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Caratteristiche generali del principio di irretroattività nel quadro internazionale ed europeo

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 119-131)

EUROPEO ED INTERNAZIONALE

1. Caratteristiche generali del principio di irretroattività nel quadro internazionale ed europeo

Delineato fin qui il principio della retroattività in mitius nell’ordinamento nazionale, occorre adesso verificare se e quale posizione esso riveste sul piano internazionale ed europeo. È noto, infatti, come al giorno d’oggi nessuna analisi – soprattutto in materia di principi generali ̶ possa rimanere circoscritta all’interno della tradizionale prospettiva statale, stante l’irrompere sulla scena dell’ordine giuridico sovranazionale, di cui sono sempre più crescenti le interferenze e i condizionamenti.

Anche su questo versante sembra utile prendere le mosse dall’opposto principio che opera in materia di diritto intertemporale, ovverosia quello dell’irretroattività sfavorevole.

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Invero, anche al di fuori del versante interno – e forse ancor di più che in esso ̶ i due canoni non hanno goduto dello stesso rilievo, in quanto – come vedremo ̶ solo di recente la lex mitior ha ricevuto espliciti riconoscimenti; d’altra parte, a differenza di quanto accaduto nel nostro ordinamento, dove se ne è ravvisato un distinto fondamento – rispettivamente nell’art. 25, comma 2, Cost. e nell’art. 3 Cost. ̶ , non è infrequente che, in ambito internazionale ed europeo, entrambe le regole trovino una medesima copertura sotto la generica rubrica “principio di legalità”.

Volendo iniziare dal livello internazionale, si può fin da subito evidenziare come, anche qui, l’irretroattività penale – quale corollario “astorico” del più ampio principio di legalità ̶ si sia affermata come garanzia irrinunciabile dell’individuo, tanto da trovare una collocazione in moltissime Carte dedicate alla tutela dei diritti umani.

Più specificamente, tale principio è stato innanzitutto recepito all’interno della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, elaborata nel 1948 in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite1. Va, tuttavia, evidenziato come

questa consacrazione, pur dotata di grande valore politico, non è vincolante per gli Stati sotto il profilo giuridico, dal momento che l’Assemblea generale dell’ONU è priva di un vero e proprio potere legislativo, potendo limitarsi ad emanare atti di soft law come le raccomandazioni2.

Sempre nell’ambito delle Nazioni Unite, il divieto di retroattività sfavorevole viene altresì in rilievo nell’ambito del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1973 e ratificato dall’Italia il 15 settembre 19783. Questo – a differenza della Dichiarazione

1 In particolare, l’art. 11, comma 2, stabilisce che: «No one shall be held guilty of any penal offence

on account of any act or omission which did not constitute a penal offence, under national or international law, at the time when it was committed. Nor shall a heavier penalty be imposed that the one that was applicable at the time the penal offence was committed».

2 In questo senso, per tutti, B. CONFORTI, Diritto internazionale, 11° ed., Napoli, 2018, p. 63 ss. 3 Più specificamente, la regola in esame è contenuta nella prima parte dell’art. 15, la quale recita: «No one shall be held guilty of any criminal offence on account of any act or omission which did

not constitute a criminal offence, under national or international law, at the time when it was committed. Nor shall a heavier penalty be imposed than the one that was applicable at the time when the criminal offence was committed».

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del 1948 ̶ è un vero e proprio atto di diritto internazionale pattizio e, pertanto, una volta ratificato, ha acquistato per gli Stati firmatari carattere cogente4.

Lo stesso principio è, poi, riconosciuto dal Trattato, concluso a Roma nel 1998, con cui è stata istituita la Corte penale internazionale, entrato in vigore il 1° luglio 2002 e ratificato dall’Italia con la L. n. 232 del 19995.

Da ultimo – e non certamente per importanza ̶ la regola dell’irretroattività sfavorevole è sancita all’interno della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 nell’ambito del Consiglio d’Europa, e adottata dall’Italia in forza della L. n. 848 del 1955.

Come è noto, la Convenzione si distingue dagli altri trattati concernenti la materia dei diritti fondamentali in quanto, oltre a non prevedere alcuna clausola di reciprocità come accade normalmente in ambito internazionale, istituisce un vero e proprio sistema di controllo – sia politico che giurisdizionale ̶ sull’ottemperanza da parte degli Stati contraenti di quanto in essa stabilito; sistema a cui possono rivolgersi, oltre che i Paesi aderenti, anche i singoli individui, previo l’esaurimento dei rimedi interni6.

Inoltre, a partire dalle celebri sentenze “gemelle” n. 348 e 349 del 2007, la Corte Costituzionale – superando la precedente posizione che si limitava ad attribuire alla Convenzione il rango ordinario proprio della legge di esecuzione nell’ordinamento interno ̶ ne ha riconosciuto il ruolo di parametro sub-costituzionale interposto ai sensi dell’art. 117 Cost., per cui

4 Così, B. CONFORTI, Diritto internazionale, cit., p. 207 ss. Sotto questo profilo, va evidenziato come lo stesso Patto ha previsto l’istituzione di un Comitato per i diritti dell’uomo con il compito di esaminare i reclami presentati contro uno Stato contraente dagli altri Stati firmatari o da individui (art. 28 ss.); tuttavia, la procedura non può sfociare nell’emanazione di atti vincolanti, ma solo in tentativi di amichevole composizione. Il Comitato è, altresì, competente a ricevere rapporti dagli Stati circa l’applicazione del Patto nei rispettivi territori, potendo trasmettere le osservazioni generali che ritiene opportune.

5 In particolare, il primo comma dell’art. 24 dello Statuto prevede che: «No person shall be

criminally responsible under this Statute for conduct prior to the entry into force of the Statute».

6 In questo senso, per tutti, V. ZAGREBELSKY, La convenzione europea dei diritti dell’uomo e il

principio di legalità nella materia penale, in V. MANES – V. ZAGREBELSKY (a cura di), La

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pur non godendo di un’efficacia primaria pari al diritto dell’Unione europea, le disposizioni in essa contenute (così come in ogni altra fonte convenzionale) hanno una valenza superiore rispetto alle norme nazionali ordinarie7.

Nell’ambito di questa cornice normativa, il divieto di retroattività sfavorevole trova la sua collocazione all’interno dell’art. 7, rubricato «Nulla

poena sine lege», in forza del quale «Nessuno può essere condannato per

un’azione o una omissione che al momento in cui fu commessa non costituisse reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale».

Tale disposizione riveste un ruolo di assoluta centralità all’interno del sistema convenzionale non solo perché si tratta di una delle poche norme che riguardano direttamente la materia del diritto penale sostanziale, ma soprattutto alla luce della previsione contenuta nell’art. 15, comma 2, Cedu, che ne esclude – a differenza di altri diritti in essa sanciti ̶ ogni possibile deroga. D’altra parte, va precisato che, sebbene la norma in esame riguardi esplicitamente solo l’irretroattività sfavorevole, dottrina e giurisprudenza

7 Tale peculiare rango si riflette naturalmente sull’efficacia che le stesse assumono all’interno dell’ordinamento. In questo senso, a fronte di un contrasto tra i diritti contenuti nella Cedu e le disposizioni nazionali, resta escluso che il giudice possa disapplicare – come accade per le norme euro-unitarie ̶ le seconde a favore delle prime; piuttosto, ove fosse esclusa ogni possibilità di interpretazione conforme, quest’ultimo dovrà sospendere il giudizio a quo e prospettare innanzi alla Consulta una questione di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117 Cost., in rapporto alla disposizione della Convenzione ritenuta incompatibile che – come detto sopra – opererà quale parametro interposto. Resta, peraltro, ferma la possibilità per la Corte di “salvare” la norma interna tacciata di incostituzionalità, ove l’antinomia riguardi la stessa Carta fondamentale, la quale resta per intero gerarchicamente sovraordinata alla Cedu.

Va, altresì, rilevato come il rango sub-costituzionale non riguarda soltanto il testo della Cedu, ma anche l’interpretazione che di esso fornisce la Corte di Strasburgo.

Sulle sentenze “gemelle” del 2007, ex plurimis, Corte Cost., 22 ottobre 2007, n. 348 e n. 349, entrambe in Giur. cost., 2007, p. 3475 ss., con nota di M. CARTABIA, Le sentenze “gemelle”: diritti

fondamentali, fonti, giudici; in Riv. it. dir. pub. com., 2008, p. 1288, con nota di S. BONATTI, La

giusta indennità d’esproprio tra Costituzione e Corte europea dei diritti dell’uomo; in Dir. pub. comp. eur., 2008, p. 171 ss., con nota di A.BULTRINI, Le sentenze 348 e 349/2007 della Corte

Costituzionale: l’inizio di una svolta? e di R. CAFANI PANICO – L. TOMASI, Il futuro della CEDU

tra giurisprudenza costituzionale e diritto dell’Unione; in Giur. it., 2008, p. 573 ss., con nota di R.

CALVANO, La Corte costituzionale e la CEDU nella sentenza n. 348/2007: orgoglio e pregiudizio?; in Foro it., 2008, 1, p. 39 ss., con nota di L. Cappuccio, La Corte costituzionale interviene sui

rapporti tra Convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione, e di F. GHERA, Una svolta

storica nei rapporti del diritto interno con il diritto internazionale pattizio (ma non in quelli con il diritto comunitario).

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ritengono unanimemente che essa consacri al suo interno il più generale principio penalistico di legalità8.

Sennonché, deve evidenziarsi come sia nella prospettiva più ampia della legalità, che in quella più ristretta del corollario della lex gravior, la concezione del principio che emerge dalla lettura della Convenzione ̶ ma soprattutto dalla sua interpretazione da parte della Corte EDU ̶ non coincida del tutto con quella propria degli ordinamenti penali continentali.

Invero, pur identificandosi entrambe nel diritto fondamentale dell’individuo a poter conoscere preventivamente il precetto normativo e le relative conseguenze sul piano sanzionatorio, risulta estranea alla garanzia convenzionale la dimensione politico-istituzionale propria dell’art. 25, comma 2, Cost., calibrata sulla separazione tra il potere legislativo e il potere esecutivo e sul riconoscimento del monopolio delle scelte di incriminazione al Parlamento, in quanto espressione della sovranità popolare9.

Quella convenzionale è una scelta interpretativa evidentemente dovuta alla necessità di armonizzare il più possibile normative appartenenti a diverse tradizioni giuridiche, la cui produzione è spesso affidata ad organi funzionalmente differenti; ma anche alla struttura stessa del giudizio operato dai giudici di Strasburgo che, ponendo al centro della loro riflessione diritti concreti ed effettivi, non possono accontentarsi di guardare al solo testo legislativo, senza calarlo nella prassi applicativa10. In questo senso, affinché

l’art. 7 Cedu possa dirsi rispettato, non risulta necessario che il fatto incriminato o la pena siano affermati da una legge formalmente intesa, essendo sufficiente che essi siano previsti da una qualsiasi delle fonti del diritto riconosciute dal singolo ordinamento11.

8 Cfr. sul punto, E. NICOSIA, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto penale, Torino, 2006, p. 56 ss., anche per i riferimenti giurisprudenziali.

9 Così, F. VIGANÒ, Il nullum crimen conteso: legalità “costituzionale” vs. legalità “convenzionale”, in www.penalecontemporaneo.it , (5 aprile 2017), p. 10

10 Cfr., per tutti, V. ZAGREBELSKY, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 89. 11 Sul punto, ex plurimis, E. NICOSIA, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., 58 ss.; A. BERNARDI, sub Art. 7, in (a cura di) S. BARTOLE – B. CONFORTI – G. RAIMONDI, Commentario alla

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Piuttosto, nell’attuazione della norma in esame, i giudici di Strasburgo tendono ad adottare un’accezione materiale del concetto di legge penale, ricomprendendovi al suo interno sia la legislazione positiva che le decisioni della giurisprudenza12; ma soprattutto – anche al fine di controbilanciare una

lettura così ampia delle fonti del diritto ̶ mirano a valorizzare gli aspetti qualitativi della norma, declinati essenzialmente nei requisiti di accessibilità e prevedibilità, recuperando per tale via l’«equivalente funzionale» dei tradizionali sotto-principi di precisione, tassatività e irretroattività13.

Guardando, dunque, al profilo di nostro interesse, deve sottolinearsi come il contenuto della garanzia dell’irretroattività si concretizza non solo nel divieto di applicare disposizioni incriminatrici o peggiorative, che ancora non erano in vigore al momento in cui è stato commesso il fatto, ma, altresì, nel divieto per il giudice di adottare interpretazioni in malam partem di norme già positivizzate, discostandosi dai giudizi ermeneutici precedentemente

“flessibile”. Quando i diritti umani incontrano i sistemi penali, Torino, 2008, p. 305 ss.; F.

MAZZACUVA, sub Art. 7., in (a cura di) G. UBERTIS – F. VIGANÒ, Corte di Strasburgo e giustizia

penale, Torino, 2016, p. 237 ss.; M. SCOLETTA, La legalità penale nel sistema europeo dei diritti

fondamentali, in (a cura di) C.E. PALIERO – F. VIGANÒ, Europa e diritto penale, Milano, 2013, p.

216 ss.; V. ZAGREBELSKY, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 77 ss.; V. MANES, sub Art. 7, in (a cura di) S. BARTOLE – V. ZAGREBELSKY – P. DE SENA – S. ALLEGRAZZA,

Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2011, p. 274.

D’altra parte, è noto che ̶ nel quadro di questa generale disattenzione verso una prospettiva strettamente formale di legalità ̶ , la Corte europea ha elaborato – a partire dalla celebre sentenza Corte edu, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, in www.eur-lex.europa.eu ̶ un’autonoma

nozione del concetto stesso di “materia penale”, delineato secondo un triplice criterio di identificazione, progressivamente precisato e sviluppato nella giurisprudenza successiva. Si tiene così conto solo in prima battuta della qualificazione giuridica attribuita alla fattispecie di cui si tratta dall’ordinamento interno, soffermandosi piuttosto, per un verso, sulla natura e sulla gravità dell’infrazione e, per l’altro, sulla finalità e sulla gravità della sanzione comminata. Sul tema, ex

plurimis, A. BERNARDI, Art. 7, cit., p. 256 ss.; E. NICOSIA, Convenzione europea dei diritti

dell’uomo, cit., p. 56 ss; G. DE VERO, La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in G. DE VERO – G. PANEBIANCO, Delitti e pene nella giurisprudenza delle Corti europee, Torino, 2007, p. 11 ss.; A. ESPOSITO, Il diritto penale “flessibile”, cit., p. 307 ss.; V. ZAGREBELSKY, La convenzione

europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 74 ss.; M. SCOLETTA, La legalità penale nel sistema europeo, cit., p. 255 ss. Più recentemente, L. MASERA, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018, p. 29 ss.

12 A ben vedere, è lo stesso art. 7 CEDU che parla di “diritto” e non di “legge”. Sul punto, ex multis, A. BERNARDI, Art. 7, cit., p. 260; A. ESPOSITO, Il diritto penale “flessibile”, cit., p. 304; M. SCOLETTA, La legalità penale nel sistema europeo, cit., p. 218 ss.

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compiuti, ove ciò non sia ragionevolmente prevedibile14. In altre parole, una

sostanziale violazione del divieto di retroattività sfavorevole può derivare, oltre che dall’applicazione di una legge inesistente al momento della commissione del reato, anche da un mutamento interpretativo che produca esiti svantaggiosi per il reo; ciò che conta, infatti, è che l’individuo sia posto nella concreta possibilità di prevedere il carattere illecito di una determinata condotta, e le sue conseguenze punitive, in base alla pregressa previsione legislativa e applicazione giurisprudenziale della legge penale15.

Con questo, naturalmente, non si intende escludere in toto l’ammissibilità di un’interpretazione estensiva del testo legislativo, ma piuttosto la necessità che – in forza di un giudizio di tipo casistico ̶ il risultato della stessa sia ipotizzabile ex ante dai potenziali destinatari, soprattutto se l’estensione normativa si discosti dalla consolidata giurisprudenza pregressa; ed, infatti, in numerosi casi la Corte di Strasburgo ha ritenuto l’interpretazione estensiva adottata dalla giurisprudenza nazionale pienamente compatibile con la Convenzione o perché in linea con la prassi già adottata o perché plausibile alla luce della mutata realtà socio-culturale in cui la norma si trova collocata16.

14 V. VALENTINI, Diritto penale intertemporale, cit., p. 105.

15 Sul requisito della prevedibilità della legge nella prospettiva convenzionale, ex plurimis, M. SCOLETTA, La legalità penale nel sistema europeo, cit., p. 234 ss.; E. NICOSIA, Convenzione europea

dei diritti dell’uomo, cit., p. 65 ss.; V. ZAGREBELSKY, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 88 ss.; G. DE VERO, La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, cit., p. 16 ss.; A. BERNARDI,

Art. 7, cit., p. 259 ss.; V. MANES, Art. 7, cit., p. 278 ss.; A. ESPOSITO, Il diritto penale “flessibile”, cit., p. 322 ss.; F. MAZZACUVA, Art. 7, cit., p. 237 ss.; F. VIGANÒ, Il principio di prevedibilità della

decisione giudiziale in materia penale, in AA.VV., La crisi della legalità. Il “sistema vivente” delle fonti penali, Napoli, 2016, p. 213 ss.

16 Si considerino, esemplificativamente, la sentenza C. Edu, 24 marzo 1993, Kokkinakis c. Grecia, in cui la Corte, pur riconoscendo la scarsa precisione della fattispecie di proselitismo religioso (in particolare dell’elemento costitutivo «zelo dispiegato per diffondere la fede»), ha ritenuto che fosse possibile per l’imputato prevedere l’illiceità della propria condotta in quanto sostanzialmente conforme all’interpretazione consolidata – seppure estensiva – fornita dalla giurisprudenza di legittimità greca; e la sentenza C. Edu, 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito (e l’analoga C. Edu, 22 novembre 1995, C.R. c. Regno Unito), con cui i giudici europei hanno ritenuto legittima la condanna inflitta ad un soggetto per violenza sessuale nei confronti della moglie, in quanto – benché all’epoca la prassi prevalente riconosceva una causa soggettiva di non punibilità nei casi di rapporti sessuali, ancorché imposti con violenza o minaccia, tra coniugi ̶ l’evoluzione del costume sociale e della concezione dei rapporti matrimoniali, nonché la manifesta natura umiliante del reato, poteva far ritenere l’esito del giudizio ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto.

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In definitiva, la prospettiva della legalità convenzionale accolta dai giudici europei – seppure non esente da criticità17 ̶ mira evidentemente a

massimizzare le tutele riconosciute all’individuo e a garantirgli un presidio contro gli abusi da parte di ogni potere punitivo, amplificando, di conseguenza, la sua libertà di autodeterminazione individuale18.

Parzialmente diversa è, invece, la situazione nell’ambito dell’Unione Europea.

Invero, la natura strettamente economica degli interessi tradizionalmente tutelati in seno alle Comunità europee e, al contempo, la mancanza di una qualsiasi forma di competenza in materia penale – in particolare nell’area del “primo pilastro” ̶ , avevano determinato l’assenza all’interno dei Trattati di ogni riferimento al principio di legalità, o allo specifico corollario dell’irretroattività sfavorevole.

Ciò nonostante, la progressiva attività pretoria della Corte di Giustizia, chiamata nel tempo a svolgere un operoso ruolo di garante dei diritti fondamentali, ha lentamente spinto verso il suo riconoscimento anche all’interno del diritto dell’Unione, attraverso il ricorso alla categoria dei “principi generali”.

Più specificamente, la ricezione della legalità da parte dei giudici europei è avvenuta sotto tre distinti profili: in primo luogo, come garanzia che costituisce diretta emanazione della “certezza del diritto”, quale principio generale del diritto comunitario, volto a garantire la prevedibilità delle situazione e dei rapporti giuridici ricadenti nell’ambito della normativa comunitaria; secondariamente, in quanto facente parte delle tradizioni

17 Invero, non è mancato chi ha evidenziato come il giudizio di prevedibilità adottato dalla Corte di Strasburgo risulti fin troppo influenzato dalla determinazione più o meno ampia dei parametri di cui tener conto per comporre la base ontologica del giudizio di ragionevolezza dell’interpretazione normativa e giurisprudenziale; tant’è che per lungo tempo sono mancati casi in cui i giudici sono alla fine giunti a dichiarare la violazione dell’art. 7 CEDU: sul punto, per tutti, V. VALENTINI, Diritto

penale intertemporale, cit., p. 138 ss.

18 Non sono, peraltro, mancati Autori che ritengono il modello di legalità anti-formalistico delineato in ambito europeo più “debole” rispetto a quello nazionale: cfr., E. NICOSIA, La convenzione europea

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costituzionali comuni degli Stati membri; e, da ultimo, in quanto espressamente sancita dall’art. 7 Cedu, i cui diritti fondamentali – per giurisprudenza costante ̶ fanno parte integrante dei principi generali dell’Unione19.

Ne è derivata, così, la possibilità per la Corte di Lussemburgo di vagliare – al fine di assicurare l’osservanza di tale principio ̶ non solo gli atti interni alla stessa Unione in materia penale, ma, altresì, ogni fonte nazionale deputata a dare attuazione in questo ambito a norme di diritto europeo20.

Un ulteriore passo verso la progressiva consacrazione della legalità penale anche nell’ambito dell’Unione europea è, poi, avvenuto con l’adozione, nel dicembre del 2000, della Carta dei diritti fondamentali (c.d. Carta di Nizza) che, nella prima parte del primo comma dell’art. 49 – ricalcando sostanzialmente l’art. 7 Cedu ̶ afferma: «Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso». Indubbiamente, questa previsione ha avuto il merito di rendere maggiormente visibile il principio di legalità, fino ad allora riconosciuto solo a livello giurisprudenziale; tuttavia, va ricordato come – quanto meno fino al 2007 ̶ la Carta sia rimasta relegata ad un ruolo di «mera dichiarazione politica»,

19 In questo senso, cfr., anche per gli specifici riferimenti giurisprudenziali, G. DE AMICIS, Il

principio di legalità nella giurisprudenza delle Corti europee, in I quaderni europei, 2009, 14, p. 4

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 119-131)

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