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Il criterio della “fatto concreto”

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 53-56)

3. La successione di leggi penali nell’art 2 c.p.

3.3 I criteri di distinzione tra abolitio criminis e successione di norme modificative della fattispecie

3.3.1. Il criterio della “fatto concreto”

La prima teoria sviluppata per definire i rapporti tra abolitio criminis e successione di leggi modificative è quella della c.d. “valutazione del fatto concreto”.

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Elaborata per la prima volta in Germania a cavallo tra ‘800 e ‘900104, è

stata fatta propria dal legislatore del ’30, che – come emerge dai lavori preparatori105 ̶ nel dettare all’art. 2 c.p. la disciplina per la successione delle

leggi penali fa riferimento al termine “fatto” inteso come “fatto storico”106.

Secondo questa tesi, per accertare se tra la legge anteriore e quella successiva intercorre un rapporto di successione in senso stretto, occorre verificare che un fatto concreto, già punibile ai sensi della disciplina precedente, resti penalmente rilevante anche per quella posteriore: insomma “prima punibile, dopo punibile, quindi punibile”, come ben esprime il brocardo coniato dalla dottrina tedesca107.

Si tratta, dunque, di un criterio interamente incentrato sulla valutazione della punibilità della condotta nella sua dimensione concreta, prescindendo del tutto dal confronto tra le fattispecie considerate sotto il profilo astratto.

Questa soluzione – seppure riproposta in rinnovate versioni da una parte minoritaria della dottrina italiana108 ̶ è stata oggetto di numerose critiche,

104 Più precisamente, la tesi è stata proposta dal giurista F. OPPENHOF, Das Strafgesetbuch für das

Deutsche Reich, 11° ed., 1888, p. 23 ss.

105 Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, cit., p. 20 ss. 106 Cfr. sul punto, M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma, cit., p. 74 ss.

107 Per una disamina dell’evoluzione del criterio nell’ordinamento tedesco, cfr. G.L. GATTA, Abolitio criminis, cit., p. 218 ss.

108 In termini favorevoli alla teoria della “valutazione in concreto” si sono espressi: M. GALLO,

Appunti di diritto penale. La legge penale, I, Torino, 1999, p, 111 ss.; R. RAMPIONI, L’abuso di

ufficio, in (a cura di) F. COPPI, Reati contro la pubblica amministrazione. Studi in memoria di Angelo

Raffaele Latagliata, Torino, 1993, p. 123 ss.; S. VINCIGUERRA, Diritto penale italiano, I, Padova, 1999, p. 335 ss.; T. VITARELLI, Rilievo penale dell’usura e successione di leggi, in Riv. it. dir. proc.

pen., 2001, p. 787 ss.

Una specifica menzione merita, poi, il tentativo di riformulazione del criterio compiuto agli inizi degli anni ’90 da A. Pagliaro, secondo cui il tema della distinzione tra abolizione e modificazione può essere posto correttamente solo con il riferimento al fatto concreto, e non ai rapporti astratti tra le fattispecie incriminatrici. Sulla base di queste premesse, l’Autore si preoccupa di rispondere alle numerose obiezioni sollevate alla tesi in esame dalla dottrina maggioritaria: in primo luogo, si specifica che il “fatto storico” non deve essere inteso come un accadere formato solo da elementi materiale e psicologici, senza alcun riferimento al disvalore, ma come condotta illecita nella quale si fondano le ragioni stesse dell’illiceità penale; secondariamente, viene precisato che anche il criterio del fatto concreto – seppure a dispetto del suo nome ̶ si impernia sul raffronto tra fattispecie astratte; infine, si contesta il rischio di far dipendere la punibilità da circostanze casuali, dal momento che – alla luce della accezione di “fatto” sopra esposta ̶ il soggetto risponde entro i limiti dell’illiceità e della colpevolezza a lui riportabili sin dall’inizio. Cfr. A. PAGLIARO, La legge penale

tra irretroattività e retroattività, in Giust. pen., 1991, II, p. 1 ss.; ID., Principi di diritto penale, cit., p. 115.

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essenzialmente sintetizzabili nel rischio di applicare retroattivamente una nuova disposizione incriminatrice109: escludendo ogni forma di confronto tra

i modelli astratti di reati, si rischia, infatti, di utilizzare elementi del fatto, già riscontrabili in concreto sotto la disciplina previgente, per mantenere la rilevanza penale della fattispecie, ancorché a quegli elementi sia stato attribuito rilievo solo con la nuova normativa110.

Ne deriva non solo un palese conflitto con il principio di irretroattività ma, altresì, la possibilità di far dipendere l’inquadramento del fatto da elementi del tutto fortuiti, risultando, pertanto, impossibile l’individuazione di un confine aprioristico fra i due fenomeni successori111.

Se da un lato, dunque, il criterio ha come punto di forza la sua semplicità di applicazione, dall’altro, finisce per essere utilizzabile validamente solo per risolvere i casi più facili – e cioè quelli in cui il fatto giudicando non rientra in nessuna delle due fattispecie e, pertanto, un problema di successione nemmeno si pone ̶ , pena la violazione dei principi costituzionali112.

Se ne deduce, anzitutto, la necessità di una lettura della disciplina codicistica che tenga in considerazione il mutato quadro normativo

Più di recente, il criterio è stato, altresì, riproposto da S. MASSI, La fattispecie ‘in divenire’ nella

disciplina della legge penale nel tempo, Torino, 2005.

109 T. PADOVANI, Tipicità e successione, cit., p. 1359 ss. Nello stesso senso, P. SEVERINO,

Successione di leggi penali, cit., p. 5; S.DEL CORSO, Successione di leggi penali, cit., p. 98; P. SIRACUSANO, Successione di leggi penali, cit., p. 32; F. PALAZZO, Introduzione ai principi di diritto

penale, Torino, 1999, p. 305; M. MUSCO, La riformulazione dei reati, cit., p. 58; M. GAMBARDELLA,

L’art. 2 del codice penale, cit., p. 1194 ss.; G.L. GATTA, Abolitio criminis, cit., p. 217 ss.; E.M. AMBROSETTI, Abolitio criminis, cit., p. 53 ss.; G. FIANDACA, Questioni di diritto transitorio in

seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di ufficio, in Foro it., 1990, 2,

p. 637 ss.; M. DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio. Struttura e offensività della false

comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 c.c.) dopo il d.lg. 11 aprile 2002, n. 61, in Cass. pen., 2002,

p. 1240 ss.; C. PECORELLA, L’efficacia nel tempo, cit., p. 42. 110 Così, T. PADOVANI, Tipicità e successione, cit., p. 1360.

111 L’osservazione è di G. FIANDACA, Questioni di diritto transitorio, cit., p. 644. In senso analogo, T. PADOVANI, Tipicità e successione, cit., p. 1360, secondo cui il criterio del fatto concreto «sottostarebbe alla logica del qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu, dove il casus sarebbe rappresentato appunto dall’eventualità che il legislatore, abrogando una norma, emanasse contestualmente una nuova disposizione in qualche modo riferibile alla stessa circostanza di vita». 112 In questo senso, M. DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio, cit., p. 1264, secondo cui se il fatto «non rientra in quella nuova, e la vecchia è formalmente abrogata, c'è stata depenalizzazione. Se non rientra in quella abrogata, è chiaro che non sarà punibile in quanto commesso prima della nuova. Solo se rientra nella vecchia e nella nuova contemporaneamente, si pone la questione su quale delle due sia applicabile».

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determinatosi in seguito all’entrata in vigore della Costituzione e che sia, conseguentemente, rispettosa del canone dell’irretroattività113; in secondo

luogo, il dovere di abbandonare quei criteri che tralasciano la natura di “evento legislativo” generale e astratto proprio dell’abrogazione, in quanto manifestazione di un diverso giudizio del legislatore riferito a intere classi di comportamenti, e non a singole situazioni concrete114.

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