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Successione di leggi penali e giudicato

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MESSINA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

D

OTTORATO DI

R

ICERCA IN

S

CIENZE

G

IURIDICHE (CURRICULUM “TUTELA PENALE E GARANZIE DELLA PERSONA NEL

DIRITTO INTERNO, COMPARATO, EUROPEO ED INTERNAZIONALE: PROFILI SOSTANZIALI E PROCESSUALI”)

XXXI

C

ICLO

__________________________________________________________

SUCCESSIONE

DI

LEGGI

PENALI

E

GIUDICATO

Tesi di Dottorato di: Dott.ssa Valérie Nardi

Tutor:

Chiar.ma Prof.ssa Tiziana Vitarelli Coordinatore del Corso di Dottorato:

Chiar.ma Prof.ssa Maria Piera Rizzo

(2)
(3)

1

INDICE

Introduzione………..p. 6

Parte I

Capitolo I

Lo statuto della retroattività favorevole nell’ordinamento

penale italiano

Sezione I: L’evoluzione storico-dogmatica e la disciplina nel

diritto positivo

1. Dall’unità d’Italia al codice Zanardelli………p. 10

2. Dalla Scuola Positiva al Codice Rocco………p. 20

3. La successione di leggi penali nell’art. 2 c.p………p. 25

3.1. L’abolitio criminis……….p. 30

3.1.1. La vicenda abolitiva………p. 32

3.1.2. Le forme dell’abolitio criminis………...p. 37

3.1.3. Gli effetti dell’abolitio criminis………...p. 43

3.2. La successione di leggi penali in senso stretto………p. 44

3.2.1. L’individuazione della “legge penale più favorevole”…p. 48

3.3. Criteri di distinzione tra abolitio criminis e successione in senso

stretto………...p. 49

3.3.1. Il criterio del “fatto concreto”……….p. 51

3.3.2. Il criterio della continuità del tipo di illecito………p. 54

(4)

2

3.3.3. Il criterio dei “rapporti strutturali”………...p. 57

3.3.3.1 (segue) Abrogazione e contestuale introduzione di

norme incriminatrici………p. 61

3.3.3.2. (segue) L’orientamento delle Sezioni Unite……..p. 67

3.3.4. Un tentativo di conciliare il criterio dei “rapporti strutturali”

con approcci di tipo valutativo……….p. 71

3.3.5. L’abolitio criminis parziale tra l’inadeguatezza del sistema

processuale e il limite del giudicato………..p. 76

Sezione II: Il fondamento della lex mitior nell’elaborazione

della dottrina e della giurisprudenza costituzionale

1. Irretroattività sfavorevole e retroattività favorevole nella

Costituzione: significato e limiti dell’art. 25, comma 2, Cost……..p. 81

2. La ricerca di un fondamento unitario della disciplina del diritto

intertemporale: il favor libertatis……….p. 86

3. Il principio di retroattività tra certezza del diritto e garanzia del

cittadino………...p. 89

3.1.

(segue)

Rilievi

“endopenalistici”

sull’irretroattività

sfavorevole………..p. 93

4. Retroattività favorevole e principio di uguaglianza………..p. 96

5. Il principio di retroattività favorevole nella giurisprudenza della

Corte Costituzionale………p. 99

5.1. (segue) Il riconoscimento del rango costituzionale della lex

(5)

3

6. I limiti del principio di uguaglianza quale fondamento della

retroattività favorevole………...p. 108

6.1. (segue) La necessità di rileggere il fondamento della

retroattività alla luce della funzione rieducativa della pena………p. 112

Capitolo II

Lo statuto della retroattività favorevole nell’ordinamento

europeo e internazionale

1. Caratteristiche generali del principio di irretroattività nel quadro

internazionale ed europeo………..p. 117

2. Il principio di retroattività favorevole nella dimensione

internazionale………p. 129

3. Il principio di retroattività favorevole nel diritto dell’Unione

Europea………..p. 131

3.1. (segue) L’originaria irrilevanza nella giurisprudenza della Corte

di Giustizia……….p. 137

3.2. Il riconoscimento come principio generale del diritto

comunitario (Corte di Giustizia, 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02,

C-391/02, C-403/02, Berlusconi e altri)……….p. 140

4. Il principio di retroattività favorevole nella Convenzione europea per

i diritti dell’uomo………...p. 146

4.1. Il riconoscimento da parte del diritto convenzionale: il caso

Scoppola c. Italia………p. 150

5. La retroattività favorevole dopo il caso Scoppola c. Italia: note

distintive e profili critici………p. 155

(6)

4

5.1. (segue) La problematica individuazione dei limiti della

retroattività in mitius tra diritto convenzionale e diritto interno…p. 160

Parte II

Capitolo III

La progressiva erosione del principio di intangibilità del

giudicato

1. Caratteristiche generali del giudicato penale………..p. 170

2. “Il mito del giudicato”………p. 178

3. Il fondamento del giudicato penale nella Costituzione e nelle Carte

internazionali……….p. 182

4. L’erosione dell’intangibilità sotto il versante processuale: l’opzione

codicistica per un giudicato “flessibile”……….p. 193

4.1. (segue) L’incidenza sul giudicato interno della giurisprudenza

nazionale ed europea………..p. 202

4.2. (segue) La revisione del giudicato penale a seguito di una

condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Cost. n. 113

del 2011)………p. 210

5. L’erosione dell’intangibilità sotto il versante sostanziale: il nuovo

comma 3 dell’art. 2 c.p………...p. 214

6. Giudicato e pena illegittima………p. 219

6.1. L’illegittimità “convenzionale” della pena……….p. 223

6.1.1. L’esecuzione della sentenza Scoppola nell’ordinamento

italiano………..….p. 225

(7)

5

6.1.2. I “figli di un Dio minore”……….p. 227

6.1.3. (segue) La declaratoria di illegittimità costituzionale

dell’art. 7 D.L. n. 341 del 2000 (Corte Cost. n. 210 del 213)…….p. 230

6.1.4.

(segue)

L’intervento

delle

Sezioni

Unite

“Ercolano”……….…p. 232

6.2. L’illegittimità “costituzionale” della pena.……….p. 236

6.2.1. (segue) L’intervento delle Sezioni Unite “Gatto”…...p. 239

6.2.2.

I

criteri

di

rideterminazione

della

pena

in

executivis………...p. 244

7. Verso la “tangibilità” del giudicato penale?...p. 252

Capitolo IV

Il giudicato come limite alla retroattività favorevole:

attuali spazi di validità e prospettive de iure condendo

1.

I

problematici

rapporti

tra

retroattività

favorevole

e

giudicato...p. 257

2. Il limite del giudicato al vaglio dell’uguaglianza-ragionevolezza,

della proporzione e della funzione rieducativa della pena………..p. 269

2.1. La legittimità della altre deroghe alla lex mitior previste

dall’art.2c.p………p. 279

3. Prospettive di riforma dell’art. 2, comma 4, c.p………..p. 281

3.1. La disciplina delle modifiche favorevoli prevista nei principali

progetti di riforma al codice penale………p. 282

3.2. Il non impossibile superamento del giudicato……….p. 285

(8)

6

INTRODUZIONE

Ogni sistema di diritto storicamente dato si è posto il problema della gestione dei rapporti tra tempo e norme giuridiche. Queste ultime non sono entità universali né immutabili, ma trovano collocazione in una precisa dimensione spazio-temporale; si impone, di conseguenza, la predisposizione di un complesso di regole finalizzate a individuare e delimitare la loro sfera di efficacia.

Sin dall’Ottocento nell’ordinamento penale italiano il tema della validità della legge penale nel tempo è stato regolato da due distinti canoni: irretroattività della legge sfavorevole e retroattività della legge favorevole.

Come è noto, la prima regola ̶ sintetizzata dal brocardo “nullum crimen,

nulla poena, sine praevia lege poenali” ̶ afferma il criterio direttivo della

non extrattività delle norme penali più restrittive della libertà, nel senso che nessuno può essere punito, né la sua situazione giuridica può essere aggravata, se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso.

Il principio in questione si è collocato, sin dalle sue prime affermazioni, tra i diritti fondamentali dell’individuo, assumendo poi in quasi tutte le civiltà giuridiche occidentali una dimensione costituzionale intrecciata al principio di stretta legalità: la prevedibilità delle conseguenze penali della propria condotta costituisce un presupposto indispensabile per assicurare al cittadino libere scelte d’azione, al riparo da abusi del legislatore o del giudice, e, dunque, per salvaguardarne la libertà nei confronti del potere statuale.

Diversamente, il canone di retroattività della legge penale di favore stabilisce che, ove la legge vigente al momento della commissione del fatto e le successive siano diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più

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7

miti per il reo. In particolare, tale principio opera con riferimento sia ai casi in cui la nuova legge abolisce il reato esistente ai sensi della legge antecedente, sia quando il legislatore modifica favorevolmente la disciplina dettata per il fatto commesso, pur mantenendone la rilevanza penale.

Sebbene si sia radicato nella cultura giuridica europea contestualmente all’irretroattività della legge sfavorevole, la regola della lex mitior non ha ricevuto – né nel nostro ordinamento, né nella maggioranza degli ordinamenti del vecchio continente ̶ una esplicita consacrazione in una disposizione costituzionale, rimanendo relegata sul piano della legge ordinaria.

Esito naturale di questo differente posizionamento all’interno della gerarchia delle fonti è stato la possibilità di riconoscere alla sua efficacia un limite invalicabile nell’esistenza di una sentenza già passata in giudicato, quanto meno per l’ipotesi della legge meramente modificativa della disciplina del reato.

Negli ultimi decenni, tuttavia, la situazione è mutata e la retroattività favorevole è stato oggetto di una nuova considerazione. Sul versante interno, la dottrina prima e, successivamente, la Consulta ne hanno affermato il rango costituzionale – seppure in una posizione diversa e subalterna rispetto all’opposto principio di irretroattività ̶ in quanto proiezione del principio di uguaglianza.

Del pari, un riconoscimento è giunto anche in ambito europeo: la Corte di Giustizia dell’UE, che ne ha affermato l’appartenenza alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, innalzandolo così a principio generale dell’Unione; ma soprattutto, il principio è ad oggi enunciato dall’art. 49, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a cui l’art. 6 TUE attribuisce lo stesso valore giuridico dei Trattati.

Da ultimo, in una celebre pronuncia del 2009, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha consacrato la retroattività in mitius, come corollario implicito dell’art. 7 Cedu, quale diritto fondamentale dell’individuo, con un chiaro

(10)

8

Questa rinnovata affermazione della lex mitior a livello costituzionale ed europeo si è, d’altra parte, interfacciata con il processo – intervenuto anch’esso negli ultimi decenni ̶ di progressiva “demitizzazione” del giudicato.

Nato come risposta all’esigenza di regolare in maniera tendenzialemente stabile e definitiva le situazioni giuridiche, ponendo un limite all’altrimenti potenzialmente infinita possibilità di riapertura del processo, l’istituto in parola ha finito per essere assurto – in particolare durante il ventennio fascista ̶ a simbolo politico dell’infallibilità della pretesa punitiva azionata dall’autorità statale, imponendosene di conseguenza l’assoluta immutabilità. L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana ha segnato, tuttavia, un mutamento di prospettiva, che si è tradotto in un progressivo ampliamento dei suoi spazi di flessibilità. La centralità riconosciuta dalla Carta fondamentale alla persona e ai suoi diritti inviolabili ha spinto il legislatore a intervenire progressivamente sull’assetto processuale e sull’esecuzione della pena, attribuendo al giudicato una naturale e fisiologica flessibilità, consacratasi nella previsione, da parte del nuovo codice del 1988, di diversi meccanismi che consentono di intervenire sulle decisioni definitive adottate dal giudice di cognizione.

Sono seguiti ulteriori interventi novellistici, alcuni dei quali incidenti anche sulla disciplina della successione delle leggi penali nel tempo, ma un contributo decisivo al processo di progressiva erosione del principio di intangibilità del giudicato è giunto dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità ̶ spesso spinte dalla necessità di conformare l’ordinamento interno ai diritti riconosciuti dalle Carte sovranazionali e, in particolare, dalla Cedu ̶ che, in diverse decisioni, ha affermato il carattere recessivo dell’istituto rispetto alla tutela dei diritti fondamentali della persona.

Obiettivo della presente indagine è rendere conto della travagliata evoluzione che ha interessato la retroattività in mitius, da un lato, e la firmitas del giudicato, dall’altro. La ricerca muoverà dai presupposti applicativi e

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9

dalle più significative e dibattute questioni interpretative sorte con riferimento ai commi 2-4 dell’art. 2 c.p., per poi soffermarsi sull’individuazione del fondamento della lex mitior, dando atto del suo progressivo riconoscimento come principio fondamentale nella dimensione nazionale, europea ed internazionale.

La seconda parte dello studio si concentrerà, invece, sull’accennato processo di progressiva erosione che ha coinvolto il principio di intangibilità del giudicato, per poi passare a esaminare le ragioni che storicamente hanno sorretto la prevalenza di questo sbarramento rispetto all’operatività della retroattività favorevole.

In questa prospettiva, alla stregua di un’attenta opera di bilanciamento tra interessi contrapposti, si procederà in conclusione ad accertare se sia ancora legittima la prevalenza che il legislatore accorda al giudicato a fronte di modifiche favorevoli della disciplina o se, piuttosto ̶ anche alla luce della nuova valenza che entrambi gli istituti rivestono nell’ordinamento ̶ , non sarebbe auspicabile una revisione della vigente disciplina normativa in punto di successione di leggi.

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10

CAPITOLO I

LO STATUTO DELLA

RETROATTIVITA’ FAVOREVOLE

NELL’ORDINAMENTO PENALE

ITALIANO

Sommario: Sezione I: L’evoluzione storico-dogmatica e la disciplina nel diritto positivo:

1. Dall’unità d’Italia al codice Zanardelli - 2. Dalla Scuola Positiva al Codice Rocco - 3. La successione di leggi penali nell’art. 2 c.p. - 3.1. L’abolitio criminis - 3.1.1. La vicenda abolitiva - 3.1.2. Le forme dell’abolitio criminis - 3.1.3. Gli effetti dell’abolitio criminis - 3.2. La successione di leggi penali in senso stretto - 3.2.1. L’individuazione della “legge penale più favorevole” - 3.3. Criteri di distinzione tra abolitio criminis e successione in senso stretto - 3.3.1. Il criterio del “fatto concreto” -3.3.2. Il criterio della continuità del tipo di illecito - 3.3.3. Il criterio dei “rapporti strutturali” - 3.3.3.1 (segue) Abrogazione e contestuale introduzione di norme incriminatrici - 3.3.3.2. (segue) L’orientamento delle Sezioni Unite - 3.3.4. Un tentativo di conciliare il criterio dei “rapporti strutturali” con approcci di tipo valutativo – 3.3.5. L’abolitio criminis parziale tra l’inadeguatezza del sistema processuale e il limite del giudicato - Sezione II: Il fondamento della lex mitior

nell’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza costituzionale: 1. Irretroattività

sfavorevole e retroattività favorevole nella Costituzione: significato e limiti dell’art. 25, comma 2, Cost. - 2. La ricerca di un fondamento unitario della disciplina del diritto intertemporale: il favor libertatis - 3. Il principio di retroattività tra certezza del diritto e garanzia del cittadino - 3.1. (segue) Rilievi “endopenalistici” sull’irretroattività sfavorevole - 4. Retroattività favorevole e principio di uguaglianza - 5. Il principio di retroattività favorevole nella giurisprudenza della Corte Costituzionale - 5.1. (segue) Il riconoscimento del rango costituzionale della lex mitior: le sentenze n. 393 e 394 del 2006 - 6. I limiti del principio di uguaglianza quale fondamento della retroattività favorevole - 6.1. (segue) La necessità di rileggere il fondamento della retroattività alla luce della funzione rieducativa della pena.

SEZIONE I. L’EVOLUZIONE STORICO-DOGMATICA E LA

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1. Dall’unità d’Italia al codice Zanardelli

Pur potendosene trovare traccia nell’insegnamento dei giureconsulti vissuti tra il XIII e il XVIII secolo1, il principio di retroattività della legge penale più favorevole si è progressivamente affermato, in una dimensione lontana da questioni di carattere divino o morale, solo a partire dalle codificazioni post-rivoluzionarie ottocentesche2: già il codice penale francese del 1791 riconosceva ̶ seppure non in via generale ̶ la possibilità di applicare le norme più miti in esso contenute ai fatti commessi durante la vigenza della precedente legge, ove non ancora giudicati in via definitiva; allo stesso modo si esprimevano il codice penale austriaco del 1803 e la maggior parte dei codici preunitari3.

Nell’ordinamento italiano, la positiva consacrazione del canone della lex

mitior è avvenuta solo nel 1889 con il Codice Zanardelli, a distanza di ben

28 anni dalla proclamazione dell’unità nazionale.

Invero, già nel 1864, la Commissione governativa incaricata di redigere il Progetto di un codice penale unitario aveva inserito la regola della retroattività in bonam partem nel libro I, dedicato al reato e alle pene in generale4, ricevendo l’approvazione della Commissione della Camera dei

1 Così, C.F. GABBA, Teoria della retroattività delle leggi, vol. II, Torino, 1884, p. 290 ss.

2 Per una ricostruzione storica della disciplina della retroattività favorevole dall’età arcaica all’attuale modello codicistico, M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice,

Napoli, 2008, p. 1 ss. 3 M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma, cit., p. 33 ss.

4 In particolare, l’art. 2 del Progetto di un nuovo codice penale per il Regno d’Italia del 1864 – c.d. Progetto De Falco ̶ (libro I, Del reato e delle pene, e delle regole generali per l’applicazione di queste; titolo I, Del reato in generale) (c.d. Progetto De Falco) prevedeva che: «Nessun reato può essere punito con pene che non erano pronunciate dalla legge prima che fosse commesso.

Se la nuova legge cancella dal novero dei reati un’azione considerata come reato dalla legge anteriore, cessano di diritto tutti gli effetti del procedimento e della condanna.

Se la pena imposta dalla legge al tempo del reato e quella stabilita dalle leggi posteriori fossero diverse, sarà sempre applicata la pena più mite.

Se, divenuta irrevocabile una condanna, una legge nuova applichi al reato una pena più mite, la pena inflitta in virtù della legge antecedente sarà ridotta, nell’esecuzione, a quella prescritta dalla nuova legge, computandosi in essa il tempo della pena espiata».

Lo stesso testo venne riproposto, senza alcuna variazione, nel successivo Progetto De Falco del 26 febbraio 1866.

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Deputati e del Senato che, concordemente, ritenevano irragionevole continuare a infliggere una pena, valutata dallo stesso legislatore superflua o troppo rigorosa5.

D’altra parte, l’importanza di tale precetto era condivisa dalla maggioranza della dottrina coeva che, in diversi contributi, ne aveva evidenziato il fondamento di stretta giustizia.

Da più parti si sosteneva, infatti, che il principio in esame non dovesse intendersi come meramente volto a favorire l’imputato, in una prospettiva extra-giuridica humanitas causa o addirittura politica, ma come un vero e proprio diritto pubblico soggettivo, espressione di precisi interessi giuridici: allorché qualcuno fosse punito per un fatto che il legislatore aveva riconosciuto di non dovere essere oggetto di un divieto penale, si sarebbe finito per infliggergli un male inutile, e perciò non conforme a giustizia. D’altro canto – in un’ottica più strettamente pubblicistica ̶ giacché non si punisce se non per una necessità riconosciuta dallo Stato, continuare ad applicare una legge o ad irrogare una sanzione, ritenuta non più indispensabile per la conservazione dell’ordine sociale, non può che mettere in contraddizione lo Stato con sé medesimo, essendo cessata la ragione di punire, quantomeno in quella misura6.

Per una disamina dei numerosi progetti ministeriali elaborati prima dell’approvazione del Codice Zanardelli, G. CRIVELLARI, Il codice penale per il Regno d’Italia, vol. I, artt. 1-10, Torino, 1890, p. 126 ss.

5 Così, G. TOLOMEI, Sui capoversi 1°, 3°, 4° e 5°, art. 2 del Progetto di nuovo codice penale italiano, in Riv. pen., XXIX, 1889, p. 217 ss.

6 Così, ex plurimis, F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale dettato nella R.

Università di Pisa. Parte generale, II, Lucca, 1877, p. 259 ss.; E. PESSINA, Elementi di diritto penale, I, Napoli, 1882, p. 99 ss.; G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 114; G.B. IMPALLOMENI,

Istituzioni di diritto penale. Opera postuma a curata da Vincenzo Lanza, Torino, 1908, p. 188 ss.;

V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, I, Torino, 1908, p. 231 ss.; V. LANZA, Diritto penale

italiano. Principi generali, Torino, 1908, p. 82 ss.; C.CIVOLI, Trattato di diritto penale. Parte

generale, I, Milano, 1911, p. 95 ss.; A. OLIVIERI, voce Retroattività della legge, in Dig. it., XX, pt. II, 1918, p. 112 ss.

Tra le elaborazioni dottrinali ottocentesche, una speciale menzione merita la tesi di C.F. GABBA,

Teoria della retroattività, cit., p. 313 ss. Secondo l’Autore, la retroattività della legge penale più

favorevole è il solo degli odierni canoni di disciplina della legge penale nel tempo che discende dai principi fondamentali della filosofia penale: «Se la pena è anzitutto e sostanzialmente una esigenza dell’ordine morale del delitto, ne consegue che ogni legge penale deve essere applicata a tutti coloro i quali si trovano ad aver commesso un delitto da essa contemplato, e che sia veramente tale di fronte

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Fermo, dunque, il riconoscimento della lex mitior come principio della scienza penale7, il dibattito della Commissione si concentrò piuttosto sull’individuazione di specifici limiti all’operatività di siffatta regola, e, in particolare, sull’ultimo capoverso dell’articolo, che sanciva l’applicazione retroattiva della nuova legge favorevole anche a fronte di sentenze irrevocabili di condanna pronunciate sotto la vigenza della precedente legge più severa8.

ai principi morali ed al sentimento morale della nazione. Sia pure la nuova legge penale più severa della precedente, sia anche un dato delitto contemplato per la prima volta dalla legge; siccome l’anteriore mitezza, o l’anteriore silenzio del legislatore non era conforme a giustizia, in quanto la giustizia dalla morale non si separa, non può essere neppur giusto che se ne tenga conto dopo che l’ingiustizia è stata conosciuta; e siccome il sentimento morale del popolo dovette pur essere offeso da quella indulgenza o da quel silenzio, così nessuno si può lagnare che la nuova legge venga retroattivamente applicata, quasi gli si faccia con ciò sorpresa inaspettata e spiacevole. (…) Retroattività della legge penale, sia che questa contempli un reato finora impunito, o sia che soltanto aggravi la pena statuita da una legge precedente; retroattività della nuova legge più mite: queste sono per noi altrettante conseguenze, e tutte ugualmente sicure, dei principi che professiamo circa le ragioni e lo scopo della pena». Tuttavia, con riferimento all’applicazione retroattiva delle leggi penali in malam partem, lo stesso Gabba precisa come, nella società umana, non di rado i principi di rigorosa giustizia spesso devono patire delle limitazioni, alla luce degli inconvenienti che conseguirebbero dalla loro stretta applicazione: «Sarebbe un gravissimo abuso del principio della retroattività della legge penale, il creare delitti nuovi o l’accrescere la severità delle pene al solo scopo di vendicarsi e di sfogare odii e passioni di partito. Eppure la natura umana e l’esperienza delle cose pubbliche persuadono pur troppo della possibilità di siffatti abusi, e della necessità di prevenirli con opportuni provvedimenti, che sono preziose guarentigie della libertà, dell’onore, della vita, in una parola dei diritti naturali dell’individuo di fronte allo Stato. Tutte le franchigie costituzionali sono limitazioni e restrizioni di principii teorici, e ciò nondimeno, e ad onta del tempo che ci volle perché le civili nazioni le conquistassero, sono tra le cose più sante per la società moderna; la non retroattività della legge penale più severa, oppure concernente un reato finora impunito, merita certamente di essere annoverata tra quelle franchigie».

7 I primi tre commi del proposto articolo vennero approvati senza discussione già nella seduta del 10 marzo 1866. Cfr., G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 127.

8 Sulla questione la dottrina dell’epoca oscillava fra tre distinte posizioni. Secondo un primo orientamento – definito negativo ̶ sarebbe stata da respingere ogni efficacia della nuova legge più favorevole nell’ipotesi in cui fosse intervenuta una sentenza irrevocabile. Si osservava, infatti, come il giudicato costituisse un vincolo inalterabile tanto per il condannato quanto per il legislatore: il primo, avendo commesso un dato fatto, non avrebbe potuto che soggiacere alla legge che, delinquendo, sapeva di violare; il secondo, pur potendo sempre modificare la legge antica, in presenza di mutate condizioni sociali, non avrebbe dovuto disconoscere che al momento della sua trasgressione questa non era ingiusta, poiché posta a presidio dei bisogni del tempo in cui era in vigore.

E, d’altra parte - si evidenziava - ove fosse consentito, per opera della stessa autorità dello Stato, rendere retroattiva la lex mitior oltre il limite del giudicato, ne deriverebbe un serio pericolo per la difesa dei consociati. Coloro che hanno commesso il fatto incriminato, reintrodotti improvvisamente nella società, finirebbero per costituire una minaccia per la sicurezza pubblica; allo stesso tempo, tra i cittadini rimasti sempre rispettosi della legge, si potrebbe insinuare un sospetto sulla giustizia del sistema, tale da rendere l’osservanza incondizionata dello stesso non una scelta di coscienza, ma un ossequio passivo e meccanico alle imposizioni statuali.

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Le principali obiezioni mosse all’introduzione della norma riguardavano il pericolo di turbare l’ordine fissato dal giudicato e, parallelamente, le difficoltà pratiche in cui sarebbero incorsi i Tribunali, ove si fossero dovuti riaprire procedimenti già definiti, ritenendosi preferibile rimettere l’applicazione del beneficio alla grazia del Re9.

Siffatti rilievi non trovarono, però, il sostegno dell’intera Commissione: diversi componenti, tra i quali il Carrara, esortavano a superare eventuali problematicità pratiche, non potendo essere queste sufficienti «a far deflettere da un principio, quando giustizia veramente lo vuole»10; né, al

contempo, si riteneva accettabile affidare l’applicazione di un principio di giustizia alla grazia sovrana, rimessa per sua natura alla discrezionalità del Capo dello Stato11.

A parere della dottrina affermativa, invece, sarebbe stata sempre ammissibile una piena e illimitata efficacia della nuova legge sulla cosa giudicata. Invero, una volta riconosciuto dal legislatore che alcune determinazioni giuridiche non sono più necessarie per rispondere ai bisogni della società, sarebbe irragionevole e contrario a ogni principio di giustizia applicare la nuova legge retroattiva solo ove non sia intervenuto il giudicato. Si aggiungeva, inoltre, che a suffragare i rischi di possibili ingiustizie, sussiste la circostanza che spesso è il semplice caso a presiedere la nascita del giudicato, a seconda della lentezza o della velocità con cui si svolge il processo, su cui può, peraltro, incidere lo stesso imputato attraverso cinici accorgimenti.

Da ultimo, secondo l’orientamento c.d. eclettico, sarebbe stato necessario per il legislatore armonizzare gli opposti principi: non violare la res giudicata e, al contempo, applicare al reo – anche se condannato in via definitiva ̶ le disposizioni della nuova legge più favorevole. Fermo restando che, ove tale armonia non fosse stata possibile, doveva rimanere inalterato il giudicato. Esemplificando, si diceva che, ove la nuova legge avesse stabilito una pena più mite di quella previgente, «è giusto che al condannato venga proporzionatamente rimessa la parte di pena divenuta eccessiva per la legge nuova; ma resterà intangibile la definizione giuridica del reato stabilita dalla sentenza, perché altrimenti sarebbe necessaria una revisione intiera del giudizio, e quindi, per ineluttabile conseguenza, la violazione della cosa giudicata».

Ampiamente, sul tema, C.F. GABBA, Teoria della retroattività, cit., p. 290 ss.; G. CRIVELLARI, Il

codice penale, cit., p. 115 ss.; G. TOLOMEI, Sui capoversi, cit., p. 218 ss.; P. VICO, La cosa giudicata

e il progetto del nuovo codice penale italiano, in Riv. pen., XXIX, 1889, p. 343 ss.

9 Nello stesso senso, in dottrina, P. VICO, La cosa giudicata, cit., p. 356 ss., secondo cui, poiché l’applicazione della nuova legge più favorevole non è un diritto del condannato, ma un mero favore riconosciuto dallo Stato, non è dovere del legislatore affermare come nozione generale e permanente la retroattività della nuova legge più mite sulla cosa giudicata; né occorre affaticarsi a rintracciare il metodo più adatto per eliminare eventuali difficoltà di esecuzione, potendosi eventualmente provvedere per via di grazia.

Per un resoconto delle obiezioni e degli emendamenti presentati da alcuni Commissari durante le sedute di discussione, cfr. G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 126 ss.

10 Per una disamina più dettagliata di tale posizione, cfr. F. CARRARA, Opuscoli di diritto criminale, vol. 2, Lucca, 1870, p. 243 ss.

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Sennonché, nonostante i numerosi sforzi compiuti dai commissari per precisare la formulazione del capoverso – finalizzati soprattutto ad escludere qualsiasi nuovo apprezzamento del fatto ̶ 12, con il Progetto del codice penale

del 15 aprile 1870, si assistette ad un primo tentativo di escludere l’applicabilità della lex mitior in presenza di una sentenza passata in giudicato13.

Tentativo che, tuttavia, si rivelò – almeno in quel momento ̶ fallimentare. A distanza di pochi anni, infatti, la Commissione ministeriale guidata dal Guardasigilli Mancini e incaricata di riesaminare il Progetto di codice penale già approvato dal Senato nel 1865 (c.d. Progetto Vigliani), decise di reinserire una disposizione dal contenuto analogo a quella approvata nel 186814.

La scelta, ampiamente motivata dallo stesso Mancini nella Relazione al suo progetto presentata alla Camera dei Deputati il 25 novembre 1876,

12 In seguito a un lungo dibattito, la Commissione deliberò di inserire la regola della retroattività, estesa ai casi di sentenze irrevocabili, all’interno del Codice, e non come disposizione transitoria; tuttavia, si ritenne preferibile limitare il confronto «alla sola pena nella specie e nella durata ed agli effetti penali, ritenuto il fatto come lo ritenne la sentenza». Il rielaborato testo fu tradotto nei capoversi 3 e 4 dell’art. 3 del Progetto del 1868, che così recitava: «Se la nuova legge toglie dal novero dei reati un fatto punito dalla legge anteriore, cessano di diritto tutti gli effetti del procedimento e della condanna.

Se la pena stabilita dalla legge al tempo del reato e quella stabilita da leggi posteriori fossero diverse, dev’essere applicata la più mite.

Se la pena stabilita dalla legge anteriore fosse già inflitta con sentenza divenuta irrevocabile si sostituisce per uguale durata la pena di specie più mite stabilita dalla legge posteriore, e si riduce al massimo della durata prefissa dalla legge medesima, qualora lo ecceda.

La legge posteriore più mite si applica altresì agli effetti legali delle precedenti condanne». Sul punto, G. TOLOMEI, Sui capoversi, cit., p. 222 ss.; per leggere il testo dell’articolo, G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 132.

13 Alla base della decisione della nuova Commissione vi furono le numerose osservazioni giunte, a più riprese, dalle Corti e dalle Procure generali, che sostenevano «essere insuperabili le difficoltà che si oppongono all’esecuzione». Tuttavia, secondo G. TOLOMEI, Sui capoversi, cit., p. 223, siffatte obiezioni riguardavano la formulazione adottata nel 1867, e non quella modificata del 1868. 14 Più precisamente, il testo dell’art. 2 contenuto nel Progetto Mancini disponeva: «Nessun reato può punirsi con pene che non erano pronunciate dalla legge prima che fosse commesso.

Se la nuova legge toglie dal novero dei reati un fatto punito da legge anteriore, cessano di diritto gli effetti del procedimento e della condanna.

Se la legge penale del tempo del reato e le posteriori sono diverse, si applica quella che contiene disposizioni più favorevoli all’imputato.

Se la pena è stata già inflitta con sentenza divenuta irrevocabile, si sostituisce quella più mite, per ispecie o per durata, stabilita dalla legge posteriore pel reato definito nella sentenza.

La legge posteriore più mite si applica altresì agli effetti delle precedenti condanne, salvi i diritti dei terzi».

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argomentava proprio dal fondamento di “assoluta giustizia” del principio di retroattività favorevole: «la pena, se cessa di essere una necessità sociale, cessa di essere legittima. E tostoché una legge nuova più benigna rende illegittima, in tutto o in parte, la pena minacciata dalla legge antica, viene meno nella Società il diritto di persistere nel domandarne l’espiazione»15.

Considerata, dunque, siffatta ratio ispiratrice, si affermava che, anche nel caso in cui fosse stata inflitta con sentenza divenuta irrevocabile una pena più severa di quella prevista dalla nuova legge più favorevole, quest’ultima avrebbe dovuto trovare applicazione: «Ed invero, quando le disposizioni più miti della legge penale nuova fanno manifesto che il legislatore riprova, dichiara eccessiva, non necessaria, e perciò ingiusta, la pena più severa minacciata dalla legge anteriore; non è possibile intendere, perché abbia a ripararsi l’ingiustizia per chi non fu ancora giudicato, ed abbia a mantenersi per chi fu già condannato. O bisogna riconoscere il principio anche nel caso della pendenza del giudizio, o bisogna ammetterlo per logica necessità anche nel caso della condanna»16.

Alle obiezioni avanzate in ordine alle difficoltà pratiche di applicazione del principio e alla possibilità di turbare l’autorità della res giudicata, il Guardasigilli rispondeva, per un verso, invitando a studiare «il modo di vincerle o di renderle minori»; per l’altro, evidenziando la non necessità di revisionare il processo né di annullare la sentenza di condanna: «(…) ritenuto il reato definito dalla sentenza, si tratta solo di commutare o mitigare la pena, per mettere in questa parte la sentenza in armonia con la legge nuova, e fare quello che i giudici avrebbero dovuto fare nel reato anteriore, se il colpevole, invece di essere stato già giudicato quando sopravvenne la legge più mite, fosse stato trovato dalla nuova legge sottoposto a giudizio. Si attenta all’autorità della cosa giudicata, allorché con nuovo giudizio si voglia tuttora decidere se la sentenza, allorché venne pronunciata, fosse giusta e conforme

15 La Relazione di Mancini può leggersi in G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 146 ss. 16 G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 147 – 148.

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alla legge. Ma qui non viene in controversia, anzi è ammessa e riconosciuta l’originaria giustizia e legittimità della sentenza passata in giudicato, né certamente la medesima si assoggetta a riforma. Trattasi invece soltanto di applicare alla medesima una legge nuova, che non potè essere violata allorché emanò la sentenza, perché la legge allora non esisteva essendo più tardi sopravvenuta»17.

L’articolo venne interamente approvato. Tuttavia, né questo Progetto, né i successivi che riproducevano sostanzialmente la norma18, riuscirono a

vedere la luce a causa delle continue crisi ministeriali che interessarono i Governi all’epoca in carica.

Nel 1887 il ministro della giustizia, Giuseppe Zanardelli, presentò un nuovo progetto di codice penale, in cui il testo dell’art. 2, dedicato alla successione di leggi penali, riprendeva in larga parte la norma contenuta nel Progetto Mancini, e, conseguentemente, si segnalava per i meriti sopra evidenziati19.

Più specificamente, si riteneva che in forza della locuzione «pel reato definito dalla sentenza» si facesse salva l’autorità della cosa giudicata ̶ a meno che non fosse lo stesso codice a cancellare il fatto già punito dalla classe dei reati ̶ ; e, parallelamente, che attraverso l’espressione «se la pena è stata inflitta», il confronto tra la vecchia legge e la nuova si appuntasse solo sull’elemento della pena, e non su tutte le disposizioni delle due leggi20.

17 G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 148.

18 Il riferimento è al primo Progetto Zanardelli del 1883; al Progetto Savelli del 1883; al Progetto Pessina del 1885; al Progetto Tajani del 1886. Cfr. G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 151. 19 Più specificamente, l’articolo recitava: «Nessuno può essere punito per un fatto che la nuova legge non annovera tra i reati; e, se ha avuto luogo condanna, ne cessano di diritto l’esecuzione e gli effetti. Se la legge penale del tempo del commesso reato e le posteriori sono diverse, si applica quella che contiene disposizioni più favorevoli all’imputato.

Se la pena è stata inflitta con sentenza divenuta irrevocabile, si sostituisce la pena più mite, per ispecie e per durata, stabilita dalla legge vigente per il reato definito dalla sentenza.

Quando si sostituisce la pena più mite per ispecie, la medesima non può essere applicata per una durata maggiore di quella fissata nella sentenza.

La legge posteriore più mite si applica altresì quanto agli effetti delle precedenti condanne, salvi i diritti dei terzi».

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Tuttavia, nel corso della discussione davanti ai due rami del Parlamento, la controversia intorno alla previsione della retroattività favorevole, a fronte di sentenze irrevocabili di condanna, continuò a trovare spazio, finendo per escluderne l’applicabilità21.

Nella seduta del 20 febbraio 1889, la sotto-commissione incaricata della revisione del Progetto decise, infatti, di presentare un nuovo testo che sopprimeva i capoversi incriminati, ferma la possibilità di provvedere alle esigenze di equità mediante disposizioni transitorie. Posta a votazione, la proposta fu accolta con nove voti contro sette22.

Nella Relazione finale presentata al Re, il ministro Zanardelli motivò così siffatta soppressione: «La ragione principale (…) consiste nella difficoltà, che si risolve poi in un’impossibilità pratica di ragguagliare alla configurazione giuridica del fatto secondo la legge antica, la configurazione di esso secondo la legge nuova, e di precisare i criterii a norma dei quali il giudice abbia applicato la misura di pena inflitta; criterii che però sarebbe necessario conoscere per sostituire la nuova pena, la quale spesso, per ispecie, per latitudine e per la varia influenza che riceve dal concorso delle circostanze, generali o particolari, subiettive od obbiettive, non è comparabile con l’antica»23.

Come noto, il lungo iter fin qui descritto si è concluso con l’approvazione del R.D. 30 giugno 1889, n. 6133, contenente il testo legislativo del Codice Zanardelli.

In particolare, l’articolo 2, inserito nel libro I, Dei reati e delle pene in

generale, titolo I, Dell’applicazione della legge penale, e rubricato

«Efficacia della legge in ordine al tempo», così disponeva: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.

21 Cfr. G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 170 ss. 22 Cfr. G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 172 ss. 23 Cfr. G. CRIVELLARI, Il codice penale, cit., p. 175 – 176.

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Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisca reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori siano diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato».

Il legislatore si era, dunque, orientato verso il riconoscimento della piena operatività del principio di retroattività della legge più favorevole sia per l’ipotesi abrogativa che per quella soltanto modificativa. Va, tuttavia, precisato che – ferma l’eliminazione dal testo dell’art. 2 di ogni capoverso relativo alla possibilità di applicare la lex mitior oltre il giudicato in presenza di una mera modificazione ̶ il legislatore del 1889 aveva, comunque, previsto alcune eccezioni, nell’ambito delle disposizioni transitorie, per i casi di condannati a una specie di pena abolita o a una pena sostituita da altra molto meno grave24.

Invero, in questi casi, si era ritenuto preferibile – sia per ragioni di equità, che per interesse dello stesso Stato ̶ escludere la possibilità di eseguire pene crudeli, ma soprattutto territorialmente diversificate, in considerazione della precedente coesistenza di numerosi codici preunitari25.

24 Più specificamente, per l’ipotesi di esecuzione di condanne aventi ad oggetto pene non presenti nel nuovo codice, si era previsto (art. 36) che: «(…) 1. La pena di morte e quella dei lavori forzati a vita, secondo il codice penale del 1859, e la pena dell’ergastolo secondo il codice penale toscano, sono commutate nella pena dell’ergastolo stabilita dal nuovo codice;

2. Le pene dei lavori forzati a tempo e della reclusione, secondo il codice del 1859, e della casa di forza secondo il codice toscano, sono commutate nella pena della reclusione stabilita dal nuovo codice».

Allo stesso modo, ai sensi dei primi due commi dell’art. 39: «Le pene perpetue pronunziate a norma delle leggi anteriori al nuovo codice per delitti rispetto ai quali, ritenuto il fatto definito nella sentenza, il codice medesimo stabilisce una pena temporanea, sono commutate nella reclusione per anni ventiquattro.

Se la pena perpetua sia stata applicata per ammissione di circostanze attenuanti, è commutata nella reclusione per anni trenta».

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2. Dalla Scuola Positiva al Codice Rocco

All'indomani della prima guerra mondiale, le trasformazioni sociali ed economiche che avevano coinvolto il popolo italiano, ma soprattutto le mutate condizioni politiche, fecero emergere la necessità di un aggiornamento della legislazione penale, ritenuta ormai inadatta a rappresentare le forme di giustizia penale e di difesa collettiva manifestate dalle nuove correnti criminalistiche26.

In tale prospettiva, nel 1919, il Guardasigilli Mortara nominò una commissione ministeriale – presieduta da Enrico Ferri ̶ «per la riforma delle leggi penali in armonia ai principi ed ai metodi razionali della difesa della società contro il delitto in genere e un più efficace e sicuro presidio contro la delinquenza abituale». A distanza di solo un anno, venne, quindi, presentato – seppure limitatamente alla parte generale del codice ̶ il “Progetto preliminare di codice penale italiano” (c.d. Progetto Ferri), i cui contenuti accoglievano in larga parte i principi elaborati dalla scuola positiva.

In tema di efficacia della legge penale nel tempo, i positivisti muovevano dall'idea che – essendo il delitto un fatto umano che viola le condizioni di esistenza di una determinata società in un determinato momento storico ̶ il principio fondamentale della materia fosse rappresentato dalla retroattività: se la legge previgente non corrisponde più alla difesa delle mutate condizioni sociali non può trovare applicazione, dovendo la repressione corrispondere alla valutazione attuale del danno e del pericolo, anche a fronte di reati definitivamente giudicati27.

26Cfr. G. VASSALLI, voce Codice penale, in Enc. Dir., VII, 1960, p. 268 ss.

27Per una puntuale ricostruzione del pensiero della scuola positiva in materia di successione di leggi penali nel tempo, E. FLORIAN, Trattato di diritto penale. Dei reati e delle pene in generale, I, Milano, 1906, p. 60 ss. Secondo l'Autore l'applicazione pratica del principio della retroattività assoluta condurrebbe «1, a punire i fatti anteriori alla nuova legge e soltanto da questa dichiarati delittuosi; 2, come pure a far cessare le pene per i fatti non più ritenuti delitti; 3, a rivedere e trattare alla stregua della legge nuova i fatti che, considerati delittuosi dalla legge vecchia, fossero già giudicati con sentenza divenuta irrevocabile e pei quali la legge nuova recasse modificazioni sia in favore sia in danno dei condannati; 4, a trattare alla stregua della legge nuova i fatti delittuosi commessi prima della promulgazione della nuova legge ma non giudicati con sentenza irrevocabile e ciò, ancora,

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La regola della retroattività assoluta trovava, tuttavia, un'attenuazione per i casi di nuova incriminazione. Ciò, sia per evitare di rendere insicura la vita dei cittadini onesti; sia per sopperire alle numerose difficoltà di tipo probatorio. Tutt'al più – si chiariva ̶ la condotta antecedente alla nuova legge incriminatrice avrebbe dovuto essere presa in considerazione come elemento per determinare la temibilità dell'autore28.

Nello schema preliminare del progetto Ferri si propose, quindi, di dichiarare sempre retroattiva la legge penale, con l'unica eccezione dell'introduzione di un nuovo delitto. La proposta non venne, però, accolta dalla Commissione che, dopo aver evidenziato, da un lato, i rischi di rappresaglie in tema di delitti politici, e dall'altro, l'eccessiva rigidità per i delinquenti occasionali e meno pericolosi, decise di adottare un modello più temperato, limitando l'applicazione del principio di retroattività alle sole ipotesi di legge più favorevole al reo29.

I profondi cambiamenti che, in quegli anni, coinvolsero il sistema politico italiano fermarono l'iter di discussione del progetto Ferri. Restarono, tuttavia, sentite e attuali le esigenze di aggiornamento di talune disposizioni e, più in generale, la necessità di adeguare l'impianto del codice ai più moderni orientamenti criminologici; a ciò si aggiunsero le istanze del nuovo regime totalitario, desideroso di sostituire la legislazione vigente, di chiara

senza distinguere se le modificazioni recate dalla nuova legge fossero in favore o in danno agli imputati».

28 E. FLORIAN, Trattato, cit., p. 64.

29Cfr. Progetto preliminare di codice penale italiano per i delitti (Libro I). Relazione del presidente

Enrico Ferri, Milano, 1921, p. 16. Più specificamente, l'art. 1 del Progetto presentato al Ministro

della Giustizia stabiliva che: «Nessuno può essere condannato per un fatto, che non sia espressamente preveduto come delitto dalla legge del tempo in cui fu commesso, né sottoposto a sanzioni che non siano da essa stabilite.

Si applica la legge posteriore, se le sue disposizioni sono più favorevoli all'imputato, tranne che si tratti di delinquenti abituali. Per gli infermi di mente e minorenni si applica la legge vigente al tempo del giudizio.

Se vi sia stata condanna per un fatto che secondo una posteriore non costituisce delitto ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali».

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ispirazione liberale, con altra più conforme ad un sistema repressivo e dittatoriale30.

Nel 1925, il ministro della Giustizia Alfredo Rocco presentò al Parlamento un disegno di legge per la delegazione al Governo della facoltà di modificare il codice penale, il codice di procedura penale, le leggi sull'ordinamento giudiziario e di emanare le necessarie disposizioni di coordinamento.

Approvata la delega, fu subito nominata una commissione ministeriale che, nel 1928, presentò al Guardasigilli il progetto preliminare del codice penale, accompagnato da un'ampia relazione del Presidente Appiani31.

Sotto il profilo della successione di leggi penali nel tempo, l'art. 2 del Progetto appare, nei primi capoversi, sostanzialmente affine a quanto previsto dal Codice Zanardelli32. Lo stesso Appiani affermò che i principi

disciplinanti la materia, invariati rispetto al passato, potevano essere così individuati: 1) principio della non retroattività della norma penale, in virtù del quale nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge del tempo in cui fu commesso non costituiva reato; 2) principio della non ultra-attività della norma penale, secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che, in base ad una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata condanna ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali; 3) principio della extra-attività della norma penale meno restrittiva della libertà, in forza del quale se

30G. VASSALLI, voce Codice penale, cit., p. 271.

31Per un resoconto più dettagliato dell'iter di approvazione del Codice Rocco, G. VASSALLI, voce

Codice penale, cit., p. 272 ss.

32Più specificamente, l'art. 2 stabiliva: «Nessuno può essere punito per un fatto, che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.

Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisca reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali.

Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e la posteriore siano diverse, si applica quella le cui disposizioni siano più favorevoli al reo, salvo sia stata pronunciata sentenza divenuta irrevocabile.

Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì nei casi di decadenza o mancata ratifica di un decreto-legge.

Nel caso di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti». Cfr. Progetto preliminare di un nuovo codice penale, Roma, 1927.

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la legge del tempo in cui fu commesso il fatto e la legge posteriore sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo il limite del giudicato33.

Nel 1929, il progetto definitivo del codice penale fu ultimato e inviato con la relazione esplicativa alla commissione parlamentare. Dopo un'ultima opera di revisione, il testo definitivo del nuovo codice penale venne pubblicato con R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398.

Nella relazione al Re, si ribadisce la poca distanza esistente tra la disciplina contenuta nel codice Zanardelli e quella del nuovo codice: in entrambi i casi la codificazione risulta informata ai principi di non retroattività e di non ultra-attività della legge penale34.

La prima regola trova certa applicazione nell'art. 2, comma 1, in forza del quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso non costituiva reato.

Nel caso, invece, in cui un fatto sia stato commesso sotto la vigenza di una legge che lo considerava reato e questa cessi di avere vigore, occorre distinguere l'ipotesi della legge abolitiva da quella della legge meramente modificativa.

Invero, solo nella prima ipotesi l'abolitio criminis può considerarsi completa e, conseguentemente, il reato come mai esistito, per cui se vi è stata condanna ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali. Al contrario, ove la legge posteriore continui a considerare il fatto come reato, sono possibili due diverse soluzioni: o continuare ad applicare la legge del tempo in cui il reato è stato commesso; o applicare la legge vigente al tempo del giudizio. Avendo entrambe valide argomentazioni a supporto, la scelta tra l'una e l'altra appare rimessa a ragioni di politica criminale.

33Cfr. Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, IV, Parte I, Roma, 1929, p. 6 ss.

34Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, Parte I, Roma, 1929, p. 20 ss.

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Come è noto, il legislatore del ’30 ha optato per il principio della extra-attività delle norme penali più favorevoli: tale regola, a differenza di quelle delineate nei due commi precedenti, sostituisce ai criteri temporali della non retroattività e della non ultra attività un criterio oggettivo, basato sul contenuto più mite della legge da applicare35.

La scelta del canone in questione fu motivata dalla stesso Guardasigilli come conseguenza di «un complesso di considerazioni pratiche convalidate dalla nostra tradizione legislativa»36 e, più specificamente, con l’esigenza di

non far scaturire l'applicazione di una data legge, invece che di un'altra, da circostanze estrinseche e variabili non dipendenti dagli imputati.

Come già accaduto con il codice Zanardelli, si stabilì, peraltro, che l'applicazione della legge modificativa più favorevole trovasse un limite nell'esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna: in tale prospettiva – si precisava ̶ eventuali temperamenti al principio di intangibilità della cosa giudicata – ove ritenuti opportuni ̶ potranno essere rimessi a specifiche disposizioni transitorie37.

35 Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, cit., p. 21. 36Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, cit., p. 21.

37 Riguardo a quest'ultima riserva, la Commissione parlamentare aveva proposto l'introduzione di un'eccezione per le sentenze di condanna alla pena di morte, in considerazione del fatto che fosse stridente con la coscienza giuridica l'esecuzione della pena capitale per un delitto, per il quale la nuova legge stabilisce una pena più mite. La censura non trovò, però, l'accoglimento del Guardasigilli, il quale ̶ dopo aver precisato che ad essere turbata non è la coscienza giuridica ma, semmai ̶ il senso di equità, evidenziò come la medesima considerazione potesse essere mossa per la pena dell'ergastolo, dovendosi, pertanto, solamente fissare la regola più generale, ferma la possibilità di intervenire, per attenuare il rigore della legge, tramite l'istituto della grazia o eventuali disposizioni transitorie. Sul punto, Codice penale e di procedura penale con relazioni a S.M. Il Re, Roma, 1931. D’altra parte, secondo una parte della dottrina coeva, l’intangibilità del giudicato non avrebbe dovuto costituire un ostacolo alla retroattività della legge più favorevole, neanche per l’ipotesi meramente modificativa: cfr. A. SANTORO, La retroattività della legge più mite e l’intangibilità del

giudicato, in Riv. dir. pen., 1935, II, p. 1303 ss. In particolare, secondo l’Autore, non esiste alcuna

differenza ontologica tra l’ipotesi della legge abolitrice e quella della legge modificativa tale da giustificare il diverso dettato positivo. Semmai – si specifica ̶ il giudicato sarebbe inciso più fortemente proprio nell’ipotesi di abolitio criminis: ove, dunque, si attribuisse efficacia retroattiva alla legge modificativa più favorevole si potrebbe agire limitatamente alla fase dell’esecuzione, per mezzo di un provvedimento integrativo della sentenza passata in giudicato.

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3. La successione di leggi penali nell’art. 2 c.p.

Chiarito il processo politico e legislativo che ha determinato la scrittura dell’attuale art. 2 c.p., sembra adesso utile soffermarsi sulla disciplina in esso contenuta, e, in particolare, sui commi che sanciscono nel nostro ordinamento la regola della retroattività delle leggi penali sopravvenute che siano favorevoli al reo.

D’altra parte, poiché – come si è visto ̶ il legislatore ha riconosciuto una retroattività illimitata solo per l’ipotesi di legge abolitiva, appare parimenti conveniente delineare i criteri che consentono di individuare i confini tra il fenomeno dell’abolitio criminis e la successione di norme meramente modificative.

Come più volte osservato, la disciplina generale dettata con riguardo alla successione di leggi in materia penale ruota, anzitutto, intorno al principio di irretroattività delle norme incriminatrici, sancito, sul piano della legislazione ordinaria, dal primo comma dell’art. 2 c.p., e, a livello costituzionale, dall’art. 25, comma 2, Cost.38.

In forza di questo canone, è fatto divieto tanto al legislatore, quanto al giudice, di attribuire efficacia retroattiva a una legge successiva che incrimina una condotta prima ritenuta lecita, o che aggrava le conseguenze previste per un comportamento già qualificato come penalmente rilevante. In tale prospettiva, il divieto non si riferisce esclusivamente ai profili inerenti

38 Altre fonti normative del principio di irretroattività sono rappresentate, nel diritto internazionale ed europeo, dall’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dall’art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politi, e dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, oggi espressamente richiamata dal Trattato di Lisbona.

Sul principio di irretroattività, ex plurimis, M. SINISCALCO, Irretroattività delle leggi in materia

penale, Milano, 1987, p. 57 ss.; S. CAMAIONI, Successione di leggi penali, Padova, 2003, p. 23 ss.; P. SIRACUSANO, Successione di leggi penali, I, Messina, 1988, p. 5 ss.; C. ESPOSITO, Irretroattività

e legalità delle pene nella nuova Costituzione, in La Costituzione italiana, Padova, 1954, p. 90 ss.;

A. CADOPPI, Il principio di irretroattività, in (a cura di) G. INSOLERA – N. MAZZACUVA – M. PAVARINI – M. ZANOTTI, Introduzionale al sistema penale, I, Torino, 2012, p. 154 ss..

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alla fattispecie di reato, ma, altresì, a tutti gli istituti di diritto sostanziale che concorrono a determinare l’area dell’illecito penale e le risposte sanzionatorie39.

Per ciò che concerne, più specificamente, la disposizione contenuta al primo comma dell’art. 2 c.p., essa fa riferimento alla nuova incriminazione. Questo fenomeno si configura, in primo luogo, quando la nuova norma introduce una figura di reato integralmente inedita, attribuendo rilevanza penale a comportamenti che in base alla disciplina previgente erano considerati leciti; secondariamente, quando la nuova legge prevede un’estensione dei confini di un’incriminazione già esistente40.

I successivi commi dell’art. 2 c.p. affermano, invece, la regola della retroattività delle leggi penali sopravvenute che siano favorevoli al reo. In

39 Così, D. PULITANÒ, sub Art. 2, in (a cura di) G. FORTI – S. SEMINARA – G. ZUCCALÀ, Commentario

breve al codice penale, 6° ed., Padova, 2017, p. 15 ss.

Secondo l’opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza, resta esclusa l’operatività del principio di irretroattività con riferimento alle misure di sicurezza, stante la lettura combinata dell’art. 25, comma 3, Cost. – il quale enuncia il principio di legalità in rapporto alle misure di sicurezza solo sotto il profilo della riserva di legge e della tassatività ̶ e dell’art. 200 c.p. Criticamente, sul punto, E. DOLCINI – G. MARINUCCI, Corso di diritto penale, I, 3° ed., Milano, 2001, p. 258 ss.; G. DE VERO, Corso di diritto penale, I, 2° ed., Torino, 2012, p. 297 ss.

Si discute, invece, se il principio di irretroattività trovi applicazione con riferimento alle cause di estinzione della punibilità e, più specificamente alla prescrizione, trattandosi di istituti dall’incerta natura sostanziale o processuale. Secondo l’opinione prevalente, avallata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, l’istituto – incidendo sulla punibilità in concreto di una condotta vietata dalla legge ̶ rientra senz’altro nell’ambito di applicazione del principio del nullum crimen, nulla poena

sine lege, il quale non copre solamente la fattispecie incriminatrice e la pena, ma si estende anche a

tutti gli aspetti inerenti alla punibilità, ivi compresa la prescrizione. Cfr., da ultimo, Corte Cost., 10 aprile 2018, n. 115, in www.penalecontemporaneo.it (4 giugno 2018), con nota di C. CUPELLI, La

Corte costituzionale chiude il caso Taricco e apre a un diritto penale europeo ‘certo’, con cui i

giudici delle leggi - a “chiusura” dell’ormai celebre affaire Taricco ̶ ne hanno ribadito la natura di istituto di diritto sostanziale; nonché, recentemente, Corte cost., 19 maggio 2014, n. 143, in

www.cortecostituzionale.it; Corte cost., 30 luglio 2008, n. 324, in www.giurcost.org, e la giurisprudenza ivi richiamata.

Per un’analisi delle varie posizioni dottrinali sulla natura giuridica della prescrizione cfr. A. MOLARI, voce Prescrizione del reato e della pena (dir. pen.), in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966, p. 680 ss.; P. PISA, voce Prescrizione (dir. pen.), in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, p. 78 ss.; S. PANAGIA, voce Prescrizione del reato e della pena, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1995, p. 659 ss.; F. GIUNTA – D. MICHELETTI, Tempori cedere. Prescrizione del reato e funzioni della pena nello scenario della

ragionevole durata del processo, Torino, 2003, in particolare p. 63 ss.

40 E. DOLCINI – G. MARINUCCI, Corso di diritto penale, cit., p. 255 ss.; nello stesso senso, G. DE VERO, Corso di diritto penale, cit., p. 296 ss.; F. MANTOVANI, Diritto penale, 10° ed., Torino, 2017, p. 85. Per una disamina del contenuto e dei confini della nozione di nuova incriminazione, cfr. altresì, P. SIRACUSANO, Successione di leggi penali, cit., p. 27 ss.

(29)

27

particolare – come si è accennato ̶ , il secondo comma dell’art. 2 c.p. disciplina l’ipotesi – speculare alla nuova incriminazione ̶ dell’abolitio

criminis, prevedendo che: «nessuno può essere punito per un fatto che,

secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali».

Allo stesso modo, si stabilisce che: «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile». Tale disposizione – che fissa il principio di ultrattività della legge modificatrice più favorevole ̶ era, come noto, originariamente contenuta nel terzo comma dell’art. 2 c.p., ma è stata ricollocata al comma successivo in seguito alle modifiche apportate dall’art. 14 L. 24 febbraio 2006, n. 85, con cui è stata inserita una deroga al principio di intangibilità del giudicato.

In forza della riforma, l’attuale terzo comma dell’art. 2 c.p. dispone che: «se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 135»41.

Ai sensi del quinto comma dell’art. 2 c.p., il principio di retroattività della

lex mitior rimane, invece, inoperante rispetto alle leggi eccezionali o alle

leggi temporanee42. La ratio sottesa alla deroga appare evidente, alla luce

delle stesse caratteristiche connaturate a questo tipo di disposizioni: ove fosse consentito avvalersi della retroattività, verrebbe ad essere ingiustamente

41 Sull’attuale terzo comma dell’art. 2 c.p., cfr., infra, Cap. III, § 5.

42 La disposizione in esame costituisce una novità del Codice Rocco rispetto al Codice Zanardelli. Come motivato nella relazione ministeriale, l’introduzione della norma è servita a risolvere autoritativamente la questione dell’ultrattività delle leggi eccezionali e temporanee, particolarmente sentita nel primo dopoguerra sia in dottrina che in giurisprudenza. Sul punto, cfr. Lavori preparatori

del codice penale e del codice di procedura penale, V, cit., p. 22 ss.

Una norma analoga a quella prevista all’art. 2, comma 5, c.p. era in passato prevista per le disposizioni penali in materia di leggi finanziarie. Tale deroga al principio di retroattività – ritenuta in più occasioni ragionevole dalla Corte costituzionale, alla luce dell’esigenza di tutelare la riscossione dei tributi ̶ è stata, tuttavia, abrogata dall’art. 24 del D. Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.

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