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Qualità dell’abitare urbano: un modello interpretativo per lo spazio pubblico

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Academic year: 2021

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Qualità dell’abitare urbano:

un modello interpretativo per lo spazio pubblico

Dottoranda: Lidia Errante

Tutor: Prof. Alberto De Capua Cotutor: Prof. Antonella Sarlo Coordinatore: Prof. Gianfranco Neri

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ottobre duemiladiciotto

Qualità dell’abitare urbano:

un modello interpretativo per lo spazio pubblico

Tutor: Prof. Alberto De Capua

Cotutor: Prof. Antonella Sarlo

Coordinatore: Prof. Gianfranco Neri

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Tutte le immagini, i grafici e le tabelle, dove non diversamente specificato, sono da intendersi di proprietà dell’autrice.

Tutte le citazioni bibliografiche relative alle fonti in lingua inglese e spagnola, dove non diversamente specificato, sono tradotte dall’autrice.

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Co-tutor:

Prof. Antonella Sarlo

Coordinatore:

Prof. Gianfranco Neri

Collegio dei Docenti:

Ottavio Salvatore Amaro Giuseppe Carlo Arcidiacono Francesco Bagnato Alessandra Barresi Rosario Giovanni Brandolino Francesco Cardullo Daniele Colistra Alberto De Capua Francesca Fatta Giuseppina Foti Gaetano Ginex Vincenzo Gioffrè Renato Laganà Massimo Lauria Maria Teresa Lucarelli Marco Mannino Martino Milardi Francesca Moraci Gianfranco Neri Adriano Paolella Franco Prampolini Venera Paola Raffa Ettore Rocca Antonella Sarlo Marcello Sestito Rita Simone Rosa Marina Tornatora Michele Trimarchi Corrado Trombetta Alessandro Villari

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Ai miei genitori, per avermi supportata e incoraggiata in ogni passo lasciandomi da sempre libera di scegliere con autonomia e indipendenza. Al mio tutor, il professore Alberto De Capua, per la professionalità, la dedizione, la gentilezza e l’umanità con cui conduce il suo lavoro ogni giorno, fonte di grande ispirazione. Per aver guidato con rigore il percorso di ricerca senza farne mai sentire il peso, sempre prodigo di consigli affettuosi e paterni. Alla mia cotutor, la professoressa Antonella Sarlo, per i tanti consigli e

suggerimenti, sempre puntuali e minuziosi. Agli amici e colleghi di dottorato che hanno condiviso con me questo percorso, alleggerendo i momenti di tensione e gioiendo l’un l’altro dei traguardi raggiunti. A Domenica, Giovanna, Valentina e Francesco, per tutto. Al mio coinquilino Davide, per la sua presenza e amicizia fraterna: lo sai.

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Fig. 1 · Skater riposano sul marciapiede di Jon Dobson Street, Newcastle Upon Tyne, 2017.

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Abstract

13

1. Introduzione

17

1.1 Definizione del problema 17

1.2 Obiettivi, domande della ricerca e risultati attesi 21

1.3 Metodologia 22

2. Sullo spazio pubblico: dimensioni e caratteristiche

25

2.1 La ‘costruzione’ dello spazio pubblico 27

2.1.1 Produzione e percezione 29

2.1.2 I temi dello spazio pubblico 38

2.1.3 Caratteristiche ed elementi dello spazio pubblico 45

2.2 Declino e rinascita dello spazio pubblico 51

2.2.1 Le ragioni del declino 52

2.2.2 La rinascita del concetto 57

2.2.3 Nuovi approcci 60

3. Sullo spazio pubblico: approcci, processi e progetti

67

3.1 Qualità dell’abitare urbano 69

3.1.1 Il concetto di qualità della vita: alcune questioni metodologiche 70

3.1.2 La dimensione urbana nelle indagini sulla Qualità della Vita 77

3.1.3 Verso una definizione di Qualità dell’Abitare Urbano 87

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3.2 Progettare la città felice 113

3.2.1 Il quadro internazionale 114

3.2.2 Il quadro europeo 126

3.2.3 Il contesto italiano 137

3.3 Alcune considerazioni critiche 145

Appendice 1. Atlante degli strumenti di valutazione

153

4. Un approccio interpretativo

177

4.1 L’ipotesi di modello 179

4.1.2 La fase di osservazione 181

4.1.2 La fase di valutazione 184

4.1.3 Il benchmarking 195

4.1.4 Uso e risultati del modello 196

Appendice 2. Simulazione del modello interpretativo

201

5. Conclusioni e risultati

241

Appendice 3. Summary of the research

247

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Fig. 2 · Playground temporaneo a tema spiaggia ricreato nel Quayside, sul lungofiume del Tyne, Newcastle Upon Tyne, 2017.

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L’attenzione posta al tema della vivibilità urbana appare giustificata sulla base delle implicazioni – ambientali, sociali e psicologici – derivanti dai processi di trasformazione delle città. Le eccessive forme di astrazione dell’urbanistica del XX secolo hanno inseguito, nella teoria e nella pratica, una visione di città distante dalla dimensione umana, contribuendo al proliferare di fenomeni di marginalizzazione urbana. Questi, associati a un diffuso degrado fisico e sociale, alimentano la percezione di uno scarso livello di qualità della vita.

La ricerca muove dal presupposto che la vivibilità urbana dipenda dalla qualità e dalla diversità della sua offerta, ovvero dalla qualità del sistema degli spazi pubblici, inteso come infrastruttura capace di connettere il tessuto urbano ospitandone i flussi di persone, beni e servizi. Sulla base di uno stato dell’arte contemporaneo e grazie all’analisi di rilevanti casi studio nazionali e internazionali, l’obiettivo della ricerca è quello di identificare criteri e soluzioni strategiche e progettuali sui quali costruire un modello di interpretazione e gestione dello spazio pubblico.

Tenendo conto della diffusa mancanza di strumenti e strategie in merito allo spazio pubblico e al contempo delle peculiari modalità in cui questo viene vissuto e utilizzato nelle regioni del Sud Italia, la ricerca vuole inoltre soffermarsi sulla Città Metropolitana di Reggio Calabria, come possibile campo di applicazione e sperimentazione della metodologia.

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The rising attention to urban livability seems justified in light of the many environmental, social and psychological implications deriving from the processes of urban transformation. The extreme abstraction of 20th century urbanism have pursued, in theory and practice, a vision of a citiy distant from the human dimension, increasing the phenomena of urban marginalization. The widespread of physical and social decay can contribute to a perception of a poor quality of life.

The research assumes that the livability of cities depends on the quality and diversity of its offer and services, which also depends on the quality of the system of public spaces. This is to be intended as socio-spatial infrastructure able to connect the whole built environment and host the flows of people, goods and services. On the basis of a contemporary literature review and thanks to the analysis of several relevant national and international best practices, the aim of the research is to identify criteria and approaches on which to build a tool to interprete public space in its social and physical features.

Taking into account the lack of tools and strategies regarding public space and at the same time the peculiar ways in which it is lived and used in the regions of Southern Italy, the research also wants to focus on the Metropolitan City of Reggio Calabria, as a field of application and experimentation of the interpretative tool.

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Fig. 4 · Bambini giocano tra le sedute in marmo dell’Opera House di Oslo, 2018. (Progetto di Snøhetta, 2008)

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1.1 Definizione del problema

L’attenzione posta al tema della qualità della vita in ambiente costruito appare giustificata sulla base delle implicazioni di carattere ambientale, sociale, economico e psicologico connesse all’aumento della popolazione urbana, che le Nazioni Unite nel “World Urbanization Prospect” stimano raggiungerà i 6,5 miliardi entro il 2050.

A partire dagli anni ’60 sociologi, geografi, giornalisti e urbanisti hanno avviato un proficuo dibattito scientifico e culturale, sottolineando la stretta relazione tra la qualità fisica dell’ambiente costruito e il benessere individuale e collettivo, denunciando le eccessive forme di astrazione dell’urbanistica del XX secolo ed enfatizzando il ruolo strategico dello spazio pubblico. Con l’avvento del movimento moderno e l’introduzione dell’automobile come sistema di trasporto dominante si stabilisce la rottura definitiva con la struttura della città tradizionale articolata in strade e piazze: lo spazio pubblico perde il suo ruolo connettivo, centrale per il corretto svolgimento delle attività quotidiane, per farsi residuo nell’assecondare la deriva mono-funzionalista della città contemporanea. La frammentazione del sistema degli spazi pubblici coinvolge tutte le attività urbane che esso ospita, dal trasporto urbano al commercio, dalle attività sportive a quelle legate al tempo libero, alla socialità, nonché alla fruizione dell’offerta culturale e dei servizi pubblici. Alla luce di un tale ordine di complessità è pertanto plausibile parlare di infrastruttura dello spazio pubblico, come un sistema continuo di spazi urbani, fisici e virtuali, continuamente prodotti e trasformati dall’azione progettuale e dalle attività umane che li animano.

La comprensione delle dinamiche socio-spaziali appare dunque necessaria a definire le basi della riflessione tanto sulla qualità della vita urbana quanto sulla qualità del progetto di spazio pubblico che ne veicola la percezione. In questo senso è importante sottolineare come negli ultimi vent’anni le indagini sulla qualità della vita si siano progressivamente aperte all’utilizzo di indicatori di qualità ambientale e urbana nella valutazione del benessere; allo stesso modo le indagini sulla qualità urbana non possono prescindere dalla componente umana che anima gli elementi fisici dell’ambiente costruito. Esistono infatti numerose indagini, governative e indipendenti, che hanno sviluppato set di indicatori sempre più specifici e raffinati in grado di misurare la felicità come componente della ricchezza di una nazione o la sostenibilità del suo sviluppo (Berrini et al., 2011). D’altra parte si riconosce il limite degli strumenti di indagine e di

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valutazione di dover restituire un dato quantificabile e comparabile, una necessità che porta a escludere quelle informazioni non rappresentabili attraverso precise unità di misura, ovvero quei valori e disvalori da cui strettamente dipendono la percezione e la qualità dell’abitare urbano.

Nonostante gli sforzi profusi dalla Commissione Europea di adottare set di indicatori comuni1, l’accuratezza delle informazioni emerse dalle indagini sulla qualità della vita urbana si fa sempre più nebulosa man mano che si scende di scala (Berrini, et al., 2011) rimandandone la valutazione ad istituzioni spesso non governative2. L’importanza della valutazione della qualità della vita e della qualità urbana assume una maggiore rilevanza in virtù della capacità di definire le priorità di intervento delle politiche economiche e di trasformazione dell’ambiente costruito. Raramente in Italia i singoli governi locali hanno avviato percorsi di ricerca volti a una raccolta di dati e informazioni utili alla comprensione e all’interpretazione delle dinamiche socio-spaziali3. Diverse esperienze internazionali hanno invece dimostrato come questo abbia costituito la necessaria base di conoscenza per orientare, sperimentare e valutare processi di trasformazione dell’infrastruttura dello spazio pubblico, ma anche per distribuire efficacemente e democraticamente ruoli e competenze ai diversi attori coinvolti.

Il concetto di qualità dell’abitare urbano si manifesta pertanto nella complessità di carattere sociale, culturale, simbolico, tecnico, economico e giuridico del progetto di spazio pubblico e la necessità di affrontare la questione attraverso approcci integrati e interdisciplinari di analisi dello spazio, in grado di cogliere i suoi aspetti qualificanti in relazione alle attività legate alla sfera pubblica. Il ruolo strategico del progetto di spazio pubblico viene inoltre riconosciuto univocamente dalle Nazioni Unite e incluso tra gli indicatori dell’undicesimo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile – Città e Comunità Sostenibili per la sua 1. Urban Audit è un set di indicatori che coprono la maggior parte degli aspetti relativi alla qualità della vita nelle città dell’UE, della Norvegia, della Svizzera e della Turchia (demografia, alloggi, salute, mercato del lavoro, istruzione, ambiente, ecc.). [Fonte http://ec.europa.eu/eurostat/web/cities/overview]

2. In Italia Legambiente, Sole24Ore e ItaliaOggi sono tra le più accreditate nelle indagini sulla Qualità della Vita e dell’Ecosistema Urbano su base annuale.

3. Alcune eccezioni sono costituite ad esempio dall’esperienza dell’Osservatorio delle Città Sostenibili (DIST - Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio – Politecnico e Università di Torino) e dal SISTeR – Sistema di Indicatori per la Sostenibilità del Territorio Reggiano, promosso dal Comune di Reggio Emilia, nonché dallo strumento della Matrice della Qualità Urbana AUDIS – Associazione Italiana Aree Dismesse.

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capacità di “sostenere l’inclusione sociale, l’identità civica e la qualità della vita della città” (UN-Habitat for the Sustainable Development Goals – 11.7 Public

Space).

Sebbene con tempi e presupposti diversi, anche in Italia si assiste a una profonda riflessione sul ruolo dello spazio pubblico nei processi di trasformazione urbana, producendo alcune posizioni che la ricerca intende prendere in considerazione. Una parte del dibattito spinge verso una revisione dell’ormai obsoleta legge urbanistica4, complice dell’irrisolto divario fisico e sociale tra le aree consolidate e quelle marginalizzate della città. Gli spazi interstiziali rimasti esclusi dalla progettazione ordinata e formale della città sono recentemente diventati oggetto di sempre maggiore interesse, sia da parte degli enti locali che dalla società civile. I primi ne riconoscono il valore strategico nei processi di rigenerazione urbana volti al raggiungimento di obiettivi di qualità urbana e sociale, con particolare riferimento a contesti versanti in condizioni di degrado5. La società civile, nella persona di soggetti privati, associazioni o cooperative, ha talvolta colmato il gap istituzionale nella gestione dello spazio pubblico attraverso la sua occupazione informale, talora ritenuta abusiva, che si manifesta nella trasformazione e nel civile utilizzo di brani della città. Queste iniziative di trasformazione soft hanno avuto talvolta il merito di incidere positivamente sulla percezione di aree marginali6 riaprendo il dibattito su nuove modalità di partenariato pubblico-privato e

placemaking. Non mancano neppure posizioni intermedie, come nel caso del

Regolamento sui Beni Comuni della Città di Bologna, che include la gestione dello spazio pubblico. Un’altra posizione sostiene che le stesse condizioni che hanno ostacolato il pieno sviluppo economico di alcune regioni italiane abbiano parzialmente mitigato le conseguenze alienanti dei processi di urbanizzazione selvaggia. Una considerazione che si arricchisce alla luce della eterogeneità dei

4. In Italia lo strumento degli standard urbanistici, definiti dalla D.I. n. 1444 del 2 aprile 1968, ha facilitato un’organizzazione urbana data dalla sommatoria di superfici funzionali. Pur tenendo conto delle differenze di carattere contestuale, questo approccio ha di fatto contribuito al proliferare di quelli che oggi riconosciamo universalmente come fenomeni di marginalità urbana, che spesso si associano a un diffuso degrado fisico e sociale, alimentando la percezione di uno scarso livello di qualità della vita.

5. La Regione Lombardia introduce ad esempio l’obbligatorietà del Piano dei Servizi all’interno del Piano di Governo del Territorio.

6. Laddove la marginalità sia stata intesa come un fenomeno di generale abbandono e disaffezione da parte della politica e della comunità locale.

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possibili contesti urbani riscontrabili su scala nazionale, a seconda delle diverse condizioni morfologiche, socio-culturali ed economiche.

Nei contesti del Mezzogiorno d’Italia interpretare le dinamiche socio-spaziali significa, ad esempio, muoversi in un sistema di valori e disvalori reso ancora più complesso dalla diffusa mancanza di risorse, servizi e conoscenza diffusa sul tema della trasformazione urbana e dello spazio pubblico. Queste difficoltà sono in parte alimentate dalla ormai superato quanto diffuso equivoco che il progetto di spazio pubblico si manifesti, citando le parole di Vittorio Gregotti “nella forma di progetto di suolo, di disegno e di embellissement, di trattamento del verde, di assegnazione di significato al vuoto non edificato tra gli edifici, di definizione dei contenuti di speciali recinti funzionali dentro alla città7”. Una tale concezione non tiene conto del progetto di spazio pubblico nel suo ruolo cruciale per il funzionamento dell’organismo urbano quanto per la comunità che lo abita. Questo si traduce in una diffusa mancanza di strumenti conoscitivi, strategici e operativi da parte degli uffici competenti, talvolta dei progettisti, spesso impreparati ad affrontare efficacemente le repentine trasformazioni della città contemporanea.

Appare quindi evidente che le diverse posizioni del dibattito culturale contemporaneo siano accomunate dalla rilevata necessità di intervenire sull’ambiente costruito attraverso un approccio olistico, scalare e inter-disciplinare, sia nei temi che nella dimensione territoriale. Una complessità ci cui il progetto di spazio pubblico è portatore, già per sua natura.

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1.2 Obiettivi, domande della ricerca

e risultati attesi

L’obiettivo della ricerca è quello di individuare un possibile modello di interpretazione dello spazio pubblico che possa garantirne una corretta fruizione e un’efficace distribuzione urbana, andando a incidere positivamente sulla percezione della qualità dell’abitare.

Il raggiungimento di tale obiettivo viene perseguito attraverso la definizione di criteri in grado di interpretare le modalità di produzione di spazio pubblico, tenendo conto dei principi di sostenibilità sociale, culturale, ambientale ed economica, flessibilità e fruibilità.

Pertanto le domande che la ricerca si pone sono:

• Quali modelli di analisi dello spazio pubblico sono risultati efficaci e perché? • Quali strumenti, interpretativi e operativi, è necessario mobilitare e a che scala? Il principale risultato atteso è che sulla base di un sistematico quanto approfondito lavoro di conoscenza e interpretazione dei fenomeni urbani, sia possibile formulare obiettivi e priorità strategiche volte a rispondere, a tutte le scale della città e attraverso il progetto di spazio pubblico, alle esigenze della città contemporanea.

Questo risultato assume particolare importanza alla luce della rilevata scarsità di strumenti a disposizione delle piccole e medie città nel guidare e comprendere le trasformazioni dei fenomeni urbani.

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1.3 Metodologia

Inquadramento teorico

Nella prima fase, l’oggetto della ricerca viene collocato all’interno dell’ampio dibattito contemporaneo attraverso l’analisi di due ambiti. Il primo è legato alla comprensione delle dinamiche di costruzione sociale dello spazio pubblico, in cui viene affrontata la prospettiva degli studi urbani nella critica all’urbanizzazione capitalista e nella trasformazione dei processi di produzione e riproduzione sociale. I due temi vengono trattati al fine di arrivare a definire le dimensioni, le caratteristiche e gli elementi necessari alla lettura delle dinamiche socio-spaziali. Il secondo ambito si riferisce nello specifico alle ragioni del declino e della rinascita dello spazio pubblico. In tal senso vengono inquadrate quelle strategie e pratiche progettuali che vedono nello spazio pubblico uno strumento di contrasto ai disequilibri della città contemporanea.

Approfondimento metodologico

In una seconda fase viene approfondita criticamente la questione della qualità dell’abitare urbano in relazione al tema della valutazione e a quello della trasformazione urbana. In entrambi i casi, particolare attenzione è data all’aspetto metodologico degli approcci in analisi, che valutano o interpretano le dinamiche socio-spaziali e a vario titolo possono essere mobilitate a supporto della formulazione di strategie di trasformazione della città. In tal senso, si arriva alla definizione di qualità dell’abitare urbano entrando nel merito di come questa viene valutata dai principali studi qualitativi e quantitativi sulla qualità della vita nella città e sulla sostenibilità olistica. Gli stessi obiettivi vengono ricercati nelle

best practices prese in analisi nel contesto nazionale e internazionale, tra quegli

approcci strategici e/o progettuali che abbiano mobilitato lo spazio pubblico come attivatore di qualità dell’abitare urbano.

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Formulazione dell’ipotesi di modello interpretativo

Nella terza e ultima fase si formula il modello interpretativo dello spazio pubblico a supporto della sua trasformazione, programmazione e gestione, attraverso un approccio evidence-based. Si riflette pertanto sulla struttura per fasi del modello, sulle tecniche di indagine mobilitate e sulle modalità del suo utilizzo.

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Fig. 6 · Rambla de Sants, Barcellona, 2017. (Progetto di Ana Molino e Sergi Godia, 2016)

(25)

spàzio s. m. [dal lat. spatium, forse der. di patēre «essere aperto»]. – 1. Con

valore assol., il luogo indefinito e illimitato in cui si pensano contenute tutte le cose materiali, le quali, in quanto hanno un’estensione, ne occupano una parte, e vi assumono una posizione, definita mediante le proprietà relazionali di

carattere qualitativo (sempre relative a una certa scala) di vicinanza, lontananza,

di grandezza, piccolezza, rese quantitative, già nell’antichità classica, dalla

geometria, in quanto scienza dei rapporti e delle misure spaziali fondata su

una definizione rigorosa dello spazio come estensione tridimensionale; più modernamente, lo spazio è anche considerato come intuizione soggettiva elaborata mediante gli organi di senso (spec. la vista) o è concepito (per es. nella

prossemica) come modalità secondo la quale l’individuo, nel suo comportamento

sociale, rappresenta e organizza la realtà in cui vive.

pùbblico¹ agg. [dal lat. publēcus, affine a popēlus «popolo»] – 1. Che riguarda

la collettività, considerata nel suo complesso e in quanto fa parte di un ordine civile (cittadinanza o nazione). 2. Che è di tutti, che è comune a quanti fanno

parte della collettività. 3. a. Che è accessibile a tutti, aperto a tutti, che tutti

possono utilizzare, che non è di proprietà privata né riservato a persone o gruppi determinati. b. A cui può partecipare o intervenire chiunque. d. Noto a tutti,

palese.

pubblico² s. m. [da pubblico¹; cfr. il lat. publēcum “dominio pubblico”] – 1. a.

[complesso di un numero indefinito di persone: luogo aperto al p.] ≈ gente. ē folla.

b. (estens.) [complesso di persone che frequenta un locale aperto al pubblico.

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(27)

La riflessione sullo spazio pubblico non può prescindere da una preliminare chiarificazione circa le ambiguità che il suo stesso significato nasconde.

Dalla nozione di ‘spazio’ possiamo dedurre come questo sia il luogo in cui soggetti e oggetti legati da relazioni—qualitative e quantitative—e comportamenti sociali, rappresentano sé stessi e organizzano la realtà. In tal senso la ricerca esamina l’accezione sociale dello spazio, con particolare riferimento all’opera di Henry Lefebvre e David Harvey. Il ricorso a queste categorie interpretative è necessario sia nella comprensione che nel tentativo di strutturare una qualsiasi forma di riflessione critica sui temi della città contemporanea e dei processi di produzione di spazio e di riproduzione sociale.

La definizione di ‘pubblico’ può riferirsi invece a categorie concettuali diverse: proprietà pubblica, in contrapposizione a quella privata; può suggerire la presenza di un ordine civile istituzionale delegato alla gestione di un bene; può indicare il dominio pubblico, in termini di accessibilità di un bene o luogo da parte di tutti gli individui, che talora formano il pubblico degli spettatori o degli utenti. La dimensione pubblica dello spazio urbano, da sola, non è però una condizione sufficiente a garantire che lo spazio pubblico sia tale (Mariano, 2012) portandoci a considerare le molteplici forme di territorializzazione (Madanipour, 2003) che trasformando lo spazio in luogo (Norberg-Schultz, 1979) caricano lo spazio pubblico di significati a seconda del ruolo che questo riveste nelle attività della vita quotidiana nei diversi contesti sociali, culturali ed economici (Cerasi, 1976).

Pertanto, nell’analisi delle possibili declinazioni dello spazio urbano, sarà importante tanto identificarne le differenti e possibili dimensioni, quanto la combinazione tra gli elementi, materiali o immateriali, dello spazio urbano in funzione delle relazioni di compresenza su cui si fondano e della qualità delle dinamiche socio-spaziali che producono.

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Fig. 8 · Ragazzi si affacciano su Piazza Garibaldi a Napoli, 2017. (Progetto di Dominique Perrault, 2016)

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2.1.1 Produzione e percezione

“Produttori misconosciuti, poeti della propria sfera particolare, inventori di sentieri nelle giungle della razionalità funzionalista, i consumatori producono qualcosa che assume la figura dei «tracciati8».”

[Michel De Certeau, L’invenzione del quotidiano – 1984]

Le dinamiche socio-spaziali sono oggetto di analisi e interpretazione da molteplici punti di vista e da altrettanti ambiti disciplinari che usano lo spazio pubblico e in generale la città, come luogo privilegiato di studio degli effetti esercitati sulla società dalle forze economiche e politiche. La sociologia e la geografia urbana hanno ampiamente contribuito al dibattito contemporaneo, tratteggiando un quadro piuttosto chiaro delle contraddizioni fisiche e sociali che la città è chiamata ad affrontare, con particolare riferimento alla critica alla società capitalista e all’economia liberale e di come queste abbiano innescato un profondo cambiamento nelle tradizionali modalità di produzione e riproduzione sociale nell’ambito del contesto urbano. In tal senso lo spazio non è più soltanto il luogo in cui le cose sono contenute, ma un insieme di relazioni tra le cose che a loro volta danno origine a forme di spazio di natura diversa, talvolta antitetica, ma sempre prodotto di una relazione sociale, politica ed economica.

Quello della dimensione sociale dello spazio è un concetto chiave della critica marxista alla società contemporanea e viene ripresa in particolar modo dell’opera di Lefebvre, che nel testo La production de l’espace del 1974 insiste sulle configurazioni dello spazio in relazione ai fenomeni contemporanei, sul piano sociale e produttivo, sia materiale che culturale. La specializzazione funzionale

8. “As unrecognized producers, poets of their own acts, silent discoverers of their own paths in the jungle of functionalist rationality, consumers produce through their signifying practices something that might be considered similar to the ‘wandering lines’.” [Testo originale tratto da The Practice of everyday Life di Michel De Certeau, 1984]

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e la parcellizzazione delle tecniche e del sapere, seppur legittimate dal “pretesto

della scientificità” hanno generato, secondo la critica dell’autore, un processo

di atomizzazione delle discipline di analisi della città, sempre più autonome. Nel caso della comprensione delle pratiche spaziali questo ha portato a un livello tale di codificazione ed approfondimento dei singoli aspetti, elementi e momenti da non essere più apprezzabili globalmente con precise ricadute anche nella comunicazione del vivere quotidiano, all’interno della quale non è più immediatamente riconoscibile quella connessione intrinseca tra lo spazio e le parole usate per descriverlo o identificarlo. Il processo significante di cui parla Lefebvre si riferisce quindi a tutti i membri della società, siano essi utenti, abitanti, autorità, tecnici, architetti, urbanisti o pianificatori (Op. cit., 1974). Allo stesso modo non si può demandare alla formulazione di un linguaggio corretto l’analisi e l’interpretazione dello spazio e delle sue pratiche di produzione e riproduzione sociale: nelle intenzioni di Lefebvre non si ritrova la necessità di sostituire parti o demolire gli apparati teorici a cui fino a quel momento si era fatto appello, quanto di riconoscerne la fisiologica dissoluzione affinché possa essere spiegata e se ne possano contrastare gli effetti, infine, eventualmente, si potranno sovrascrivere9 dei nuovi codici (1974). Una prima fondamentale ammissione risiede nell’assumere “che lo spazio abbia assunto, nel modo di produzione

attuale e nella società in atto una specie di realtà propria, allo stesso titolo e con lo stesso processo globale della merce, del denaro, del capitale, anche se in modo diverso…10”. Questo fenomeno viene spiegato considerando l’uso politico dello

spazio, che si integra alle forze produttive e media i rapporti di riproduzione sociale imponendosi attraverso una qualche forma di ideologia che ne maschera l’uso interessato confondendosi con il sapere e che auspicabilmente ha a che fare con una visione strategica e programmata del futuro di tale spazio (1974). Per spiegare questo rapporto sarà quindi necessario capire cosa si intende per forme di urbanizzazione capitalista e perché hanno un effetto così drammatico sui processi di riproduzione sociale.

David Harvey affronta ampiamente il tema delle forme di urbanizzazione

9. Henri Lefebvre parla nello specifico di una sovracodificazione teorica come inversione di tendenza rispetto a quella dominante, attraverso un progressivo spostamento, come oggetto di studio, enumerazione e descrizione, dal prodotto alla produzione.

10. Henri Lefebvre, Op. cit., pagg.48-49

Fig. 9 · Struttura dei circuito primario, secondario e terziario del capitale.

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capitalista, alla base della radicale trasformazione fisica e sociale che ha permesso a un tale modello di produzione di diffondersi e resistere così a lungo. La sua interpretazione parte dal concetto di accumulazione e di lotta di classe. Il nodo fondamentale, preso in prestito dalla teoria marxista, è che il capitale (coloro che sono al comando del processo di produzione) sfrutta il lavoro (coloro che vendono la propria mano d’opera alla stregua di un bene, una merce) appropriandosi di una porzione del plusvalore generato dalla produzione e sottraendola dal salario. Questo processo di accumulazione espande la base per il profitto del capitale, consente al sistema di autoriprodursi e di reinvestire e ampliare il proprio dominio sul lavoro, continuando di fatto a produrre plusvalore dal lavoro (1984). Partendo da questo assunto, Harvey individua tre circuiti all’interno dei quali il capitale si muove: il primario si riferisce agli investimenti in mezzi di produzione di base; il secondario agli investimenti in capitale fisso, quindi sull’ambiente costruito, in termini di locali di produzione o di vendita, nel tentativo di produrre, come definito dall’autore stesso, un “ambiente costruito per la produzione

e per il consumo”; il terziario agli investimenti in scienza, tecnologia e spese

sociali, con il fine di potenziare la produttività della forza lavoro e assicurare il consenso e la cooperazione della stessa (Ibid.). Senza entrare nel merito delle specifiche condizioni e contraddizioni economiche che ne conseguono, appare interessante notare come sussistano riflessi concreti sull’ambiente costruito e le sue peculiarità, sia dal punto di vista strettamente fisico che da quello sociale. In particolare, queste si manifestano principalmente nel valore di scambio che il capitale fisso riveste in ambiente costruito, e quindi nella possibile svalutazione degli immobili, mentre il valore d’uso invece rimane potenzialmente riattivabile, a favore ugualmente del capitale o del lavoro, nell’adattamento del bene in funzione di un nuovo uso produttivo in futuro (Harvey, 1984). Comprendere questo meccanismo, per quanto in questa sede accennato in estrema sintesi, è utile per diverse ragioni: in primo luogo lo spazio urbano è anche il prodotto di forze, tanto politiche quanto economiche, che hanno il potere di veicolarne la percezione, l’uso e anche la trasformazione; secondariamente, all’interno di quello che è stato definito come “ambiente costruito per la produzione e per

il consumo” rientrano i luoghi della vita quotidiana, dallo spazio del lavoro a

quello privato, passando per i luoghi del tempo libero. In questo senso i processi di produzione e accumulazione del capitale hanno una forte influenza sulle forme di riproduzione sociale, come quella “carnosa, caotica e indeterminata cosa che

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è la vita quotidiana11”. Le forme di riproduzione sociale non si riferiscono solo

a quella biologica, in termini di relazioni interpersonali, e alla riproduzione dei mezzi di produzione tramite la distribuzione dei mezzi primari di sussistenza— cibo, casa, vestiti e assistenza sanitaria. Nella riflessione marxista questo range si estende alle attività legate alla conoscenza, all’istruzione, all’esercizio della democrazia, ai media, alla trasformazione urbana, le quali variano in funzione del contesto storico e geografico di riferimento, ma che in generale sono deputate alla “adeguata preparazione” della forza lavoro e a garantirne la riproduzione. Da un lato le contraddizioni e i limiti del sistema capitalistico e dei processi di accumulazione sono considerati causa di destabilizzazione per gli stessi processi di riproduzione sociale su cui si basano (Fraser, 2016) intensificando, con la globalizzazione del capitalismo, i processi di accumulazione ed esacerbando le differenze sociali in termini di benessere e povertà (Katz, 2001). Dall’altro, come evidenziato da Cindi Katz, il più recente dibattito sulla sostenibilità ha portato a preoccuparsi della riconversione dei mezzi di produzione ma anche a investimenti nel circuito terziario che potessero migliorare la qualità dell’ambiente costruito, con significative ricadute sulla qualità della vita (2001).

Lo spazio così prodotto serve come strumento di pensiero e di azione, di potere e di controllo, di produzione e accumulazione, ed è astratto e reale insieme, allo stesso modo del capitale, della merce e del denaro. D’altronde, non bisogna tralasciare il fatto che questo spazio contiene rapporti sociali. L’opera di Lefebvre è particolarmente utile, anche nel contesto contemporaneo, a fornire gli strumenti per la comprensione di questo spazio sociale e delle dinamiche socio-spaziali che esso ospita. Lo spazio sociale cui l’autore fa riferimento risponde a due postulati: “lo spazio (sociale) è un prodotto (sociale)”; “ogni società (quindi ogni modo di

produzione con le sue specifiche differenze, le società in cui si rispecchia il concetto generale) produce un proprio spazio” (1974). Sulla base di queste implicazioni

è possibile comprendere come lo spazio sociale sia un fenomeno, più che un luogo, di grande complessità, all’interno del quale collaborano più dimensioni compresenti e sovrapposte grazie alle quali ogni città forgia e si appropria del suo spazio, il quale è a sua volta utile a strutturare un “discorso teorico globale” sulla società cui appartiene. Per spiegare in maniera più chiara quanto affermato fino 11. Traduzione personale del testo originale: “Social reproduction is the fleshy, messy, and indeterminate stuff of everyday life” tratta da (Kats, 2001: 711).

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spazio sociale

spazio vissuto utenti, abitanti spazio rappresentatotecnici, pianificatori

ad ora, Lefebvre propone quella che viene definita la triade spaziale nella quale lo spazio sociale si costruisce nella relazione collaborativa di tre dimensioni.

La pratica spaziale: (spazio percepito) ovvero la produzione e la riproduzione, le

caratteristiche e la particolare posizione nello spazio12 di ogni formazione sociale. Questo elemento della triade assicura continuità e coesione, la quale implica un certo grado di competenza e uno specifico livello di performance.

Le rappresentazioni dello spazio: (spazio concepito) sono connesse alle

relazioni della produzione e all’ordine che queste relazioni impongono’ ovvero la conoscenza, i segni, i codici e le relazioni frontali. É lo spazio utilizzato dagli scienziati, dai pianificatori, dagli urbanisti, dagli ingegneri e da un certo tipo di artisti.

Gli spazi di rappresentazione: (spazio vissuto) presentano simbolismo complessi,

non sempre codificati, legati al lato clandestino o sotterraneo della vita sociale o dell’arte, quest’ultima talvolta come codice dello spazio di rappresentazione.

Nella visione di Lefebvre lo spazio sociale funziona da strumento di analisi della società, la stessa che secerne il suo spazio e se ne appropria attraverso le pratiche. Interpretare tali pratiche significa decifrare lo spazio che queste hanno generato nella percezione della realtà del quotidiano (l’uso del tempo nello spazio) e nella realtà urbana (i percorsi e le reti che collegano i luoghi del lavoro, della vita privata, del tempo libero) in cui hanno luogo, analizzando empiricamente quelle che vengono definite come performance e competenze. Dal rapporto trialettico tra lo spazio percepito, pensato e vissuto emerge lo spazio sociale, che non è più il risultato di un contrasto tra termini opposti, ma di un delicato equilibrio di compresenze in cui il soggetto, la sua sensorialità e corporalità, sono in relazione con lo spazio fisico e quello simbolico. “Che il vissuto, il pensato e

il percepito debbano ricongiungersi, in modo che il soggetto … possa passare dall’uno all’altro senza perdervisi, ormai è indispensabile13”. Nella riflessione di

12. Lo spazio descritto dalla triade contiene e assegna una specifica collocazione alle relazioni sociali di riproduzione—tra gruppi dello stesso sesso, età e in funzione delle strutture familiari—e alle relazioni di produzione— la divisione e l’organizzazione del lavoro nella forma di funzioni sociali gerarchiche. L’avvento del neo-capitalismo amplia lo spettro a tre livelli di relazione: biologica, della forza lavoro e delle relazioni sociali (Lefebvre, 1974). 13. Henri Lefebvre, Op. cit., pagg.

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Lefebvre questo equilibrio si complica con l’avvento del neo-capitalismo e delle relative forme di riproduzione dei rapporti sociali di produzione, le cui forme di rappresentazione simbolica più o meno imposte dalla società capitalistica cui appartengono prendono posizione nello spazio e ne condizionano la percezione (1974).

Per quanto con i dovuti singoli approfondimenti, il lavoro di Lefebvre ci restituisce non solo tre dimensioni, quanto anche tre categorie interpretative grazie alle quali appare evidente come lo spazio sia continuamente prodotto e riprodotto perché esperito, concepito e vissuto dai suoi attori, che pure vengono individuati all’interno di questa riflessione. Non è infatti un caso che in merito agli spazi di rappresentazione l’autore faccia preciso riferimento al ruolo dell’architettura e dell’urbanistica che, localizzando le attività urbane e assegnandovi un luogo preciso, si configurano da un lato come strumento di riordino del territorio in funzione della produzione, dall’altro come medium delle pratiche spaziali e degli spazi di rappresentazione. Allo stesso tempo, un ulteriore aspetto da considerare relativamente a La Produzione dello Spazio è il riferimento a quelle forme ibride costituite dallo spazio assoluto e dallo spazio astratto, come luoghi di rappresentazione, il primo di natura civica o religiosa—e quindi con tutte le implicazioni legate all’uso politico di tale spazio nell’organizzare le strutture di riproduzione sociale—e il secondo come luogo formalmente organizzato, sin dal principio, come strumento necessario alla società neo-capitalista per assorbire

gli usi affinché questi siano controllabili e sostituibili—centri commerciali, café,

luoghi del consumo (Lefebvre, 1974; Mitchell, 2017).

Accanto allo spazio assoluto e allo spazio astratto viene inoltre teorizzato lo

spazio differenziale: questo viene considerato come il prodotto non solo delle

azioni della vita quotidiana, quanto soprattutto dalla reazione degli individui o della collettività alle forze e alle forme di astrazione dello spazio (Lefebvre, 1974). Affine all’opera di Lefebvre, l’approccio tripartito di David Harvey negli stessi anni affronta il tema della riproduzione sociale nel testo Social Justice and

the City, per cui lo spazio viene definito come: assoluto, ovvero espressione di

una cosa in sé, preesistente, indipendente come lo spazio in una mappa; relativo, come spazio generato in funzione del punto di vista dell’osservatore e dalle relazioni tra gli oggetti; relazionale, quando lo spazio che si genera è strettamente connesso al processo di riproduzione sociale ed esperienza dello spazio (1973).

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Harvey lascia intendere che nei processi di produzione di spazio le influenze esterne siano progressivamente internalizzate nel tempo (1973) e che invece in termini di produzione di spazi della rappresentazione, siano essi personali, culturali o economici, un ruolo fondamentale sia svolto dall’identità, la quale si manifesta nelle memorie collettive, nei sentimenti individuali e nei significati che permangono al di là delle esperienze della vita quotidiana (cfr. Massey, 1995).

Appare evidente come il processo di produzione (sociale) di spazio si svolga sostanzialmente nella forma di una continua negoziazione tra le parti in causa, in cui un ruolo chiave è svolto dagli individui e dall’azione della vita pubblica. Sul finire degli anni ’80 Michel De Certeau affronta il tema delle pratiche quotidiane— parlare, leggere, circolare, fare la spesa…—e delle abitudini d’uso dello spazio durante queste attività della vita pubblica, definite tattiche di interpretazione e appropriazione dello spazio, il quale è a sua volta definito da strategie che si manifestano sotto forma di calcoli obiettivi, stabiliti dal potere che le sostiene (1984). Non molto lontano dal concetto di spazio differenziale o di spazio

relazionale, De Certeau inizia a delineare in maniera forse più specifica, quali

azioni della vita quotidiana siano da considerarsi pratiche spaziali, chiudendo grossomodo il cerchio della riflessione metodologica sull’indagine della città contemporanea. Di queste “traiettorie indeterminate”, regolate solo in linea di principio dalle suddivisioni istituzionali in comparti, le statistiche non conoscono quasi nulla. Se la statistica si accontenta di classificare, calcolare e tabulare i contenuti di queste pratiche, la rigida tassonomia di questi approcci sopprime la possibilità di rappresentare le manovre tattiche, le forme e i movimenti dei modi d’uso (De Certeau, 1984). Per far comprendere la differenza tra tattica e strategia, De Certeau fa quindi ricorso al concetto di ‘traiettoria’: quando questa viene strategicamente concettualizzata nel disegno planimetrico, la struttura temporale dei luoghi della pratica del camminare si trasforma in una sequenza spaziale di punti. Di fatto la pratica unica e irreversibile della produzione di spazio (e di significato) viene riprodotta attraverso la concettualizzazione e resa reversibile (1984). In altre parole, qualsiasi tentativo di organizzare analiticamente l’esperienza dello spazio e nello spazio ne comprime la lettura entro categorie formali ‘con perdita di dati’.

Non stupisce quindi che parallelamente al delinearsi di questo framework teorico siano stati sviluppati numerosi approcci metodologici che, nell’indagine

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della città e dello spazio urbano, abbiano tentato di controbilanciare l’impiego di categorie formali ricorrendo ad una prospettiva esperienziale. Tale prospettiva, come già anticipato, mette al centro la sensorialità e la corporalità dell’uomo nello spazio, ponendo particolare attenzione alla percezione dell’individuo nel suo vivere e recepire lo spazio urbano14. Il tema dell’esperienza diretta come forma di conoscenza della città è molto ricorrente già dal finire degli anni ’50, in cui ancora una volta ricorre l’idea del tracciato come attraversamento narrativo dei luoghi. Un esempio di questo approccio può essere ritrovato nella psicogeografia15 e nell’esperienza situazionista della deriva urbana, teorizzata da Guy Debord (1956) e dal Movimento Lettrista. La deriva è il passaggio veloce da un ambiente all’altro della città, siano aperto che chiuso, un movimento che è in grado di attivare un processo poietico per cui l’individuo scopre sé stesso mentre è immerso nell’atto di osservare la città16. Questa pratica appare interessante per diverse ragioni: in primo luogo perché l’esperienza della deriva consente di muoversi nello spazio prescindendo dalle categorie “strategiche” istituzionali, ridefinendo l’ecologia dei luoghi attraversati e restituendo un’informazione dimensionale che amplia la visione del territorio oltre le tre dimensioni (Lazzaroni, 2012). In secondo luogo, la deriva è una tecnica di analisi dell’ambiente urbano che rispetta precise fasi e risponde a una metodologia piuttosto rigorosa, considerando l’epoca in cui è stata concepita, e al termine della quale è auspicabile che i partecipanti a questa esperienza, attraverso un momento di confronto, possano arrivare a delle conclusioni oggettive (Debord, 1956). Quello che nasce come un gioco casuale, assume quindi le caratteristiche di una ricerca lucida che “accerti il ruolo delle

influenze ambientali sulla modificazione dei comportamenti affettivi” (Vazquez,

2010). Le teorie dei lettristi, riportate nel Formulario per un Nuovo Urbanismo e in svariati articoli pubblicati sul Bollettino dell’Internazionale Lettrista, sono in qualche modo anticipatori di alcune questioni centrali nel dibattito

14. Nella prospettiva di Kevin Lynch è la vista il senso maggiormente coinvolto, sia nella percezione che nella rappresentazione dello spazio, che attraverso la produzione di un’immagine ne sintetizza le variabili sensibili (1960). 15. Nel primo numero del bollettino dell’Internazionale Situazionista, pubblicato nel 1958, la psicogeografia viene definita “Studio degli effetti precisi dell’ambiente geografico, disposto coscientemente o meno, che agisce direttamente sul comportamento affettivo degli individui”.

16. Debord si riferisce a una frase di Carl Marx “Gli uomini non possono vedere nulla intorno a sé che non sia il loro proprio viso: tutto parla loro di loro stessi. Anche il loro paesaggio ha un’anima” citata nel testo originale di Théorie de la dérive pubblicato nel 1956 e successivamente nel 1958 nel secondo numero de L’Internazionale Situazionista.

Fig. 11 · Illustrazione di Internazionale Situazionista delle placche tornanti

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culturale contemporaneo intorno ai temi della città. L’avvertita necessità di perfezionare il dato analitico attraverso la percezione soggettiva viene tradotta trasformando lo spettatore urbano in attore dotato di forte spirito critico, libero da pregiudizi e capace di un’osservazione profonda degli spazi, delle relazioni e dei valori (Lazzaroni, 2012). Inoltre, viene riconosciuta come determinante la presenza dei passanti, più che degli edifici, nel definire l’ambiance di un luogo, attribuendo al termine architettura un significato esteso ai suoi abitanti e ai suoi frequentatori (Ibid.). Altrettanto rilevante appare la teoria della deriva applicata alla geologia della città, che non solo è fatta di strati, ma anche di placche che si spostano lentamente fino a modificarne il volto: un chiaro riferimento alle migrazioni urbane (Ibid.). Non manca infine la critica alle forme di astazione dell’architettura contemporanea, inanimata, poco appassionante perché poco divertente, colpevole di riposare e raffreddare l’occhio umano (Ibid.). Nel

Formulario Ivain scrive: “Non prolungheremo le civiltà meccaniche e la fredda architettura che conducono alla fine della corsa verso passatempi annoiati. Ci proponiamo di inventare nuovi scenari mobili17”. L’aspetto più significativo dell’approccio psicogeografico, è inevitabilmente l’attenzione posta all’uso degli spazi nonché alla valorizzazione dell’aspetto del divertimento, rimasto generalmente fuori dal progetto architettonico e urbanistico postmoderno (Ibid.). Allo stesso modo, sembra che la componente esperienziale dello spazio sia stata esclusa dalla discussione sulla città anche in qualità di indicatore in grado di fornire informazioni assolutamente realistiche, per quanto di natura soggettiva e interpretativa. Il cosiddetto atteggiamento descrittivo del lettrista flâneur richiama l’attenzione sulla necessità di approcciarsi dal basso al tema della città, attraversandola da un punto di vista fisico e sensoriale, quanto anche storico e culturale, in qualche modo immergendosi in maniera totale nell’esperienza urbana.

La produzione e la percezione dello spazio sono due passaggi indissolubilmente legati da un rapporto biunivoco senza che si possibile stabilire in quale misura l’uno condizioni l’altro, e appare evidente come questi debbano essere complementarmente considerati nell’analisi dell’ambiente urbano, specialmente rivolgendo lo sguardo alla città contemporanea, in cui le dinamiche socio-economiche e socio-spaziali

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appaiano non sempre compatibili. Ancora, è necessario avviare un’approfondita riflessione su quale sia l’apparato metodologico più congeniale ad ospitare questo tipo di analisi senza cadere nel facile ricorso a rigide categorie formali nel tentativo di interpretare l’informale della vita quotidiana, categorie che al tempo stesso risultano necessarie all’analisi dello spazio fisico. Infine, riprendendo il postulato del paesaggio di Augustine Berque (1995) e applicandolo all’ambiente urbano, l’interesse della ricerca è quello di capire come “le società organizzano il loro

ambiente in funzione dell’interpretazione che ne fanno e reciprocamente [come] esse lo interpretano in funzione dell’organizzazione che ne fanno”.

2.1.2 I temi dello spazio pubblico

Le tensioni emerse nella definizione e nell’analisi dello spazio pubblico si manifestano nel tentativo di stabilirne le caratteristiche fisiche e sociali, i valori e il ruolo che questo riveste. Stephen Carr definisce lo spazio pubblico come “il palco

in cui il dramma della vita collettiva si dispiega”, dove gli elementi fisici della città

consentono e flussi e riflussi degli scambi tra gli individui (1992). Nella letteratura non è insolito che vi siano narrazioni o analisi dello spazio urbano che mettano in relazione il concetto di cittadinanza con il peculiare mix sociale che può crearsi negli spazi pubblici, considerato come precondizione per la formazione civica della comunità (Mazzette, 2013). L’ampia riflessione sullo spazio pubblico, di cui in questa ricerca si riportano alcuni tra i principali filoni di pensiero, non si esaurisce nella ricerca di un confine più o meno netto tra la dimensione pubblica e quella privata. Piuttosto sembra che questa discussione, problematizzata in funzione di un good or ideal public space suggerisca la necessità di formulare un modello concettuale che identifichi la condizione di pubblico nelle sue dimensioni inter-correlate, tra cui non solo la proprietà, quanto anche la gestione, gli usi e i gradi di fruizione (Németh & Schmidt, 2011).

Un equivoco ricorrente nell’analisi dello spazio urbano è quello di considerare lo spazio pubblico un contenitore vuoto, di sottrazione rispetto agli spazi della vita domestica o del lavoro, invece ben definiti e articolati nella mappa degli usi urbani (Sanli, 2016). Come si poteva intuire nel precedente paragrafo, individuare gli elementi dello spazio pubblico, per quanto possibile, diventa utile se finalizzato alla comprensione delle possibili combinazioni che lo caratterizzano e che consentono l’interazione tra soggetti e oggetti. Inoltre, è necessario tenere

Fig. 12 · Paris Street, Rainy Day, Gustave Caillebotte,1877. Art Institute

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presente le forze a cui lo spazio e gli individui risultano vulnerabili e che hanno il potere di manipolare e veicolare la percezione dello spazio, i ricordi collettivi dei cittadini e gli stili di vita connessi al suo utilizzo (Ibid.). Alla luce di queste considerazioni, ogni tentativo strutturato di concettualizzare le dinamiche socio-spaziali è pertanto passibile di ulteriori interpretazioni che ne colgano gli aspetti soggettivi e sensibili strettamente contestuali, legati al variare del tempo e all’evolversi del dibattito e della cultura urbana, delle tecnologie, degli stili di vita. Quello che invece rimane pressoché invariato nel corso dell’ultimo secolo— quantomeno in termini di principio e nelle modalità di produzione e riproduzione dello spazio—sono i temi legati alla sua principale dimensione pubblica, anche in contrapposizione a quella privata. In particolare alcune delimitazioni di campo appaiono strumentali per delineare gli attori e gli elementi tangibili dello spazio, partendo dai quali sarà possibile avviare una riflessione circa l’impatto, diretto o indiretto, che tali forze o oggetti esercitano sulle modalità in cui lo spazio è vissuto. È a partire dalla natura pubblica dello spazio che se ne individuano i temi fondanti, i quali possono essere ricondotti alle relazioni economiche e sociali che ne caratterizzano l’uso, individuale e sociale, la proprietà, la gestione, ma anche la prossimità e il grado di accessibilità e visibilità. Come vedremo, questo si rifletterà sia sul piano dell’attuazione di politiche urbane mirate al miglioramento della qualità della vita, sia in riferimento alla qualità delle differenti configurazioni spaziali imposte dal progetto.

In particolare sul piano della dicotomia pubblico/privato e contrariamente all’opinione di Jane Jacobs (1961) non è possibile definire una demarcazione precisa tra l’uno e l’altro nella realtà del quotidiano, possiamo invece concordare sul fatto che esistano gradi di permeabilità (Madanipour, 2003) in luogo delle molteplici e complesse combinazioni tra oggetti e soggetti nello spazio, per cui non possono essere definite azioni che siano esclusivamente pubbliche o esclusivamente private (Mitchell, 2003). Volendo monitorare le nostre attività

quotidiane, ci accorgeremmo che queste sono definite da una successione di spostamenti da spazi pubblici a privati, dallo spazio intimo della casa, a quello interpersonale della scuola o del posto di lavoro, a quello talvolta impersonale dello spazio urbano. Il modo in cui questi luoghi e spazi della nostra vita vengono intesi in termini di equilibrio pubblico-privato condiziona anche il modo in cui vengono vissuti e le convenzioni socio-comportamentali legati al loro utilizzo. Questa divisione si delinea più nettamente nella definizione di cosa sia pubblico

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e cosa sia privato, in luogo dell’accesso da uno spazio all’altro: questo passaggio meno fluido si manifesta nell’ampio corollario di simboli e codici che identificano l’uno o l’altro spazio. Come evidenziato da Madanipour, per le stesse ragioni, questo è il luogo della permeabilità tra le due dimensioni, dove al limite con la sfera privata, si trova il luogo dello scambio e della vita sociale, sostenendo che maggiore è il grado di ambiguità e di efficacia nella comunicazione tra le due parti, maggiore sarà il grado di civiltà di un luogo (2003).

Insieme, il pubblico e il privato concorrono alla creazione di quello che potrebbe essere chiamato, nelle parole di Richard Sennet, l’universo delle relazioni sociali (1974). Habermas in The Structural Transformation of the Public Sphere considerava la sfera pubblica come uno spazio astratto tra la società e lo stato, un corpus di soggetti privati che si riuniscono per discutere temi di pubblico interesse o di interesse comune (Op. cit., 1962 in Mazzette, 2013). Sebbene questa posizione venga collocata dalla critica in una prospettiva borghese liberale, esclusiva di altre forme di pubblico non ufficiali o interstiziali, sulla base di questo principio si è comunque affermata una concezione di “normativa ideale” entro cui collocale gli attori, pubblici e privati, che agiscono sullo spazio (cfr. Fraser, 1990). Tali interventi di carattere gestionale e amministrativo agiscono imponendo limitazioni nell’uso dello spazio urbano nel tentativo di reprimere, se non quando sopprimere, abitudini e comportamenti che potrebbero minare l’ideale di ordine e controllo imposto dalle stesse normative, escludendo talune categorie sociali non conformi alle norme che regolano la fruizione dello spazio (Mitchell, 2003; Nemeth, 2011).

In tal senso ci si riferisce al tema del governo come quel corpus normativo attraverso il quale lo spazio viene controllato e manutenuto e in maniera ancor più specifica, si intendono le indicazioni rispetto ad usi, utenti e abitudini consentite—o considerate accettabili—in un dato luogo (Nèmeth & Schmidt, 2011). Gli attriti tra le esigenze economiche e amministrative del governo pubblico da un lato e le forme di territorializzazione della comunità residenti dall’altro, non sembrano essersi completamente risolte nelle forme di Partenariato Pubblico Privati (PPP) quanto forse nel sempre più diffuso concetto di bene comune (i cd. commons). Quest’ultimo si colloca come categoria alternativa di gestione, affiancata a quella strettamente pubblica o privata—only private/only public

actions—rappresentando “delle cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio

Fig. 13 · Un uomo viene arrestato per aver creato un serio disturbo alla

fermata del bus nella skid row tra la Settima strada e Spring Streets, Los Angeles. Immagine di Suzanne Stein, 2016.

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dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona e delle quali deve essere garantita la fruizione collettiva18”. Un’ulteriore posizione è costituita

inoltre dai POPS, Privately Owned Public Spaces, ovvero spazi di proprietà e manutenzione privata di cui viene garantito l’uso pubblico in cambio di superfici bonus o deroghe19. I POPS sono il risultato della regolamentazione urbanistica

della città di New York e sono volte a garantire che in aree particolarmente dense della città possano essere garantiti spazi pubblici di varia natura e dimensione, che si configurano per la comunità alla stregua di un qualunque altro servizio urbano. Le forme di ibridazione tra pubblico e privato sono molteplici, consentendo che a fronte di una proprietà pubblica dello spazio, vi si possa esercitare una gestione privata in termini di concessione, di utilizzo o manutenzione, se non quando di vera e propria trasformazione, mentre altre prevedono che una proprietà privata possa essere di pubblica accessibilità. In tal senso, è necessario comprendere in che modo l’attore privato agisce e partecipa alla gestione e al governo del territorio, chiarendo quando questo può essere individuato negli individui privati che formano la collettività del pubblico, o nei soggetti che nello spazio urbano intendono trovare un qualche profitto di natura economica. Questa chiarificazione non è tanto utile a fornire un quadro normativo delle forme di negoziazione del privato con il pubblico, quanto per avere contezza di quali limitazioni questa presenza possa imporre all’accessibilità collettiva degli spazi della città, anche e soprattutto in termini di democrazia urbana.

Nella riflessione di Németh e Schmidt (2011) rispetto alla gestione privata dello spazio pubblico vengono individuati sinteticamente i principali tre aspetti da considerare in questa relazione:

• le regole di accesso disposte dal privato in carico della gestione dello spazio non sempre coincidono con l’interesse pubblico o della collettività, limitando talvolta anche la libertà di parola e di protesta;

• gli spazi privati possono fungere da dispositivo di marketing attraverso

18. Il testo è tratto dalla definizione di bene comune data in luogo del Disegno di legge delega per la modifica del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile per la riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, redatta dalla Commissione Rodotà.

19. Per ulteriori informazioni sui POPS il New York City Planning Department mette a disposizione il portale online consultabile al link: https://www1.nyc.gov/site/planning/plans/pops/pops.page

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il posizionamento di pubblicità e marchi, quanto anche la restrizione di accesso a una data area, facendo ricorso a una sorta di “pulizia” dei soggetti indesiderati piuttosto che preoccuparsi della qualità del progetto o del mix sociale;

• la sicurezza, considerata come la libertà dal crimine contro la persona, è un tema particolarmente sentito dall’11 settembre 2001 e non è raro che venga usato come pretesto per giustificare quanto ai punti precedenti, osservando come a fronte di un considerevole e diffuso aumento di misure securitarie sullo spazio pubblico, queste abbiano di fatto aumentato la percezione di insicurezza degli utenti.

Se da un lato alcuni strumenti di governo della città pongono le basi per una cooperazione tra il pubblico e il privato attraverso un’integrazione sinergica di professionalità e competenze (Mariano, 2012) allo stesso tempo non è chiaro come ci si debba confrontare con il diritto di proprietà privata, che consente ai titolari dello spazio di poter escludere, ancora una volta, intere categorie sociali considerate sgradevoli o problematiche in termini di immagine o ordine, dagli indigenti ai senzatetto, fino in alcuni casi, ai bambini e agli adolescenti (Mitchell, 2003). Queste formule lasciano intendere che la presenza del privato venga così ampiamente consentita perché lo stato possa essere parzialmente esonerato dal governo della città, aprendo però a forme di policy non sempre democratiche. Non sorprende quindi che vi siano interessanti analisi della letteratura (cfr. Cassegard, 2014) che indagano la dimensione pubblica dello spazio urbano nelle forme e nei gradi di contestazione e aggregazione, in risposta alla codificazione di norme e regole comportamentali di questa natura.

La dimensione esclusiva ed esclusionaria del diritto di proprietà si scontra inevitabilmente con il diritto inalienabile di abitare la città (Mitchell, 2003). Come ampiamente affrontato da Don Mitchell nel testo The Right to the City, Social

Justice and the Fight for Public Space (2003), questo atteggiamento si manifesta in

maniera specifica nell’interesse di proteggere una proprietà attraverso un sistema di norme e regole mirate a mantenere un certo tipo di ordine, non ad evitare più genericamente il ‘disordine’, e si traduce in un atteggiamento repressivo o oppressivo che talvolta non manca di essere operato grazie all’aiuto dello Stato. Un’ulteriore questione sollevata dall’autore è quella relativa all’uso pretestuoso

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delle politiche mirate alla qualità della vita atte a legittimare tali ordinanze repressive. Per spiegare questo meccanismo Mitchell fa ancora una volta ricorso all’interpretazione paradossale alla teoria della finestra rotta20: se la presenza di

una finestra rotta è effettivamente la causa del perpetrarsi di un atteggiamento vandalico, eliminarla dovrebbe limitare tali abitudini pericolose e illegali. Secondo questo principio, migliorare l’estetica di un quartiere degradato passa da un processo di trasformazione urbana, sia fisica che sociale, mirata all’eliminazione— se non quando al rastrellamento21—di tutti gli elementi di disturbo considerati alla stregua della finestra rotta (Mitchell, 2003). Lo spazio pubblico sottoposto a queste relazioni di potere non è solo vulnerabile quanto anche adattabile a queste complesse e dinamiche condizioni e in tal senso va analizzato anche il ruolo del progetto urbano, che talvolta si configura come strumento attuativo di politiche esclusionarie o più in generale di prescrizioni concettuali o ideologiche riferite alla città. La specializzazione degli spazi di produzione ad opera dei processi di industrializzazione e dell’evoluzione tecnologica delle comunicazioni e dei trasporti ha, una prima fase, fortemente cambiato anche lo spazio urbano, la cui perdita di scala umana (Jacobs, 1961; Gehl, 1971, 2011, 2013) ha minato soprattutto gli spazi della coesione sociale, anche ad opera della più recente despazializzazione delle attività della vita quotidiana (Madanipour, 2003).

I temi della città contemporanea ci spingono però a riflettere anche su altre questioni, di dimensione urbana differente, talvolta anche puntuale, ma sempre legate all’uso del progetto come strumento di manipolazione o comunque nei suoi potenziali effetti negativi per la vita sociale. Questo si traduce non solo sul piano della privatizzazione o dei fenomeni di mercificazione dello spazio, e quindi ai fenomeni connessi alla gentrificazione, quanto anche in epoca di deindustrializzazione, sul ruolo del progetto di spazio pubblico nei processi di rigenerazione urbana. La qualità progettuale dello spazio urbano è un tema di grande complessità che abbraccia questioni legate all’esecuzione, alla

20. La teoria della finestra rotta è stata postulata nel 1982 da James Q. Wilson e George L. Kelling per descrivere il fenomeno criminologico del disordine urbano, del vandalismo e dei comportamenti anti-sociali. A partire da un primo esperimento condotto già nel 1969 dal professore Philip Zimbardo, presso l’Università di Stanford, che dimostra come a prescindere dal contesto sociale di riferimento, una condizione di partenza di degrado anche minimo, diventa “virale” innescando una reazione a catena di incuria e atti vandalici.

21. Si vedano in tal proposito gli episodi di sfollamento dei senzatetto ad opera di Rudolph Giuliani nella città di New York

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Fig. 14 · Stato di incuria del piccolo parco urbano alla tomba ellenistica,

Reggio calabria, 2018.

manutenzione e alla programmazione dello spazio pubblico, e che a vario titolo incidono sulla sua accessibilità e percezione (Carmona, 2010). Il tema dell’accessibilità viene affrontato ampiamente dalla letteratura, sia nella sua accessione fisica che sociale, ma è in particolare nella sovrapposizione delle due che la ricerca vorrà soffermarsi, associando alla dimensione dell’accessibilità quella dell’intersoggettività e dell’uso dello spazio intese come qualità complessiva delle possibili attività e delle opportunità di interazione e incontro che lo spazio facilita (Németh, Schmidt, 2011).

In tal senso l’aspetto della programmazione dello spazio pubblico, anche in termini progettuali oltre che culturali, assume un valore fondamentale nell’attribuzione di significato a un luogo che per definizione dovrebbe assolvere al ruolo di catalizzatore della attività sociali urbane. Questa condizione dipende in maniera molto specifica, come verrà approfondito in seguito, dalla tipologia di spazio e dalla qualità degli elementi che lo configurano, e dalla percezione di quel luogo in funzione proprio delle possibili combinazioni tra usi e utenti (Ibid.). Gli usi, le funzioni, le attività, o più in generale quel corollario di opportunità che lo spazio pubblico offre coprono un range di possibilità che varia dall’esercizio della democrazia alle attività ricreazionali passive (cf. Marcuse). Lo spazio pubblico ideale dovrebbe sostenere la coesione, intesa come senso di fiducia, cultura e

ricchezza economica e sociale che caratterizzano una comunità (Venturini et al.,

2016), e incoraggiare l’interazione, possedere cioè certe caratteristiche astratte di varietà, flessibilità, permeabilità o autenticità, consentendo anche una certa varietà di usi imprevisti, immediati, non pianificati (Németh, Schmidt, 2011).

La dimensione pubblica dello spazio urbano, da sola, non è quindi una condizione sufficiente a garantire la definizione di spazio pubblico (Mariano, 2012) così come un singolo spazio pubblico, da solo, non può rispondere alla varietà di usi, requisiti e valori di cui viene investito dalle diverse posizioni della letteratura. L’esperienza dello spazio, nei complessi e non sempre codificati aspetti della vita sociale (Lefebvre, 1974) è in grado di produrre e conferire sempre nuovi e mutevoli significati ai luoghi della città, ponendo una grande sfida allo urban

design (Madanipour, 2003) non solo per le sue implicazioni progettuali quanto

ancora per quelle normative e amministrative. La città non è soltanto oggetto di percezione e godimento, ma il prodotto della trasformazione di innumerevoli operatori che ne mutano la struttura, i dettagli, ne controllano la crescita e la forma,

Figura

Fig. 1 · Skater riposano sul marciapiede di Jon Dobson Street,  Newcastle Upon Tyne, 2017.
Fig. 2 · Playground temporaneo a tema spiaggia ricreato nel  Quayside, sul lungofiume del Tyne, Newcastle Upon Tyne, 2017.
Fig. 3 · Ciclisti attraversano la strada ad Amsterdam, 2018.
Fig. 4 · Bambini giocano tra le sedute in marmo dell’Opera House di  Oslo, 2018. (Progetto di Snøhetta, 2008)
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