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Necessary and Optional Activities

3.2 Progettare la città felice

3.2.2 Il quadro europeo

Ricostruire le vicende contemporanee legate allo spazio pubblico nel contesto europeo non è cosa semplice, soprattutto in luce della complessa stratificazione di significati sociali, culturali e identitari che si sovrappongono e condizionandone il significato non solo nelle attività della vita quotidiana quanto anche nella semantica progettuale. D’altra parte, i temi della città contemporanea investono anche quella storica consolidata, sia sul piano della sostenibilità olistica dell’ambiente costruito che su quello della sicurezza. L’eterogeneità dei contesti morfologici delle città europee produce infatti altrettante forme progettuali, processi d’intervento e modi d’uso, i quali in questo paragrafo verranno declinati sul piano della formulazione e del raggiungimento di obiettivi di qualità dell’abitare o di sostenibilità urbana. In tal senso verranno sinteticamente descritte alcune delle strategie adottate in Europa per proseguire con un focus su specifici esiti progettuali.

Una prima considerazione merita di essere fatta sugli sforzi profusi dalla Unione Europa per delineare un contesto giuridico per lo spazio pubblico, allineandosi all’Agenda 2030 e in particolare all’Obiettivo 11: Città inclusive, sicure, resilienti e sostenibili. L’Unione Europea promuove, in aree urbane e periurbane, politiche di cooperazione per garantire l’accesso all’acqua, ai servizi igienico sanitari, alla mobilità urbana, all’energia e agli alloggi a prezzi accessibili, concentrandosi inoltre sulla prevenzione dei rischi da catastrofi ambientali. Il Consiglio dell’Unione Europea ha ratificato nel maggio del 2016 gli obiettivi e le priorità della III Conferenza delle Nazioni Unite (Habitat III, 17-20 ottobre, Quito) e la Nuova Agenda Urbana, aderendo completamente al concetto di spazio pubblico come supporto al miglioramento della qualità dell’abitare urbano. Vediamo infatti come tra gli obiettivi prioritari, al punto 7 del documento56 l’accesso allo spazio pubblico venga considerato una condizione fondamentale alla partecipazione e rivendicazione di tutti gli obiettivi di democrazia e innovazione urbana e sociale.

L’Europa ha costituito da sempre un campo di sperimentazione progettuale per lo spazio pubblico, declinato in funzione delle necessità del tempo e dell’evoluzione delle dinamiche socio-spaziali. Questo è in parte dovuto alla sensibilità paesaggistica che spesso si accompagna alla progettazione dello spazio 56. http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-8824-2016-INIT/en/pdf

Fig. 48 · Playground progettato da Aldo Van Eyck, recentemente restaurato. Amsterdam, 2018.

urbano e all’influenza che alcune scuole di pensiero hanno esercitato sul disegno della città. Ma è in particolar modo nella fase successiva al secondo conflitto mondiale che molte città europee riscoprono un interesse per lo spazio pubblico, producendo tensioni teoriche e pratiche che porteranno a un momento di cesura e di disgregazione per il CIAMe le quattro categorie funzionali della Carta di Atene.

Un caso emblematico è costituito dalla figura e dall’operato di Aldo Van Eyck, architetto olandese formatosi tra Londra e Zurigo. Van Eyck è protagonista della scissione di una parte del CIAM che contesta l’approccio razionale funzionalista a favore di nuovi e più modelli in grado di comprendere la complessità della società contemporanea e di potervi rispondere (Ginex, 2002). Il pensiero di Van Eyck si presenta per molti aspetti assolutamente contemporaneo, pioniere di alcune delle idee fondanti del cosiddetto ‘nuovo umanesimo’ a cui assistiamo ai giorni nostri. Nel 1956 l’architetto espone al X Congresso CIAM a Dubrovnik “il tema della concezione simbolica del vivere” introducendo alcuni concetti complessi e stratificati, come cluster, mobilità, crescita e habitat della città (Ibid.). In questa visione, ogni sistema deve accordarsi agli altri, senza che vi si possa percepire discontinuità o frattura, al contrario ne deve emergere una lettura come di un “sistema unico, complesso, ricco di sfumature e di ritmi, caleidoscopio ma sempre e dovunque comprensibile” (Ibid.). Da qui, nell’interpretazione di Ginex, deriva la capacità dell’architetto di pensare in simultanea, più che in successione, superando probabilmente tanto la concezione funzionale quanto anche quella meramente formale, ora considerata strumento del processo compositivo utile a esplorare l’esperienza archetipica dello spazio (Ibid.). L’aspetto su cui la ricerca si sofferma è l’esperienza di Van Eyck con la progettazione dei playground nel periodo tra il 1947 e il 1973 all’interno del tessuto storico della città di Amsterdam. In questa finestra di tempo Van Eyeck realizza oltre settecento progetti, recuperando aree residuali e lotti inedificati, trasformandoli in spazio per il gioco, ognuno connesso con l’altro, “inviluppando l’intera città” (Lefaivre & Tzonis, 1999 in Ginex, 2002). Il sistema di playground si configura come un progetto di infrastruttura dello spazio pubblico ante litteram, tanto quanto il ricorso all’elemento minimo elementare come fulcro dell’aggregazione delle forme e della genesi dello spazio risultano quanto mai attuali. L’elemento del gioco è curato in estremo dettaglio, ripetuto e variato in molteplici combinazioni generatrici di gioia (Ginex, 2002).

L’esperienza di Van Eyck ha certamente costituito un terreno fertile per l’evoluzione del pensiero sullo spazio pubblico, sia a livello internazionale che per la scuola olandese, tanto da essere più o meno consapevolmente ripresa nei più recenti approcci alla trasformazione urbana. Non è un caso che i playground siano stato oggetto di studio da parte di sociologi e psicologi, dimostrando come la forma e la configurazione dello spazio sia in grado di stimolare la creatività dei suoi giovani fruitori, invitandoli all’esplorazione delle numerose affordance possibili (Withagen & Caljouw, 2017). D’altro canto, già nel 1946 all’epoca dell’incarico di Van Eyck alla progettazione dei playground, era previsto dal piano municipale che ogni quartiere ne ospitasse uno, dotato di sculture per il gioco e di aree attrezzate per gli adulti avventori. Un principio che per quanto formulato nel secolo scorso, risponderebbe anche oggi all’obiettivo di garantire spazi pubblici accessibili e democratici per le comunità. Di fatto questo concetto ha ispirato due strategie di Agopuntura Urbana ideate da Casanova+Hernandez nelle città di Rotterdam e Amsterdam. La prima, commissionata dalla municipalità di Rotterdam, è relativa ai complessi residenziali realizzati nel secondo dopo guerra nelle immediate vicinanze dell’iconica piazza di Shouwburgplein, progettata da West8, e la strada commerciale di Linjbaanstraat. La strategia proposta prevedeva la trasformazione delle grandi corti interne dei complessi abitativi in spazi pubblici di libero accesso, portando all’interno dello spazio vuoto un mix di attività da svolgere all’aria aperta. L’intervento si configura nell’aggregazione di placche elementari, formalmente identiche, ognuna portatrice di una specifica funzione legata la gioco, all’esercizio, al divertimento, alla cultura, al tempo libero e al lavoro, prevedendo postazioni wi-fi e piccole aree di ristoro (Casanova & Hernandez, 2014). L’intervento di Amsterdam si configurava invece come un omaggio se non una provocazione all’opera di Van Eyck, con l’intento di promuovere l’attività dinamica dei ragazzi nello spazio pubblico attraverso l’installazione di sculture- gioco dalle sembianze dei tetramini. Ogni blocco interattivo, differenziato per forma e colore, avrebbe ospitato un videogioco differente, potendo simulare una serie di attività sportive all’aria aperta, per quanto virtualmente. Ogni elemento può essere sfruttato singolarmente, associato ad altri o aggregato, consentendo un’elevata flessibilità dello spazio a fronte della standardizzazione della forma elementare, consentendo di ricreare un vero e proprio WII-Playground (Ibid.).

Nell’attenzione allo spazio pubblico, questi concetti sono stati inglobati a vario titolo nel processo decisionale amministrativo quanto in quello progettuale,

Fig. 49 · Benthemplein watersquare a Rotterdam, 2018. (Progetto di De Urbanisten, 2014)

validati dalla diffusione e dall’impatto su scala europea. Nell’evoluzione di questa corrente di pensiero, l’esortazione di Van Eyck a formulare modelli più complessi e sofisticati di interpretazione dei fenomeni urbani si realizza pienamente. Questo avviene, come verrà analizzato nei casi successivi, sia dal punto di vista politico- amministrativo che in quello accademico, ma soprattutto nel mondo della ricerca indipendente, della progettazione e del design.

Un esempio paradigmatico è costituito dall’esperienza di The City At Eye Level (CAEL), un network di professionisti provenienti da diverse discipline, guidati dal gruppo di progettazione STIPO a partire dal 2012 e uniti dall’obiettivo di produrre conoscenza sulla natura fisica della città e dello spazio pubblico per come l’occhio umano li percepisce. Non stupisce, data la comunione di intenti, che il progetto sia partner di UN-Habitat, Project for Public Space e Gehl Architects, oltre che delle amministrazioni delle città coinvolte. Il punto di partenza del lavoro di ricerca di CAEL è stato studiare il rapporto tra gli edifici e la sezione stradale nelle città olandesi, considerato un punto di riferimento cruciale per la percezione ad occhio nudo della città. In particolare il fronte strada del piano terra costituisce un elemento di prolungamento se non dello spazio pubblico, o quantomeno del

public realm, riprendendo i concetti di Gehl sulle facciate passive e attive (Gehl &

Svarre, 2013). Attraverso un percorso di analisi delle tipologie di ‘plinti’—retail, commerciale, sociale, tempo libero, residenziale—giungono alla formulazione di tre livelli di criteri che individuano altrettanti contesti d’azione—edificio, strada, contesto— immaginati però come l’unicum del contesto di vita delle comunità residenti. Sulla base di questi concetti, lo studio STIPO ha attivato numerosi processi di placemaking in collaborazione con altri gruppi di progettazione.

Uno di questi è costituito dal progetto ZOHO nel quartiere Zomerhofkwartier

di Rotterdam, definito un Climate Proof District che implementa e integra alla

Strategia di Adattamento Climatico applicata alla scala di quartiere, con iniziative di innovazione sociale. Il programma strategico dell’area è stato realizzato in collaborazione tra STIPO e De Urbanisten, e prevede la messa in sicurezza dell’area, a forte rischio di inondazione durante forti eventi piovani, attraverso interventi di spazio pubblico. Tutto il processo decisionale è stato accompagnato da una profonda analisi delle condizioni climatiche dell’area parallelamente alle attività laboratoriali e partecipative condotte con gli abitanti del quartiere. Nella genesi di questo progetto è stata di fatto sperimentata l’efficace sinergia

inter-istituzionale e inter-disciplinare di tutti gli attori e gli strumenti coinvolti per perseguire la strategia: il primo tassello è stato costituito dalla realizzazione della Benthemplein watersquare, la piazza progettata da De Urbaneisten, e dell’intervento ma numerosi altri progetti pilota sono stati avviati grazie anche alla partecipazione della municipalità, nel duplice ruolo di facilitatore e di co- finanziatore degli interventi. I primi effetti positivi sono già visibili con quanto ad oggi realizzato, nonostante la strategia di slow urbanism abbia una durata di dieci anni. Il nuovo sviluppo dell’area, posta a nord della Centraal Station e di fatto delimitata fisicamente dal centro urbano dalla presenza dei viadotti ferroviari, è stata oggetto di ulteriori progetti di spazio pubblico. Tra tutte, il

Luchtsingel Bridge, del gruppo di progettisti ZUS, la più grande infrastruttura

pubblica al mondo ad essere finanziata principalmente dal crowdfunding57.

Un altro approccio che la ricerca intende menzionare è quello sperimentato da e per la città di Barcellona. Il tentativo di ‘umanizzare’ la città e lo spazio urbano viene qui sperimentato sul finire degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 sotto forma di Agopuntura Urbana, anche quando questa assume un significato puramente metaforico che rappresenta un modo alternativo di intendere la pianificazione urbana (Casanova & Hernandez, 2014). Questa trasformazione del pensiero urbano si verifica in congiuntura con un momento di grave crisi economica registrata nel periodo 1975-1985 con importanti conseguenze sul piano territoriale urbano a seguito degli effetti negativi sul settore industriale (Mazzoleni, 2008). In risposta alla crescente suburbanizzazione e alla progressiva perdita di peso dell’area urbana centrale, l’amministrazione punta tutte le risorse disponibili sulla riqualificazione e la ricostruzione dello spazio urbano come capitale sociale fisso, nella convinzione che sia “indispensabile l’ambito fisico per lo sviluppo moderno di una coerente comunità58” (Ibid.). Un aspetto di non poco conto sottolineato da Chiara Mazzoleni è la capacità di Bohigas di affrontare con estrema delicatezza la volontà di comprendere i problemi urbani confidando nella disponibilità degli attori sociali pur non tralasciando l’aspetto della forma e della morfologia tradizionale e dei contenuti identitari e coesivi della capitale catalana (2008). L’approccio sperimentato per la città di Barcellona risponde in effetti

57. https://www.domusweb.it/it/architettura/2015/08/14/zus_the_luchtsingel.html 58. Bohigas, O. Ten points for an urban methodology, Architectural Review, Settembre 1999

Fig. 50 · Plaça de Los Paisos Catalans di fronte alla stazione dei treni di Sants, Barcellona, Spagna. (Progetto di Helio Pinon & Albert Viaplana, 1983. Fonte: Gehl & Gemzoe, 2003)

alle istanze di quelle che nella ricerca vengono definite dinamiche socio-spaziali, e affonda le sue radici in un proficuo lavoro di ricerca accademica condotta in quegli anni dal Laboratorio di Urbanismo dell’ETSAB (Escuela Tecnica Superior

d’Arquitectura de Barcelona) diretta proprio da Solà-Morales. In questa sede si

discute della trasformazione materica e sociale della città, e delle prospettive di queste nel tempo (Ibid.), offrendo molteplici spunti di riflessione circa le modalità di intervento in un contesto urbano fatto di masse, stratificazioni, giustapposizioni di funzioni e attività. La lettura interpretativa che ne deriva, attraverso un approccio per parti e sistemi, per barrios, risponde in maniera più specifica ai bisogni dei cittadini e dei gruppi sociali (Ibid.). Da questa lettura emerge come l’Eixample (o Ensanche in spagnolo) sia l’area urbana privilegiata per ricostruire una continuità funzionale e formale dello spazio pubblico, in rispetto anche del chiaro e ordinato rapporto con l’edificato delle manzanas di Cerdà. Al contrario, la parte centrale della città e in particolare il Gotic, il Raval e il Born, erano e sono ancora oggi, caratterizzati dalla presenza di attività culturali, amministrative e religiose, che condizionano fortemente la vita pubblica e la conformazione, spesso irregolare, degli spazi di relazione. Mazzoleni fa inoltre notare che da queste considerazioni sia emerso come l’articolazione socio-spaziale tipica del tessuto storico sia relativamente meno dinamica nell’area di espansione, dove la funzione residenziale rimane dominante (2008).

L’intervento di rigenerazione immaginato in luce di queste conclusioni viene articolato in una serie di interventi pragmatici e di immediata realizzazione, anche per affermare la forte intenzionalità politica, fissando così precise priorità e obiettivi a breve scadenza (Ibid.). Gli elementi principali del Piano Generale Metropolitano del 1976 sono quindi nel miglioramento complessivo delle condizioni di vita della popolazione attraverso interventi alla scala di quartiere e nell’interpretazione dei caratteri e delle qualità dello spazio urbano con l’approccio dell’urbanismo strategico. Questo comporterà anche una revisione normativa delle competenze gestionali e amministrative del progetto urbano, che si trovava allora slegato dalla produzione urbanistica e della pianificazione (Ibid.) portando alle estreme conseguenze la riflessione culturale, teorica e progettuale, di quegli anni. Questa fase della storia urbana di Barcellona si configura come una vera e propria scuola di pensiero, non solo per l’enorme contributo accademico che la accompagna, quanto anche per aver delineato alcuni temi estremamente attuali sui quali il dibattito non si è ancora esaurito. In particolare, l’approccio

learning by doing sperimentato ante litteram per lo spazio pubblico della città,

il cui studio a posteriori consente di perfezionare progressivamente la norma; la compattezza del tessuto urbano come requisito di coesione sociale e la necessità di ricucirne le discontinuità; la necessità di intervenire sulle sezioni stradali e la mobilità da un punto di vista insieme funzionale e formale; l’inserimento di spazi emblematici se non quando monumentali nei tessuti più critici della città, per costruire un landmark di aggregazione sociale; la promozione di processi spontanei e diffusi di riqualificazione; la previsione di soluzioni di dettaglio, attrezzature e arredi urbani in grado di stimolare la risposta autonoma e l’interesse dei residenti (Ibid.). Joan Busquets nel libro Barcelona: The Urban Evolution

of a Compact City attribuisce a Bohigas la declinazione di questo approccio ai

temi della città, portando alla realizzazione di centinaia di nuovi e diversificati spazi pubblici tra parchi urbani e parchi attrezzati, piazze e giardini, assi stradali. Allo stesso modo, come evidenziato da Mazzoleni, le modalità degli interventi si configurano in continuità con il tessuto e le infrastrutture esistenti, lavorando con gli elementi già riconosciuti dai cittadini come tradizionalmente urbani (Ibid.). Dal punto di vista amministrativo, a Bohigas si deve anche l’istituzione del Servei de Projectes Urbans, un organo operativo che inglobava al suo interno gli uffici tecnici operanti nel settore—degli arredi urbani, delle pavimentazioni, del verde pubblico, dell’illuminazione, etc.—fino a quel momento autonomi se non addirittura scoordinati (Gehl & Gemzoe, 2006; Guallart, 2012). Con le Olimpiadi del 1992 lo spazio pubblico di Barcellona assume ancora maggiore rilevanza a livello internazionale, facendo emergere le ricadute sulla qualità dell’abitare della promozione politica e sociale di una vita pubblica vibrante e dinamica (Casanova & Hernandez, 2014) e dimostrando operativamente come questa infrastruttura fisica e sociale era in grado di dialogare con i grandi limiti naturali a mare e a monte.

L’approccio olistico ed ‘epidermico’ ad ora descritto non ha soltanto gettato le basi per il mito barcellonese, ispirando in tempi recenti gli ideali delle più recenti teorie sulla trasformazione urbana, che in tal senso si pongono in continuità con la prospettiva di Bohigas e Solà-Morales. In particolar modo, rispetto al ruolo dello spazio pubblico nella concezione di metabolismo urbano e società dell’informazione di Vincente Guallart. Nel testo Self-Sufficient City Guallart definisce lo spazio pubblico come l’elemento generatore dei protocolli di coabitazione usati dalle comunità nella costruzione della società, il luogo Fig. 51 · Il livello inferiore della Rambla de Sants, in connessione con le nuove aree pedonali. Barcellona, 2017.

dove vengono scritte le linee di programmazione dell’interazione sociale, dove vengono create la cultura dell’appartenenza e dell’identità sociale, ma non di meno, il luogo dell’infrastruttura che fa funzionare la città (2012). Per questa sua condizione complessa e stratificata, il ruolo dello spazio pubblico risulta assolutamente trasversale nelle teorie e nei piani urbani di Guallart, dove le strade costituiscono il sistema metabolico della città, la pelle su cui si materializza lo spazio pubblico, “il supremo atto di cultura urbana” (Ibid.). Nella sua visione, l’avvento delle Information Technologies (ITs) complica il progetto di spazio pubblico, richiedendo in tal senso uno sforzo di implementazione, se non quando di reingegnerizzazione dei sistemi, per garantire un più alto livello di efficienza e di performance (Ibid.). In tal senso Guallart non si riferisce alle tecnologie meccaniche, quanto alla capacità di usare le IT per produrre conoscenza sull’ecosistema urbano e il suo metabolismo e che possa essere impiegata per la sua rigenerazione fisica e sociale. Considerare la città come un organismo vivente obbliga in un certo senso chi la studia a una rigorosa organizzazione delle informazioni processate, che però risulta abbastanza ramificata e flessibile da consentire l’analisi di un fenomeno rispetto a tutte le sue implicazioni, portando a formulare soluzioni in grado di rispondere simultaneamente a problematiche di efficienza urbana di varia natura (Ibid.).

Questo approccio viene declinato ampiamente nel volume Plans and Project for

Barcelona 2011 — 2015 nel quale vengono approfonditi i gradi di integrazione

e multi-scalarità dei temi, gli aspetti più strettamente operativi e gli interventi previsti per il quadriennio. In questo contesto Vincente Guallart non si esprime più solo come professionista e studioso, ma come Architetto Capo dell’Ayuntamiento di Barcellona, proiettando la città verso il 2050 con una visione a lungo termine. Attraverso la lettura del volume appare più nitidamente l’intenzionalità operativa delle teorie sull’Habitat Urbano e la declinazione progettuale che questo approccio formula in rispetto agli ideali di dimensione e velocità umana, identità e coesione sociale, democrazia urbana e diritto alla città, sostenibilità olistica ed efficienza nell’uso delle risorse. L’aspetto che maggiormente colpisce è che a fronte di un meticoloso lavoro di approfondimento teorico, sociologico e urbano, vi sia una diretta e precisa traduzione sul piano progettuale, disegnata fino all’ultimo dettaglio. Per gli interventi di housing le unità vengono dimensionate in funzione delle modalità di abitare—giovane, anziano, single, coppia, famiglia, appartamento condiviso—e orientate secondo la migliore esposizione bioclimatica per consentire

una aerazione naturale e il minor impiego possibile di sistemi di raffrescamento o riscaldamento. Vengono previsti all’interno di questa categoria di intervento, spazi pubblici e semi-pubblici integrati e l’impiego di tecnologie costruttive che possano coniugare il risparmio energetico alla coerenza formale dell’impianto nel suo preciso contesto urbano. Lo studio bioclimatico ed energetico degli edifici viene