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b 2 ‘L’ossessione di classificazione’: le prove.

ANTICA RETORICA FORENSE

2.9 Le parti del discorso

2.9.3. b 2 ‘L’ossessione di classificazione’: le prove.

Delle πίστεις innanzitutto si noti la celebre «divisione binaria»623 in πίστεις ἄτεχνοι e πίστεις ἔντεχνοι, in latino probationes inartificiales/artificiales624. In linea di massima la distinzione verte sull’appartenenza o meno di tali prove alla τέχνη, in quanto nucleo di produzione; mentre le prove al di fuori della τέχνη si trovano vicendevolmente «al di fuori dell’operatore della τέχνη»625, le prove ἔντεχνοι risultano collegate al «potere ragionato dell’oratore»626

. A questo si aggiunga il dato per cui mentre le prove inartificiales o estrinseche hanno una loro «esistenza obiettiva e indipendente dall’orazione»627

, quelle intrinseche o artificiales, poiché si considerano frutto della mente dell’oratore, si ritengono esistenti solo «nella e attraverso l’arringa da lui pronunciata»628. Eppure non si deve omettere di notare che, mentre questa bipartizione appare nitida in Aristotele e Quintiliano, non può dirsi altrettanto per le opere ciceroniane e la Rhetorica ad Herennium; questo dato però non

622

Cfr. P. CERAMI, G. DI CHIARA, M. MICELI, ibid., ove, a ragione, si ricorda che «in dottrina si è soliti assumere il processo romano arcaico come prototipo di processo fondato su prove di carattere irrazionale, principalmente a causa del carattere religioso della prova e della c.d. soluzione “mistica” del processo. Ed effettivamente in riferimento a questo processo, e principalmente, per i riti ordalici, è esatto parlare di “irrazionalità” della prova, ma non in conseguenza della natura stessa dei fatti utilizzati come prove, ma solo in quanto non può identificarsi una istruzione probatoria scissa dal giudizio».

623 Così R. BARTHES, ibid. 624

Cfr. R. BARTHES, ibid.

625 Così G. PUGLIESE, Il processo, cit., 417. 626 Cfr. R. BARTHES, ibid.

627

Così G. PUGLIESE, ibid.

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impedisce la possibilità di estendere tale classificazione629. A questo si aggiunga che Quintiliano, nel riproporre la classificazione aristotelica, non è di certo disinteressato; l’obiettivo di fondo è quello di contrastare il ruolo della prova retorica ed esaltare, invece, il ruolo del fatto corrispondente più al vero che all’εἰκός630.

[1] Le prove extra-tecniche (ἄτεχνοι/ inartificiales) possono essere definite come dei «frammenti del linguaggio sociale, dati direttamente, allo stato bruto (eccetto la valorizzazione di una collocazione)»631. Le fonti tardo-repubblicane non dedicano grande spazio a questo genere di prova ma questa lacuna può, ragionevolmente, essere ricondotta alla circostanza per cui la prova viene valutata complessivamente: «la confirmatio e la refutatio si fondano sempre e comunque su una sintesi di elementi di fatto (signa ed exempla) e di tecniche logico-argomentative volte a comporre ad unità il materiale probatorio raccolto (argumenta), ulteriormente valutati e considerati, però, alla luce delle varie adprobationes ad essi relativi (testimonia, rumores, etc.)»632. In questo primo gruppo di prove si possono ricondurre una pluralità di ipotesi. [a] Il giuramento, che è «l’elemento di tutto un gioco combinatorio, d’una tattica, di un linguaggio: si può accettare, rifiutare di giurare, si

629

Cfr. P. CERAMI, G. DI CHIARA, M. MICELI, Profili, cit., 136 ss., ove,in merito a tali omissioni, ci si chiede se siano casuali. La risposta negativa si trae dalla constatazione per la quale una categorizzazione degli strumenti probatori è inevitabilmente frutto di contingenza, della «diversa funzione svolta nell’ambito del processo di ricostruzione cognitiva dei fatti». Il carattere non precettivo di tale classificazione, ben noto già ai retori antichi, ne giustifica i confini sfumati.

630 Cfr. P. CERAMI, G. DI CHIARA, M. MICELI, ibid.

631 Così R. BARTHES, ibid. , il quale, per delineare le πίστεις ἄτεχνοι, utilizza una

descrizione efficace, dalla forma che rispecchia la natura seminariale del discorso: «cosa può l’oratore sulle prove ἄτεχνοι? Non può addurle (indurle o dedurle); può soltanto, dato che sono in sé ‘inerti’, combinarle, farle valere attraverso una disposizione metodica. Quali sono? Sono frammenti del reale che passano direttamente nella dispositio, fatti semplicemente valere, e non trasformati; o ancora: sono degli elementi del dossier che non si possono inventare (dedurre) e che sono forniti della causa in sé, dal cliente (siamo per ora nel campo del giudiziario)».

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accetta, si rifiuta il giuramento dell’altro»633; [b] i rumores; [c] le leggi, gli editti, i contratti e i testamenti ; [d] i documenti scritti634; [e] le testimonianze635.

[2] Le prove nella τέχνη sono, invece, il frutto dell’intermediazione dell’oratore, che attraverso un’operazione logica (induzione/deduzione), trasforma il materiale in strumenti di persuasione636. Accanto agli argumenta, che sono le operazioni tecnico-concettuali per eccellenza, si ritrovano i signa o prove di fatto («elementi percepibili con i sensi»637) e gli exempla (prove induttive)638. Quintiliano rimprovera alla retorica preclassica il fatto di aver dato troppo peso agli argumenta in virtù di una «presunta mistificazione della realtà affidata alle capacità del singolo di utilizzare artifici verbali o stratagemmi processuali idonei a orientare o, addirittura, a travisare i fatti per il raggiungimento dei fini perseguiti»639. In ogni caso viene riproposta la classica categorizzazione.

633 Così R. BARTHES, ibid. 634

Cfr. G. PUGLIESE, ibid. ove, trattando del processo per legis actiones, si sofferma su alcuni tipi di prova, tra cui quella documentale. Quest’ultima assume la forma della testatio e costituisce la sintesi del contenuto degli atti giuridici. Al momento dell’esibizione, il giudice e la controparte, verificatane l’autenticità, ascoltano la lettura dell’avvocato di parte. Alla prova documentale può essere contrapposto un qualsiasi altro tipo di prova; «la prova scritta non aveva invero valore superiore a quello delle prove non scritte né in linea di puro diritto … né in linea di fatto».

635 Cfr. G. PUGLIESE, ibid. ove, a ragione, si definiscono le testimonianze come

delle dichiarazioni che possono essere fatte direttamente davanti al giudice o anche presentate per iscritto sotto forma di tabulae a partire da una certa epoca. Ai testes

rogati, che al fine di partecipare a determinati atti giuridici, hanno l’obbligo di

comparire, pena la limitazione di capacità sia in campo pubblicistico che negoziale, si aggiungono i testes voluntarii, chiamati sostanzialmente a esprimere la loro solidarietà a una delle parti. Che siano scritte o orali le testimonianze si corredano di un giuramento, che nel caso si configuri come falso, comporta una punizione corporale.

636 Cfr. R. BARTHES, ibid.

637 Così P. CERAMI, G. DI CHIARA, M. MICELI, Profili, cit., 127. 638

Cfr. B. C. GARAVELLI, Manuale, cit., 75 ss.

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[a] Si conoscono due tipi di signa o prove di fatto, quelle necessarie o incontrovertibili e quelle non necessarie, ossia delle tracce o indizi che possono condurre a un risultato di verosimiglianza640.

Quint. Inst. orat. 5.9.3 – Dividuntur autem in has primas duas species, quod eorum alia sunt, ut dixi, quae necessaria <sunt, alia quae non necessaria>.

Il primo signum o τεκμήριον è necessariamente vero; «id autem accidit cum quid aut necesse est fieri factumve esse, aut omnino non potest fieri vel esse factum»641. Il secondo, meno certo σημεῖον εἰκός, «does non permit completely certain conclusions to be drawn regarding a particular matter»642. Perché dal sospetto si passi a certezza è necessario che ci sia il supporto di altre prove643. Anche il campo delle prove risulta legato, come si è cercato di vedere, alla dottrina degli status, «poiché ogni status ammette un certo tipo di prove, in base al quale esse vanno selezionate, e per tanto, in riferimento a ciascuno di essi, non tutte sono rilevanti e pertinenti»644. Nel caso di specie, i signa sono propri dello status coniecturalis645.

[b] L’exemplum o παράδειγμα è il procedimento induttivo che, in quanto tale, permette una generalizzazione a partire da un fatto particolare, reale o verosimile, che permetta di tornare, nuovamente, al caso particolare646. L’exemplum può essere una parola, un fatto,

640 Cfr. B. MORTARA GAREVELLI, ibid. 641 Quint. Inst. orat. 5.9.4

642 Così H. LAUSBERG, Handbook, cit., 166. 643 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid. 644

Così P. CERAMI, G. DI CHIARA, M. MICELI, Profili, cit., 123.

645 Cfr. P. CERAMI, G. DI CHIARA, M. MICELI, ibid.

646 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid., la quale, nel riportare le teorizzazioni

di Perelman e Olbrechts-Tyteca, dà nota del fatto che tali autori annoverano l’esempio (incontestabile, usato per dare fondamento a una regola), insieme all’illustrazione (capace di colpire l’immaginazione) e al modello (insieme dei comportamenti con i quali fondare/illustrare una regola di condotta) tra i tipi di argomenti basati sul caso particolare. Queste tre funzioni possono essere compendiate nel concetto tradizionale di esempio.

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una comparazione corta (parabola), un insieme di azioni (favola), un esempio storico o mitologico e, a partire dal I sec. a. C., può essere una imago647. Quando si parla di ‘caso particolare’ esso può essere ricondotto al precedente, all’argomento d’autorità (che si impernia sull’imago virtutis) e alle citazioni648

.

[c] Gli argumenta, all’opposto di quanto si è osservato fino ad ora per gli exempla, afferiscono al procedimento deduttivo come prove di ragionamento649. Barthes ne sottolinea la poliedricità : «quella di un ragionamento (“qualunque forma di ragionamento pubblico” dice un retore) impuro, facilmente drammatizzabile, che partecipa ad un tempo dell’intellettuale e del fittizio, del logico e del narrativo»650

. Un elemento portante dell’apparato degli argumenta è costituito dall’ἐνθύμημα, che nella versione aristotelica consiste in un sillogismo retorico, originatosi da premesse verosimili, «svolto unicamente a livello del pubblico»651, tale da portare alla persuasione, non alla dimostrazione652. Se ne deduce che le premesse dell’entimema non hanno a che vedere con verità assiomatiche ma semplicemente probabili e potenzialmente accettabili dall’uditorio653

. Nel trattare l’entimema si è deciso, questa volta, di discostarsi dalla Rhetorica ad Herennium. Appurato che l’ἐνθύμημα assurge a strumento argomentativo, la sua corretta collocazione è nell’inventio (tale impostazione si segue, infatti, nella presente esposizione); nella Rhetorica ad Herennium, invece, il contrarium (tale è il nome con cui se ne parla), si ritrova tra le figuarae all’interno della elocutio654.

647 Cfr. R. BARTHES, ibid.

648 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid. 649 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid. 650

Così R. BARTHES, La retorica, cit., 65.

651 Così R.BARTHES, La retorica, cit., 66. 652 Cfr. R. BARTHES, ibid.

653

Cfr. A. TRAVERSI, ibid.

654

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A partire da Quintiliano l’attenzione si sposta dalle caratteristiche delle premesse al carattere ellittico della struttura entimematica. Per non soffocare il delectare, l’entimema subisce il troncamento di una delle due premesse dal carattere pleonastico655; tuttavia «l’entimema non è un sillogismo tronco per carenza, degradazione, ma perché va lasciato all’ascoltatore il piacere di fare tutto lui nella costruzione dell’argomento»656

.

2.9.3. c.1. I loci o τόποι

Nel corpo di questa tesi, svolgendo lo studio dell’inventio, più volte è capitato di accennare alla topica, senza però tracciarne i contorni nel dettaglio. Per fare questo, bisogna partire dal presupposto che le premesse degli entimemi, su cui ci si soffermati poc’anzi, vanno cercate da qualche parte, all’interno di certi luoghi (τόποι)657. Il catalogo delle idee generali, delle consuetudini, delle massime di esperienza, che rientrano nel comune sentire di una compagine sociale e, in quanto tale, sono alla portata di quel pubblico di cui deve essere stimolata l’adesione, viene fornito dalla topica658

. Cos’è il luogo?

Quint. Inst. orat. 5.10.20-21 – Locos appello…sedes argumentorum, in quibus latent, ex quibus sunt petenda.

655 Cfr. R. BARTHES, ibid. v. anche B. M. GARAVELLI, ibid. 656

Cfr. R. BARTHES, La retorica, cit., 69.

657 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid.

658 Cfr. A. TRAVERSI, ibid., il quale, opportunamente, nota come la frequenza

nell’utilizzo della tecnica argomentativa (magari anche a sproposito) stia portando verso una diminuzione dell’importanza della topica che «da prezioso strumento di

inventio di modelli argomentativi, si è a poco a poco trasformata in sterile riserva

di forme vuote». Pare che il fenomeno possa essere ricondotto sia agli studi teorici tardo romani e medievali, con il loro «furore tassonomico di tutti i possibili “luoghi comuni”» sia all’utilizzo che se ne fa negli esercizi declamatori.

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Si conoscono due tipi di luoghi argomentativi; accanto ai luoghi comuni o generali, non afferenti ad un preciso campo del sapere, applicabili ad argomenti diversi, si registrano i luoghi propri o speciali, rapportabili specificatamente a ciascun genere oratorio659. Non essendo pensabile l’elencazione di tutti i luoghi possibili, è necessario ridurli a delle macrocategorie generali660; a tal proposito, per il luoghi comuni afferenti al genere giudiziario, si distinguono:

- i luogo della quantità : «una cosa vale più di un’altra per ragioni quantitative»; si pensi ad una ricostruzione della fattispecie avvalorata da un maggior numero di testimonianze. Tale maggior valore è legato sia al fatto che tendenzialmente è preferibile un maggior numero di beni rispetto ad una quantità inferiore sia al maggior numero di scopi per cui può essere utilizzato quel bene661.

- Il luogo della qualità, utile strumento per controbattere al luogo della quantità (ad esempio quando il peso dell’opinione di un solo perito di fama comprovata può essere valutato maggiore rispetto a quella di più periti poco noti)662, poggia sul dato per cui «omnia preclara rara, quanto più una cosa è eccellente tanto più è rara»663.

- Il luogo della probabilità: dato il reiterato prodursi di un fenomeno si presuppone che, riprodotto il sistema di riferimento, si manifesti nuovamente664.

- Il luogo della possibilità si nutre dalla constatazione per cui «l’evidenza positiva addotta a sostegno di un’asserzione non

659 Cfr. A. TRAVERSI, ibid. V. anche B. MORTARA GARAVELLI, Manuale,

cit., 80 ss.

660 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid. 661 Cfr. A. TRAVERSI, ibid.

662 Cfr. A. TRAVERSI, ibid. 663

Così B. MORTARA GARAVELLI, Manuale, cit., 82.

664 Cfr. A. TRAVERSI, ibid. ove, a ragione, si nota che una estrinsecazione del

luogo di probabilità nel processo penale è l’id quod plerumque accidit, principio empirico probabilistico, di cui il giudice deve tener conto per valutare la plausibilità di una tesi.

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è mai tale da costituire piena prova»665. Utilizzabile in antitesi al luogo della probabilità, il presupposto del luogo in esame è che, fondandosi tale evidenza positiva su una generalizzazione, potrebbe dimostrarsi che la fattispecie oggetto di indagine sia in realtà contraria alle regole comuni666.

- Il luogo della comparazione presuppone che i rapporti di somiglianza tra i fatti implichino la possibilità che un giudizio espresso in ordine ad uno di essi sia estensibile anche agli altri (si pensi all’interpretazione analogica)667

.

- Il luogo della supposizione (locus a fictione). A prescindere dalla verità delle premesse di cui consta il sillogismo, è dato per certo che le conseguenze (vere/false) siano coerenti con le prime. Se, invece, si palesa una contraddizione premessa- conclusione, quest’ultima potrà essere sfruttata per dimostrarne l’infondatezza668

.

Si aggiunga, data per nota l’interscambiabilità dei termini locus- argumentum nella terminologia latina, che è possibile distinguere due classi di argumenta: a persona e a re669. Gli argomenti del primo gruppo, attinenti alle caratteristiche personali dei soggetti coinvolti nella controversia, si trovano nei luoghi: genus, natio, patria, sexus, aetas, educatio et disciplina, habitus corporis, fortuna, condicionis distantia, animi natura, studia, quid affectet, ante acta et dicta, temporarium animi motum, nomen670. Gli argumenta a re, invece, prescindono da tali caratteristiche e si concentrano sui fatti in causa; si prenderanno in considerazione i luoghi : a causa (perché?), a loco (dove?), a tempore (quando?), a modo (come?), a facultate

665 Così A. TRAVERSI, La difesa, cit., 96. 666

Cfr. A TRAVERSI, ibid.

667 Cfr. A TRAVERSI, ibid. 668 Cfr. A. TRAVERSI, ibid. 669

Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid.

670

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(mediante, in forza di che cosa?)671.Gli argomenti non sono sconnessi tra di loro. Essi appaiono collegati sulla base di precisi schemi di

connessione, che agiscono sulla base di procedimenti di associazione (contraddizione, identità, transitività, parte/tutto,uguaglianza e

differenza, frequenza –successione/coesistenza– sul caso particolare/sull’analogia) o tecniche di rottura (dissociazione di nozioni che riguardano anche il discorso stesso)672.

2.9.4 L’ἐπίλογος o peroratio

«Una volta preparato l’ascoltatore per mezzo dell’exordium, esposto il fatto con la narratio, dimostrata valida l’accusa o la difesa tramite l’argumentatio, l’epilogus serviva all’oratore per accattivarsi definitivamente il favore del giudice per il buon esito della causa»673. Duplice è la sua ratio, fondata o sui fatti o sui sentimenti674. L’ἀνακεφαλαίωσις o enumeratio, utilizzata anche in altre parti del dibattimento o anche omessa675, è una delle parti dell’epilogo, necessaria al memoriam iudicis reficere nonché al ponere totam causam ante oculos676. Dopo l’analitico svolgersi dell’argumentatio si rende necessario fissare, brevemente e ἐπί κεφαλαίου, i punti fondamentali discussi ed eventualmente le soluzioni prospettate677. Nel riprendere questi fatti, tuttavia, non si deve né cadere nell’apatia

671 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid.

672 Cfr. B. MORTARA GARAVELLI, ibid., ove, riproducendo l’albero

perelmaniano degli schemi di connessione, individuerà ed illustrerà nel dettaglio li stessi; per cui, a tale sede si rimanda per un rapporto più approfondito.

673

Così L. CALBOLI MONTEFUSCO, Exordium, cit., 79 ss.

674 Quint. Inst. orat. 6.1.1. – Eius duplex ratio est, posita aut in rebus aut in adfectibus

675 Quint. Inst. orat. 6.1.8 – Ceterum illud constitit inter omnes, etiam in aliis parti bus actionis, si multiplex causa sit et pluribus argumentis defensa, utiliter ἀνακεφαλαίωσιν fieri solere, sicut nemo dubitaverit multas esse causas in quibus nullo loco sit necessaria, si breves et simplices fuerint.

676

Quint. Inst. orat. 6.1.1.

677

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di un’elencazione fine a se stessa, poiché nihil est odiosius recta illa repetitione velut memoriae iudicum diffidentis né annoiare oltremodo l’ascoltatore678

. Sarebbe, tuttavia, monca quella peroratio, soprattutto in Roma679, priva della «mozione degli affetti»680, per canalizzare indignazione verso la controparte e commiserazione verso la propria681. Non è errato ritenere l’epilogo come l’immagine speculare dell’exordium; è doveroso però, essere consapevoli delle differenze che intercorrono tra queste due parti del discorso682. Per prima cosa, proiettato verso vicende future, il proemio si distanzia per questo aspetto dall’epilogo, in cui si fa, invece, riferimento a cose passate683

. Per il «livello dei sentimenti»684, invece, gli aspetti di distanza si registrano non solo sotto il profilo dell’intensità di questi stessi ma anche sotto quello della λέξις: all’accorto atteggiarsi dell’oratore, che muove i primi passi nel proemio, si sostituisce la roboante amplificazione del πάθος nell’epilogo685

. L’εἶδος παθητικόν, e il πρακτικόν si spalleggiano in questa parte del discorso, divenendo parti fondamentali della stessa e rispecchiando la loro duplicità funzionale. L’articolarsi dell’ἀνακεφαλαίωσις è ordinato secondo il

678 Quint. Inst. orat. 6.1.2. v. anche L. CALBOLI MONTEFUSCO, ibid, la quale

afferma che, per ottenere una certa variatio nella ricapitolazione, si rende necessario «talora toccare isolatamente le singole argomentazioni, talora riprendere quanto era stato detto nella partizione, talora chiedere agli ascoltatori cosa si dovesse ancora loro dimostrare. Inoltre si poteva cominciare l’enumerazione dalla propria persona, ricordando cosa si era detto prima, oppure simulare di introdurre un’altra persona o addirittura una cosa a cui attribuire questo compito».

679 Cfr. R. BARTHES, La retorica, cit, 94 ss., il quale osserva che mentre in Grecia

viene imposto di fare silenzio all’oratore che fa « troppo e troppo a lungo vibrare la corda sensibile», a Roma, invece, l’avvocato può ‘esibirsi’ con maggiore libertà e fare così leva sulla sensibilità del suo uditorio.

680 Così B. MORTARA GARAVELLI, ibid. 681 Cfr. L. CALBOLI MONTEFUSCO, ibid.

682 Cfr. L. CALBOLI MONTEFUSCO, ibid., ove, efficacemente, si ricorda la

similitudine tra discorso e corpo umano; in senso cranio-caudale si hanno il capo (il proemio) e i piedi (epilogo), entrambe parti fondamenti e necessariamente presenti per scongiurare l’eventualità di un discorso ἀκέφαλος o ἀτελής.

683 Cfr. L. CALBOLI MONTEFUSCO, ibid. 684

Così R. BARTHES, ibid.

685 Cfr. L. CALBOLI MONTEFUSCO, ibid. ove, a ragione, si nota il riflesso che

tale circostanza ha sul profilo formale del discorso ossia «la necessità di servirsi nel proemio di uno stile conciso e serrato, nell’epilogo invece di un periodare spezzato e ricco di incisi».

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procedere delle argomentazioni trattate in precedenza mentre si parla di ἐπάνοδος quando si inverte la disposizione procedendo dalla fine e tornando indietro686. I loci caratterizzanti l’εἶδος παθητικόν sono l’indignatio (δείνωσις) e la conquestio (οἶκτος ἔλεος), che si servono, a loro volta, dei loci communes687 adoperati nell’argomentazione per puntare all’amplificatio; l’accusatore, nel tentativo di far diventare grandi le piccole cose, deve esagerare le colpe della controparte, mentre al difensore si riserva la extenuatio688.

Rhet. Her. 3.23 – Amplificatio est oratio, quae aut in iracundiam inducit aut ad misericordiam trahit auditoris animum

L’efficacia data dall’alternanza dell’uso di loci e figure può essere resa ancora più incisiva non solum autem dicendo, sed etiam faciendo689, ad esempio mostrando dismessi coloro che sono sotto processo o i loro cari, se ci si trova dalla parte della difesa, oppure

686 Cfr. L. CALBOLI MONTEFUSCO, ibid., la quale non tarda a riferire

l’interscambiabilità dei termini per alcuni autori.

687 Cfr. L. CALBOLI MONTEFUSCO, ibid. ove si enucleano puntualmente tali loci. Per coerenza con la scelta di fondo abbracciata in questa sede si riportano

quelli che trovano ospitalità nella Rhetorica ad Herennium; per il confronto con il

de inventione ciceroniano si rimanda al testo. Tra i dieci loci dell’indignatio si

ricordano: «1) quando ricordiamo l’autorità di coloro ai quali la cosa stava a cuore; 2) quando si indica, amplificando, chi riguarda il fatto in questione; 3) quando domandiamo cosa accadrebbe, se tutti facessero la medesima cosa; 4) quando si