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Il concetto di qualità della vita: alcune questioni metodologiche

3.1 Qualità dell’abitare urbano

3.1.1 Il concetto di qualità della vita: alcune questioni metodologiche

Al fine di introdurre correttamente il concetto di Qualità dell’Abitare Urbano (QdA) è necessario indugiare su alcune questioni metodologiche che nascono dalla controversa definizione di Qualità della Vita (QdV), sia per comprenderne i limiti del campo di applicazione sia per orientarsi nell’eterogeneità degli indicatori coinvolti in tali indagini. L’uso, spesso inappropriato, dell’espressione qualità

della vita deriva, secondo Gianpiero Nuvolati, “dalla sua capacità di evocare e

riassumere la complessità dei problemi che caratterizzano l’esistenza dell’uomo moderno, in senso non soltanto materiale ma anche esistenziale” (1998).

Il dibattito intorno alla QdV emerge con particolare forza nelle società post industriali o tardo capitaliste dando origine a una moltitudine di significati e definizioni spesso contraddittorie (Nuvolati, 1998). Su scala europea il miglioramento delle condizioni e della qualità della vita degli stati membri appare un obiettivo prioritario sin dal principio, già presente nel trattato istitutivo di Maastricht, facendo conseguentemente emergere l’importanza della sistematica conoscenza delle condizioni sociali delle comunità dei singoli stati (Vitali, 2002). Il grado di complessità delle indagini sulla QdV aumenta progressivamente fino ai giorni nostri, alimentando un dibattito culturale particolarmente critico verso la scelta degli indicatori e parimenti, guardando con scetticismo all’attendibilità di alcune indagini, considerate parziali per eccesso di generalizzazione o al contrario, di specificità.

Un primo argomento di critica si riferisce, ad esempio, all’utilizzo del PIL inteso come unità di misura del benessere, del livello di qualità della vita o del progresso. Secondo Gianpaolo Nuvolati, il ricorso a tale ordine di grandezza deriva dal timore che lo studio del benessere si orientasse su piani considerati ambigui e metafisici delle cause della felicità, portando le analisi ad “ancorarsi il più saldamente possibile al terreno del benessere materiale”, una tendenza corroborata a livello internazionale da un modello economico “ad alta intensità di beni” (1998). La critica ai presupposti di questo approccio puramente quantitativo all’indagine e alla valutazione della qualità della vita si accentua alla luce delle diseconomie prodotte dai guasti del progresso (cfr. Hirsch, 1976 in Velardi, 2008). Nei paesi

più ricchi lo sviluppo, soprattutto in ambito urbano, genera quelle che vengono definite le “malattie del benessere” (cfr. Carson). “L’esempio classico è il seguente” spiega Nuvolati: “Se una fabbrica emette fumo nocivo ci sono due possibilità:

o l’imprenditore spende dieci milioni per un nuovo camino filtrante oppure i dieci milioni sono spesi dagli abitanti della zona per farsi pulire i vestiti (o per rimediare con cura agli effetti sulla salute dei bronchi sporchi). In entrambi i casi, con i normali sistemi di conto del reddito nazionale i dieci milioni si aggiungono al PIL, anche se è molto dubbio, che si tratti di un aumento della ricchezza e del benessere della nazione30.”

D’altra parte l’utilizzo del PIL come parametro principale nella valutazione della QdV non ci fornisce alcuna informazione sulle condizioni della società e sulla qualità dello sviluppo, un gap che si è tentato di colmare nel paragone tra Qualità della Vita e Sviluppo Sostenibile. Facendo riferimento alla definizione fornita dall’OECD, è sostenibile lo sviluppo che “non comprometta la possibilità per le future generazioni di soddisfare i loro bisogni, sia in termini di esaurimento delle risorse, sia in quelli di distruzione dell’ambiente, sia infine in termini di creazione di condizioni socio-economicamente sfavorevoli”. Questo sottolinea l’indicazione, a livello globale, di favorire un sviluppo economico compatibile con i limiti fisici dell’ambiente naturale, un concetto che oggi si estende su un più ampio spettro, abbracciando non solo i sistemi ecologici ed economici, quanto anche quelli politici e sociali (Tacconi, Tisdell, 1993). D’altro canto, come sottolineato da Maurizio Pallante nelle sue trattazioni sulla decrescita felice, è necessario che vengano messi sul tavolo della discussione “in tutte le sedi, i rapporti di causa- effetto tra la crescita del prodotto interno lordo e l’esaurimento delle risorse non rinnovabili, l’incremento esponenziale delle varie forme di inquinamento, la progressiva devastazione degli ambienti naturali e storicamente antropizzati, le guerre, il degrado sociale” (2009). Lo sviluppo sostenibile richiede pertanto che vi sia una maggiore interazione e coordinazione tra tutti i fattori e gli agenti che agiscono su un sistema, sia esso nazionale, regionale o locale (Cuello Nieto, 1997) e lo stesso ordine di complessità si ritrova nel sistema di valutazione di tale sviluppo.

Per navigare in tale complessità, la ricerca fa ampio ricorso al lavoro di Gianpaolo 30. Nuvolati, 1998

Fig. 24 · La piramide dei bisogni di Maslow (1943-1953).

Nuvolati sulla Qualità della Vita Urbana, per spiegare quali temi e quali variabili sono implicate nella la valutazione della QdV. Nuvolati affrontata la questione suddividendo tre ambiti principali: il primo relativo ai bisogni individuali e collettivi dell’uomo e quindi alla possibilità, non sempre facile, di individuarli e metterli a sistema (cfr. Marcuse, Maslow); il secondo di matrice politico- filosofica riguarda le rivendicazioni da parte dei movimenti culturali, come quelli di protesta giovanile; il terzo relativo al riordino concettuale della semantica utilizzata nell’ambito dell’indagine sociologica nello studio della QdV (1998). Sul fronte dei bisogni, una prima classificazione dei bisogni ci viene dall’opera di Maslow, che distingue i primari (o materiali) dai secondari (o post-materiali), realizzati dal soggetto in funzione delle necessità di sopravvivenza, passando dai bisogni fisiologici alla base della piramide fino a quelli di autorealizzazione posti al vertice (Fig. 24). Nuvolati inoltre distingue i bisogni dai desideri, questi ultimi di ordine individuale e appagabili prevalentemente attraverso la sfera economica del mercato perché indotti o influenzati dall’etica consumistica, mentre i primi sono appagabili all’interno della sfera politica. Tali distinzioni sono descritte con l’obiettivo di individuare le “inalienabili esigenze individuali e collettive” che il sistema sociale avrebbe dovuto perseguire in modo esplicito o latente (Martinotti, 1988 in Nuvolati,1998) per contrastare gli effetti condizionanti del sistema economico di tipo capitalista sul l’elaborazione individuale e collettiva dei desideri, e supportare il sistema politico deputato al benessere della collettività e al welfare. In tal senso si può avanzare l’ipotesi che il benessere sia garantito nel grado di impatto sulla sfera privata del cittadino esercitato dai mutamenti del contesto—economico, fisico, sociale e culturale—in cui esso vive e opera (cfr. Hirshman, 1982). La sfera individuale e quella collettiva sono spesso di difficile conciliabilità e così anche quella tra l’individuazione dei bisogni e la loro traslitterazione in forma di beni e servizi, in virtù di un contesto sociale e culturale sempre eterogeneo e diversificato da caso a caso (Nuvolati, 1998).

Da cosa dipende quindi la qualità della vita? In riferimento all’opera di Sen31, il concetto di miglioramento della qualità della vita andrebbe separata da quello di miglioramento delle condizioni di vita, distinguendo il concetto di risorsa da quello di capabilities intese come “l’insieme delle possibilità di azione e di espressione, in

FISIOLOGICI SICUREZZA

AFFETTO

sintonia con valori e modelli culturali condivisi32” (Nuvolati, 1998; Vitali, 2002). In relazione invece alla distinzione operata da Sartre tra i livelli di esistenza— avere, fare, essere— “la felicità individuale non risiede nella dimensione materiale dell’esistenza” (cfr. Belk, 1985) quanto piuttosto nella dimensione dell’essere, dove l’appagamento deriva dal riconoscere sé stesso in quanto essere libero (Vitali, 2002). Già dalla prima metà dell’Ottocento, nell’analisi delle condizioni urbane, lavorative ed economiche del ceto operaio, gli studiosi Marxisti prendevano atto della difficoltà di tali comunità ad esprimere e quindi a soddisfare quelli che vengono definiti i “bisogni ricchi” relativi all’immediatezza dei rapporti sociali (Velardi, 2008) lasciando intendere come, nella valutazione complessiva sulla qualità della vita e in generale nella discussione sul benessere individuale, un ruolo determinante giochi la condizione cognitiva del o dei soggetti (Vitali, 2002), nonché la loro capacità di autorealizzazione (Nuvolati, 1998). In un contesto socio-culturale sempre cangiante, individuare oggi quelli che siano i bisogni umani appare una sfida di grande complessità che induce a spostare l’attenzione dell’analisi al “processo di costituzione, mutazione, relativizzazione culturale e soluzione dei bisogni stessi” ovvero di “verificare come soggettività e oggettività, attore e istituzione, trovano mediazione in seno ai momenti di progettazione e realizzazione della qualità della vita” sempre tenendo presente le contraddizioni della “ricerca della felicità” rispetto alla salvaguardia di alcuni valori fondamentali (Nuvolati, 1998).

Sul piano del metodo di indagine, appare dunque importante chiarire alcuni aspetti. In primo luogo la fondamentale scelta degli indicatori qualitativi e la loro organizzazione in base a modelli: da un lato delimitare l’ambito di studio in relazione a campi di indagine contigui a quello della qualità della vita, come la povertà o lo sviluppo economico; dall’altro la definizione del sistema di relazioni tra le sub-componenti dell’ambito specifico (Nuvolati, 1998). Questo ancora una volta richiama alla necessità di adottare un preciso campo semantico e di proporre un’attenta definizione terminologica all’interno del modello di indagine. Ad esempio, con il termine benessere (welfare) si fa riferimento a contenuti molto diversi rispetto a quelli mobilitati con il termine felicità o soddisfazione (feeling

of well-being) riferendoci rispettivamente alla disponibilità di risorse economiche

e sociali e al loro livello di accessibilità e conseguente livello di soddisfazione dei singoli individui (Nuvolati, 1998). Allo stesso modo è possibile distinguere sostanzialmente le indagini sulla qualità della vita oggettiva, risultato dell’analisi di elementi accertabili come standard di vita, condizioni lavorative, reddito e stato di salute all’interno del campo del welfare, dalle indagini soggettive, percepibili e relative invece alle condizioni della vita individuale, sociale e affettiva (Vitali, 2002). Queste due dimensioni possono essere indagate separatamente, ma esistono alcuni piani di sovrapposizione che vale la pena di menzionare: diversi studiosi (cfr. Nuvolati, 1998; Vitali, 2002; Maggino, 2009; Velardi, 2008) fanno riferimento all’opera del sociologo tedesco Wolfgang Zapf per identificare le possibili combinazioni tra le componenti oggettive e soggettive (Fonte: Zapf, 1984 in Nuvolati, 1998) come riportato in Fig. 25 Ancora, secondo il modello di Allardt è possibile operare un’ulteriore distinzione tra livello di vita e qualità della vita come in Fig. 26 (Fonte: Allardt, 1976 in Nuvolati, 1998).

Infine, facendo ancora riferimento allo studio di Nuvolati, vediamo come dall’incrocio delle coordinate di benessere sopra indicate (materiali / non materiali; individuali / collettive) si possa raggiungere una sintetica identificazione e organizzazione delle tematiche oggetto di studio di qualità della vita. Secondo questa interpretazione, gli aspetti materiali e collettivi del benessere sarebbero condizionati principalmente dall’offerta dei servizi di base rivolti alla cittadinanza, ovvero quelli relativi alla gestione della cosa pubblica a differenza di quelli materiali, che inevitabilmente dipendono dalla condizione socio-economica del singolo individuo (Nuvolati, 1998).

Da qui il progressivo ampliamento del set di indicatori, che affianca a indicatori oggettivi di matrice economica e sociale, indicatori soggettivi che si riferiscono invece alla percezione della felicità e della soddisfazione individuale (Velardi, 2008). In termini di analisi, questo si traduce nella distinzione tra due grandi famiglie di indagini in funzione della natura delle fonti raccolte: da un lato il macro livello, elabora dati istituzionali aggregati a livello territoriale (Nuvolati, Fig. 27 · Identificazione e organizzazione delle tematiche oggetto di studio per la valutazione della qualità della vita, Nuvolati, 1998. Rielaborazione personale.

Aspetti materiali-collettivi in termini di disponibilità di servizi di base in tema di:

Sanità

Assistenza sociale Ambiente Sicurezza pubblica Istruzione dell’obbligo Commercio generi alimentari Trasporti

Etc.

Aspetti materiali-individuali riguardanti le condizioni personali/ familiari degli individui:

Reddito/ricchezza Attività lavorativa Livello di istruzione Condizione abitativa Condizione di salute Mobilità sul territorio Etc.

Aspetti non materiali-collettivi:

Istruzione superiore/formazione Servizi di ricreazione

Servizi per il tempo libero e lo sport Commercio di beni secondari Etc.

Aspetti non materiali-individuali:

Rapporti privati interpersonali a livello familiare

Rapporti privati interpersonali a livello amicale

Attaccamento alla comunità

Partecipazione/informazione/livello culturale Etc.

(Fini) oggetto della misurazione Benessere

Approccio oggettivo Livello di vita, mezzi

(tramite della misurazione)

Bisogni la cui soddisfazione è definita dal possesso e dalla gestione di risorse materiali e impersonali

Valutazione soggettiva e percezione di come un individuo si sente soddisfatto delle sue condizioni di vita

Soddisfazione / Felicità

Approccio soggettivo

Qualità della Vita Bisogni la cui soddisfazione è

definita dalle relazioni umane o da come l’individuo si relazione agli altri e alla società

Valutazione soggettiva e percezione di come un individuo si sente soddisfatto delle sue relazioni umane e sociali

1998) e su base collettiva, come nel caso del PIL o dell’ISU33; dall’altro il micro livello, che si confronta con un dato su base individuale, ovvero dai dati di survey di campioni rappresentativi della popolazione (Nuvolati, 1998) e per il quale non è possibile definire uno standard di riferimento per la sua valutazione (Maggino et al., 2009).

Individuare forme di integrazione tra le due tipologie di indagine è quindi una sfida assolutamente contemporanea, in riferimento al ruolo predittivo e anticipatore che questi indicatori, oggettivi e soggettivi, rivestono nell’interpretazione dei fenomeni specifici, siano essi legati al mondo dell’economia e del lavoro, al reddito e al consumo di servizi pubblici o all’esistenza e supporto delle reti relazionali sociali e informali, così come all’andamento della partecipazione alle scelte politiche (Vitali, 2002). Si ritiene quindi di fondamentale importanza, accanto alla costruzione di opportuni indicatori sociali e di forme di auto- valutazione del proprio standard di vita—in relazione del quale si riterrà più o meno complessivamente soddisfacente la qualità della propria vita—operare un’analisi storica e culturale del contesto di indagine, all’interno della quale calare i risultati (Nuvolati, 1998). D’altra parte è necessario anche rilevare come il modello di riferimento per la realizzazione di una ricerca sulla QdV non sia di molto cambiato dalle indicazioni fornite nel 1980 dall’Istituto Superiore di Sociologia (Fig. 28).

A partire da queste considerazioni preliminari, possiamo distinguere alcuni temi che ricorrono nel dibattito culturale contemporaneo e nello specifico nella letteratura presa in analisi dalla ricerca: in primo luogo il benessere alla base di tutti gli altri diritti fondamentali (Velardi, 2008) e in secondo luogo la necessità di un approccio olistico alla valutazione di tale benessere, che tenga dunque conto delle logiche e dei modelli di sviluppo socio-culturale al pari delle dinamiche economiche che li sottendono.

33. L’ISU, Indicatore di Sviluppo Macroeconomico elaborato nel 1990 dall’economica pakistano Mahbub ul Haq e recepito dall’ONU come misuratore della qualità della vita dei paesi, si affianca al più convenzionale PIL e si insicrive nella logica della misurazione dello sviluppo umano che amplia la prospettiva della semplice crescita economica per definire il livello di sviluppo dei singoli paesi. L’ISU si fonda sulla sintesi di tre diversi fattori: il PIL pro capite, l’alfabetizzazione e la speranza di vita. Fonte: Treccani, Lessico del XXI Secolo – (2012)

Fig. 28 · Indicazioni per la realizzazione di una ricerca sulla Qualità della Vita fornita dall’Istituto Superiore di Sociologia nel 1980, Rielaborazione personale. Fonte: Nuvolati, 1998.

Patologia fisica Malattie infettive Mortalità Mortalità infantile

Patologia sociale Criminalità

Disoccupazione Emarginazione

Mortalità violenta Mortalità illegittima

Degrado ambientale Inquinamento

Congestione Degrado edilizio

Servizi e risorse Servizi di base Trasporti pubblici Esercizi pubblici Tempo libero Commercio fisso al minuto Servizi commerciali Partecipazione e amministrazione Sport e ricreazione Accessibilità Attività culturali Partecipazione civica Partecipazione associativa Governabilità Prestazioni amministrative

3.1.2 La dimensione urbana nelle indagini sulla Qualità