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Il fondamento del giudicato penale nella Costituzione e nelle Carte internazional

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 184-195)

2 “Il mito del giudicato”

3. Il fondamento del giudicato penale nella Costituzione e nelle Carte internazional

Il modo di intendere il giudicato fin qui descritto è mutato con la caduta del regime fascista e l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana: in seguito a tali avvenimenti storici torna, infatti, alla ribalta l’idea di un processo penale come garanzia di libertà e misura di salvaguardia per l’individuo.

Ancora nel corso della seconda guerra mondiale, l’abolizione delle fattispecie penali illiberali introdotte con la dittatura, comincia ad evidenziare tutte le criticità che il principio di intangibilità del giudicato può porre in punto di giustizia sostanziale: in questo contesto, emerge con forza la necessità di procedere a una puntuale revisione dei processi per accertare l’iniquità di tutte le forme repressive connesse all’ideologia fascista. Vengono, quindi, emanate disposizioni miranti a intaccare il valore e

30 Così, L. BIN, La fermezza del giudicato, cit., p. 2955 – 2956. In senso analogo, già, F. CARNELUTTI,

Contro il giudicato penale, in Riv. dir. proc., 1951, p. 297.

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l’efficacia giuridica delle sentenze di condanna pronunciate nei confronti di cittadini italiani e stranieri, dichiarati o considerati di razza ebraica, delle sentenze di condanna rese dal soppresso Tribunale per la difesa dello Stato ovvero in base alle disposizioni penali poste a tutela delle istituzioni o degli organi di regime32.

Ma è l’avvento della Carta Costituzionale che cambia radicalmente le prospettive: il nuovo modo di intendere i rapporti tra Stato e cittadino e, conseguentemente, la potestà punitiva; il riconoscimento delle libertà individuali e dei diritti fondamentali rendono necessaria una rilettura dell’impianto codicistico allora vigente alla luce dei diritti di personalità, di difesa e, soprattutto, della funzione rieducativa della pena sancita all’art. 27, comma 3, Cost.

Va, tuttavia, precisato che questo cammino verso la nuova codificazione non ha inciso direttamente sulla struttura normativa del giudicato: tanto la prima legge delega per la riforma (L. 3 aprile 1974, n. 108), quanto il progetto preliminare del 1978 non contenevano specifiche direttive sul punto, limitandosi a prevedere il trasferimento del divieto di bis in idem – allora contenuto nell’art. 90 c.p.p. ̶ nel corpo normativo dedicato alla fase esecutiva33.

Prima di procedere ad analizzare in che modo l’inversione culturale nell’equilibrio dei rapporti tra Stato e cittadino si sia manifestata nel nuovo codice del 1988, sembra, però, necessario verificare la posizione che l’istituto del giudicato riveste all’interno dell’impianto costituzionale. Invero, in assenza di un’esplicita menzione, occorre comprendere se, ed eventualmente che tipo di tutela, lo stesso riceva; ma, soprattutto, se esso possa avere un riconoscimento in sé considerato o, piuttosto ̶ in quanto momento ultimo

32 Il riferimento è ai D. Lgs lgt. 27 luglio 1944, n. 159 e 5 ottobre 1944, n. 316, al D.L. 20 gennaio 1945, n. 25 e al D.Lgs. lgt. 1 febbraio 1945, n. 105. Sul punto, E. MANCUSO, Il giudicato nel processo

penale, cit., p. 13. Cfr., altresì, il lavoro più risalente di G. SABATINI, Il sistema processuale per la

repressione dei crimini fascisti, in Giust. pen., 1946, III, c. 33 ss.

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dell’attività giurisdizionale ̶ quale oggetto di tutela indiretta, nel quadro generale di un giusto processo predisposto a garanzia della persona34.

Sebbene non manchi chi escluda il rango costituzionale del giudicato – il quale, rappresenterebbe, piuttosto, «un principio del sistema processuale, volto ad assicurare un valore costituzionalmente protetto, ossia l’esigenza di certezza giuridica»35 ̶ , l’opinione prevalente ritiene sia possibile rinvenire

inequivoci referenti in plurime disposizioni costituzionali che ne dimostrano il rilievo nel quadro della Carta fondamentale.

All’interno di siffatto consolidato orientamento, va, peraltro, distinta la posizione di coloro che ne ritengono costituzionalmente tutelata solo la dimensione sostanzialistica-negativa e quelli che, invece, affermano non si possa sottovalutare il carattere accertativo che l’istituto riveste.

Nella prima prospettiva, si sostiene che, «mentre si può dire che il giudicato civile tende prevalentemente a garantire la stabilità dei rapporti e quindi del commercio giuridico e, solo di riflesso, l’intangibilità della situazione del singolo; viceversa il giudicato penale è prevalentemente, se non esclusivamente, preordinato ad assicurare la sicurezza dei diritti, indipendentemente dalla stabilità dei rapporti giuridici, che qui non può avere che scarsa incidenza»36. L’istituto viene così concepito come diretto soltanto

34 Così, E. MANCUSO, Il giudicato nel processo penale, cit., p. 18.

35 In questo senso, F. CALLARI, La firmitas del giudicato penale, cit., p. 146 ss., secondo cui «si deve rigettare l’idea, pur decisamente evocativa, che il sistema costituzionale, nella sua struttura complessiva e articolata di principi, sia univocamente diretto a sancire come necessariamente dovuto ed indefettibile il giudicato penale, perché non è revocabile in dubbio che nella Costituzione esistono e sono riconosciuti anche i valori fondamentali della verità e della giustizia, che si rivelano antinomici con l’assoluta incontrovertibilità del dictum. (…) Dunque, il giudicato penale, precludendo la perpetuazione dei giudizi e garantendo la definizione del procedimento, rappresenta uno strumento giuridico che realizza “l’interesse fondamentale dell’ordinamento alla certezza delle situazioni giuridiche”». Esclude che il giudicato sia “principio costituzionalmente garantito” anche, V.R. VANNI, Revisione del giudicato penale, in Enc. dir., XL, 1989, Milano, p. 161.

36 Così, G. DE LUCA, I limiti soggettivi, cit., p. 92; ID., voce Giudicato (diritto processuale penale), in Enc. giur., Roma, 1989, p. 2.; analogamente, F. CARNELUTTI, Contro il giudicato penale, cit., p 290 ss.; G. LOZZI, Giudicato, cit., p. 913; A.A. DALIA, Le nuove norme sulla revisione, in Riv. it.

dir. e proc. pen., 1965, p. 799. Più recentemente, S. FURFARO, Il mito del giudicato e il dogma della

legge, cit., p. 9. In senso critico, E. JANNELLI, La cosa giudicata, in (diretto da) M. CHIAVARIO – E.

MARZADURI, Le impugnazioni. Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, Torino, 2005, p. 597, il quale osserva che la tesi che individua, quale funzione del giudicato penale, esclusivamente la certezza in senso soggettivo, tralascia di considerare che la regola del ne bis in

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a vietare le impugnazioni a svantaggio del prosciolto o del condannato irrevocabilmente.

Sul piano dei rapporti con la Costituzione, questa tesi si traduce nell’idea che, pur non mancando nella Carta fondamentale norme che menzionano o sottintendono l’esistenza di un giudicato, non può dirsi altrettanto pacifico che vi sia un interesse costituzionalmente rilevante alla stabilità dei giudizi; al contrario, sarebbe proprio la trama personalistica della Carta a imporre la prevalenza della posizione dell’individuo – e del suo diritto a ottenere una decisione giusta ̶ rispetto ad altre valutazioni inerenti alla certezza del diritto37. Si scinde, insomma, l’interesse alla formazione del giudicato –

sempre e comunque tutelato dalla Costituzione per impedire che il cittadino resti in balia dell’incertezza ̶ dall’interesse alla stabilità del giudicato, il quale sarebbe garantito solo unilateralmente per evitare che il soggetto già imputato possa veder rimesso in discussione a suo sfavore l’esito del processo38

A ben vedere, però, – secondo la posizione prevalente ̶ questa funzione individual-garantista del giudicato penale, generalmente ricondotta all’art. 2 Cost., ma variamente declinabile anche alla luce di altri principi contenuti nella prima parte della Costituzione, non può prescindere dall’obiettivo, più marcatamente oggettivo, di assicurare – in un quadro più generale di esercizio della potestà punitiva ̶ l’imperatività e l’immutabilità della decisione39.

idem consente di assicurare tale finalità solo con riferimento al giudicato di proscioglimento;

altrettanto non può, invece, dirsi rispetto al giudicato di condanna, in quanto un nuovo processo penale avente oggetto il medesimo fatto e il medesimo soggetto ma conclusosi con un’opposta sentenza di proscioglimento, dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile, dando luogo, dunque, all’applicazione della decisione più sfavorevole per l’imputato. In questo senso «costituisce senza dubbio operazione ermeneutica contraddittoria quella che fonda il valore della libertà-certezza del cittadino indifferentemente ora sul ne bis in idem ora sul suo contrario, il bis in idem».

37 In questo senso, M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale, cit., p. 209.

38 Così, M. GIALUZ, Il ricorso straordinario per Cassazione, in (diretto da) G. UBERTIS G.P. VOENA, Trattato di procedura penale, Milano, 2005, p. 44.

39 Aggiunge M. GIALUZ, Il ricorso straordinario, cit., p. 44, che non si può dimenticare che «a dover essere riconosciuti e garantiti dalla Repubblica – con l’esercizio della potestà punitiva e del giudicato ̶ non sono solo i diritti del soggetto, prima imputato e poi prosciolto o condannato, ma anche quelli della vittima e dei titolari di beni protetti dalla norma penale».

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Conseguire un accertamento definitivo resta, infatti, il fine ultimo dell’attività giudiziaria, essendo «nella natura delle cose e nei limiti delle umane possibilità che ad un certo momento – esperiti tutti i rimedi predisposti a rimuovere le cause di ingiustizia – il processo si blocchi nella decisione irrevocabile, come le onde agitate anelano a sfociare nella riposante quiete dell’estuario»40.

La Carta costituzionale tutelerebbe, dunque, il giudicato come valore unitario, in cui i diversi profili sono fusi nella normatività della sentenza irrevocabile. Non sarebbe, di conseguenza, condivisibile la tesi “bipartita”, atteso che l’essenza dell’istituto sta proprio nella garanzia dell’incontrovertibilità del risultato del processo; d’altra parte, ove lo si voglia intendere come mero presupposto dell’imperatività della decisione, ma non della stabilità dell’accertamento, si dovrebbe più correttamente parlare di semplice esecutività41.

Si tratta, peraltro, di una ricostruzione a cui aderiscono anche i giudici delle leggi, i quali ̶ pur riconoscendo la necessità di una maggiore permeabilità dell’istituto a esigenze di natura sostanziale ogni qualvolta da una mitizzazione dell’intangibilità venisse sacrificato il buon diritto del cittadino42 ̶ hanno ribadito, più volte, come il giudicato trovi «fondamento

nell’insopprimibile esigenza di certezza e di stabilità dei rapporti giuridici definiti da una sentenza irrevocabile»43.

Va comunque precisato che, all’interno di questo filone interpretativo, non vi è unanimità rispetto alla norma (o alle norme) della Costituzione a cui dovrebbe specificamente ricollegarsi la tutela dell’istituto in esame, stante la

40 Così, G. LEONE, Il mito del giudicato, cit., p. 74.

41 In questo senso, M. GIALUZ, Il ricorso straordinario, cit., p. 45; analogamente, F. CORDERO, Riti

e sapienza del diritto, cit., p. 760; E. MANCUSO, Il giudicato nel processo penale, cit., p. 25. 42 Corte cost., 9 aprile 1987, n. 115, in Giur. cost., 1987, p. 836 ss.

43 Corte cost., ord. 29 ottobre 1999, n. 413, in Giur. cost., 1999, p. 3178 ss.; cfr., altresì, Corte Cost., 5 marzo 1969, n. 28, in Giur cost., 1969, p. 391; Corte cost., 12 luglio 1972, n. 136, in

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presenza di una pluralità di disposizioni che si riferiscono espressamente alla sentenza definitiva o irrevocabile.

Tra queste, viene innanzitutto in rilievo l’art. 27, comma 2, Cost., il quale – come è noto ̶ sancisce la presunzione di non colpevolezza «sino alla condanna definitiva». Essa stabilisce chiaramente che il comando individuale, contenuto nella sentenza, prevale sul divieto di ritenere l’imputato colpevole soltanto quando questo ha assunto carattere incontrovertibile. Solo a partire da siffatto momento è possibile, infatti, risolvere il quesito riguardante la colpevolezza dell’imputato e, se del caso, circa la pena da applicare, vincendo così la presunzione posta dal precetto costituzionale44.

Il valore di garanzia posto dall’art. 27, comma 2, Cost. sarebbe, peraltro suffragato da altre due statuizioni contenute, rispettivamente, all’art. 48, comma 3, Cost. – il quale vieta di porre limitazioni al diritto di voto in presenza di una condanna che non sia divenuta irrevocabile ̶ e all’art. 68, comma 2, Cost. – nella parte in cui esclude l’inviolabilità parlamentare solo ove si tratti di eseguire una condanna definitiva45.

44 Sul punto, cfr., F. CALLARI, La firmitas del giudicato penale, cit., p. 148; E. MANCUSO, Il giudicato

nel processo penale, cit., p. 21 ss.; M. GIALUZ, Il ricorso straordinario, cit., p. 46; M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale, cit., p. 93 ss.

Sulla presunzione di non colpevolezza, senza alcuna pretesa di completezza, ex plurimis, G. ILLUMINATI, La presunzione di innocenza dell’imputato, Bologna, 1979; ID., Presunzione di non

colpevolezza, in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991, p. 1 ss.; P.P. PAULESU, La presunzione di

non colpevolezza dell’imputato, Torino, 2009; ID., voce Presunzione di non colpevolezza, in Dig.

disc. pen., XI, Torino, 1995, p. 670 ss.; M. PISANI, Sulla presunzione di non colpevolezza, in For.

pen., 1965, p. 1 ss.; O. DOMINIONI, sub Art. 27, comma 2, Cost., in, Commentario alla Costituzione.

Artt. 27-28, cit., p. 162 ss.; G. GAROFOLI, Presunzione di innocenza e considerazione di non

colpevolezza. La fungibilità delle due formulazioni, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, p. 1168 ss.; C.

FIORIO, La presunzione di non colpevolezza, in (a cura di) G. DEAN, Fisionomia costituzionale del

processo penale, Torino, 2007, p. 119 ss.; E. MARZADURI, Considerazioni sul significato dell’art.

27, comma 2, Cost.: regola di trattamento e regola di giudizio, in (a cura di) F.R. DINACCI, Processo

penale e Costituzione, Milano, 2010, p. 303 ss.; G. BELLAVISTA, Considerazioni sulla presunzione

di innocenza, in Studi sul processo penale, IV, Milano, p. 72 ss.; M. NOBILI, Spunti per un dibattito

sull’art. 27 comma 2 della Costituzione, in Il Tommaso Natale. Scritti in memoria di Geronimo Bellavista, II, 1978, Palermo, p. 831 ss.; P. FERRUA, Presunzione di non colpevolezza e definitività

della condanna penale, in Pol. dir., 1991, p. 507 ss.

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Ancora, vi è chi invoca a copertura costituzionale del giudicato l’art. 25, comma 2, Cost, il cui ambito di operatività non dovrebbe intendersi come limitato al momento della previsione dell’illecito, ma, altresì, esteso alla fase dell’attuazione della norma penale, attraverso l’obbligo per il pubblico ministero di sollecitare l’accertamento giurisdizionale ogni qualvolta si presenti una notizia criminis non manifestamente infondata46.

Sul piano soggettivo, peraltro, questo principio sarebbe concepibile nei termini di un vero e proprio diritto alla «quiete penalistica», nel senso che ciascun consociato dovrebbe poter «contare su un quadro penalistico (sostanziale e processuale) stabile», funzionale a ottenere una sentenza giusta47.

Al fine di sostenere il rango primario dell’istituto, si fa riferimento anche ad alcuni principi dettati dall’art. 111 Cost. in tema di giusto processo48. In

particolare, vengono in rilievo il comma 2, il quale – come è noto ̶ fissa il canone della ragionevole durata del processo, e il comma 7, secondo cui, «contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge».

Quanto alla prima disposizione, si evidenzia come proprio l’esigenza che il processo abbia una ragionevole durata implichi la presenza di una barriera ̶ qual è, appunto il giudicato ̶ alla ricerca della verità, rischiandosi, altrimenti, un processo senza fine49.

46 In questo senso, M. GIALUZ, Il ricorso straordinario, cit., p. 47, secondo cui «la reale parità di trattamento sul terreno del magistero punitivo viene garantita prescrivendo a un organo dello Stato di perseguire chi, violando le norme penali, leda i beni fondamentali dei consociati. Ed è proprio a questo secondo aspetto della legalità, coincidente con l’interesse alla repressione dei fatti criminosi, che il principio di obbligatorietà dell’azione penale riconosce valenza costituzionale».

47 Sul punto, M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale, cit., p. 160 ss.

48 Non manca, peraltro, chi individua nel giusto processo, complessivamente inteso, il fondamento del giudicato: E. MANCUSO, Il giudicato nel processo penale, cit., p. 25 ss. Secondo l’Autore, «il processo penale giusto diviene, così, l’unico strumento idoneo a garantire la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche, destinate a divenire cosa giudicata nel pieno rispetto delle tutele difensive approntate a vantaggio dell’individuo che è protagonista dell’accertamento».

49 In questo senso, M. GIALUZ, Il ricorso straordinario, cit., p. 46. Analogamente, P. FERRUA,

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Con riferimento, invece, al principio della generale ricorribilità delle sentenze per vizi di legittimità, si osserva che lo stesso intenderebbe individuare l’ultimo grado della serie di impugnazioni ordinarie, esaurito il quale deve costituirsi il giudicato formale50.

Dal quadro così delineato, sembra, dunque, potersi affermare che il volto costituzionale del giudicato sia indubbiamente teso a preservare la certezza del diritto e a porre un limite alla perpetuazione dei giudizi. Tuttavia, non può sottacersi come, nella trama di garanzie disegnata dalla Carta fondamentale, la stabilità delle decisioni non può assumere valore assoluto, permanendo la necessità primaria di tutelare i diritti inviolabili dell’individuo51.

D’altra parte, che questa tutela non si dissolva con il formarsi del giudicato è confermato dalla stessa Costituzione, la quale, all’art. 24, comma 4, Cost., devolve alla legge il compito il determinare le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari, rendendo così ineludibile l’apprestamento di rimedi anche dopo la pronuncia di una sentenza definitiva52.

P. MOSCARINI, L’omessa valutazione della prova favorevole all’imputato, Padova, 2005, p. 53 ss. Criticamente, F. CALLARI, La firmitas del giudicato, cit., p. 153, secondo cui, nella prospettiva oggettivamente orientata recepita nella Costituzione, la necessità di evitare che le garanzie non si dilatino fino al punto di rendere irragionevoli i tempi processuali non implica, sul piano logico, che il processa debba giungere a un dictum irrefragabile, pur in presenza di fondate ragioni di giustizia sostanziale che invocano di rimetterlo in discussione. A ciò, peraltro, si deve aggiungere che il canone in esame non costituisce un valore assoluto e autoreferenziale, ma piuttosto un principio da rapportare in termini di relazione adeguata tra lo scopo e i mezzi.

50 Così, P. MOSCARINI, L’omessa valutazione della prova, cit., p. 52. In senso contrario, F. CALLARI,

La firmitas del giudicato, cit., p. 152. Invero, a parere dell’Autore, la norma in questione non pone

un limite invalicabile al sistema dei rimedi giuridici ma, al contrario, fissa una garanzia minima di verifica dell’esito del processo. D’altra parte ̶ come si vedrà nei paragrafi successivi ̶ ormai nemmeno ai provvedimenti della Suprema Corte può essere riconosciuta un’assoluta inoppugnabilità.

51 Sul punto, S. FURFARO, Il mito del giudicato e il dogma della legge, cit., p. 9, secondo cui «La certezza giuridica nel caso concreto assunta come funzione di garanzia erga omnes non è più conforme all’ordine della vita sociale, in quanto la democrazia, che è il regime della più ampia tu- tela della personalità umana, non può tollerare che la certezza imposta finisca con lo “schiacciare una esigenza di giustizia che tocca interessi fondamentali della persona e per ciò stesso un interesse generale della società”».

52 In questo senso, P. TROISI, Flessibilità del giudicato penale e tutela dei diritti fondamentali, in

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Si tratta, peraltro, di una prospettiva imposta anche alla luce dell’art. 27, comma 2, Cost.: a ben vedere, infatti, la condanna passata in giudicato, quale condizione posta dalla Costituzione per superare la presunzione di non colpevolezza, non può che intendersi come resa al termine di un processo legale che sia stato rispettoso dei diritti costituzionali dell’imputato e che abbia raggiunto un esito non lesivo di fondamentali prerogative sostanziali. Di fronte all’ingiusta limitazione della libertà personale, la Carta fondamentale non pone alcun vincolo, ma anzi impone la previsione di rimendi attivabili post iudicatum, funzionali a ripristinare una situazione di legalità e giustizia53.

Né, d’altra parte, una tale previsione sarebbe contraria al divieto di bis in

idem: quest’ultimo se costituisce un limite invalicabile alla reiterazione

dell’azione penale e alla possibilità di impugnazioni straordinarie sfavorevoli, non impedisce di certo modifiche migliorative della posizione del reo, quando giustificate dalla necessità di salvaguardare diritti che si collocano al vertice della gerarchia costituzionale54.

Come vedremo, ciò che risulta semmai più problematico è l’individuazione dei meccanismi e degli strumenti istituzionali atti ad apprestare queste modifiche, senza compromettere del tutto la funzionalità del giudicato, il quale resta pur sempre necessario per garantire la stabilità del sistema.

Va, peraltro, ricordato come, ad oggi, la dimensione costituzionale del giudicato trovi un ulteriore riscontro nei riferimenti ad esso contenuti nelle Carte internazionali e sovranazionali in materia di diritti fondamentali. Si tratta, a ben vedere, di disposizioni che ̶ proprio perché elaborate in un’ottica

53 Così, P. TROISI, Flessibilità del giudicato, cit., p. 5.

54 Così, P. TROISI, Flessibilità del giudicato, cit., p. 5. Nello stesso senso, S. FURFARO, Il mito del

giudicato e il dogma della legge, cit., p. 9, secondo cui «Indiscutibile, dunque, che non possa essere

consentito di riproporre ad libitum il riesame di una causa definita irrevocabilmente posto che ciò determinerebbe lo scardinamento della funzione giurisdizionale; parimenti indiscutibile, però, che allorquando l’ingiustizia di una qualsiasi decisione è colta “non già mediante il riesame del materiale di giudizio, bensì mediante nuovi elementi di giudizio”, quali che essi siano, l’esigenza di porre riparo coincide evidente-mente con l’”urgenza di ristabilire la giustizia offesa”».

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di tutela dell’individuo ̶ riconoscono più specificamente la componente soggettiva del giudicato, sintetizzata – come si è detto più volte ̶ nella regola del ne bis in idem.

In particolare, sul versante internazionale, il principio trova un riconoscimento nell’art. 14, par. 7, del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 196655 e nell’art. 4 del Protocollo n. 7 allegato alla Cedu, adottato

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