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a.2 Non iure fecisti (κατάφασις);iure feci (ἀπόφασις);

ANTICA RETORICA FORENSE

2.9 Le parti del discorso

2.9.3. a.2 Non iure fecisti (κατάφασις);iure feci (ἀπόφασις);

iurne fecerit? (ζήτημα). L’individuazione del κρινόμενον

Molti sono i termini utilizzati per intendere il concetto di στάσις; si va dalle latinizzazioni status e constitutio fino al κεφάλαιον di Teodoro479, tuttavia vis eadem est480. «The status is the type of question arising for the judge out of the first confrontation between contradictory statements of the two parties with regard to the crux of the causa»481. Della definizione di status offerta da Quintiliano quando afferma: «Hermagoras statum vocat per quem subiecta res intellegatur et ad quem probationes482etiam partium referantur»483 si devono analizzare i diversi momenti484. Precisato che con l’espressione res subiecta vuolsi intendere la quaestio nella sua completezza, si capisce come questa venga a estrinsecare la definizione anche dal punto di vista dell’arbitre de la situation e non solo nell’ottica delle parti, come emerge, invece, dalla seconda parte

478 Cfr. L. C. MONTEFUSCO, ibid. 479

Cfr. L. C. MONTEFUSCO, ibid.

480 Quint. Inst. orat. 3.6.2 v. anche L. C. MONTEFUSCO, ibid. ove si giustifica

questa diversità di denominazione nella tendenza di alcuni di prediligere l’idea di scontro tra le parti, diversamente da altri che premiano l’identificazione funzionale dello status come sostegno della causa. V. anche M. ZANATTA, ibid., il quale nota che Ermagora non fu il primo ad utilizzare il termine στάσις in senso tecnico, in quanto lo stesso Quintiliano rimanda ad Eschine.

481 Così H. LAUSBERG, Handbook, cit., 42. 482

Cfr. L. C. MONTEFUSCO, ibid., la quale si sofferma incidentalmente su questo elemento, sottolineandone l’incongruenza. Precisato che nella Rhetorica ad

Herennium, come anche in Cicerone, si legge che una volta completato il

procedimento e essere arrivati alla iudicatio, ad accusa e difesa è lasciata la possibilità di argomentare sulla base di loci communes, a seconda del bisogno, si deve, però, escludere che Quintiliano intenda questi, pena l’errore di rapportarli allo status e non alla iudicatio (come deve essere).

483

Quint. Inst. orat. 3.6.21

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della definizione485. Entrambi i momenti possono ridursi ad unità, considerando la circostanza per cui le argomentazioni di accusa e difesa sviluppano, in senso opposto, il nucleo problematico la cui comprensione è indispensabile per discernere la natura della questione486. In soldoni, se dovessimo spiegare il concetto di status ad un bambino (prodigio senz’altro!) cosa diremmo? Lo status non è altro che il «nòcciolo della controversia»487. Perché lo status possa essere in grado di fare da sostengo ad una causa è necessario che siano integrate tutte le sue parti488. Il procedimento padre del κρινόμενον segue dei passi precisi: κατάφασις (intentio/accusatio)  ἀπόφασις (depulsio/defensio) - su queste prime fasi le fonti convergono-  αἲτιον (discorso dell’accusatore)  συνέχον (discorso del difensore) - secondo una prima ricostruzione di Agostino, Fortunazio, e gli Excerpta Rhetorica - ovvero ratio (l’accusato adduce giustificazioni alla propria azione)  infirmatio rationis (tentativo dell’accusatore di smontare la tesi avversaria) – secondo la ricostruzione di Quintiliano, Cicerone, Vittore, Cappella, Grillio e della Rhetorica ad Herennium - 489. Questo schema può essere studiato discernendo due momenti principali. Al primo momento possiamo ricondurre la formulazione dell’accusa (κατάφασις), la replica del reo (ἀπόφασις/depulsio) e lo ζήτημα ovvero la quaestio, originatasi dal loro insieme490. Il secondo momento, con le sue varie fasi, conduce verso il κρινόμενον (iudicatio), ciò su cui il giudice deve pronunciarsi491. Procedendo per gradi, innanzitutto, specifichiamo il rapporto che intercorre tra quaestio e status. Lo ζήτημα rappresenta ciò che si deve indagare (quaerere), punto di convergenza della discussione tra le parti,

485 Cfr. M. ZANATTA, ibid. 486 Cfr. M. ZANATTA, ibid. 487

Così R. MARTINI, ibid.

488 Cfr. L. C. MONTEFUSCO, ibid.

489 Cfr. G. CALBOLI, ibid. v. anche L. C. MONTEFUSCO, ibid. 490

Cfr. L. C. MONTEFUSCO, ibid.

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passibile di diverse formulazioni492. La chiave di volta è nel rapporto stretto che intercorre tra ζήτημα e αἲτιον, che sono i punti di contatto tra i due diversi momenti. La στάσις dello ζήτημα coincide con la στάσις dell’αἲτιον, che corrisponde al dire che:«se le causae sono di un certo tipo, hanno cioè un certo status, sarà del medesimo tipo e avrà dunque il medesimo status anche la loro conflictio, vale a dire la relativa quaestio. Ecco perché si può parlare indifferentemente di status causae o di status quaestionis»493. Lo ζήτημα, a sua volta, si origina dalla depulsio intentionis, evidenziando il ruolo fondamentale della difesa nella controversia494.

Quint. Inst. orat. 3.6.14 – Nullam esse litem, si is cum quo agatur nihil respondeat, ideoque fieri statum a respondente La conflictio causarum non può essere studiata, dunque, sotto un profilo di fissità, poiché ha nel suo corredo genetico il dinamismo conferito dalla tensione che parte dal punto di origine (depulsio intentionis) e conduce verso il punto di arrivo (quaestio)495. Tornando daccapo alla questione delle latinizzazioni del termine στάσις, si vedrà, ora, perché l’interscambiabilità dei termini status e constitutio è tutt’altro che un banale gioco di parole. «Ecco allora che quaestio e constitutio vengono a corrispondere, in quanto l’una (quaestio) dichiaratamente risultato della conflictio causarum, e ovviamente soggetta a variare a seconda che in base a questa o quella depulsio intentionis la conflictio portasse ad una sua diversa formulazione, l’altra (constitutio) consistente nella conflictio causarum stessa, ma in realtà determinata essa pure dalla depulsio intentionis, senza la quale appunto non potrebbe esserci conflictio»496. Si noti però che tale interscambiabilità non è

492

Cfr. L. C. MONTEFUSCO, ibid.

493 Così M. ZANATTA, ibid. 494 Cfr. L. C. MONTEFUSCO, ibid. 495

Cfr. L. C. MONTEFUSCO, ibid.

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sinonimia. I concetti vengono sì a corrispondere ma nel senso su mostrato; è possibile carpirne il rapporto e quindi la vicinanza concettuale, intendendola come convergenza verso un «significato razionalmente unitario»497. Alla stessa conclusione si giunge studiando la iudicatio (κρινόμενον). L’intero processo tende verso il κρινόμενον, concetto che richiama a sé lo scontro dibattimentale nella completezza dei suoi momenti, a tutti i livelli in cui prendono forma le ragioni di parte, compresa la loro valutazione498. In questi termini si percepisce, anche qui, lo svolgersi del significato secondo una matrice unitaria, che rimanda al concetto di status ma non coincide perfettamente con esso499.

2.9.3.a.3 Pensabilità di cause senza status. Il caso degli