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L’abolitio criminis parziale tra l’inadeguatezza del sistema processuale e il limite del giudicato

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 78-83)

3.3.4 Un tentativo di conciliare il criterio dei “rapporti strutturali” con approcci di tipo valutativo

3.3.5. L’abolitio criminis parziale tra l’inadeguatezza del sistema processuale e il limite del giudicato

Respinto così il paradigma della continuità/discontinuità del tipo di illecito, sembrano, tuttavia, necessarie alcune considerazioni sulle ragioni che hanno portato verso l’affermazione di criteri diversi da quello dei “rapporti strutturali”.

Come si è fin qui evidenziato, l’impianto sistematico delineato dall’art. 2 c.p. con riferimento alla retroattività favorevole è delineato sulla dicotomia

abolitio criminis/mere modifiche favorevoli; queste ultime, d’altra parte,

vedono quale discrimen applicativo l’esistenza o meno di una sentenza passata in giudicato. Ora, appare evidente che – come dimostrato dal silenzio pluridecennale della dottrina penalistica e della giurisprudenza sul tema ̶ , nella prospettiva del codice Rocco, gli interventi normativi incidenti sulle fattispecie penali si dovevano prestare a un inquadramento tendenzialmente secco: in caso di abolitio criminis integrale della fattispecie incriminatrice, iperretroattività degli effetti abolitivi; in caso di mere modifiche della fattispecie – ancorchè inerenti alla sua struttura ̶ , applicazione della disciplina più favorevole salvo lo sbarramento del giudicato170.

Ora, il riconoscimento della figura dell’abolitio criminis parziale ̶ la quale intreccia contestualmente effetti abolitivi ad altri meramente modificativi ed è, dunque, estranea allo spirito originario della disciplina codicistica ̶ apre altresì alla necessità di un rapido confronto con le regole del processo: la rilevanza attribuita ad elementi del fatto concreto, prima indifferenti ai fini della punibilità o rilevanti in termini più generali, si scontra, infatti, con l’esistenza di limiti processuali che non sempre rendono possibile l’adattamento dell’oggetto di accertamento alla nuova formulazione della fattispecie171.

170 Così, M. SCOLETTA, L’abolitio criminis parziale, cit., p. 581-582.

171 In questo senso, ex plurimis, C. PECORELLA, L’efficacia nel tempo, cit., p. 45 ss.; M. SCOLETTA,

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La questione, a ben vedere, non sembra particolarmente significativa se il giudizio è ancora pendente nei gradi di merito: invero, ove la condotta addebitata all’agente sia riconducibile ad una delle sottofattispecie formalmente abrogate, risultando irrilevante rispetto alla disposizione riformulata, si impone un’immediata sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p.; al contrario, quando l’esistenza degli elementi specializzanti risulta ipotizzabile dall’esame degli atti del processo o all’esito delle indagini integrative, si potrà procedere alla modifica dell’imputazione ai sensi degli artt. 516 e ss. c.p.p., oppure – nel caso in cui il procedimento sia pendente nel giudizio di appello ̶ all’annullamento della sentenza di primo grado e, alternativamente, o la restituzione degli atti al pubblico ministero ex art. 521, comma 2 c.p.p., oppure la trasmissione degli atti al giudice di primo grado per la modifica dell’imputazione ex art. 604, commi 1 e 8, c.p.p.172.

Più complessa è, invece, la situazione ove il procedimento sia pendente in Cassazione o vi sia già stata condanna definitiva: in queste ipotesi, il fatto di cui valutare la perdurante rilevanza penale è ormai completamente cristallizato nel giudizio di merito, non essendo più consentita la specifica contestazione degli elementi specializzanti che possono eventualmente fondare la continuità normativa con il passato173. Ne consegue che, ove questi

ultimi non emergano dalla sentenza impugnata, non sarà possibile procedere ad indagini ulteriori né riaprire la fase di accertamento nel merito174.

In questo contesto, sembra agevole individuare le ragioni che spingono ad elaborare soluzioni interpretative di “discontinuità”: in presenza di nuove leggi che restringono l’ambito del penalmente rilevante, le aporie del sistema processuale muovono gli operatori del diritto verso la ricerca di spazi di impunità quanto più possibile retroattivi, aprendo alla tentazione di risolvere in chiave generalizzata verso l’abolitio criminis175.

172 Sul punto, ampiamente, M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma, cit., p. 312 ss. 173 Così, M. SCOLETTA, L’abolitio criminis parziale, cit., p. 572.

174 Su questi profili, ampiamente, M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma, cit., p. 326 ss. 175 In questo senso, D. PULITANÒ, Legalità discontinua, cit., p. 1290 ss.

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D’altra parte, la stessa giurisprudenza prevalente è giunta ad affermare che, in caso di riformulazione della fattispecie originaria, la mancata contestazione degli elementi specializzanti nel capo di imputazione o il mancato accertamento degli stessi nel corso del giudizio di merito, impone inevitabilmente la revoca della sentenza per intervenuta abolizione del reato

ex art. 673 c.p.p., in quanto il fatto, come definitivamente accertato in

giudizio, «non è più previsto dalla legge come reato»176.

È evidente, dunque, come la concreta operatività delle scelte del legislatore di pervenire all’abolizione solo parziale di una fattispecie incriminatrice sia bloccata dall’attuale struttura del processo penale, con esiti contrastanti con il principio di uguaglianza. Non può negarsi, infatti, la disparità di trattamento che si verifica tra chi beneficia della dichiarazione di intervenuta abolitio criminis, nonostante il fatto commesso continui ad essere punibile, e chi venga riconosciuto responsabile per quello stesso comportamento, essendo stato possibile accertare, nel corso del processo, che esso rientrava tra quelli per i quali persiste l’illiceità. D’altra parte, analoga disparità si realizza anche tra i fatti commessi in passato e dichiarati non più punibili, per l’impossibilità di procedere all’accertamento della loro mantenuta rilevanza penale, e quelli realizzati in futuro, pienamente assoggettati alla sanzione sancita dalla norma incriminatrice177.

Non sembra potersi dubitare, dunque, che se si vogliono rendere davvero operanti i principi della successione di leggi, in caso di abolitio criminis parziale, occorre porre mano alla struttura del processo: solo consentendo l’accertamento degli elementi specializzanti oltre gli stretti limiti dei giudizi di merito, gli effetti abolitivi conseguenti alla riformulazione della fattispecie incriminatrice non sarebbero più determinati delle contingenze delle singole fasi del giudizio, ma deriverebbero dall’effettiva valutazione – nel

176 Così, ex plurimis, Cass. pen., Sez. Un., 26 marzo 2003, n. 25887, Giordano, cit.; Cass. pen., Sez. Un., 26 febbraio 2009, n. 24468, Rizzoli, cit; Cass. pen., sez. V, 5 aprile 2004, n. 26859, Mazzoleni, in Cass. pen., 2004, p.4051 ss.

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contraddittorio tra le parti ̶ circa la possibile sussunzione del fatto nella sfera di tipicità che fonda la continuità normativa rispetto al passato178.

Si tratta – come vedremo ̶ di una prospettiva che non trova ostacolo nell’intangibilità, ormai ampiamente demitizzata, del giudicato, ma, al contrario, si pone in linea con un’interpretazione dell’istituto effettivamente rispettosa dei principi e dei valori costituzionali179.

D’altra parte, la crisi dei paradigmi della successione di leggi segnala un’ulteriore problematica, anch’essa legata all’esistenza del limite del giudicato: la diversità di esiti che tale profilo è in grado di determinare per il reo sembra, infatti, scontrarsi con l’equità e la ragionevolezza del sistema.

Non può, invero, negarsi che – sebbene il giudizio di continuità/discontinuità normativa dovrebbe essere svolto astraendo completamente da eventuali limiti procedurali o dai concreti risultati applicativi della nuova disciplina più favorevole ̶ nella realtà dei fatti i giudici possano essere condizionati dal sistema nel quale la regola teorica finisce per essere calata180. Guardando al giudicato, è evidente come la

qualificazione della successione normativa sia in grado di condurre a soluzioni diverse, stante l’impossibilità di applicare le mere modifiche in

bonam partem ove il giudizio sia già stato definito con sentenza

irrevocabile181.

178 In questo senso, M. SCOLETTA, L’abolitio criminis parziale, cit., p. 584 ss. 179 V., infra, Cap. III.

180 In questo senso, M. SCOLETTA, L’abolitio criminis parziale, cit, p. 567 ss.

181 Sotto questo profilo, risulta particolarmente significativa la già citata vicenda relativa all’abrogazione del delitto di oltraggio. Come ben evidenziato da attenta dottrina, l’affermazione di intervenuta abolitio criminis da parte della giurisprudenza non risponde a logiche giuridiche, manifestando, piuttosto «il disagio della magistratura di fronte alla prospettiva di dover continuare ad applicare, rispettando il limite del giudicato, una disciplina non solo ‘storicamente’ superata, ma, soprattutto, eccessivamente severa. Analoghe considerazioni possono svolgersi, peraltro, nella valutazione di fatti già compresi nel previgente art. 223 l. fall., che, tagliati fuori dai dalla nuova fattispecie novellata, non costituiscono più bancarotta ma integrano un reato societario: poiché sul piano formale non vi è completa abolitio criminis, l’applicazione della legge più favorevole dovrebbe incontrare il limite del giudicato, restando, pertanto, ferme le condanne già definitive per la bancarotta stante la persistente configurabilità di un reato societario (ancorchè meno grave); al contempo, però, la pura e semplice caducazione della condanna farebbe venir meno ogni risposta al reato societario, la cui rilevanza penale non sia venuta meno, con esiti confliggenti con il principio di legalità. Così, D. PULITANÒ, Legalità discontinua, cit., p. 1289.

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Ne consegue, per un verso, il rischio di “adattare” la risposta giudiziaria agli esiti ritenuti più ragionevoli per il sistema, attraverso la “manipolazione” dei paradigmi sostanziali; per l’altro, l’emersione di profili significativi di ingiustizia, peraltro, accentuati dalla circostanza che – come vedremo ̶ il limite del giudicato rispetto all’applicazione delle mere modifiche favorevoli non sembra più compatibile con il rango che la lex mitior attualmente riveste sia nella dimensione costituzionale che in quella europea.

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