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L'ordinamento dell'Unione Europea e le Golden Shares tra integrazione economica e interessi meritevoli di tutela

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Lo scopo di questa ricerca è quello di analizzare come la Corte di Giustizia dell’Unione Europea abbia risolto la que-stione della compatibilità con i Trattati di normative nazio-nali che conferiscono poteri speciali alle autorità pubbliche nell’ambito di imprese privatizzate (c.d. Golden Shares). Il quadro generale di riferimento è, infatti, quello delle priva-tizzazioni di imprese pubbliche operanti nei settori definiti di

public utilities, ossia dei servizi finalizzati al conseguimento

di un pubblico interesse, operato a partire dai primi anni ’90. Alcuni paesi membri dell’Unione Europea, infatti, al fine di tutelare gli interessi superiori che molto spesso si legavano a tali servizi, riconobbero alle amministrazioni statali, dei po-teri e delle prerogative speciali all’interno delle società og-getto di privatizzazione.

Tali poteri, perlopiù, erano collegati al possesso di un’azione simbolica, da cui appunto il termine Golden Shares (in ita-liano Azione Dorata), ma potevano essere conferiti agli Stati anche indipendentemente dalla stessa.

Dopo aver introdotto l’Istituto delle Golden Shares, il punto di partenza del presente lavoro sarà alla definizione della di-sciplina normativa in cui le stesse vengono inquadrate: si fa-rà riferimento a quei principi di libera circolazione su cui si fonda il mercato unico, pilastro dell’Unione Europea, che possono essere limitati dagli interventi statali, conseguenza delle Azioni Dorate.

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Ci si focalizzerà sul tema dei capitali e del Diritto di Stabi-limento in quanto principi maggiormente interessati dall’istituto in questione.

La ricerca, poi, continuerà con l’analisi delle vicende giuri-sdizionali che, nei primi anni duemila, hanno avuto ad og-getto le Golden Shares.

L’analisi si concentrerà in particolare sui profili su cui si è manifestata la maggiore divergenza tra la Commissione dell’Unione Europea, che ha promosso le varie procedure di infrazione, ed i paesi membri convenuti.

In primo luogo, dunque, l’elaborato si soffermerà sull’analisi dell’articolo 345 TFUE, in tema di regime di proprietà, e sull’ interpretazione proposta dall’AG. La questione è se questa disposizione può essere richiamata dagli Stati per giu-stificare il mantenimento di i poteri speciali conferiti dalle Golden Shares

In seguito, si approfondirà la differente qualificazione giuri-dica che viene data all’istituto in parola: dalla stessa infatti dipendono le “sorti”, in termini di legittimità o meno, delle Azioni Dorate.

Infine si esamineranno le cause di giustificazione, addotte dagli Stati convenuti, alle eventuali limitazioni alle norme del trattato che deriverebbero da legislazioni nazionali costi-tutive di Golden Shares.

Il filo conduttore di questa ricerca, oltre alla dialettica tra Commissione e paesi convenuti, è, come anticipato, la

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posi-zione di volta in volta espressa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Si vedrà come la Corte si sia sempre posta in continuità con la posizione espressa dalla Commissione e come abbia smontato, nei singoli casi, punto per punto, le tesi difensive dei paesi convenuti.

Proprio per questo, il lavoro si concluderà con l’analisi del c.d. Caso Belgio, ossia l’unico caso tra quelli sottoposti alla Corte di Giustizia, in cui la stessa ha ritenuto le Golden Shares legittime.

Questo lavoro evidenzierà in particolare la inusuale distanza tra la posizione espressa in alcuni procedimenti dall’Avvocato Generale e la Corte stessa, offerte dalla Corte nel rigettare le istanze degli Stati.

Scopo ultimo di questa tesi è proprio quello di tentare di di-mostrare che, nella risoluzione delle controversie ad essa sottoposte, la Corte di Giustizia si sia posta in continuità con la Commissione al fine di offrire un’interpretazione delle norme dei Trattati, funzionale allo sviluppo del mercato uni-co.

In altre parole, ciò che in quest’elaborato si tende a sostenere è l’intenzione, da parte di Corte di Giustizia e Commissione, di interpretare la vicenda delle Golden Shares in maniera tale da non interferire con il generale processo di privatizzazione e con la creazione di uno spazio economico comune, sacrifi-cando per ciò interessi pubblici spesso meritevoli di tutela.

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CAPITOLO I. Processi di privatizzazione:

la libertà di circolazione, lo stabilimento, i

movimenti di capitali e le Golden Shares

1.1 Le Golden Share e il processo di

priva-tizzazione in Europa.

Con l’espressione Golden Share, in un primo momento, ci si riferiva, in ambito societario, ad una posizione azionaria del Governo dalla quale scaturivano poteri che potevano essere esercitati per influenzare le scelte, in particolar modo quelle di carattere strategico, di un’azienda che aveva subito un processo di privatizzazione.

Pertanto si trattava di poteri che, a fronte di una minima quota azionaria, venivano attribuiti al governo che con gli stessi poteva mantenere il controllo o una forte influenza in imprese pubbliche (o a controllo pubblico), una volta che le stesse venivano poste sul mercato.

Inizialmente perciò detti poteri speciali che venivano riconosciuti alle amministrazioni pubbliche furono collegati al possesso di un minimo pacchetto azionario: molto spesso infatti erano connesse ad una azione speciale da cui il termine azione d’oro.

Col tempo, però, si è arrivati ad attribuire ai governi poteri speciali senza che ciò implicasse la detenzione di azioni o minime quote di capitali.

Quest’evoluzione dell’istituto in parola ha influenzato la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che è arrivata a

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definire Golden Share una qualsiasi struttura giuridica

applicabile alle singole imprese, che conserva o contribuisce a mantenere l'influenza dell'autorità pubblica su tali società.

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Da tale statuizione e dal generico richiamo a “qualsiasi struttura giuridica” da parte della Corte, nonché dall'analisi empirica delle sue manifestazioni, si conferma appunto quanto anticipato ossia, il carattere non unitario della Golden Share che, infatti, si concretizza ad oggi nelle due rappresentazioni di cui sopra.

Da una parte quella classica, data dal mantenimento da parte degli Stati di una azione (o partecipazione azionaria) simbolica (in Inghilterra ad esempio del valore di una sterlina) che conferisce agli stessi ampi poteri in termini di scelte strategiche, di gestione e di formazione della compagine societaria.

In tale prospettiva si comprende che il carattere di specialità di tale posizione è dovuto alla sproporzione che si viene a creare tra partecipazione azionaria residua, e quindi del capitale sociale ancora in mano allo Stato, e il potere che da essa deriva.

In poche parole in tal caso si dà la possibilità agli enti pubblici che si trovano, appunto, in una posizione di specialità rispetto agli altri azionisti, di influenzare profondamente l'assetto proprietario ed il normale processo

1 B. NASCIMBENE, Norme nazionale sulle Golden Share e diritto comunitario, in Corriere Giuridico, 8/2009, pg.1017

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decisionale della società nonostante gli stessi non detengano più una partecipazione di maggioranza.

La seconda declinazione delle Golden shares è quella che è stata seguita inizialmente in Italia con la legge 474/94, ossia l'attribuzione di poteri speciali che permettessero di influenzare la vita della società ormai privatizzata senza che lo Stato mantenesse alcuna partecipazione azionaria all'interno della suddetta.

Quindi se nel primo caso si aveva una sproporzione, qui si è dinanzi ad una forma di controllo esterno ed indipendente dall’effettiva partecipazione al capitale della società non riconducibile alle Golden Shares strictu senso.

Il termine azione dorata qui può essere richiamato, come sopra specificato, solo in senso atecnico mancando appunto la proprietà anche di una sola azione.

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Diversa la declinazione dei poteri speciali, diversa è la modalità con la quale gli stessi possono essere concessi: accanto a poteri attribuiti al possesso di un'azione speciale si vede come gli stessi possono essere conferiti agli Stati direttamente per il tramite di specifici atti legislativi di privatizzazione o attraverso disposizioni legislative che li vanno ad inserire all'interno degli statuti societari.

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Riguardo ai poteri che concretamente si legano alle Golden

2 F. DAL POZZO, Golden Share: uno strumento inadeguato per la tutela di interessi (talvolta) meritevoli, in Contratto ed Impresa, 2/2009, pg.824.

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Shares occorre sottolineare che non vi è uniformità ed omogeneità tra gli Stati membri.

Nonostante ciò è però possibile, passando in rassegna le differenti legislazioni nazionali ed i casi sottoposti alla Corte, suddividere tali prerogative in quattro

diverse tipologie.

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Nella prima sono disciplinati poteri di opposizione all'acquisto di azioni o di partecipazione azionarie.

Nella seconda tipologia si prevedono poteri di opposizione e di veto ad alcune decisioni del consiglio di amministrazione o dell'assemblea, sia essa ordinaria o straordinaria, in materie di importanza cruciale per le società privatizzate, quali ad esempio: cessioni, fusioni, trasferimenti e scioglimenti.

Terzo tipo di poteri sono quelli che concernono il diritto di nomina di membri del consiglio di amministrazione o comunque degli organi di gestione societari, al quale si lega anche il diritto di veto riguardo alla nomina di altri membri. Infine si trova come quarta categoria di poteri quella del controllo amministrativo su determinate operazioni ed atti di gestione della società.

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A seguito della comprensione sia delle categorie che delle tipologie di Golden Share, è possibile analizzare il tipo di

4 T. BALLARINO, L. BELLODI, Op. Cit.

M. DI LUPO, Le Golden Shares e l’evoluzione dell’intervento pubblico nell’economia e nel diritto dell’Unione Europea, Tesi di Laurea in Diritto dell’Unione Europea, LUISS 2012, www.luiss.it.

5 Per l’analisi approfondita delle diverse rappresentazioni dei poteri speciali si rimanda al capitolo II del presente lavoro.

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influenza che tali poteri speciali garantiscono agli Stati. Anche in relazione agli obiettivi perseguiti dagli Stati si può operare una distinzione.

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Da una parte, mediante l'attribuzione di poteri di opposizione alle acquisizioni o cessioni e di poteri di controllo amministrativo, si consente allo Stato di influenzare fortemente la compagine azionaria e dunque l'assetto della proprietà della società.

Finalità ultima di tali poteri è quella di contrastare scalate che per svariati motivi risultino essere non gradite (ad esempio perché effettuate da fondi sovrani, da società pubbliche e non di altri stati indesiderate o da società legate a gruppi terroristi) plasmando così, la platea degli azionisti sulla base della volontà statale.

Dall'altra, mediante poteri di nomina di componenti degli organi societari ed il veto su decisioni fondamentali, si permette allo Stato di influenzare fortemente la gestione e l'operato della società facendo prevalere, su quelli privati, interessi pubblici spesso non economicamente apprezzabili. Infatti spesso i poteri e l'influenza esercitata dalle Autorità nazionali si concretizza in scelte che non seguono la logica di mercato e la logica del profitto, seguite normalmente dagli azionisti.

Storicamente la nascita e l'evoluzione delle Azioni Dorate

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(in inglese Golden Shares, in francese Action Specifique) trova la sua ragion d'essere nel generale processo di privatizzazione che investì l’Europa sul finire degli anni '70 traendo origine da una inversione della politica economica del governo laburista inglese

Sono però due i fattori che concretamente portano a compimento tale processo.

Da una parte il governo britannico di Margaret Thatcher che, succeduto a quello laburista agli inizi degli anni '80, fece delle privatizzazioni il fulcro del proprio programma economico, trasformando l'economia inglese nel modello imitato dagli altri Stati membri.

Dall'altra parte un contributo fondamentale è stato dato, nel 1989, dalla caduta del muro di Berlino, e quindi del blocco sovietico, alla quale è conseguita la successione al modello comunista del modello capitalista che qui trovava, specialmente nei primi periodi, la sua declinazione più “violenta” ed estrema.

Secondo vari analisti

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sono molte le motivazioni che sono alla base di questo fenomeno: inadeguatezza dello stato e del diritto pubblico nel rispondere ai nuovi compiti emergenti; necessità di porre un freno alla politicizzazione;

7 S. CASSESE, Le privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato, in Riv.It.Dir.Pubbl.Comunitario, 1996, pg.579

S.DE VIDO, La recente Giurisprudenza comunitaria in materia di Golden Shares: violazione delle norme sulla libera circolazione dei capitali o sul diritto di stabilimento ?, in Dir.Comm.Int, 2007, pg.861

R. GAROFOLI, Golden Shares e Authorities nella transizione dalla gestione pubblica alla regolazione dei servizi pubblici, in Riv.it.Dir.Pubbl.Comunitario, 1998, pg.159

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avanzamento e progresso delle tecnologie; necessità di evitare il sovraccarico dello stato; finanziare lo stato in risposta al deficit pubblico; realizzazione di un libero mercato interno all'Unione Europea.

Riguardo a quest'ultima infatti, se da una parte è vero che nella normativa dell’Unione Europea, ai sensi del 345 TFUE, si lasciano impregiudicati i regimi giuridici in tema di proprietà degli Stati membri, dall'altra è altrettanto vero che la privatizzazione è al contempo causa e conseguenza della creazione del libero mercato.

La creazione di uno spazio economico comune, con condizioni di libera concorrenza tra le imprese e che permettesse di ravvicinare le condizioni di scambio dei prodotti e dei servizi, rappresentava il tentativo di fronteggiare il fallimento dei vari progetti di integrazione europea che si susseguirono dall'immediato dopoguerra, diventando uno dei obiettivi promossi dall'art.3 del Trattato sull'Unione Europea.

Dopo l'insuccesso di politiche integrative di più ampio respiro, basti pensare alle CED

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,e sulla scorta della CECA, la strada percorsa fu proprio quella di un’integrazione di tipo funzionalistico, incentrata prettamente sul piano economico, anche se con chiare finalità politiche.

La strada intrapresa dalle Istituzioni Europee per

8 La Comunità Europea di Difesa prese il via da una proposta del ministro degli esteri italiano Sforza ed era finalizzata alla creazione di un esercito comune europeo. Naufragò a causa del delicato equilibrio internazionale del momento tra cui la mancata partecipazione della Germania ed un attenuarsi del conflitto con l'U.R.S.S., dovuto alla morte di Stalin.

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raggiungere tale obiettivo, fu, da un lato, appunto, quella di promuovere, sia a livello comunitario che a livello nazionale, deregolamentazioni in vari settori del mercato e privatizzazioni di varie società che vi operavano.

Ora, partendo dal presupposto che entrambi sono attinenti soprattutto a settori ed ambiti di pubblica utilità, va sottolineato come tali due processi, se pur spesso connessi tra loro, rappresentano in realtà due aspetti diversi del concetto generale di apertura dei mercati.

Per deregolamentazione, si intende quel processo, figlio della c.d. scuola di Chicago, per cui i governi e gli Stati eliminano le restrizioni e cessano i controlli su settori di mercato che così diventa un organo autoregolatore.

Dunque la finalità ultima della deregolamentazione è quella di raggiungere, tramite un minor numero di regole operanti in un dato settore, un livello di concorrenza maggiore e conseguentemente, maggiore produttività, minori costi e maggiore efficienza.

Per privatizzazione, invece, si intende sia il passaggio di proprietà di un ente o di un’azienda statale ad un soggetto privato, sia l’apertura di settori di mercato appannaggio di operatori pubblici, ad attori privati.

Dall’altro lato, a livello normativo, la creazione di un libero mercato interno fu perseguita con l'introduzione delle quattro libertà ad esso funzionali nel Trattato che istituisce la Comunità Europea di Roma del 1951: libertà di circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi.

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Infatti, all'interno dell’articolo 26.2 del TFUE, dopo che al comma 1 del medesimo articolo ed all'art.3 la costituzione dello stesso è definita come uno dei compiti dell'Unione, si ribadisce che il mercato interno comporta uno spazio senza

frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati.

Detto orientamento generale di apertura dei mercati, è inoltre confermato anche da una parte di Dottrina: se da un lato Davies

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sostiene che vi è un'intensa pressione sugli Stati verso una generale deregolamentazione dei mercati, dall'altro il professor Devroe

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, nello specifico, arriva a sostenere che un numero crescente di leggi europee primarie

e secondarie incitano, se non forzano, le privatizzazioni statali

Per giunta le Istituzioni Comunitarie, con siffatta posizione favorevole ad una generale liberalizzazione dei mercati, si pongono in continuità con una tendenza riscontrabile anche a livello globale: altri organismi internazionali, quali Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, hanno infatti avuto un ruolo decisivo nella privatizzazione di società operanti in settori energetici, in vari paesi in via di sviluppo. Anche se, in tali ambiti, la finalità non era chiaramente

9 G. DAVIES European Union Internal Market Law, Cavendish Publishing Edition, 2003 pg. 92

10 W. DEVROE Privatisation and Community Law: Neutrality versus Policy, in Common Market Law Review 1997, pg. 289

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quella di avvicinare tra di loro diversi Stati creando uno spazio economico comune, bensì quella di permettere a società multinazionali ed a investitori stranieri di operare in tali mercati.

E’importante, dunque, chiedersi in che misura le Golden Shares nella logica in cui sono nate e nelle diverse modalità nelle quali si concretizzano all’interno degli Stati membri, rispettino la normativa europea, in ambito soprattutto delle libertà di circolazione.

In altre parole è importante comprendere se vi possa essere una compatibilità tra le normative di cui al TFUE in tema di creazione di un mercato finanziario interno agli stati europei e le Golden shares che tutelano piuttosto finalità di interesse pubblico e generale interne a detti stati.

Tale comprensione passa, nella ricostruzione, appunto, del panorama politico-giuridico in cui privatizzazioni ed Azioni Dorate hanno trovato dimora, dall’analisi analitica delle libertà fondamentali di cui al TFUE, ponendo particolare attenzione su quelle che maggiormente sono interessate dalla disciplina delle Golden Shares ossia libertà di circolazione dei capitali e Diritto di Stabilimento.

Giova infatti anticipare, che ciò che ha portato la Commissione a promuovere, ai sensi dell'articolo 258, procedure di infrazione contro gli Stati e ad adire alla Corte di Giustizia è stata una paventata, e nella maggior parte dei casi acclarata, limitazione della libera circolazione dei capitali e del diritto di stabilimento individuando in questi

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i principi influenzati dalle Golden Shares.

1.2 Le quattro libertà fondamentali. La

li-bertà di circolazione delle merci.

La libertà di circolazione delle merci costituisce il pilastro su cui storicamente le Istituzioni Comunitarie hanno costruito il mercato interno

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.

Lo scopo di tale previsione era quello di impedire l'adozione di misure di qualsivoglia tipo e/o natura capaci di rendere più difficili gli scambi commerciali tra i paesi membri dell'Unione Europea, ergo ad impedire che politiche interne volte a regolamentare il mercato o a perseguire altre finalità degne di tutela, potessero minare la costituzione del libero mercato interno.

La disciplina della libera circolazione delle merci trova come punto di partenza il concetto stesso di merce, che non si ri-trova e non è definito all'interno dei Trattati bensì è stata og-getto di una specificazione da parte della Corte di Giustizia. Occasione di tale chiarimento fu il procedimento

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intentato dalla Commissione contro il nostro paese nel 1968 avente ad oggetto la legge 1 giugno 1939 in tema di esportazione di beni aventi valore artistico, storico, archeologico o etnogra-fico.

11 Codice dell’Unione Europea esplicato, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 2014;

12 Commissione dell’Unione Europea c. Repubblica Italiana, 10 Dicembre 1968, C.7/68, Raccolta I-00562;

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Materia del contendere era la previsione della c.d. Tassa progressiva, ossia una tassa di esportazione, che veniva ap-plicata quando tali beni venivano venduti in paesi diversi dal nostro.

Dalla sentenza di condanna nei confronti del nostro paese si evince che nel concetto di merce rientrano tutti i prodotti scettibili di una valutazione in denaro e, per ciò stesso, su-scettibili di essere oggetto di una transazione commerciale, ad esclusione di prodotti che riguardano la sicurezza che piuttosto sono sottoposti di cui alla normativa dell'articolo 346 TFUE.

Dunque si capisce che, così formulato, il concetto di merce è molto ampio, sino a ricomprendere beni quali i rifiuti o le ri-sorse naturali, in quanto appunto suscettibili di una valuta-zione economica.

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Una volta dato per assodato ciò, dalla lettura degli articoli del Trattato inerenti a tale materia

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, si capisce che la libertà di circolazione delle merci si concretizza in tre direzioni dif-ferenti.

In primo luogo si vede come l'articolo 30 instauri un regime di Unione Doganale che comporta che [...]i dazi doganali

all'importazione o all'esportazione o le tasse di

13 F. MARTINES, Il mercato interno, raccolta di giurisprudenza commentata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Maggioli, 2014, pp. 7-8;

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effetto equivalente sono vietati tra gli Stati

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[...] laddove

piuttosto i dazi della tariffa doganale comune, ossia la tariffa doganale esterna verso i paesi terzi, sono stabiliti, tenendo a mente i criteri di cui all'articolo 32, dal Consiglio su propo-sta della Commissione (Art.31).

Tale divieto ha valenza generale ossia colpisce tutte le impo-sizioni fiscali a prescindere da quale sia lo scopo prefisso, discriminatorio o protezionistico, e dalle modalità con le quali vengono attuate e rappresenta uno dei principi fonda-mentali per la creazione del libero mercato interno in quanto presupposto imprescindibile per la fusione dei vari mercati nazionali in un unico mercato comune.

A fianco a tale previsione, che aveva valenza per gli scambi transfrontalieri, va collocato un ulteriore intervento legislati-vo inerente alla libera circolazione delle merci in materia fi-scale, che si trova, non nel Titolo II dove erano collocati i precedenti, bensì nel Titolo IV dedicato alle “Norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni”.

Gli articoli 110 e 111 del TFUE infatti si occupano di elimi-nare qualsiasi ostacolo e distorsione alla concorrenza ed alla libera circolazione delle merci, possa arrivare dalle norme fi-scali dei singoli Stati Membri.

15 La Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza Steinke 22 marzo 1977, ha avuto modo di specificare che cosa si intenda per tassa di effetto equivalente, identificando nella stessa ogni onere pecuniario imposto unilateralmente che colpisce le merci in ragione del fatto che varcano la frontiera

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Dal testo dell’articolo 110 si ricavano due differenti prescri-zioni.

Al primo paragrafo si pone il divieto di imposizioni interne a beni importati dall’estero, superiori o differenti a quelle pre-viste per le merci nazionali.

Tale prescrizione ha una funzione antidiscriminatoria tesa ad impedire che gli Stati applichino a prodotti provenienti da al-tri stati membri, imposte più alte o diverse rispetto a quelle applicate ai c.d. prodotti nazionali similari ossia prodotti che per tecniche di produzione, usi e finalità a cui rispondono sono simili a quelli importati.

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Al secondo paragrafo invece si dispone il divieto di imposi-zione interne intese a proteggere altre produzioni.

Questa seconda prescrizione, piuttosto, tende ad avere una funzione antiprotezionistica ossia ad impedire che siano pre-viste delle imposte per prodotti provenienti dai paesi mem-bri, in concorrenza con quelli interni, ossia in una posizione di sostituibilità parziale o completa, al fine di favorire questi ultimi.

Per quanto invece attiene all’articolo 111, al suo interno si prescrive un divieto di ristorni per le esportazioni di beni di cui possano beneficiare i prodotti nazionali nel momento in cui varcano la frontiera.

16 A.M. CALAMIA, Manuale breve di Diritto Comunitatario, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pg. 130.

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Si evince subito quale sia la differenza sostanziale tra queste e le previsioni di cui sopra relative agli scambi transfronta-lieri.

Infatti mentre il divieto di dazi doganali risulta avere un va-lore assoluto e quindi essere relativo a tutti i beni provenienti e circolanti tra gli Stati membri, qui la prescrizione riguarda solamente le disposizioni fiscali che abbiano un carattere di-scriminatorio e la finalità di porre in posizione vantaggiosa le merci nazionali rispetto a quelle estere.

Anche in quest’ambito più squisitamente interno agli stati, riallacciandosi al tema della cooperazione doganale a livello europeo (vedi infra), l'intervento legislativo non si limita a prescrizioni che possano avere valore ed essere relative al rapporto tra gli stati, in quanto tende anche a prevedere mi-sure da assumere in ambito europeo.

Nell'articolo 112 infatti si prevede che per quanto riguarda imposte diverse da quelle sulla cifra di affari, sul consumo e quelle dirette, si possono prevedere ristorni e compensazioni alle importazioni provenienti dagli Stati membri laddove tali misure siano state approvate dal Consiglio dopo essere state discusse e proposte dalla Commissione.

Il contenuto dell'articolo 113 poi, è ancora più orientato a promuovere un intervento a livello europeo in tema fiscale in quanto prevede che il Consiglio, dietro proposta del Parla-mento Europeo e sentito il Comitato economico e sociale adotta tutte le armonizzazioni sulla cifra di affari, sulle im-poste al consumo e sulle imim-poste indirette, laddove tali

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ar-monizzazioni risultino necessarie alla creazione di un libero mercato interno.

Il secondo principio, sempre in ambito fiscale, caratterizzan-te la libera circolazione delle merci è quello che si trova all'interno dell'articolo 33 ed è rappresentato appunto dall'a-dozione di misure volte a rafforzare la cooperazione dogana-le tra gli stati membri e tra gli stati membri e dogana-le istituzioni europee, Commissione in primis.

Tale cooperazione doganale è intesa sia come rimozione de-gli ostacoli e delle formalità doganali tra de-gli Stati membri sia come necessità, insieme anche alle istituzioni dell’Unione Europea, di aumentare i controlli al fine di prevenire l'in-gresso nel mercato libero comune, di merci illegali, dannose o pericolose.

Il terzo pilastro della libertà in parola è rappresentato dal di-vieto di restrizioni quantitative tra Stati membri.

La previsione di tale divieto la si ritrova nell'articolo 34 che vieta qualsiasi restrizione quantitativa alle importazioni e nell'articolo 35 che invece vieta qualsiasi restrizione quanti-tativa alle esportazioni tra Stati membri.

Dunque si capisce che la creazione del mercato unico euro-peo per il tramite della libera circolazione delle merci, non si persegue solo in ambito fiscale, portando avanti la coopera-zione doganale tra gli Stati ed eliminando i dazi, ma anche eliminando qualsiasi limitazione alle quantità di merci che possono entrare od uscire da tali Stati.

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Al fine di rendere la prescrizione maggiormente efficace, il legislatore comunitario, sia per quanto riguarda le importa-zioni sia per quanto riguarda le esportaimporta-zioni, prescrive che ad essere vietate non sono solo le restrizioni quantitative in quanto tali bensì anche le misure di effetto equivalente. La definizione di misura di effetto equivalente, in mancanza di disposizioni in tal senso nel Trattato, ha costituito, nell’evoluzione della normativa all’uopo, un problema rile-vante, risolto sia da strumenti normativi europei sia dalla giurisprudenza formatasi in materia.

Da una parte infatti la Commissione con la Direttiva 70/50 del 1969 ha riconosciuto in tali misure ogni disposizione le-gislativa, regolamento o atto pubblico che abbia effetti re-strittivi (seppur non discriminatori) sulla circolazione delle merci e che perciò costituisca un ostacolo alle importazioni rendendole più onerose rispetto alla produzione nazionale. Da parte sua, piuttosto, la Corte ha in primis avuto modo, nella sentenza Dassonville

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, di definire misura di effetto equivalente ogni regolamentazione commerciale suscettibile di impedire direttamente o indirettamente, attualmente o po-tenzialmente il commercio tra Stati,

Oggetto della controversia era la compatibilità con i principi del Trattato in tema di libera circolazione delle merci, della normativa belga che imponeva la certificazione di origine sui prodotti importati.

17 Procureur du Roi c. Benoît e Gustave Dassonville, 11 Luglio 1974, C.8/74, Raccolta I-00837;

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Tale certificazione poteva essere facilmente ottenuta dagli importatori diretti per effetto del contratto, di esclusiva o meno, che avevano con i produttori mentre era difficile da ottenere per coloro che acquistavano il medesimo bene non direttamente bensì da commercianti che si trovassero in stati membri diversi da quello di produzione.

Tutto ciò creava, come effetto diretto, una maggiore difficol-tà di commercializzazione del bene, e dunque de facto una restrizione quantitativa, da parte di coloro che non operava-no in sinergia con i produttori, e come effetto indiretto, il mantenimento di una posizione privilegiata per coloro che avevano contratti di esclusiva.

La Corte arrivò a negare la legittimità della normativa na-zionale in quanto, ogni previsione che rendesse maggior-mente gravosa la circolazione delle merci tra gli stati mem-bri (in questo caso la richiesta di un certificato di origine) era da ritenersi in contrasto con il Trattato.

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La stessa Corte di Giustizia Dell’Unione Europea, in un se-condo momento, ebbe poi modo di specificare, nella senten-za Cassis de Dijon

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, che anche gli ostacoli tecnici integrano tale definizione di misura di effetto equivalente.

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18 In questo caso oltretutto, avendo a che fare con importatori esclusivi, altro non si faceva che limitare la concorrenza in favore di una posizione monopolistica degli stessi

19 Rewe-Zentral AG c. Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, 20 febbraio 1979, C.120/78 Raccolta I-00649;

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Laddove, appunto, per ostacolo tecnico agli scambi si

inten-de una regolamentazione interna agli stati in tea di fabbri-cazione, composizione, confezionamento ed etichettatura dei prodotti che ostacola la libertà di circolazione delle merci

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.

Il legislatore comunitario, nel riconoscere tali divieti di re-strizione, ha però al contempo tenuto conto dell'esigenza di tutelare anche degli interessi superiori rispetto alla creazione del mercato unico, indicandoli nell'articolo 36 e prevedendo che al cospetto degli stessi i divieti e le restrizioni alle im-portazioni ed alle esim-portazioni previste singolarmente dagli Stati membri non sono pregiudicati da quanto previsto dagli articoli 34 e 35.

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Si fa riferimento qui ad interessi quali la moralità pubblica, la pubblica sicurezza e sanità, la tutela del patrimonio artisti-co e del patrimonio vegetale.

A fianco a tali motivazioni identificate direttamente dal Trat-tato, e dal contenuto circoscritto, occorre sottolineare che la libertà di circolazione delle merci può essere legittimamente limitata anche per motivi imperativi di interesse generale (c.d rule of reason), la cui individuazione è opera della Cor-te.

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21 Procureur du Roi c. Benoît e Gustave Dassonville, 11 Luglio 1974, C.8/74, Raccolta I-00837; A.M. CALAMIA, V. VIGIAK, Op. Cit, pp.132-133

22 Chiaramente tali interessi non possono essere valutati in maniera completamente discrezionale dagli stati, oltre al fatto che il richiamo agli stessi non può dissimulare una misura restrittiva in quanto qui ci troveremmo dinanzi ad una misura equivalente che in quanto tale risulta vietata.

23Tra le esigenze imperative contemplava l'efficacia dei controlli fiscali, la protezione della salute pubblica, la lealtà dei negozi commerciali e la difesa dei

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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza Cassis de Dijon, ha anche avuto modo di sottolineare con certezza che tali motivi imperativi, che formano un catalogo di eccezioni ostative diverso ed aggiuntivo da quello previsto dal Trattato, possono essere alla base di una deroga alle li-bertà di circolazione solo laddove le misure adottate a tutela degli stessi siano necessarie e proporzionali: ossia non devo-no andare oltre lo strettamente necessario e devo-non devodevo-no esse-re sostituibili con misuesse-re meno esse-restrittive della libertà in og-getto.

24

Sempre secondo la giurisprudenza Cassis de Dijon

25

inoltre, i motivi imperativi di interesse generale potevano essere in-vocati solo in settori in cui l’Unione non sia intervenuta con misure di armonizzazione e solo a giustificazione di misure indistintamente applicabili, mentre quelli delineati dall’articolo 36 de TFUE potevano essere invocati anche per giustificare misure discriminatorie che prevedevano un re-gime differenziato tra i prodotti nazionali e quelli stranieri. Nei confronti di tale posizione, in dottrina, non si è avuta una interpretazione univoca: da un lato

26

chi avalla la

consumatori. Tuttavia, tale catalogo è stato ampliato nel tempo, arrivando ad inglobare anche altri interessi di carattere generale quali, ad esempio, la tutela dell'ambient

24S. CECCARINI, Le restrizioni alla libertà di stabilimento ed i motivi imperativi di interesse generale con particolare riferimento ai regimi di previa autorizzazione am-ministrativa: evoluzione giurisprudenziale e normativa, Roma, 2014, Master di Dirit-to Europeo.

25 Rewe-Zentral AG c. Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, 20 febbraio 1979, C.120/78 Raccolta I-00649, punto 12;

(24)

zione prospettata dalla Corte, dall’altro

27

, chi considera le esigenze imperative come un ampliamento giurisprudenziale dell’articolo 36 e dunque invocabili anche nei confronti di misure c.d discriminatorie (o distintamente applicabili). Nella sua giurisprudenza più recente la Corte sembra avalla-re tale secondo orientamento: in avalla-recenti pronunce

28

ha giusti-ficato misure distintamente applicabili alla luce della Rule of reason evidenziando un'attenuazione delle distanze fra le esigenze imperative e i motivi di deroga di portata generale di cui all'art. 36 TFUE.

1.2.1 La libertà di circolazione delle persone.

La libertà di circolazione delle persone, oltre ad essere uno dei concetti generali su cui si costituisce l’Unione Europea, è forse quella che ha avuto il percorso evolutivo più interes-sante.

In un primo momento infatti la libertà di spostamento all’interno dei paesi membri era subordinata alla prestazione di un’attività lavorativa autonoma o dipendente, avendo

Magistrali, Università degli studi Suor Orsola Benincasa, Facoltà di Giurisprudenza, Editoriale scientifica, n. 52, 2012, pg.20;

27 P. OLIVER – M. JARVIS, Free movement of goods in the European Community, IV edizione, Sweet & Maxwell, 2003, p. 217.; L. KRÄMER, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, III edizione, Giuffré Editore, 2002, pg. 176.

28 Aher-Waggon GmbH c. Bundesrepublik Deutschland, 14 luglio 1998, C-389/96.Raccolta I-04473;

PreussenElektra AG c. Schhleswag AG,sentenza 13 marzo 2001, C-379/98. Raccolta I-02099;

Essent Belgium NV contro Vlaamse Reguleringsinstantie voor de Elektriciteits- en Gasmarkt, 11 settembre 2014, cause riunite C-204/12 e C-208/12, Raccolta I-00587;

(25)

dunque a riguardo la persona considerata come fattore eco-nomico.

29

Nonostante la disciplina originaria fosse incentrata sugli spostamenti economicamente rilevanti, nel corso degli anni la Corte ha progressivamente consentito la libera circolazio-ne alla quasi totalità delle persocircolazio-ne che hanno cittadinanza europea.

La giurisprudenza della Corte ha infatti ampliato il più pos-sibile la sfera dei soggetti ammessi a beneficiare di tale liber-tà conseguendo questo risultato interpretando estensivamen-te le caestensivamen-tegorie di persone indicaestensivamen-te dal Trattato, ampliando il concetto stesso di attività lavorativa ed introducendo altre categorie di persone non espressamente menzionate.

30

E così si è potuto riconoscere tale diritto non solo a chi pre-stava attività lavorativa, bensì anche a coloro che erano alla ricerca di impiego, oppure agli studenti che compivano spo-stamenti finalizzati alla formazione professionale.

A supporto della perdita del carattere economico di tale pre-visione, si sono aggiunti importati interventi di diritto deri-vato: con tre direttive del 1990

31

si è finito col riconoscere un diritto di soggiorno generalizzato ossia un diritto a circolare anche in assenza di attività lavorativa.

29 G. STROZZI, Diritto dell’Unione Europea. Parte Speciale, Giappichelli Editore, Torino, 2010;

30 G TESAURO, Diritto Dell'Unione Europea, VII ed. Cedam, Padova, 2012, pg.447.

(26)

A conclusione di tale percorso, la Direttiva 2004/38 ha ra-zionalizzato e semplificato i precedenti atti giuridici dell’Unione Europea, che trattavano separatamente le varie figure lavorative, disciplinando un generale diritto di sog-giorno di durata indeterminata di cui possano beneficiare non solo i lavoratori ma tutti i cittadini europei (ossia coloro che hanno la cittadinanza in uno Stato Membro, alla quale ai sensi dell'articolo 20 TFUE si aggiunge quella Europea) che abbiano risorse sufficienti e un’assicurazione malattia.

Finalità di tale previsione è quella di riconoscere a tutti i Cit-tadini il diritto a non essere discriminati rispetto ai CitCit-tadini dello Stato Membro in cui si trovano.

32

La libertà di circolazione delle persone, dal canto suo, è for-se tra le quattro quella di maggior rilievo, e questo per due motivi.

Da una parte perché è quella maggiormente funzionale alle altre libertà fondamentali: se infatti è vero che l'avvento dell'informatica ha modificato molto il modo di fare econo-mia rendendo spesso superflua la presenza fisica degli opera-tori, è altrettanto vero che sopravvive il commercio “tradi-zionale” in cui tale presenza è necessaria.

E la possibilità di spostarsi facilmente, senza particolari for-malità ed in una posizione di parità con i cittadini interni, è ancora più necessaria oggi, in un’economia fortemente glo-balizzata.

32 Si fa qui riferimento in particolar modo alla Direttiva 2004/38 CE ed al concetto di Cittadinanza Europea confluito all'interno della Costituzione Europea.

(27)

Esulando dall'aspetto puramente economico, la libertà di cir-colazione delle persone è, dall'altra parte, importante in quanto è ciò che maggiormente permette un’integrazione tra i popoli degli Stati membri: basti pensare alle facilitazioni in tema di viaggi, di studio all'estero ecc.

Eliminando i controlli alle frontiere e snellendo le procedure di permanenza di un cittadino membro nel territorio di un al-tro Stato, ma soprattutto eliminando gli elementi di disparità, si è raggiunto quel sentimento di fratellanza sostenuto dai padri fondatori dell'Unione Europea.

Quindi, in altre parole, riconoscendo tale libertà, si riesce a soddisfare sia l'aspetto umano sia l'aspetto prettamente fun-zionalistico, ed in chiave economica, dell'integrazione euro-pea.

La base giuridica di tale previsione la si ritrova negli articoli 3 par. 2 del Trattato sull'Unione Europea, in cui ci si prefig-ge come obiettivo l'offrire [...]uno spazio di libertà,

sicurez-za giustizia sensicurez-za frontiere interne ed in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone, e nell'articolo 45 del

TFUE ( ex art.39 del TCE) in cui si riconosce che la libera

circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicu-rata implicando ciò [...] l'abolizione di qualsiasi discrimina-zione fondata sulla nazionalità[...].

Questo si traduce nella necessità di garantire l'eguaglianza, da una parte, sul piano lavorativo

33

e commerciale, dall'altra,

33 Occorre però sottolineare che per espressa previsione del TFUE di cui all'art.45.4, la normativa in questione non si applica agli impieghi nella pubblica amministrazione

(28)

sul piano riconoscimento dei diritti civili e dell'accesso ai servizi.

Tale garanzia si concretizza inoltre, sulla scorta sempre dell'articolo 45 del TFUE, nel divieto di discriminazione, siano esse dirette, cioè fondate sulla nazionalità del soggetto, siano esse indirette ossia fondate su elementi diversi dalla nazionalità ma comportanti comunque un trattamento meno favorevole per il cittadino di uno Stato membro diverso da quello in cui si trova.

Va d'altronde sottolineato che, come del resto accade anche per le altre libertà, anche quella di circolazione delle persone è sottoposta a tre limiti: per motivi di ordine pubblico, pub-blica sicurezza e sanità pubpub-blica.

Tali motivi di restrizione però non possono essere soggetti ad una valutazione completamente discrezionale dovendo piuttosto, concetto che tornerà spesso in tema di capitali ed in tema di validità delle Golden Shares, essere utilizzati di-nanzi ad una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale.

Proprio per questo nel corso degli anni si sono moltiplicati gli interventi legislativi, tra cui a stessa Direttiva 2004/38/CE, volti a dare maggiore spessore e certezza a tali limitazioni, diminuendo così la percentuale di discrezionali-tà.

34

in quanto l'esercizio di tali poteri, essendo considerato strettamente collegato agli interessi di un paese, richiede il requisito della cittadinanza.

34 G. STROZZI, Diritto dell’Unione Europea. Parte Speciale, Giappichelli Editore, Torino, 2010;

(29)

Dunque nell'analisi globale delle prime due libertà si vede come le norme relative a quella delle persone siano più orientate verso gli stati membri ossia siano volte a porre su di un medesimo piano i cittadini europei a prescindere dal luogo di nascita prescrivendo agli stati in quanto tali di ri-muovere ogni ostacolo.

Il carattere di pilastro del mercato comune rivestito dalla li-bera circolazione delle merci invece piuttosto fa sì che le prescrizioni e le politiche da perseguire non siano orientate solo verso gli Stati membri, bensì anche verso le istituzioni comunitarie che devono non solo incentivare l'armonizza-zione ma collaborare attivamente.

Oltretutto occorre sottolineare che non vi è difficoltà nell'in-dividuare il concetto di dazio doganale in quanto la dottrina e la giurisprudenza sono uniformi nel ritenere che rientrano in tale categoria tutti quei tributi legati al passaggio della merce, in entrata o in uscita, dal territorio di un determinato Stato.

35

1.2.2 Libertà di circolazione dei servizi.

Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea riconosce poi la circolazione dei servizi ed il Diritto di Stabilimento, che vengono regolamentati sia in fonti primarie che fonti se-condarie.

35 A.M. CALAMIA, V.VIGIAK, Manuale breve di Diritto Comunitario, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pg. 128;

(30)

Per quanto riguarda i servizi all'articolo 56.1 si stabilisce che [...]le restrizioni alla libera prestazione dei servizi

all'interno dell'Unione sono vietati nei confronti dei cittadini degli stati membri stabiliti in uno stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione avendo poi cura di

specificare, al comma 2, che le istituzioni europee, laddove lo ritengano necessario e seguendo l'ordinario procedimento legislativo, possono estendere tale beneficio anche a cittadini di un paese terzo stabiliti in un paese membro.

Risulta importante specificare il concetto di prestazione di servizi in quanto è dallo stesso che passa la differenza con la libera circolazione dei lavoratori e con il diritto di stabili-mento.

Infatti, mentre la libera circolazione dei lavoratori era ine-rente alla prestazione di un lavoro subordinato, ossia vinco-lato per quanto riguarda condizioni di lavoro e retributive, ed il diritto di stabilimento come si vedrà è inerente ad un eser-cizio di lavoro continuo e permanente, la libertà di presta-zione dei servizi si riferisce all'esercizio occasionale e tem-poraneo di un'attività non salariata in un paese membro di-verso da quello di provenienza.

1.2.3 La libertà di circolazione dei capitali.

Nonostante l'importanza e la centralità che assumono nella costruzione del mercato europeo comune la libertà di circo-lazione delle persone e delle merci, occorre sottolineare che le Azioni dorate si pongono direttamente in relazione con la

(31)

Libertà di circolazione dei Capitali e con la libertà di Stabi-limento.

La libera circolazione di capitali, così come quella dei pa-gamenti di cui al comma 2, è contenuta nell'articolo 63 del TFUE il quale stabilisce che sono vietate tutte le restrizioni

ai movimenti di capitali tra stati membri nonché tra stati membri e terzi.

La libertà di circolazione di capitali ha avuto un percorso più incerto e meno lineare rispetto alle altre in quanto, nonostan-te fosse già prevista all'innonostan-terno dal Trattato CEE, il suo pieno ed effettivo riconoscimento ha richiesto diversi anni.

Fino alla metà degli anni '80 infatti, si era dinanzi ad una li-beralizzazione solamente parziale della circolazione dei ca-pitali.

36

Infatti il Trattato CEE, all'art.67.1, coerentemente con la fi-nalità delle libertà fondamentali verso uno spazio economico comune, prevedeva che la libera circolazione dei capitali fosse riconosciuta solo [...]nella misura necessaria al buon

funzionamento del mercato comune.

Tale formulazione finiva col conferire al Consiglio (che all'epoca era l'organo legislativo europeo) un ruolo comple-tamente diverso rispetto a quello detenuto nei confronti delle altre libertà: se infatti, in riferimento a tali materie, le norme di diritto derivato adottate da tale organo avevano la mera

36 Ad esempio Si escludeva da tale previsione la pratica definita Hot Money ossia il trasferimento internazionali di capitali al solo fine speculativo

(32)

funzione di facilitare la realizzazione della libera circolazio-ne già riconosciuta direttamente dal Trattato, circolazio-nel caso dei capitali il Consiglio adottava tali norme al fine di definire l'effettiva portata che la libera circolazione assumeva in un determinato momento.

37

Ciò aveva fatto sì che allo scadere del periodo transitorio non si fosse automaticamente realizzata la liberalizzazione in parola, rendendosi piuttosto ancora necessaria l'adozione delle Direttive di cui all'Articolo 59 dell’allora TCE, da parte del Consiglio.

Ulteriore ed importante conseguenza di una tale formulazio-ne è l'assenza dell’efficacia diretta del regime di libertà di circolazione dei capitali: come ha avuto modo di statuire la Corte nella sentenza Casati

38

i cittadini europei non poteva-no, a tutela delle proprie posizioni, invocare direttamente le norme del Trattato.

Il mantenimento di un maggiore controllo statale in tema di circolazione di capitali, e dunque un ritardo nello sviluppo di tale materia, era dovuto al fatto che la circolazione dei capi-tali era, ed è, materia molto delicata nei confronti della quale si acuiscono le differenze tra gli Stati membri

39

, i quali

37 F. MARTINES, Il mercato interno, raccolta di giurisprudenza commentata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Maggioli, 2014; L. DANIELE, Diritto del Mercato Unico Europeo, Giuffrè Editore, Milano, pg. 124;

38 Domanda di pronuncia pregiudiziale nel procedimento penale intentato contro Guerrino Casati,C. 203/80, Raccolta I-02595;

39 F. MARTINES, Il mercato interno, raccolta di giurisprudenza commentata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Maggioli, 2014

(33)

feriscono dunque una liberalizzazione più blanda e graduale in tutela soprattutto della bilancia dei pagamenti degli Stati.

40

Nel 1985 la Commissione espresse nuovamente la necessità di una piena liberalizzazione dei capitali, con il Libro Bianco sul completamento del Mercato Interno che portò finalmente alla Direttiva 361/88 che ha appunto sancito la completa li-beralizzazione di capitali e pagamenti disponendo, all'artico-lo 1, che gli Stati Membri sopprimono le restrizioni ai

mo-vimenti di capitali effettuate tra le persone residenti negli Stati membri(...).

Tutto ciò era stato reso possibile grazie anche ad un contesto economico-politico fertile, specie in vista di una unificazione monetaria.

Ultimo passaggio è stato poi quello del riconoscimento della libera circolazione dei capitali nel Trattato di Maastricht nel 1993.

Quella di capitali e pagamenti è però una libertà di circola-zione che, così come formulata ad oggi, presenta al contem-po un profilo di continuità ed uno di diversità con le altre li-bertà.

La continuità la si ritrova nell'efficacia diretta che la Corte ha finalmente avuto più volte modo di ribadire, tanto per l'ar-ticolo 1 della direttiva quanto per il 63.1 del TFUE,

(34)

tendo dunque ai singoli di invocare direttamente tali norme dinanzi ai giudici tanto nazionali quanto europei.

41

La diversità, emblematica appunto di una evoluzione degli assetti economici, la si ritrova nel fatto che liberalizzati non sono solo i movimenti di capitali e dei pagamenti tra i paesi membri bensì anche quelli tra questi ed i paesi terzi.

Rispetto al passato poi, sempre all'interno del TFUE, si ha una maggiore certezza e precisione nell'individuazione dei limiti che sono considerati legittimi.

1.2.3.1 La nozione di movimento di capitali

L’articolo 63 TFUE liberalizza sia la circolazione dei capita-li che quella dei pagamenti laddove però, in riferimento all’analisi delle Golden share, ciò che rileva è soltanto la prima.

42

Nei confronti dei capitali va sottolineato che se il trattato ne sancisce “solennemente” e con precisione la liberalizzazione ed i limiti e deroghe che li riguardano, al contempo omette di darne un altrettanto precisa definizione ed inquadramento.

41 Cfr. per tutte, Sanz de Lera 163-164/94,14 dicembre 1995, Raccolta p. I-0135; Verkoijen 35/98, 6 Giugno 2000, Raccolta p.I-4071.

42 Sulla base della sentenza Luisi e Carbone del 31 gennaio 1984 si comprende che per pagamenti si intendono “i trasferimenti di valuta che costituiscono la controprestazione nell'ambito di un negozio giuridico sottostante”.

Da tale definizione si comprende che la libertà di circolazione dei pagamenti ha un carattere strumentale rispetto alle altre libertà, soprattutto di circolazione delle merci. Poiché negare tale libertà avrebbe significato negare o limitare l'effettività delle altre, la Corte (contrariamente al lungo percorso in relazione al movimento dei capitali) sin dalla fine del periodo transitorio ha considerato liberalizzati i pagamenti ed ha riconosciuto efficacia diretta a tale previsione.

(35)

Per comprendere che cosa integra il concetto di movimento di capitali e come si declina in riferimento alle società per azioni oggetto di privatizzazione occorre richiamare la Diret-tiva 361/88.

Tale atto all'allegato I riporta un elenco di attività qualifica-bili come movimenti di capitali dalla cui analisi si compren-de che, in relazione alle società, sono rilevanti due tipi di in-vestimenti.

Da una parte gli investimenti diretti all’acquisizione di pac-chetti azionari (punto I dell’allegato in parola) e quelli di ca-rattere immobiliare (punto II), finalizzati all'instaurazione, con una società di un altro paese membro, di un rapporto economico durevole.

In tal caso lo scopo ultimo dell'investitore è quello di eserci-tare una effettiva partecipazione alla gestione dell'attività di impresa esercitando i diritti connessi alle

azioni.

Dall'altra costituiscono movimento di capitali gli investi-menti finanziari o di portafoglio ossia acquisti di azioni rea-lizzati non al fine di contribuire all'attività della società ma bensì a quello di ottenere, investendo in un paese europeo diverso da quello di provenienza, un (più alto) rendimento economico (punto III).

43

43 C.O'GRADY PUTEK Limited but not lost: A Comment on the ECJ'S Golden Share Decision, in Fordham Law Review, Volume 72/2004, Pg.2219;

L.FLYNN. Coming of Age: The Free Moviment of Capital Case Law 1993-2002, in Common Market Law Reviews, 2002, pg.773

(36)

Va però ricordato che, tanto la liberalizzazione prevista dall'articolo 1 della Direttiva, quanto il divieto di restrizione di cui all'articolo 63, hanno portata e carattere generale. Da una parte ciò comporta l'impossibilità di considerare esaustiva tale elencazione, come la Corte stessa ha avuto modo di ribadire.

44

Tale previsione ad oggi risulta ancora più importante in quanto, con l'avvento del mondo digitale e dell'e-commerce, si sviluppano sempre nuovi modi per muovere capitali da una parte all'altra del mondo.

Dall'altra, in relazione al solo movimenti di capitali, permet-te di considerare superata tale partizione tra investimenti di-retti e di portafoglio.

Questa distinzione trovava la sua ragion d'essere soltanto in funzione della Direttiva in parola che liberalizzava gli inve-stimenti di portafoglio a fronte di una liberalizzazione per quelli diretti già avvenuta precedentemente.

45

1.2.3.2 Le deroghe alla libera circolazione

dei capitali.

Dalla lettura della normativa in tema di libera circolazione dei capitali, si capisce che un'altra importante differenza tra la libertà di circolazione dei capitali e le altre libertà

44 Commissione dell’Unione Europea c. Spagna, Causa 464/00 ,13 Maggio 2003, Raccolta p.I-04581;

45 Commissione dell’Unione Europea c. Spagna, Causa 464/00 ,13 Maggio 2003, Raccolta p.I-04581;

(37)

sciute dal Trattato, è data dall'ampiezza delle deroghe previ-ste alla previ-stessa.

La prima deroga è rappresentata dalla c.d grandfather

clau-se

46

contenuta nell'articolo 64.1 dalla quale si evince che il contenuto di cui all'art.63 lascia impregiudicata

l'applicazio-ne ai paesi terzi di qualunque restriziol'applicazio-ne in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o Dell'Unione per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o da essi provenienti che implica-no investimenti diretti […].

Per grandfather clause, infatti, s’intende una previsione che continua ad essere applicata ad una situazione preesistente alla promulgazione di una norma che piuttosto impone, per i casi successivi, un trattamento diverso.

Questo appunto è quello che accade in riferimento ai movi-menti di capitali provenienti o diretti verso Paesi terzi effet-tuati antecedentemente all'entrata in vigore del Trattato, e dunque della piena liberalizzazione dallo stesso riconosciuto: tali operazioni rimarranno soggette alle normative nazionali, o comunitarie dove presenti, in vigore al momento del loro compimento.

Dunque da tale previsione, che per giunta viene formulata in maniera precisa al fine di non concedere margini di

(38)

zionalità agli stati

47

, si comprende che la piena liberalizza-zione dei movimenti di capitali sia ha solo per le operazioni successive al 1 gennaio 1993.

La portata della norma in questione, però, non si esaurisce con tale previsione, piuttosto indirizza anche il comporta-mento delle Istituzioni dell’Unione Europea nei confronti dei capitali, in due direzioni diverse.

Da una parte, al comma 2, l’articolo 64 prevede che, proprio al fine di ottenere e perseguire una liberalizzazione completa (con rispetto però alle altre norme del Trattato) le Istituzioni Comunitarie (Parlamento e Consiglio in primis) si devono impegnare nell'adottare misure comuni in riferimento a mo-vimenti di capitali, in ingresso ed in uscita, verso Paesi Ter-zi.

Dunque, in una logica di unità il Trattato impone che si svi-luppi una politica a livello comunitario, che uniformi nei confronti di tutti gli Stati, la regolamentazione dei movimen-ti dei capitali verso i Paesi terzi.

Dall'altra, al comma 3, dispone che [...]il Consiglio,

delibe-rando secondo una procedura legislativa speciale, all'una-nimità e previa consultazione del Parlamento europeo, può adottare misure che comportino un regresso nel diritto dell'Unione per quanto riguarda la liberalizzazione dei mo-vimenti di capitali diretti in paesi terzi o provenienti da essi.

47 Codice dell’Unione Europea esplicato, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 2014;

(39)

In altre parole si prevede che, una volta che si è determinata la regolamentazione giuridica dei rapporti, in tema di movi-menti di capitali, tra paesi membri e paesi terzi, la stessa può essere modificata in termini negativi di regressione, da parte delle Istituzioni dell’Unione Europea, solo con un procedi-mento particolarmente gravoso.

La seconda deroga è quella fornita dall'art. 65.2 tramite la c.d clausola di eccezione che permette di limitare il libero movimento di capitali e di pagamenti e salvaguardare alcune prerogative degli Stati, per motivi legati a materie fiscali e tributarie, a controlli amministrativi ed a fini di ordine pub-blico e pubblica sicurezza.

Per quanto attiene alle deroghe in materia fiscale, si vede come la presenza della piena liberalizzazione dei movimenti di capitali, operata dall'articolo 63 non pregiudichi: da un la-to, ai sensi dell'articolo 65.1, l'applicazione di una normativa tributaria nazionale che operi una distinzione laddove i con-tribuenti coinvolti si trovino in una differente posizione di residenza o di collocamento di capitale; dall'altro lato, di cui all'art.65.2, l'adozione di tutte le misure nazionali necessarie a prevenire la violazione della legislazione e regolamenta-zione nazionale nei settori fiscali.

Se dunque nel primo ambito si prevede la possibilità di trat-tare diversamente due posizioni fiscali non comparabili tra di loro derogando alla normativa comunitaria

48

, dall'altra tale

48 F.Martines, Il mercato interno. raccolta di giurisprudenza commentata della Corte di giustizia dell’Unione europea, Maggioli, 2014

(40)

deroga ha alla base la garanzia del rispetto della legislazione nazionale in ambito fiscale.

In riferimento, infine, ad ordine e sanità pubblici, occorre sottolineare che gli stessi sono motivi di deroga che sono propri di tutte e quattro le libertà di circolazione.

Dunque si comprende che i movimenti di capitali possono essere limitati laddove la loro esistenza minacci i popoli de-gli Stati Membri.

Accanto a tali deroghe occorre però sottolineare che la Corte di Giustizia ha riconosciuto altre cause di giustificazione di derivazione giurisprudenziale, centrali nella tematica delle Golden Shares, e riconducibili al principio dell'Interesse Ge-nerale.

49

Nozione che viene specificata n via giurisprudenziale in quanto, in assenza di un dato certo che rappresentasse il con-tenuto di tale concetto, sta alla Corte dargli concretezza a fronte delle tesi sostenute dagli Stati.

Come si vedrà nei seguenti capitoli (Cfr. Infra) tale concetto assumerà, nelle posizioni difensive degli Stati membri nelle controversie aventi ad oggetto le Azioni Dorate, centrale im-portanza in quanto è l'unico che in una sua accezione

50

, quel-la di tutequel-la dell'approvvigionamento energetico, permetterà una teorica validità di tali prerogative Statali.

49 F.Martines, Il mercato interno. raccolta di giurisprudenza commentata della Corte di giustizia dell’Unione europea, Maggioli, 2014

50Come si vedrà, infatti, tale concetto viene declinato dagli Stati in maniera molto differente, spaziando appunto dalla tutela dell'approvvigionamento energetico a mo-tivi di carattere squisitamente economico.

(41)

L'ultima deroga permessa è quella contenuta nell'art.66 che consente al Consiglio, su proposta della Commissione, di prendere nei confronti di paesi terzi misure di salvaguardia di durata massima di 6 mesi, quando le stesse risultino ne-cessarie, a fronte di circostanze eccezionali proveniente da tali paesi terzi, per salvaguardare il

funzionamento dell'unione economica e monetaria.

Dunque il legislatore comunitario si riserva di poter limitare il movimento dei capitali, in entra o in uscita, con i Paesi Terzi, laddove tale misura sia necessaria, a fronte di una cir-costanza che potrebbe minarlo alla base, a tutelare il mercato comune europeo.

1.2.4. Libertà di Stabilimento.

La seconda libertà che può essere oggetto di limitazioni de-rivanti da Golden Shares e poteri speciali è quella di stabili-mento che è sancita dall'art.49 il quale: al primo comma vie-ta le restrizioni alla libertà di svie-tabilimento di un citvie-tadino di uno stato membro in altro stato membro, anche per quanto riguarda l'apertura di succursali, agenzie e filiali; al secondo comma dispone che tale libertà [...]importa l'accesso alle

at-tività autonome ed al loro esercizio , nonché alla costituzio-ne di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 54,secondo comma, alle condizioni stabilite dal legislatore del paese di stabilimento per i propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.

(42)

La lettura di tale norma consente innanzitutto di identificare due ordini diversi della libertà di stabilimento: primario e se-condario.

Per stabilimento primario si intende il diritto riconosciuto sia alle persone fisiche, cittadini di uno stato membro, che alle persone giuridiche, con sede sociale, amministrazione o cen-tro principale di attività in uno stato dell'Unione, condizioni queste che appunto le assimilano ai cittadini (art.54), di crea-re o trasfericrea-re in un altro stato membro l'unico centro di atti-vità economica o professionale, ivi compresa una

Società ai sensi del 54 TFUE

51

.

Va però altresì detto che, aldilà della prospettiva teorica ge-nerale, tale diritto può essere goduto pienamente soltanto dalle persone fisiche che, tenuti presenti i limiti del caso, posso sempre creare e trasferire completamente una propria attività in un paese membro.

Per quanto riguarda le persone giuridiche e società il dato si fa più delicato in quanto molto spesso per l'acquisizione del-lo status di persona giuridica le normative nazionali impon-gono, come criterio di collegamento, la collocazione sul ter-ritorio

della sede sociale.

51 L.DANIELE Diritto Del Mercato Europeo Ed.2012, Giuffrè Editore, Milano, pg.130;

M.CONDINANZI in Diritto Dell'Unione Europea. Parte Speciale. AA.VV a cura di Girolamo Strozzi, Giappichelli,

Torino, 2010, pg. 168;

(43)

Questo sicuramente permette, senza alcuna limitazione da parte dello stato di provenienza, la possibilità che la società si sciolga, con tutte le conseguenze del caso, e si costituisca ex novo nello stato membro ospitante, sulla base della e sot-toposta alla normativa nazionale.

Più delicata è la situazione relativa al trasferimento di una società già costituita in un uno stato membro in un altro stato membro in quanto, in data situazione, come sottolineato dal-la Corte di Giustizia dell’Unione Europea neldal-la sentenza Cartesio

52

richiamando la precedente giurisprudenza in tema

53

, vi possono essere due diverse prospettive.

Se la società costituita in un determinato stato membro in-tende trasferirsi all’interno dell’Unione Europea mantenendo lo status di società, e dunque la normativa ad esso legata, ai sensi della regolamentazione dello stato di costituzione, non può essere invocato il diritto di stabilimento.

Ciò in quanto, malgrado l’armonizzazione realizzata dalle direttive in tema di società, sono le normative interne agli stati che individuano i criteri di collegamento e le condizioni

52 Domanda di pronuncia pregiudiziale: Szegedi Ítélőtábla – Ungheria, 16 dicembre 2008, C.210/06, Raccolta I-09646, punto 110;

53Sentenza Daily Mail, 27 settembre 1988 Causa 81/87 Raccolta p. I-5483;

Centros c. Ltd Erhvervs- og Selskabsstyrelsen. 9 Marzo 1999, C-212/97, Raccolta I.1459

Überseering BV c. Nordic Construction Company Baumanagement GmbH (NCC), 5 novembre 2002, C.167/01; Raccolta I-09919.

(44)

alle quali subordinare lo status di società, permanendo im-portanti differenze nei diritti nazionali.

54

Potrebbe dunque verificarsi che lo spostamento della sede societaria coincida col venir meno del criterio di collega-mento richiesto dalla normativa nazionale dal quale dipende lo status stessa della società, che perciò cesserebbe di esiste-re.

Situazione diversa si ha piuttosto quando una data società, costituitasi in un dato stato membro nel rispetto (e soggetta) alla normativa interna dello stesso, intenda trasferirsi in un altro stato membro, qualificandosi come tale ed operando ai sensi della normativa nazionale dello stato di destinazione. In tale caso la Corte nella sentenza Cartesio ha specificato una volta per tutte che laddove lo stato di costituzione crei

[…]un’ostacolo all’effettiva trasformazione di una società di questo tipo, senza previo scioglimento e previa liquidazione, in una società costituita a norma della legge nazionale dello Stato membro in cui intende trasferirsi costituirebbe una re-strizione alla libertà di stabilimento della società interessata

54 Sentenza Daily Mail, 27 settembre 1988 Causa 81/87 Raccolta p. I-5483, nella quale si stabilisce che il diritto dell'Unione Europea ed in particolare quello di stabi-limento non comportano il diritto di una società a trasferire la Sede legale in altro sta-to membro.

A conferma di tale “estraneità” del diritto europeo in tema di criteri di collegamento societario si trova la sentenza Cartesio del 16 dicembre 2008, C.210/06.

La più recente sentenza Vale del 12 luglio 2012, C.378/10, statuisce che il diverso trattamento dei trasferimenti transfrontalieri rispetto a quelli interni costituisce una violazione della libertà di stabilimento.

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