conseguirà, comunque, effettivamente, i beni ereditari (bonorum possessio cum

re)». Tuttavia sarebbe ardito ritenere la piena compatibilità di bonorum possessio

ed hereditas. Su questo aspetto insiste La Pira ricordando che «mentre la delazione della bonorum possessio può essere così accettata come rifiutata dal prossimo chiamato e mentre il ripudio determina la chiamata del successibile ulteriore, la delazione della hereditas si ferma necessariamente sul primo chiamato, né può

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anche le regole del ius honorarium26. Il pretore, che interviene «adiuvandi vel supplendi vel corrigendi iuris civilis gratia»27, concede ai liberi praeteriti28 la possibilità di utilizzare lo strumento della bonorum possessio contra tabulas (nel prosieguo, per brevità, anche b.p.c.t.)29. La non univocità del concetto di b.p.c.t. si riscontra nella possibilità di identificare una forma originaria e una seconda c.d. derivata30. La prima si ha quando i liberi «siano stati omessi oppure istituiti o diseredati irritualmente»31; la seconda forma (rectius ‘contra tabulas bonorum possessionis petitio commisso per aliam edictio’), invece, si concretizza quando «un figlio è stato istituito nel testamento paterno, mentre un suo fratello è stato omesso; la b.p.c.t. spetterebbe al secondo, non al primo: ma si ammette che pure il primo possa chiederla, già per la sola possibilità che il testamento sia impugnato»32. Per esigenze di completezza33 è d’uopo far cenno alla bonorum possessio dimidiae partis, procedere oltre. Anzi, pel suus non si può parlare di una delazione, intesa come offerta di acquisto della eredità, in quanto il suus acquista necessariamente». V.

contra L. GAGLIARDI, Decemviri e centumviri, origini e competenze, Milano,

2002, 261 ss, il quale, incidentalmente soffermandosi sul rapporto intercorrente tra

ius civile e ius honorarium, sottolinea la distinta identità dei due sistemi, seppur

ammettendo, tra gli stessi, numerose reciproche interazioni.

26 Cfr. G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, Torino, 2012, 376, il quale

puntualmente osserva che «la bonorum possessio non ignorava né metteva interamente da parte l’eredità civile ma si combinava con essa in vario e articolato modo».

27 D.1.1.7 – Ius autem civile est, quod ex legibus, plebis scitis, senatus consultis, decretis principum, auctoritate prudentium venit. 1. Ius praetorium est, quod praetores introduxerunt adiuvandi vel supplendi vel corrigendi iuris civilis gratia propter utilitatem publicam.

28 Gai 2.135 - Emancipatos liberos iure civile neque heredes instituere neque eheredare necesse est, quia non sunt sui heredes; sed praetor omnes tam feminini quam masculini sexus, si heredes non instituantur, exheredari iubet, virilis sexus nominatim, feminini vel nominatim vel inter ceteros; quodsi neque heredes instituti fuerint neque ita ut supra diximus exheredati, praetor promittit eis contra tabulas bonorum possessionem.

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Cfr. M. TALAMANCA, Elementi, cit., 387. V. anche P. VOCI, Diritto, II, cit., 648ss.

30 Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 649. 31 Così P. VOCI, ibid.

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Così P. VOCI, ibid.

33 Non si ha la pretesa di aver esaurito, neppure minimamente, lo studio della bonorum possessio; per una visione più dettagliata sui vari aspetti dell’istituto, tra

gli altri, v. P. VOCI, Diritto, II, cit., 647 ss.; v. anche P. BONFANTE, Istituzioni di

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«comunemente detta contra tabulas»34, quale quella forma di successione necessaria materiale che viene riconosciuta, a favore del patrono, alla morte del liberto privo di figli di sangue o in seguito alla diseredazione degli stessi o ancora all’indomani dell’esercizio da parte di questi del ius abstinendi35. In tale caso di specie «il patrono ha diritto alla metà dell’attivo ereditario: sugli eredi istituiti nel testamento grava l’onere economico dei legati e delle manomissioni»36. Nell’ambito del diritto onorario, «viva vox iuris civilis»37, si concepisce la praeteritio liberorum in modo più severo, prevedendo individualmente l’exheredatio di tutti i discendenti liberi di sesso maschile (sia sui che emancipati) e ammettendo, però, per i liberi di sesso femminile la diseredazione cumulativa38. Questa sovrapposizione di sistemi e regole, tuttavia, non è in corrispondenza biunivoca con una effettiva e concreta tutela dei sui e dei liberi, che, come si è cercato di illustrare, nell’ipotesi più gravosa, possono essere oggetto di exheredatio39. Il testamento, infatti, completato con l’inserimento della exheredatio è tutt’altro che invalido40

. «L’anello finale del processo evolutivo indirizzato alla limitazione dell’assoluta libertà testamentaria del paterfamilias»41 è costituito dalla querela inofficiosi testamenti (più avanti indicata con q.i.t.). Con la finalità di tutelare le aspettative successorie dei membri della cerchia più stretta del de cuius, prende vigore questo mezzo di impugnazione avverso il testamento «contrario al dovere morale di affetto verso i parenti»42. Nel genus della vocatio contra testamentum, si viene ad affiancare alla già affermata e claudicante 'successione necessaria formale' una

34 Così M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 767. 35 Cfr. M. TALAMANCA, Elementi ,cit., 388.

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Così M. TALAMANCA, ibid.

37 D.1.1.8 – Nam et ipsum ius honorarium viva vox est iuris civilis. 38 Cfr. A. GUARINO, Diritto , II, cit., 479.

39 Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 670. 40

Cfr. P. VOCI, ibid.

41 Così D. DI OTTAVIO, Una bibliografia ragionata in tema di querela inofficiosi testamenti: schede di lettura, in Scritti di storia del diritto e bibliografia giuridica offerta a Giuliano Bonfanti, Macerata, 2012, 189 ss.

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'successione necessaria materiale'43, in favore di un numerus clausus di legittimati attivi (i più stretti congiunti del testatore44). «Il principio della successione necessaria sostanziale in diritto romano si è venuto formando secondo una evoluzione che, nelle sue grandi linee, può essere colta nel superamento giurisprudenziale delle antiche regole della (successione) formale, già oggetto dell’intervento di specificazione giurisprudenziale, e nella graduale tipizzazione dei presupposti e dell’effetto di quella che fu detta inofficiosità»45. L’unico soggetto indifferente di fronte a questa specializzazione di categoria è il padre, nel rapporto con il figlio emancipato, in qualità di parens manumissor46; costui, infatti, è l’unico soggetto della cerchia parentale, che anche in presenza di un testamento, in tali condizioni, ha diritto a un’aspettativa successoria47. È la coscienza sociale che reclama la necessità di questo nuovo istituto «come superamento di un principio troppo

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Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 633, il quale guarda tale moderna bipartizione in termini critici, ritenendo che «il suus regolarmente diseredato non succede proprio in niente; né d’altra parte, come si vedrà, il dovere di istituire o diseredare può considerarsi solo come un requisito di forma del testamento. E’ meglio parlare di un diritto di certi eredi necessari, che deve essere, secondo i tempi e anche secondo le circostanze, rispettato dal testatore: eredi necessari nel regime dell’antico ius

civile, perché il loro titolo di eredi non deriva dal testamento, e al pater è solo

concessa la revoca di esso; eredi necessari, nel regime della querela inofficiosi, perché debbono necessariamente essere istituiti». V.anche L. GAGLIARDI,

Decemviri, cit., 279, che, alludendo al germe di novità regolamentare e, in maniera

velata, alla giurisdizione creativa del tribunale centumvirale, afferma che «sorgeva e compariva per la prima volta in questa formula non codificata, ma affidata al completo arbitrio e alla libertà centumvirali, il principio moderno, che non si considera classico, della successione necessaria materiale e quello della quota di riserva dell’eredità».V. ancora M. MARRONE, Sulla natura della querela

inofficiosi testamenti, in SDHI, 21, 1955, 82; v. anche M. TALAMANCA, Istituzioni, cit., 768.

44 Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 671.

45 Così G. GULINA, La querela inofficiosi testamenti nella testimonianza di Plinio il Giovane in SDHI, Roma, 2009, 306.

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Cfr. M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano, Palermo, 1994, 660. V. anche P. VOCI, Diritto, II, cit., 673.

47 Cfr. M. MARRONE, ibid. V. anche A. PETRUCCI, Lezioni, cit., 106 ss, il

quale, illustrando il regime della successione necessaria, fa cenno ad una previsione affine, in quanto all’esito, alla successione del patrono al liberto. Quest’ultima e la successione del parens manumissor al figlio senza prole, che lascia praeteritus il padre (omettendo di attribuirgli metà del patrimonio), condividono la previsione per cui i soggetti, ingiustamente tralasciati, possono ottenere metà dell’asse attraverso la b.p.c.t.

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arcaico e crudele quale la successione necessaria (solo) formale»48. Presupposto che datazione e regime processuale non risultano con assoluta certezza49, possiamo ipotizzare, come parte dell’autorevole dottrina, che la q.i.t., recettrice di tali esigenze di tutela, nasca (in via fattuale) già a partire dal I sec. a.C.50. Scindendo l’embriogenesi dalla fase di successivo perfezionamento dell’istituto, è possibile, tuttavia, rimandare al 70 a.C. per una prima menzione del testamentum inofficiosum, individuabile nella seconda orazione contro Verre dell’Arpinate51

.

1.2 Una risposta all’abuso del diritto

Il brocardo “Ubi homo, ibi societas; Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi homo, ibi ius” segna un nesso inscindibile tra la dimensione sociale e quella giuridica52. L’uomo, ζῷον πολιτικόν, nell’atto di aggregarsi in una compagine plurale socialmente rilevante, non può esimersi dal creare un’organizzazione regolamentata sulla base di un puntuale sistema di regole53. Il fenomeno giuridico, «carattere necessitato della specie umana»54, come principale finalità si propone ex ante di prevenire un potenziale conflitto tra le parti, ex post di ripristinare l’ordine sociale55

. Se dato per vero il significato del brocardo di cui sopra, non possiamo negare che, nella fase di attuazione della propria libertà, ogni individuo risulti eterolimitato dalla libertà altrui,

48 Così L. GAGLIARDI, Decemviri, cit., 281. 49

Cfr. G. LA PIRA, La successione, cit. 498. V. anche V. ARANGIO-RUIZ,

Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1984, 547 ss.

50 Cfr. D. DI OTTAVIO, Ricerche in tema di «querela inofficiosi testamenti», I, Le origini, Napoli, 2012, 44. V. anche L. GALGLIARDI, Decemviri, cit., 267. 51

Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 671.

52 Cfr. L. NIVARRA, Diritto privato, Torino, 2016, 2. 53 Cfr. L. NIVARRA, ibid.

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Così L. NIVARRA, ibid.

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secondo confini vaghi e di difficile perimetrazione, se ci si rapporta al tema dell’abuso del diritto56

. Il problema di tale abuso si accosta all’impossibilità di stringere nei confini rigidi di una norma giuridica la molteplicità delle fattispecie concrete che il diritto, fenomeno estremamente dinamico, si trova ad affrontare57. La sottigliezza dell’abuso delle facoltà attribuite dall’ordinamento a un tale individuo ha come contropartita l’abilità degli operatori giuridici, che fanno della propria forte conoscenza del diritto il proprio baluardo. Tale abuso, dunque, non può non essere se non relativamente al diritto stesso, che è derma ed epidermide dello stesso fenomeno in fieri. Non essendo questa la sede per lo studio di tale problema, che attanaglia gli ordinamenti giuridici antichi quanto moderni, si riconduca lo sguardo al diritto romano. In quest’ambito, l’istituto di cui si sta trattando si manifesta nella distanza tra la norma giuridica e la norma etica o religiosa58. La dinamicità di tale abuso, come già evidenziato, si coglie dallo studio dei singoli casi, dalla prassi, a riprova che si tratta di un fenomeno che «non può essere compresso nella rigidità di una disposizione»59. Non è secondario sottolineare che proprio per questa natura è difficile ipotizzare un significato di ‘abuso del diritto’ valido trasversalmente, dato il mutare dei tempora e dei mores60. Tale condizione trova conferma anche dalla indagine semantica delle parole abusus/abuti, che, lontane dal significare un ‘uso cattivo’, rispecchiano l’intensità dell’utilizzo di un certo

56 Cfr. G. LEVI, L’abuso del diritto, Milano, 1993, 1 ss, il quale, riproponendo

l’osservazione di Rotondi, illustra come ogni individuo, nell’esercizio delle proprie libertà, ha una cornice entro cui muoversi, che, in più di un caso, è portata a combaciare con quella di altri individui, «cosicché ogni penetrazione nella sfera giuridica altrui non farebbe che qualificare illecito tale comportamento e, quindi, essere sanzionato dalla norma : o l’attività è lecita o illecita». Alla stessa soluzione, tuttavia, non si può arrivare considerando il problema dell’abuso del diritto, che si erge dal territorio delle cc. dd. “zone grigie”.

57 Cfr. G. LEVI, ibid.

58 Cfr. G. LEVI, L’abuso,cit., 26. 59

Così G. LEVI, L’abuso, cit., 25.

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diritto61. Lo scottante tema dell’abuso, stando ai riscontri dottrinali a nostra disposizione, non è uno sconosciuto neppure per il diritto successorio romano. Per cominciare, la pena dell’inefficacia giuridica aspetta al varco le disposizioni testamentarie cc. dd. poenae nomine62, quali sono particolari istituzioni di eredi, coeredi, legati e fedecommessi63. É proprio tale regime di invalidità σφραγίς dell’attenzione riservata, «quantomeno dagli inizi del periodo classico»64, al tema dell’abuso del diritto anche nella materia ereditaria65. Tali “disposizioni impartite allo scopo di punire”66 comprendono tutti quegli atti di ultima volontà con cui l’ereditando vuole indurre un successore universale o particolare alla realizzazione di effetti che non possono generarsi in diverso modo67.

Gai 2.243 - Cetera vero quae supra diximus ad legata proprie pertinent. Quamquam non immerito quibusdam placeat poenae nomine erede institui non posse; nihil enim interest, utrum legatum dare iubeatur heres, si fecerit aliquid aut non fecerit, an coheres ei adiciatur, quia tam coeredi adiectione quam legati datione conpellitur, ut aliquid contra propositum suum faciat aut non faciat.

61 Cfr. G. LEVI, ibid.

62 Cfr. F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso del diritto nella esperienza del diritto privato romano, Torino, 2012, 103, per il quale sicuramente l’espressione

non può dirsi felice. Essa, come sostiene l’autore, non sembra incarnare l’effettiva portata del problema «per quanto sembri esprimere precisamente l’idea di fronte all’ingerenza, inammissibile dal punto di vista sociale e giuridico, nell’altrui potestà paterna o nei diritti del proprietario. Agendo decisamente contro di essa, la giurisprudenza romana non permetteva di esercitare il proprio diritto nel settore delle attività mortis causa in modo chiaramente dannoso per i diritti altrui».

63 Cfr. F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, ibid. 64 Così F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, ibid. 65

Cfr. F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, ibid.

66 Nel testo di De Bérier si propone questa traduzione ma sarebbe preferibile

annoverare l’espressione ‘poenae nomine’ tra quelle intraducibili del latinorum. A riprova di ciò v. anche G. LEVI, L’abuso, cit., 26, il quale opportunamente osserva: «neppure si parla in epoca classica di abuso come emulazione in senso giuridico, dove per atto emulativo si intende l’esercizio di facoltà rientranti nel diritto di chi agisce, mancanza di utilità di tale esercizio, intenzione di nuocere e danno derivante ad altri».

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Nella casistica si ha maggiore riscontro di disposizioni poenae nomine inerenti ai legati ma si può ritenere non del tutto avulsa dalla logica (rectius scopo) ad esse sottesa l’istituto della querela inofficiosi testamenti. Il trait-d'union tra l’impossibilità di produrre effetti delle disposizioni poenae nomine e la configurazione di una legittimazione all’esperimento della q.i.t. è costituito proprio dalla «giustificazione sociale di merito»68 di quest’ultima: la violazione dell’officium pietatis69

. Entrambe le ipotesi costituiscono una risposta alle «inammissibili attività del testatore, materialmente possibili, ma moralmente inaccettabili»70. Nel disegnare i tratti della q.i.t., vengono posti concretamente dei limiti all’esercizio dei diritti da parte del testatore, laddove ci sia spazio per la configurazione di un danno per la sfera giuridica altrui71. Appare necessario, però, focalizzare l’attenzione su un punto preciso di questa ricostruzione. Non sembrerebbe troppo azzardato ritenere che la querela inofficiosi testamenti e l’invalidità delle disposizioni poenae nomine non siano altro che la pragmatica concretizzazione di una più ampia realtà, legata alla necessità di un sindacato di merito sulle ultime volontà del de cuius72. I sintomi della qualificazione di tale indagine, i.e. del rimedio fornito dal diritto romano a una forma di abuso del diritto, si possono riscontrare in modo puntuale negli snodi principali della querela.

D.5.2.3 - Inofficiosum testamentum dicere hoc est allegare, quare exheredari vel praeteriri non debuerit: quod plerumque accidit, cum falso parentes instimulati liberos suos vel exheredant vel praetereunt.

68

Così F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso , cit., 111.

69 § 1.4

70 Così F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso , cit., 102 71

Cfr. F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso , cit., 100

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D.5.2.5 - Nam et his, qui non ex maculi descendunt, facultas est agendi, cum et de matris testamento agant et optinere adsidue soleant. Huius autem verbi ‘de inofficioso’ vis illa ut dixi est docere immerentem se et ideo indigne praeteritum vel etiam exheredatione summotum: resque illo colore defenditur apud iudicem, ut videatur ille quasi non sanae mentis fuisse, cum testamentum inique ordinaret.

Ulpio Marcello spigando il perché dell’esperimento di questa azione, afferma che la stessa consiste «nell’elencare i motivi per cui non si doveva venire diseredati o preteriti come plerumque accadeva quando i parentes – falso instimulati - diseredavano o preterivano liberos suos»73. L’interesse ad agire dello stretto congiunto, ingiustamente praeteritus, si àncora sull’iniquità della disposizione testamentaria, lesiva dell’officium pietatis74. «Il testamento è inofficiosum perché ha trascurato di nominare erede chi non meritava questo affronto; perciò è impugnabile presso il giudice»75. L’assenza di motivi equi alla base della diseredazione o della preterizione di soggetti cui sarebbe spettata parte dell’asse ereditario, potrebbe, a ragione, essere individuata quale presupposto oggettivo per l’impugnazione76

. Onde evitare l’invalidazione del testamento per motivi strettamente formali, rifuggendo da una totale discrezionalità nella valutazione delle disposizioni testamentarie, viene dato molto risalto alla cornice disegnata dalla fattispecie concreta77. Per una completa esegesi dei passi si noteranno i termini allegare e non debuerit che evidenziano come molto dipenda «dalle concrete circostanze di fatti e dai convincimenti sulla regolarità di comportamenti dei testatori nelle stesse situazioni concrete»78.

73 Così S. QUERZOLI, I testamenta e gli officia pietatis, Napoli, 2000, 161. 74

Cfr. D. DI OTTAVIO, Ricerche, cit., 39.

75 Così P. VOCI, Diritto, II, cit., 681.

76 Cfr. F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso , cit., 106. 77

Cfr. F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso , cit., 104.

78

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Risulta talmente grave l’accusa di inofficiosità, che la stessa rivendica dei diritti del legittimato davanti al tribunale dei centumviri parrebbe, in realtà, un’apologetica esaltazione delle deviate condizioni psichiche del de cuius, mediante lo sfruttamento di artifici retorici79. Questi aspetti, tra gli altri, ci condurrebbero a vedere nella q.i.t. una efficace risposta ad una forma di abuso del diritto80. La concreta possibilità di opposizione alle volontà testamentarie, configuranti l’abuso delle facoltà pacificamente ascrivibili al testatore, è anche conferma del carattere relativo della libertà di disposizione dello stesso. In ogni caso, perché possa esserci impugnazione, deve esserci interesse ad agire, legato, il più delle volte, ad una lesione giuridicamente rilevante. Nello specifico, il parametro da tenere in considerazione per giustificare l’oculata81 attivazione dell’azione per testamentum inofficiosum, è un dovere morale che, per partogenesi, assumerà la veste di dovere giuridico82. Questo dovere morale si trasforma in dovere giuridico quando la diseredazione ingiusta ha per sanzione l’invalidità del testamento83

. «La reazione verso il testamentum inofficiosum ci offre un esempio dell’opposizione contro l’esercizio da parte del pater familias delle facoltà mortis causa in contrasto con la funzione che svolgeva nella vita e nell’organizzazione della civitas romana»84

. L’evidenza della natura consustanziale e della reciproca compenetrazione di ius e officium si riscontrano nel momento in cui l’aspetto regolamentare e attuativo del diritto si scontrano con il senso di equità85. Che si tratti di opposizione a fronte di disposizioni poenae nomine o di testamento inofficioso non apparirebbe pretenzioso, dunque, ritenere

79 Cfr. P. VOCI, Diritto ,II, cit., 680.

80 Cfr. F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso , cit., 103

81 Si allude alla pena dell’indegnità collegata all’epilogo di soccombenza nel

giudizio di inofficiosità: cfr. P. VOCI, Diritto, I, 473.

82 Cfr. P. VOCI, Diritto, II, cit., 670. 83 Cfr. P. VOCI, ibid.

84

Così F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso , cit., 111

85

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di essere di fronte a una «reazione alle conseguenze socialmente sgradite»86 che potrebbero configurarsi ammettendosi un’illimitata facoltà di disporre del de cuius.

1.3 «Nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere

potest» : l’eccezione al principio

Si è cercato di chiarire che l’istituto della successione ereditaria si configura come una reazione dell’ordinamento all’esigenza di regolamentazione della vacanza giuridica che si ha al verificarsi dell’evento morte di un soggetto87. In vista di questo obiettivo, possono essere seguite le disposizioni di ultima volontà dell’ereditando oppure i criteri legali già previamente cristallizzati88

. La delazione può manifestarsi in due forme : quella ex testamento, rimessa alle indicazioni del testatore e quella ab intestato. Si deducono, dunque, quali cause legittime di delazione il testamento e la legge89.

Gai 2.99 – Ac prius de hereditatibus dispiciamus, quarum duplex condicio est: nam vel ex testamento vel ab intestato ad nos pertinent.

86 Così F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, L’abuso , cit., 113. 87 Cfr. P. VOCI, Diritto, I, cit., 489.

88

Cfr. P. VOCI, ibid.

89 Cfr. C. FADDA, Diritto ereditario romano, I, Milano, 1949, 305. V anche P.

VOCI, Diritto, I, cit., 490, il quale, nell’illustrare il significato di delazione, si discosta da tale moderna classificazione. Ritiene, infatti, più opportuno che al posto di ‘legge’ si parli di «diritto oggettivo in genere, poiché la serie dei successori è stabilita non solo dalla legge delle XII tavole, ma pure dall’editto pretorio, da senatoconsulti, da costituzioni imperiali». Su questa scia meglio si accosterebbero all’accezione che vuolsi intendere con il termine ‘delazione’ le espressioni: successione ab intestato e ex testamento.

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Un principio, che è pietra angolare dell’intera costruzione del diritto successorio romano90, è quello della uniformità dei titoli di delazione che scaturisce dalla formula91: «nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest». Svariate sono le fonti in cui è possibile rinvenire tale principio:

D. 50.17.7 – Ius nostrum non patitur eundem [in paganis] et testato et intestato decessisse: earumque rerum [naturaliter]92 inter se pugna est [testatus et intestatus]. I.2.14.5 – Neque enim idem ex parte testatus ex parte intestatus decedere potest, nisi sit miles, cuius sola voluta in testando spectatur.

Accanto a una chiamata alla successione ex testamento non è possibile, dunque, averne una ab intestato, in quanto quest’ultima designa un regime residuale, applicabile solo in caso di impossibilità di realizzazione della prima93. «Le due cause di delazione sono fra loro incompatibili e non si possono cumulare insieme»94. In ogni caso, la vetustà di tale principio non osta all’individuazione di eccezioni95. Tra gli studiosi, tuttavia, non c’è uniformità di vedute

90 Cfr. A. PETRUCCI, Lezioni, cit., 116, ove, a ragione, si titola il paragrafo in cui

si tratta di tale principio come: «concorso fra tipi di successione». Questo poiché tale antico principio (nemo pro parte…) spadroneggia in costanza del ius civile ma sarà soggetto ad un «progressivo superamento», di cui la querela costituisce indubbiamente una tappa (quando, come si vedrà, il testamento venga impungnato non contro tutti gli eredi istituiti e l’impugnazione raggiunga il risultato sperato dal

praeteritus). A questo dato si aggiungono: «quello dei codicilli non confermati,

con cui si poteva disporre un fedecommesso: in relazione a quel fedecommesso vale una successione in senso lato testamentaria, perché voluta dal disponente, mentre per tutto il resto si applica la successione legittima. Il terzo dato è quello del testamento militare, in cui si deroga a questa norma: ad esempio, il soldato può disporre solo dei legati o dei fedecommessi o delle manomissioni e gli eredi sono determinati dalla legge».

91 Cfr. S. SOLAZZI, Diritto, I, cit., 212.

92 Cfr. S. SOLAZZI, ibid., il quale, al fine di sostenere la non genuinità del

termine, riprende la tesi di G.Segrè per cui l’introduzione di questo avverbio sarebbe frutto di interpolazione.

93 Cfr. P. VOCI, Diritto, I, cit., 497. 94

Così S. SOLAZZI, Diritto, I, cit., 212.

95

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intorno alla natura derogatoria che potrebbe essere configurata dalla querela. Solazzi espone una puntuale casistica. La prima ipotesi illustra un conflitto di giudicati, registrato a seguito di una querela intentata contro più legittimati passivi da un attore vittorioso solo contro alcuni di essi96. Un epilogo di questo genere può aversi o all’indomani di una valutazione comparativa di diverso esito tra gli aspiranti eredi97 o nel caso entrino in gioco diverse sezioni del tribunale centumvirale per la risoluzione del caso98. L’autore ricorda il caso di Attia Viriola. Costei, difesa quadruplici iudicio da Plinio, poiché preaterita, ragionevolmente99 rivendica l’eredità paterna attraverso la querela inofficiosi testamenti. L’attrice, forse a sua volta convenuta da un tale Suberino, esce vittoriosa contro questi e contro la matrigna ma vinta in altri due giudizi100. «Duobus consiliis – scriveva Plinio all’amico Voconio Romano – gli avversari erano stati sconfitti, totidem le richieste della donna non erano state accolte»101.

D. 5.2.15.2 – Filius, qui de inofficiosi actione adversus duos heredes expertus diversas sententias iudicum tulit et unum vicit, ab altero superatus est, et debitores convenire et ipse a creditoribus conveniri pro parte potest et corpora [vindicare et hereditatem] dividere: verum enim est familiae erciscundae iudicium competere, quia credimus eum legitimum heredem pro parte esse factum [: et ideo pars hereditatis in testamento remansit, nec absurdum videtur pro parte intestatum videri].

96 Cfr. S. SOLAZZI, Diritto, I, cit. , 229.

97 Cfr. S. SOLAZZI, ibid., che apertamente afferma che «la violazione

dell’officium paterno doveva misurarsi in rapporto alla persona dell’erede istituito».

98 Cfr. S. SOLAZZI, ibid.

99 Cfr. S. QUERZOLI, I testamenta, cit., 97, per la quale l’identità di oggetto o

delle parti del giudizio coinvolte permettono a uno stesso processo di essere celebrato davanti ai centumviri in due consilia, anche se le pretese avanzate sono di diversa natura.

100

Cfr. S. SOLAZZI, ibid.

101

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D.5.2.24 – Circa inofficiosi querellam evenire plerumque adsolet, ut in una atque eadem causa diversae sententiae proferantum. [Quid enim si fratre agente heredes scripti diversi iuris fuerunt? Quod si fuerit, pro parte testatus, pro parte intestatus decessisse videbitur]

In tutte queste ipotesi è legittimo ritenere, secondo Solazzi, che si tratti non di rescissione parziale del testamento (minaccia al principio nemo pro parte) ma di rescissione totale102. Allo stesso esito si giunge nel caso in cui il legittimato attivo alla querela utilizzi questo strumento chiamando in giudizio solo alcuni degli istituiti103. L’ultimo, in ordine di elencazione, dei frammenti analizzati da Solazzi ha ad oggetto «più persone le quali abbiano diritto a proporre la querela inofficiosi ma agisca o vinca una sola»104.

D. 5.2.16 – Filio, qui de inofficioso matris testamento contra fratrem institutum de parte ante egit et optinuit, filia, quae non egit aut non optinuit, in hereditate legitima fratri non concurrit.

L’autore nella sua ricostruzione esclude l’eventualità di una rescissione parziale, evidenziando una compatibilità di tutti i casi sopra esposti con il principio nemo pro parte, rispetto al quale avrebbe natura eccezionale solo l’ipotesi del testamentum militis105. L’argomentazione logica con la quale Solazzi addiviene a questa soluzione è la natura spuria dei frammenti di cui si è detto sopra106. L’autore aggiunge che a torto i romanisti parlano di «eccezioni

102

Cfr. S. SOLAZZI, Diritto, I, 229 ss.

103 D.5.2.25.1 - Si quis, cum non possit de inofficioso queri, ad querellam admissus pro parte rescindere testamentum temptet et unum sibi erede eligat, contra quem inofficiosi querellam instituat, dicendum est, quia testamentum pro parte valet est, quia testamentum pro parte valet et precedentes eum personae exclusae sunt, cum effectu eum querellam instituisse.

104 Così S. SOLAZZI, Diritto, I, cit., 232. 105

Cfr. S. SOLAZZI, Diritto, I, cit., 236 ss.

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apparenti»107. A suo parere, infatti, è più corretto ritenere che «i Romani hanno velato le eccezioni con la loro procedura o con l’intervento del pretore. I giustinianei, che dovevano unificare le varie fonti del diritto e organare questo in un corpo unico, hanno squarciato molti di quei veli»108.

In merito al rapporto tra rescissione del testamento e apertura della successione ab intestato, Di Lella prende spunto da alcuni frammenti per avvalorare l’idea di una duplicità interpretativa degli stessi109

. Secondo la prima visuale, in D.5.2.19 risiederebbe l’efficacia totalmente rescissoria della querela; questa impostazione si oppone ad una seconda possibilità interpretativa che culmina nell’individuazione di una «impugnativa pro parte che determina la compatibilità dell’apertura della successione testamentaria con quella legittima»110 , testimoniata in D.5.2.8.8111 e D.37.7.6112. Sulla base di questi ultimi due frammenti, quindi nell’impronta della seconda interpretazione, Papiniano e Ulpiano avrebbero costruito un «nesso inscindibile tra querela ed interesse dell’attore al conseguimento di quanto gli sarebbe spettato se il de cuius fosse morto intestato»113, identificando così una ipotesi non compatibile con il principio nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest114. Delle due, l’una: la pronuncia di inofficiosità del testamento può rescindere questo anche solo in parte e configurare, così, una concreta eccezione

107 Così S. SOLAZZI, Diritto, I , cit., 237. 108

Così S. SOLAZZI, ibid.

109 Cfr. DI OTTAVIO, Una bibliografia, cit., 175 ss. 110 Così DI OTTAVIO, ibid.

111 D. 5.2.8.8 – Quoniam autem quarta debitae portionis sufficit ad excludendam querellam, videndum erit an exheredatus partem faciat qui non queritur : ut puta sumus duo filii exheredati. et utique faciet, ut Papinianus respondit, et si dicam inofficiosum, non totam hereditatem debeo, sed dimidiam petere. proinde si sint ex duobus filiis nepotes, ex uno plures, tres puta, ex uno unus:unicum sescuncia, unum ex illis semuncia querella excludit.

112

D. 37.7.6 – Pater filium emancipatum heredem instituit et filiam exheredauit,

quae inofficiosi lite perlata partem dimidiam hereditatis abstulit. Non esse fratrem bona propria conferre cogendum respondi: nam et libertates competere placuit. 113

Così DI OTTAVIO, ibid.

114

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al principio? È maggiormente condivisibile una risposta affermativa. Si parta ragionando sul profilo della legittimazione passiva; questa va riconosciuta agli eredi che siano stati istituiti nel testamento, escludendosi, però, l’applicabilità dell’istituto del litisconsorzio necessario (il querelante può, quindi, scegliere di agire anche nei confronti di uno solo, non essendo obbligato a chiamarli tutti in giudizio)115. A questo si aggiunga che «la sentenza ottenuta da un erede necessario contro uno solo tra più eredi istituiti fa stato solo contro di lui»116 e che la stessa «ottenuta da uno solo tra più eredi necessari fa stato solo a favore di lui»117. Se, dunque, la querela viene proposta nei confronti di tutti gli eredi istituiti, la conseguenza logica è la rescissione totale del testamento e l’apertura della successione ab intestato; diversamente, l’invalidità viene a colpire solo uno o alcuni degli eredi che si siano chiamati in giudizio118, configurando così una eccezione al principio.

1.4 L’officium pietatis

È sufficiente soffermarsi sul nome dell’azione di inofficiosità per intuire il rilievo pregnante che viene ad assumere l’organico concetto di officium pietatis119. La complessità del principio, marchiata da aspetti «etico-giuridici di origine filosofica»120, è racchiusa nella cornice religiosa e si esplica in diverse forme.

Non è difficile scontrarsi con delle fonti letterarie nelle quali il concetto di pietas, nel rapporto con genitori e familiari, si armonizza

115 Cfr. A. PETRUCCI, Lezioni, cit., 108. 116

Così P. VOCI, Diritto, II, cit., 690.

117 Così P. VOCI, ibid. 118 Cfr. A. PETRUCCI, ibid. 119

Cfr. D. DI OTTAVIO, Ricerche, cit., 18.

120

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nella cornice della sacralità di fas e nefas121. In questi contesti il riferimento al fas sta ad indicare dei comportamenti «non accettabili, censurabili, riprovevoli»122. «Il fas è una vis la quale ‘dice’ che una certa azione si può o non si può fare»123 e la sua matrice linguistica (che pare debba derivare dalla radice bhā- «parlare, dire») giustificherebbe l’idea di una parola «assoluta, autorevole, efficace»124.

I Romani si rapportano frequentemente tanto con l’officium pietatis erga liberos quanto con la pietatis erga parentes125.

D.48.20.7 - Cum ratio naturalis quasi lex quidam tacita liberis parentium hereditatem addiceret, velut ad debitam successionem eos vocando (propter quod et in iure civili suorum heredum nomen eis indictum (inditum edd.) est ac ne iudicio quidem parentis nisi [meritis de causis] <meriti> summoveri ab ea successione possunt.

D.5.2.15 - Nam etsi parentibus non debetur filiorum hereditas propter votum parentium et naturalem erga filios caritatem: turbato tamen ordine mortalitatis non minus parentibus quam liberis pie relinqui debet.

Il testamento, che calpesta «il sentimento di doveroso affetto nutrito dal cittadino romano nei confronti della patria, della famiglia, degli dèi»126, calpesta uno dei capisaldi della cultura greco-romana e le conseguenze si rispecchiano inevitabilmente sul piano giuridico. In

121 Cfr. A. MCCLINTOCK, Giuristi nati. Antropologia e diritto romano, Bologna,

2016, 25 ss., il quale, scegliendo un approccio emic, rivolto allo studio del mondo romano «dal punto di vista degli attori sociali» con le loro credenze e valori, non tarda a sottolineare che il ius sia da intendere come «la più grande produzione culturale romana: una forma mentis che struttura il tempo, lo spazio, il linguaggio retorico la letteratura, l’iconografia, le emozioni stesse».

122

Così A. MCCLINTOCK, ibid.

123 Così A. MCCLINTOCK, Giuristi, cit., 43 ss. 124 Così A. MCCLINTOCK, ibid.

125

Così P. VOCI, Diritto, cit., 678 ss.

126

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quest’ottica apparirebbe attraente l’idea per cui l’intangibilità dei vincoli familiari abbia le proprie radici nell’epoca precivica, quando sacralità e familia costituivano l’architrave della struttura socio-culturale127. La concezione di officium pietatis, infatti, «si proietta in ambito patrimoniale nella comproprietà che si stabilisce tra i sui heredes nel consortium ercto non cito, ulteriore conferma del carattere familiare dell’eredità nel secolo V a.C. e un indizio della impossibilità di nominare eredi al di fuori della cerchia parentale»128. Nell’intraducibile termine pietas si compendiano una pluralità di segni distintivi. Primo tra tutti il senso del dovere, che si riflette nella sfera dell’officium e si connette all’affettività, in quanto la pietas «non è solo una virtù, è anche un sentimento»129. Questo sentimento solidaristico caratteristico della familia può vantare un’origine ibrida, non interamente romana. La pietas romana soffre l’influenza del concetto greco di εὐσέβεια quale «dovere e coscienza di una solidarietà naturale esistente nella famiglia e che si estende alla parentela naturale, ma più specificatamente coinvolge i parenti prossimi, cui la legge riconosce il potere di succedere»130. Questo concetto, nell’impostazione di Renier, è il sostrato delle obbligazioni alimentari dei figli nel rapporto con i genitori e del dovere degli ascendenti di non lasciare la famiglia naturale priva di sostanze131.

127

Cfr. D. DI OTTAVIO, Ricerche, cit., 18

128 Così D. DI OTTAVIO, Una bibliografia, cit., 190. 129 Cfr. A. TRAINA, «Pietas» in EV IV, Roma, 1988. 130

Così D. DI OTTAVIO, Una Bibliografia, cit., 128. Cfr. E. RENIER, Etude sur

l’histoire de la querela inofficiosi en droit romain, Liége, 1942, 40ss.

131 Cfr. E. RENIER, ibid.,ove, in merito, si legge: «Le caractère religieux du devoir

qu’impose l’εὐσέβεια fut le plus ancien et le premier à se définir clairement. Mais cette piété trouve dans les rapports de famille d’autres applications pratiques par où elle pénètre dans le droit grec. Elle est le germe des obligations alimentaires des enfants (légitimes et adoptifs) envers les parents. Dans l’autre sens, elle impose aux ascendants l’obligation de ne pas priver des biens qu’ils attendent équitablement, les membres de la famille naturelle qui, dans leur attitude, n’ont pas démérité». Cfr. M. LENTANO, Retorica e diritto. Per una lettura giuridica della

declamazione latina, Lecce, 2014, 19, ove si dà conto che una normativa di tale

portata pare non essere attestata a Roma, rectius pare formalizzarsi solo sul finire del II sec. d.C. È rilevante notare come l’autore non neghi, al fine dell’affermazione normativa dell’obbligo alimentare tra padri e figli, un decisivo

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L’officium pietatis condivide, dunque, la propria ragion d’essere con il più ampio significato di pietas e si contrappone, all’interno del reticolo dell’azione di inofficiosità, al furor, in un intelligente escamotage ideato dai retori. Tra i τόποι culturali si ripropone, infatti, con constante insistenza l’endiadi pietas-furor, che sorregge la natura anfibia del de cuius (empio/folle)132.

1.5 Tesi a confronto : una terza via

Intorno all’origine della querela inofficiosi testamenti la dottrina non propone una interpretazione univoca. Molte e molto frammentarie sono le opinioni che si arroccano intorno a questo tema, anche se, in linea di massima, è possibile riportarle a due principali: quelle che insistono sull’origine pretoria e quelle che deviano verso la matrice centumvirale133. Il tentativo che si propone in questa sede è quello di ruolo dell’esercizio declamatorio, frequentemente costellato da tali tematiche. Questo dato è tutt’altro che trascurabile; esso costituisce un autorevole supporto a quel nesso di derivazione retorica-diritto, di cui si dirà.

132

Cfr. D. DI OTTAVIO, Ricerche, cit., 18.

133 Cfr. DI OTTAVIO, Ricerche, cit., 2 ss. Per esigenze di compiutezza si richiami

anche la tesi dello studioso Eisele, sostenitore dell’esistenza di due querelae: la

querela centumvirale e la querela cognitio. La prima, costola dell’hereditatis petitio, sarebbe inquadrabile come un’azione petitoria basata sul color insaniae; la

seconda, fondata non più sul color insaniae ma sull’iniuria arrecata dal de cuius al congiunto, avrebbe, invece, effetto meramente rescissorio (il querelante vittorioso avrebbe dovuto successivamente esperire l’azione petitoria per ottenere il possesso dei beni). V. contra P. VOCI, Diritto, II, cit., 723, il quale, a ragione, osserva l’impossibilità di teorizzare l’esistenza di due distinti istituti, dotati di un diverso apparato sostanziale e processuale. È preferibile nonché maggiormente condivisibile non cadere nel tranello teso da quello che concretamente è solo una realtà ‘in movimento ’. Si è, infatti, di fronte a un istituto che nasce in via di prassi, che si evolve e muta la sua struttura processuale (si pensi all’aspetto della legittimazione attiva o ancora di più alla forma della cognitio extra ordinem), pur rimanendo sempre lo stesso istituto originario. Quest’ultimo, infatti, «è perfezionato, per così dire, dall’interno e dall’esterno: ci sono insieme un progresso interiore e una situazione sincretistica». A sostegno di questa tesi si consideri l’inesistenza di un appiglio testuale a livello delle fonti che ci permetta di sostenere la natura duplice delle querelae. Dal testo attuale delle Pandette si desume si possa parlare di un solo istituto perché laddove si voglia intendere la duplicità del mezzo

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attraversare (per sommi capi) tali ricostruzioni dottrinali, azzardando una terza soluzione: l’origine retorica134. Quest’ultima, tuttavia, non prescinderebbe del tutto dall’origine centumvirale, essendo la stessa in rapporto di mezzo a fine. Dall’attendibilità delle premesse, da cui potrebbe muovere il discorso, non sarebbe impensabile discendere il dato per cui la querela, non nascendo dal ius edicendi del pretore, non sostanziandosi nel ius controversum dei giuristi, troverebbe origine in una zona grigia, tra norma giuridica e prassi (il diritto vivente). In questo lavoro di ricerca si è protesi verso una soluzione di compromesso. Appare azzardato, tuttavia, tagliare ogni sorta di collegamento (come si proporrà per l’origine pretoria) con la radice centumvirale; risulta, forse, maggiormente confacente ai nostri fini cambiare semplicemente la prospettiva di approccio a tale tematica. Di fronte ai centumviri è necessario sfruttare nel miglior modo possibile le doti persuasive (si badi bene, non si parla di conoscenze di diritto) per dimostrare la violazione dell’officium pietatis. Retori e oratori «per primi avanzano dubbi sulla validità di un testamento in cui uno o più figli siano diseredati immotivatamente»135. Come anticipato, si arrischierà, nelle pagine seguenti, una “soluzione di compromesso”: individuando nella retorica il germe originario di derivazione della querela, non appare illogica l’individuazione di una seconda fase di sviluppo, in via fattuale, all’interno del tribunale centumvirale, essendo, tra l’altro, i centumviri gli unici competenti in materia di inofficiosità136.

Si ricordi, in ogni caso e in generale, che se intendessimo il discorso (i.e. la struttura di questa tesi) come un sillogismo, date delle premesse false, anche per mezzo del più valido e affascinante giuridico non si tarda ad esporla espressamente (ad es. in materia di comodato, deposito o mandato).

134 Cfr. A. PETRUCCI, Lezioni, cit., 107. V. anche G. FRANCIOSI, Corso storico istituzionale di Diritto romano, Torino, 2014, 423ss.

135

Così. A. PETRUCCI, ibid.

136

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termine medio, la sostanza delle conclusioni sarebbe ben poco veridica; da questo dato discende l’assoluta relatività della soluzione propinata in questa sede, che in alcun caso potrebbe vantare la pretesa di non falsificabilità, tanto più considerata l’ignoranza di chi scrive tanto del vasto campo del diritto quanto di quello della retorica.

1.5.1 La dottrina tra origine centumvirale e pretoria

Tra gli studiosi, che subiscono l’imprinting dalla genesi centumvirale dell’istituto, si ricordano, tra gli altri, Glück, Renier e Di Lella137

. Il primo insiste su questa soluzione innanzitutto negando uno dei capisaldi dei teorici dell’origine pretoria, ossia l’affermazione della querela per mezzo della lex Glitia, poiché, a suo dire, verrebbe a vanificare l’essenza e la ragion d’essere del color insaniae138

. Rigettata anche l’introduzione per il tramite di costituzioni imperiali, poiché inconciliabile con l’impiego dell’azione già in epoca repubblicana, Glück non ritiene plausibile l’esegesi di Val. Max. 7.7.5139 favorevole al riconoscimento di un genoma pretorio per l’azione di inofficiosità140

.

Renier, dopo aver ricostruito le tendenze della giurisprudenza romana alla luce dell’influenza della cultura greca, sorregge la tesi dell’origine centumvirale sui passi Val. Max. 7.7.1141

e 7.7.2142, 137 Cfr. DI OTTAVIO, ibid. 138 Cfr. DI OTTAVIO, ibid. 139 § 1.5.2 140 Cfr. DI OTTAVIO, ibid. 141

Val. Max.7.7.1 – Militantis cuiusdam pater, cum de morte filii falsum e castris

nuntium accepisset, aliis heredibus scriptis decessit. Peractis deinde stipendiis adulescens domum petiit: errore patris, inpudentia alieno rum sibi clausam repperit: quid enim illis inverecundius? Florem iuventae pro re publica absumpserat, maximos latore ac plurima pericula toleraverat, adverso corpore

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