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Il criterio della “continuità del tipo di illecito”

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 56-59)

3. La successione di leggi penali nell’art 2 c.p.

3.3 I criteri di distinzione tra abolitio criminis e successione di norme modificative della fattispecie

3.3.2. Il criterio della “continuità del tipo di illecito”

Il secondo criterio affermatosi per distinguere tra abolitio criminis e modifiche della fattispecie è quello denominato con la formula della “continuità del tipo di illecito”115.

Al pari della regola del “fatto concreto”, la “continuità del tipo di illecito” si è affermata per la prima volta in Germania – più specificamente in una decisione della Corte Federale tedesca del 1975116 ̶ per poi essere “esportata”

in Italia a partire dagli anni ’90.

La tesi in esame muove dall’idea che – posta la necessità di un confronto sul piano astratto tra le fattispecie succedutesi nel tempo ̶ si deve escludere un fenomeno abolitivo quando rimangano immutati alcuni elementi della

113 Così, M. GAMBARDELLA, L’art. 2 del codice penale, cit., p. 1198.

114 M. DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio, cit., p. 1265. Nello stesso senso, M. ROMANO, Commentario sistematico, cit., p. 64; M. MUSCO, La riformulazione dei reati, cit., p. 111. 115 La teoria in esame non va confusa con quella della “persistenza dell’illecito”, elaborata da B. ROMANO, Il rapporto tra norme penali, cit., p. 88 ss., riconducibile – seppure non esplicitamente ̶ al criterio della “valutazione in concreto”. L’impostazione adottata muove, infatti, dall’esigenza di correggere i rilievi critici mossi in punto di legalità, ma, al contempo, sottolinea la necessità di allontanarsi da asettici dati strutturali: occorre, invero, operare «quella sorta di giudizio di valore che, prendendo lo spunto dal fatto concreto, stabilisca se le norme considerate abbiano in comune il persistere della punibilità». In tale prospettiva, al fine di accertare se vi sia stata una modifica tale da determinare il venir meno della punibilità del fatto, si deve porre l’attenzione sul dato processuale e, in particolare, sul principio della contestazione, da cui dipende l’effettiva possibilità di condannare ove sia mutato il regime penale.

116 BGH GS 10.7.1975, in JZ, 1975, p. 677 ss., con nota critica di K. TIEDEMANN, Der Wechsel von

Strafnormen und die Rechtsprechung des Bundergerichthofes. Tuttavia, il predetto orientamento

non ha trovato pieno accoglimento nella dottrina penalistica tedesca che ne ha elaborato un’autonoma versione. Sul punto, G.L. GATTA, Abolitio criminis, cit., p. 181 ss.

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norma, quali il bene giuridico tutelato o le modalità di aggressione, in modo da mantenerne inalterato il contenuto offensivo.

Sennonché, nonostante una discreta affermazione nella giurisprudenza sia di merito che di legittimità117, anche questo criterio è stato oggetto di

numerose critiche da parte della dottrina italiana, che lo ha relegato in una posizione assolutamente minoritaria118.

In particolare, si è osservato che, se si seguisse alla lettera la suddetta teoria, si finirebbe per identificare la “continuità del tipo di illecito” con

117 Più precisamente, il criterio ha fatto il suo ingresso nella giurisprudenza italiana a partire da una nota sentenza delle Sezioni Unite del 1990, relativa ai rapporti di successione tra l’abrogato interesse privato in atti d’ufficio (art. 324 c.p.) e il riformulato abuso d’ufficio (art. 323 c.p.): secondo i giudici, tra le due norme sussiste un nesso di continuità e omogeneità, sia per quanto riguarda il bene giuridico – identificato nel buon andamento e nell’imparzialità della PA ̶ , sia con riferimento alle modalità di aggressione tipizzate, potendosi riscontrare – da un attento raffronto ̶ una sostanziale identità tra gli elementi essenziali delle due figure criminose. Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 20 giugno 1990, n. 10893, Monaco, in Foro it., 1990, 2, p. 337 ss., con nota di G. FIANDACA, Questioni di

diritto transitorio, cit.; in Cass. pen., 1990, I, p. 1896 ss., con nota di M.VESSICHELLI, Sulla

disciplina dei fatti riconducibili agli artt. 323 e 324 c.p. commessi prima della l. n. 86 del 1990; in Giust. pen., 1990, II, p. 513 ss., con nota di C. TAORMINA, Ancora sui problemi di diritto

intertemporale per le vecchie fattispecie di interesse privato in atti d’ufficio.

Per ulteriori riferimenti giurisprudenziali, cfr. G.L. GATTA, Abolitio criminis, cit., p. 203, nota 116. 118 Seppure con alcune precisazioni (v., infra, questo capitolo, § 3.3.4.), la teoria della “continuità del tipo di illecito” ha trovato il sostegno di una parte della dottrina: M. ROMANO, Commentario

sistematico, cit., p. 61 ss.; ID., Irretroattività della legge penale e riforme legislative: reati tributari

e false comunicazioni sociali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 1248 ss.; M.DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio, cit., p. 1267; L.D. CERQUA, L’abolizione del principio di

ultrattività delle disposizioni penali finanziarie e l’eredità dei vecchi reati tributari, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2000, p. 810 ss. Nella manualistica, C. FIORE – S. FIORE, Diritto penale, cit., p. 110.

Una versione parzialmente innovativa del criterio è stata proposta da M. MUSCO, La riformulazione

dei reati, cit., p. 109 ss.; ID., La riformulazione dei reati tributari e gli incerti confini dell’abolitio criminis, in Cass. pen., 2001, p. 458 ss. La premessa da cui muove l’Autore è quella di non guardare alla disciplina dettata in materia di diritto intertemporale come un sistema autoreferenziale, ma di ricostruirlo in maniera sistematica alla luce dei principi di offensività, frammentarietà e sussidiarietà: le modificazioni strutturali della fattispecie possono avere, infatti, significative ricadute sul bene giuridico tutelato. In tale prospettiva, deve ritenersi sussistente un fenomeno di abolitio criminis, allorché la modifica di una fattispecie comporti un radicale abbandono del vecchio bene protetto con la contestuale emersione di un nuovo bene giuridico. Ove, invece, pur rimanendo immutato il bene giuridico, si modifichino esclusivamente le forme di aggressione tipizzate dalla fattispecie originaria, si avrà abolizione se la norma successiva conduca nel campo delle azioni penalmente irrilevanti la specifica modalità d’offesa prevista dalla precedente disposizione. Se ne deduce – in via residuale ̶ che si verifica una successione meramente modificativa allorquando, in primo luogo, le leggi succedutesi tutelino il medesimo bene giuridico, in secondo luogo, le forme offensive tipizzate nella fattispecie originaria continuino ad avere rilevanza sul piano della tipicità penale.

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l’assoluta corrispondenza, formale e teleologica, delle due fattispecie, rendendo conseguentemente superflua la stessa prospettazione del criterio119.

Ove la si intendesse, invece, in senso lato, poiché fa leva su elementi – quali il bene giuridico tutelato ̶ già di per sé dalla non sicura individuazione, per giunta in precario bilanciamento con altri, sarebbero evidenti i rischi di ottenere risultati poco rigorosi120. Salvo, infatti, che la disposizione non

risulti una mera ripetizione della precedente, gli elementi innovativi potranno essere discrezionalmente interpretati come un’effettiva novità rispetto alla disciplina precedente o, al contrario, come una differenza sostanzialmente irrilevante121.

Anche in questo caso, dunque, si profila la possibile elusione del principio di irretroattività della norma incriminatrice: «quando, muovendo da due fattispecie diverse, si ammette la loro continuità in termini sostanziali, nonostante la presenza nella successiva di elementi eterogenei rispetto alla precedente, si rischia infatti di fondare la persistenza della previsione tipica soltanto sulla rilevanza attuale di requisiti di fatto che erano tuttavia irrilevanti per la disposizione precedente»122.

119 Così, T. PADOVANI, Tipicità e successione, cit., p. 1361. Nello stesso senso, G. FIANDACA,

Questioni di diritto transitorio, cit., p. 641; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 98; P.

SEVERINO, Successione di leggi penali, cit., p. 5

120 Cfr., ex plurimis, T. PADOVANI, Tipicità e successione, cit., p. 1361; G. FIANDACA, Questioni di

diritto transitorio, cit., p. 641; P. SEVERINO, Successione di leggi penali, cit., p. 5; D. PULITANÒ,

Legalità discontinua, cit., p. 1283; F. PALAZZO, Introduzione ai principi, cit., p. 305. Nella manualistica, E. DOLCINI – G. MARINUCCI, Corso di diritto penale, cit., p. 280; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 98; G. DE VERO, Corso di diritto penale, cit., p. 311; F. PALAZZO,

Corso di diritto penale, cit., p. 173; F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 86.

121 Così, D. MICHELETTI, La riformulazione del reato tributario di omessa dichiarazione. A

proposito della distinzione tra abolitio criminis e abrogatio sine abolitione, in Cass. pen., 2001, p.

2643 ss.

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