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L’erosione dell’intagibilità sotto il versante processuale: l’opzione codicistica per un giudicato

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 195-200)

2 “Il mito del giudicato”

4. L’erosione dell’intagibilità sotto il versante processuale: l’opzione codicistica per un giudicato

“flessibile”

Come si è accennato, a fronte di un quadro costituzionale che impone di subordinare la certezza del diritto alla salvaguardia dei diritti fondamentali della persona, l’esigenza ineliminabile di un sistema accertativo che consenta il raggiungimento di una decisione in ordine alla responsabilità dell’imputato deve essere necessariamente contemperata con la predisposizione di istituti che permettano di intervenire sulle statuizioni adottate all’esito del processo di cognizione61.

Contrariamente a quanto avveniva in passato, dove – si è visto ̶ la sentenza penale irrevocabile era intesa come un dato assiologico trascendente e tendezialmente assoluto, e qualsiasi rimedio che intaccasse la sua irrefregabilità era considerato eccezionale, oggi è, dunque, avvertita con

59 Così, a risoluzione di un contrasto giurisprudenziale sorto in seno alla stessa Corte, Corte edu, 10 febbraio 2009, Sergey Zolotukhin c. Russia, in www.progettoinnocenti.it.

60 V., retro, Cap. II.

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sempre più forza la necessità di non esasperare fideisticamente il valore dell’incontrovertibilità dell’istituto del giudicato, lasciando aperti spazi per consentire la verifica della pronuncia penale qualora sussistano esigenze di giustizia che rendano doverosa la rimozione della stessa62.

In tale direzione si muove, sin dall’impianto codicistico del 1930, l’impugnazione straordinaria per definizione, cioè la revisione63. L’istituto

ha, in realtà, precedenti ancora più antichi, essendo espressione dell’esigenza – da sempre sentita ̶ di apprestare un rimedio efficace contro le pronunce giudiziarie che, dopo l’esaurimento di tutti gli ordinari mezzi di impugnazione, si fossero successivamente palesate come ingiuste per l’insorgenza di nuovi elementi di fatto64.

62 In questo senso, F. CALLARI, La revisione. La giustizia penale tra forma e sostanza, Torino, 2012, p. 19 ss.

63 Sull’istituto della revisione, in una prospettiva generale, ex plurimis, F. CALLARI, La revisione, cit., diffusamente; M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale, cit., diffusamente; G. DEAN, La

revisione, Padova, 1999; R.NORMANDO, Il sistema dei rimedi revocatori del giudicato penale, Torino, 1996; G. SPANGHER, voce Revisione, in Dig. disc. pen., Torino, XII, 1997, p. 135 ss.; S. ASTRARITA, voce Revisione, in Dig. disc. pen., Agg., Torino, 2005, p. 1362 ss.; M. R. MARCHETTI,

La revisione, in (a cura di) G. SPANGHER, Trattato di procedura penale, V, Torino, 2009, p. 925 ss.; A. PRESUTTI, voce Revisione del processo penale, in Enc. giur. Treccani, Roma, XXXI, 1991, p. 1 ss.; ID., sub Art. 630, in (a cura di) G. CONSO – V. GREVI, Commentario breve al codice di procedura

penale, 10° ed., Padova, 2011, p. 3232 ss.; M. GIALUZ, sub Art. 630 c.p.p., in (a cura di) A. GIARDA – G. SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, II, 5° ed., Milano, 2017, p. 3595 ss. 64 Come ben evidenziato da F. CALLARI, La revisione, cit., p. 35: «Invero, fra le peggiori sventure che malauguratamente possono colpire ed affligere l’esistenza di una persona vi è, senza dubbio, l’errore giudiziario che abbia determinato un’ingiusta condanna penale. Quand’anche non si abbia cura di tener conto dell’indicibile danno materiale e morale che l’errore giudiziario arreca alla sfera personale del condannato innocente, non si può in alcun modo tacere delle nefande conseguenze che tale attentato alla giustizia provoca al consorzio sociale e all’ordine giuridico. Dal momento in cui le mani sacrileghe dell’errore giudiziario si posano su un innocente, non solo ha inizio un micidiale attacco alla dignità umana, ma va in scena la tragedia del diritto stesso, che si prolunga ininterrottamente per tutti gli anni nei quali l’ingiusta condanna irrevocabile compie indisturbata la sua opera».

Va detto, peraltro, che mentre è pacifica la funzione dell’istituto dal punto di vista politico ed etico, altrettanto non può dirsi rispetto al suo fondamento giuridico, ove inquadrato armonicamente nel sistema processuale vigente. Sotto questo profilo, infatti, alla tesi tradizionale che identifica la revisione come rimedio predisposto dall’ordinamento per eliminare tout court l’errore giudiziario, si contrappone l’indirizzo – elaborato da A. CRISTIANI, La revisione del giudicato nel sistema penale

italiano, Milano, 1970 ̶ secondo cui l’istituto sarebbe preordinato ad assicurare, specificamente, la

coerenza sostanziale dell’ordinamento giuridico e, attraverso ciò, la certezza del diritto. Per una ricostruzione del dibattito, M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale, cit., p. 10 ss.; F. CALLARI,

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Va detto, però, che ̶ sebbene dal punto di vista nominale la revisione abbia mantenuto nel tempo questa evidenziata natura di rimedio giuridico atto a eliminare errori giudiziari emersi successivamente alla sentenza definitiva ̶ la sua considerazione è notevolmente mutata nel passaggio alla disciplina del 198865.

Nell’impostazione originaria la revisione era, infatti, intesa «come una necessaria ed eccezionale ferita da infliggere alla cosa giudicata»66, da

contenere entro stretti limiti rapportati alla gravità dell’ingiustizia. Più specificamente, la dogmatica tradizionale, focalizzandosi solo sul risultato pragmatico che derivava dall’applicazione dell’istituto, lo delineava come uno strumento giuridico mirante a dimostrare l’inesistenza di un giudicato conforme nei presupposti, e in relazione all’esercizio normale della giurisdizione, a quanto previsto dalla legge. In tale prospettiva, si riteneva che la revisione intervenisse solo laddove vi fosse un mero «simulacro» di giudicato e non un giudicato vero e proprio; quest’ultimo, a ben vedere, proprio per il fatto di essere destinato ad assumere il valore di verità legale, mai avrebbe potuto formarsi su una decisione suscettibile di essere rimessa in discussione67.

Una volta rigettata ogni mitica idealizzazione dell’irrefragabilità del

dictum penale definitivo – trattandosi, piuttosto, di un limite posto per

necessità pratiche nel momento in cui è più probabile che ormai si sia fatto abbastanza per scoprire la verità ̶ , l’istituto della revisione non può che intendersi, invece, come mezzo processuale preordinato a rimediare

65 Sulle differenze tra il codice penale del 1988 e il codice previgente in tema di revisione, cfr., A. SCALFATI, L’esame sul merito nel giudizio preliminare di revisione, Padova, 1995, p. 25 ss.; nonché, M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale, cit., p. 3 ss., il quale evidenzia come la diffidenza del legislatore fascista verso la revisione «si sia esaurita in un certo appesantimento procedurale, senza limitazioni significative dei presupposti di ammissibilità».

Va peraltro precisato che, prima della novella codicistica del 1988, l’istituto è stato oggetto di alcune riforme disorganiche inerenti ai suoi limiti applicativi (L. 14 maggio 1965, n. 481).

66 Così, G. SABATINI, Principi di diritto processuale penale, II, 3° ed., Torino, 1949, p. 353. 67 La concezione così delineata è ben sintetizzata da A. JANNITI PIROMALLO, La revisione dei

giudicati penali, Roma, 1947, p. 18 ss. Sul punto, v., M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale,

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all’antinomia eventualmente sorta tra l’accertamento fondante l’eventuale pronuncia irrevocabile e l’esistenza di dati fattuali nuovi68.

Sotto questa nuova luce, emerge come il giudicato e la revisione siano due istituti autonomi, di pari dignità, che – lungi dal porsi in rapporto di regola/eccezione ̶ vanno intesi come entità complementari: «il primo salvaguarda il dato di certezza giuridica cristallizzata in una sentenza irrevocabile; la seconda costituisce un rimedio straordinario, volto a sostituire il giudicato, disvelatosi ingiusto, con un’altra pronuncia definitiva, ma all’esito di un giudizio “nuovo”, ossia fondato su elementi fattuali necessariamente diversi da quelli considerati nel processo già definito. (…) Dunque, il novum, rilevante ai fini dell’impugnazione straordinaria della sentenza penale, viene a incarnare la vera essenza delle relazioni prismatiche tra la firmitas iudicati e la revisione. Da un canto, esso, mostrando apertamente la fallacia dell’accertamento giudiziario sancito nella sentenza irrevocabile, legittima e giusitifica la rivisitazione del giudicato penale. Dall’altro, la novità gnoseologica, di cui è portatrice l’impugnazione straordinaria, tende a garantire maggiore effettività al giudicato penale, nel

68 Come è noto, le ipotesi revocatorie fondate sulla presenza di un novum rispetto al giudicato di condanna sono state tipizzate tassativamente dal legislatore all’art. 630 c.p.p.: «La revisione può essere richiesta: a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale; b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’art. 3 ovvero una delle questioni previste dall’art. 479; c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631; d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato».

A tali casi, la Consulta – dichiarando l’illegittimità costituzionale della citata norma nella parte in cui non prevedeva la possibilità di attivare il rimedio della revisione, quando ciò fosse reso necessario, ai sensi dell’art. 46 Cedu, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte di Strasburgo ̶ ha aggiunto la c.d. revisione europea. Più che di un’ipotesi di revisione, si tratta, a ben vedere, di una fattispecie del tutto eterogenea, con una ratio e uno statuto normativo diverso rispetto all’originario istituto codicistico. Sul punto, v., infra, questo capitolo, § 4.2.

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senso della concreta corrispondenza della pronuncia giudiziale alle reali connotazioni fattuali della vicenda»69.

Nella valutazione dell’istituto non va, peraltro, trascurata la circostanza che lo stesso possa operare nell’esclusivo favor del condannato. Invero, nel quadro di un sistema costituzionale improntato sulla tutela dell’individuo, l’opinione prevalente ha inteso la revisione come un’impugnazione straordinaria non solo consentita, ma, addirittura, imposta dalla Carta fondamentale. Quest’ultima, infatti, – pur in mancanza di un riferimento espresso all’istituto ̶ contiene diverse norme da cui è possibile trarre un vero e proprio vincolo per il legislatore ad assicurare un mezzo di impugnazione

post iudicatum delle sentenze di condanna. Tra queste, vengono in rilievo, il

già citato art. 24, comma 4, Cost., in forza del quale la legge deve prevedere le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari; l’art. 24, comma 2, Cost., che, statuendo l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, ne proietta l’esercizio anche oltre la pronuncia irrevocabile; l’art. 27, comma 3, Cost., non potendo la funzione rieducativa operare nei confronti di un soggetto innocente; infine, l’art. 3 Cost., che – tutelando l’esigenza superiore di parità di trattamento ̶ imporrebbe, in prospettiva diacronica, l’esistenza di un rimedio straordinario per le condanne ingiuste70.

69 Così, F. CALLARI, La revisione, cit., p. 30-31, il quale richiama, peraltro, una decisione della Corte Costituzionale con cui la stessa ha chiarito che il giudizio di revisione non costituisce un mero «strumento di controllo (e di eventuale rescissione) della “correttezza”, formale e sostanziale, di giudizi ormai irrevocabilmente conclusi”, in quanto “non è la erronea (in ipotesi) valutazione del giudice a rilevare, ai fini della rimozione del giudicato; bensì esclusivamente “il fatto nuovo” (tipizzato nelle varie ipotesi scandite dall’art. 630 del codice di rito), che rende necessario un nuovo scrutinio della base fattuale su cui si è radicata la condanna oggetto di revisione»: Corte Cost., 30 aprile 2008, n. 129, in Cass. pen., 2008, p. 3985 ss., con nota di L. DE MATTEIS, Tra Convenzione

europea dei diritti dell’uomo e Costituzione: la Corte Costituzionale in tema di revisione a seguito di condanna da parte della Corte di Strasburgo. Su tale decisione, cfr., altresì, M.CHIAVARO,

Giudicato e processo “iniquo”: la Corte si pronuncia (ma non è la parola definitiva), in Giur. cost.,

2008, p. 1522 ss.; M. REPETTO, La Corte Costituzionale respinge l’ipotesi di “revisione europea”:

un’occasione mancata?, in Dir. pen. proc., 2008, p. 929 ss.; C. VALENTINI, La Corte Costituzionale

e il caso Dorigo: sense and sensibility, in Giust. pen., 2008, I, p. 206 ss.

70 In questo senso, ex plurimis, M. GIALUZ, Il ricorso straordinario, cit., p. 82; ID., Art. 630, cit., 3597 ss.; P. TROISI, L’errore giudiziario tra garanzie costituzionali e sistema processuale, Padova,

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Ma, d’altra parte, anche coloro che ne escludono un fondamento diretto nella Costituzione, non negano come tale fenomeno giuridico risulti comunque rilevante per il nostro sistema valoriale: esso assumerebbe, piuttosto, «rilevanza assiologica costituzionale», costituendo «una delle possibili manifestazioni giuridiche positive dei principi e dei valori fondamentali cui concretamente si ispira e conforma la vita comunitaria in un dato momento storico»71.

Peraltro, accanto all’istituto della revisione, e sempre nella prospettiva di apporre rimedi alla sentenza ingiusta, il legislatore del 1988 ha apprestato alcuni rimedi anche in sede di disciplina della fase di esecuzione. Si tratta di meccanismi risolutori del giudicato che, ancorché operanti in bonam partem, non mirano all’assoluzione ma, più genericamente, a modifiche favorevoli

quoad poenam.

Non è possibile in questa sede soffermarsi specificamente su ciascuno di essi; basti, più genericamente, evidenziare come gli stessi riguardino: 1) il conflitto pratico tra giudicati, risolvibile ex art. 669 c.p.p.; 2) le questioni sul titolo esecutivo, ex art. 670 c.p.p.; 3) l’applicazione del concorso formale e del reato continuato in esecuzione, ex art. 671 c.p.p.; 4) la revoca della sentenza per abolizione del reato o per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, ex art. 673 c.p.p.; 5) le modifiche

in peius sul trattamento sanzionatorio, in caso di revoca di benefici, quali, la

sospensione condizionale della pena, ex art. 674 c.p.p.

A queste previsioni, già originariamente contenute nel riformato codice, sono stati progressivamente affiancati – mediante successivi interventi novellistici ̶ altri istituti “erosivi” del giudicato.

Viene in rilievo, in primo luogo, il ricorso straordinario per cassazione, previsto all’art. 625 bis c.p.p., per effetto della L. 6 marzo 2001, n. 128.

2011, p. 101; R.L. VANNI, Revisione del giudicato penale, cit., p. 161; P. MOSCARINI, L’omessa

valutazione della prova, cit., p. 86; M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale, cit., p. 188.

Nel documento Successione di leggi penali e giudicato (pagine 195-200)

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