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Necessary and Optional Activities

3.3 Alcune considerazioni critiche

marciapiede, la strada, lo slargo, il vuoto urbano. Questi spazi possono essere considerati come il derivato delle forze di trasformazione urbana, nonché delle relative politiche e strategie, che agiscono sull’ambiente costruito. Maddalena Rossi si riferisce agli spazi intermedi, come risultante della ridefinizione geografia dei confini fisici, politici e simbolici della città contemporanea, tipizzando gli spazi

interposti, interclusi, interstiziali, intermedi, interrelati, intermittenti, interattivi

(2016). Questi si riferiscono agli spazi generici e autoreferenziali dello scarto della pianificazione di settore, come gli ampi spazi vuoti tra le infrastrutture, i quartieri residenziali e i luoghi del terziario; ai prodotti della “urbanistica escludente” in termini di effetti di segregazione sociale61 derivanti dalle pratiche più estreme di zonizzazione; agli scarti dei processi di sviluppo capitalistico della città, la cui proliferazione si fa inoltre imputare a una “cronicizzata carenza di pensiero e di progetto sulla città”; ai nuovi processi di interrelazione tra entità geografiche, politiche, economiche e sociali che richiedono l’individuazione di ambiti territoriali non sempre inclusi dentro i confini istituzionali; all’intraducibilità spaziale delle nuove forme di abitare che generano altrettanto nuovi rapporti tra la società e il territorio; infine, gli spazi prodotti dalla sovrapposizione di sistemi globali e locali, che comunicando su un piano virtuale, hanno i fatto ridisegnato la geografia dei flussi urbani secondo uno spazio e un tempo che non necessariamente corrispondono a quelli del vivere urbano (Ibid). La riflessione sulle forze economiche, politiche e sociali che veicolano a vario titolo la trasformazione dell’ambiente costruito si estende quindi a come queste configurano la forma dello spazio e il conflitto di cui questo si fa portatore. Allo stesso modo ogni forma conflittuale nell’uso dello spazio può essere considerata a sua volta una forza generatrice di nuove dinamiche socio-spaziali, ed è altrettanto meritevole di essere analizzata.

Dalla letteratura emerge come il rapporto dialettico tra società e spazio non sia affatto lineare e neppure necessariamente circolare. Al contrario, sembra che i fenomeni richiedano una lettura per sistemi (Cerasi, 1976) che ne colga le condizioni di compresenza e sovrapposizione. La stessa situazione si riscontra

61. Ci si riferisce ai casi delle gates community, delle walled o gated community, dei barrios cerrados, dei CID (Common Interest District) e dei BID (Buisiness Improvement District) all’interno dei quali lo spazio è pubblico nei limiti di regole comportamentali e di appartenenza stabilite dai comuni interessi e dalla reciproca convenienza (Rossi, 2016).

nel tentativo di identificare le caratteristiche dello spazio pubblico ideale, le quali vengono menzionate in letteratura con differenti significati, pesi e ruoli per la qualità dell’abitare urbano, senza che se ne possa operare una netta delimitazione. In tal senso, nella prospettiva di un’analisi sistemica, sarebbe forse più opportuno comprendere i rapporti gerarchici tra l’una e le altre: la sostenibilità, nell’accezione olistica del termine, già di per sé comprende molte delle caratteristiche dello spazio pubblico ideale che normalmente vengono scomposte in accessibilità fisica e sociale, salubrità, identità e adattabilità, allo stesso modo l’attrattività di uno spazio dipenderà ancora una volta dal suo grado di accessibilità, leggibilità, diversità, etc. L’elemento forse più rilevante di questo sforzo tassonomico operato in particolare nel paragrafo 2.1.3 è stato riscontrare come ognuna delle caratteristiche individuate possa essere scomposta nella sua componente fisica e sociale. Questo aspetto non è secondario alla lettura per parti e sistemi dello spazio pubblico come materia progettata o progettabile, in particolare se l’intenzione dell’analisi dello spazio è mirata a ricostruirne una dimensione umana.

D’altra parte, il fatto che le Nazioni Unite riconoscano il ruolo strategico dello spazio pubblico e lo includano tra gli indicatori di sostenibilità urbana, nell’undicesimo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile – Città e Comunità Sostenibili (UN-Habitat, Agenda for Sustainable Development, Goal 11.7 Public Space) non è una conferma. Questa considerazione sottolinea la natura inclusiva e identitaria dello spazio pubblico, ma soprattutto e ben più importante, ne sancisce l’importanza dal punto di vista giuridico, legando indissolubilmente il concetto—e quindi il suo spazio fisico—alla qualità della vita degli individui che abitano la città. In tal senso nel 2015 viene elaborato il Global Public Space Toolkit – From

Global Principles to Local Policies and Practice62, con l’obiettivo di guidare la

formulazione di strategie urbane, fornendo riferimenti, esempi, buone pratiche e approcci metodologici. Gli interventi promossi e conclusi nell’ambito del Global

Public Space Programme si riferiscono in particolare ai paesi in via di sviluppo63

62. Il Global Public Space Toolkit viene elaborato da seguito di due importanti momenti promossi da UN-Habitat: l’adozione nel 2011 dell’Obiettivo di Sostenibilità 11.7: Access to Quality Urban Space e l’avvio nel 2012 del Global Public Space Programme.

63. Nel 2017 sono stati avviati 23 progetti in Vietnam, Etiopia, Ghana, Uganda, Niger, Sud Africa, Kenya e Messico, mentre ne sono stati completati 39 in Perù, Kenya, India, Indonesia, Nepal, Bangladesh, Kosovo, Sud Africa e Madagascar. (Fonte: Global Public Space Programme – Annual Report 2017).

laddove il governo locale necessiti di un supporto strutturato rispetto a un elevato livello di rischio e/o di emergenza socio-spaziale. Allo stesso tempo, gli obiettivi di sviluppo sostenibile e i criteri di qualità urbana proposti da UN-Habitat sono ampiamente condivisibili a scala globale64 sia dalle amministrazioni locali che dagli investitori privati e dai professionisti.

La percezione sociale dell’ambiente costruito è il tema a partire dal quale si è operata la più estesa rivoluzione del concetto stesso di spazio pubblico, in una sorta di processo di redenzione (Ditommaso, 2015) che ha coinvolto tutti gli ambiti, gli attori e le fasi del ciclo di vita di questo spazio. In tal senso il processo progettuale non è più finalizzato alla realizzazione dell’opera, ma alla sua intera programmazione, che parte dall’elaborazione degli obiettivi di qualità fino al progetto dell’uso e della gestione dello spazio realizzato, nonché del suo monitoraggio nel tempo. Questa riflessione apre a diversi temi: in primo luogo il ruolo democratico del progetto di spazio pubblico, come medium delle dinamiche socio-spaziali e delle condizioni di accessibilità universale, fisica e sociale; quindi il suo ruolo politico, come luogo di coesione, inclusione e tolleranza; infine, il ruolo delle amministrazioni locali e degli strumenti a loro disposizione per esprimere quanto più possibile il potenziale dello spazio pubblico. Dalle buone pratiche individuate nel corso dalla ricerca, emerge in maniera nettissima come la volontà politica e amministrativa siano risultati i principali motori di sviluppo urbano e di miglioramento della qualità dell’abitare urbano. In particolare questa viene intesa nel senso più ampio, corale e condiviso del termine, nell’interazione dei diversi attori che gravitano intorno alla trasformazione dell’ambiente costruito. D’altra parte, nella costruzione di tali obiettivi se non della definizione stessa di qualità dell’abitare urbano, è necessario porre l’accento sugli strumenti in grado di fornire dati e analisi, di interpretare le dinamiche urbane e di elaborare e supportare strategie, assumendo di fatto i caratteri di una disciplina autonoma. Il superamento di tali condizioni richiede in primo luogo una rinnovata visione professionale e intellettuale dell’architetto, che sia svincolato dall’autoreferenzialità disciplinare e votato alla responsabilità sociale del suo ruolo nei processi

64. Incrementare il valore delle proprietà, moltiplicare le attività di vendita al dettaglio, potenziare la sicurezza, supportare la coesione sociale e l’uguaglianza, migliorare l’ambiente, rendere la città più attrattiva, promuovere forme di mobilità più efficienti.

decisionali, nella relazione di nuove relazioni con e tra gli attori e i luoghi, come interprete e osservatore delle dinamiche urbane (Ibid.). Prende inoltre forma a partire la necessità di indagare la piccola scala, come luogo privilegiato all’interno del quale studiare il rapporto tra percezione sociale e configurazione fisica dello spazio pubblico così come gli effetti della trasformazione dell’ambiente costruito sulla qualità dell’abitare urbano. Si riconosce infatti come l’estensione del concetto di spazio pubblico all’intero tessuto del connettivo urbano abbia parallelamente esteso il campo di applicazione del progetto. È spazio pubblico tutto ciò che riguarda i flussi di persone, beni e servizi, la ricreazione, lo sport e tutte quelle dotazioni urbane di pubblica accessibilità che hanno la necessità di essere progettate per rispondere appieno ai requisiti sociali, funzionali e di attrattività. Tali dimensioni sono da ricercarsi, secondo la prospettiva di Lynch, nel sistema coerente del quartiere, come nucleo immaginativo entro cui è possibile strutturare una prima immagine della città scomponibile a sua volta in una serie di sottosistemi formati da una infrastruttura di spazi pubblici, elementi ricorrenti e regole comportamentali (1960). Questa struttura gerarchica trova il suo elemento fondante del singolo spazio pubblico, consentendo di estendere l’indagine delle dinamiche socio-spaziali all’esteso campo di relazioni con il tessuto urbano e sociale della comunità di quartiere. Questa delimitazione non vuole necessariamente coincidere con i tracciati dei confini amministrativi, individuando invece un ambito definito da un senso di comune appartenenza. Tale dimensione viene inoltre confermata dalle tecniche e dai modelli di indagine descritti nei precedenti paragrafi, che vengono infatti sperimentati alla scala di quartiere.

Pertanto, se lo spazio pubblico è il luogo in cui misurare la qualità dell’abitare urbano, allo stesso tempo questo dato emerge nell’analisi e nell’interpretazione delle dinamiche socio-spaziali. In tal senso, ogni tentativo di comprendere le dinamiche urbane deve fare i conti con l’imprevedibilità—se non quando l’illegalità—degli usi paradossali dello spazio pubblico e dei suoi elementi e della sovvertibilità delle loro funzioni specifiche (Marcuse, 2014). Questa condizione presuppone non tanto che il processo progetto si doti di strumenti in grado di comprendere e tradurre queste informazioni in una nuova o rinnovata configurazione fisica. Questo mandato viene condiviso tanto dalle amministrazioni locali che dai professionisti, determinando lo sviluppo di numerosi approcci e strumenti applicati su alcuni temi specifici. In tal senso si evidenzia come le amministrazioni

più illuminate si siano dotate—o abbiano l’appoggio—di veri e propri centri di ricerca sulla città e le dinamiche urbane facendo anche ricorso alle tecniche di indagine e metodologie d’azione proposte nei brani precedenti della ricerca. D’altra parte, il sempre maggiore ricorso al placemaking per coinvolgere le comunità e realizzare luoghi socialmente significativi ha comportato che il ruolo del professionista virasse verso l’interpretazione delle istanze sociali, oltre che formali, come mediatore e facilitatore dell’intero processo progettuale. Ancora, i temi ricorrenti in entrambi i casi sono quello dell’accessibilità universale e della prossimità dello spazio pubblico, come condizioni necessarie a garantire la loro democratica distribuzione e fruizione. In questa prospettiva non stupisce che molti dei casi analizzati tra le buone pratiche di città felice ricadano nell’ambito della mobilità, della riorganizzazione dell’assetto del trasporto pubblico e della pedonalizzazione, per potenziare e collegare l’infrastruttura fisica e sociale del sistema degli spazi pubblici urbani. D’altra parte si è visto come la sottrazione dello spazio pubblico al traffico veicolare ne abbia consentito la riprogettazione in funzione di requisiti di accessibilità universale, anche laddove questa non sia stata necessariamente codificata come tale.

Le esperienze nazionali e internazionali riportati nella seconda parte di questo capitolo hanno evidenziato come, nel raggiungimento di una condizione quantomeno duratura di benessere e vivibilità urbana, sia necessaria l’azione congiunta dei due principali ambiti e attori del pubblico, il governo e la collettività, in un rapporto di reciproco ascolto e collaborazione. Questa intenzione non richiede necessariamente di essere inquadrata all’interno di confini amministrativi o normativi, attenendo invece a una precisa scelta politica della Pubblica Amministrazione di usare e al meglio gli strumenti di trasformazione e gestione urbana nonché le proprie risorse, sia in termini economici che di dispiegamento dell’intellighenzia e della ricerca del territorio. È il caso del CABE inglese e del SPU catalano, ma anche del ricorso alla programmazione degli urban center in Italia. Il compito dell’urban center è per sua natura quello di costituire un luogo neutrale di dialogo, informazione e divulgazione, ma negli ultimi anni le attività che vi si svolgono hanno assunto i contorni e la struttura metodologica della ricerca. In riferimento ai casi di Bologna e Torino, tra i più attivi e prolifici, si rileva inoltre che la loro gestione sia affidata a enti terzi, come l’associazione autonoma Urban Center Metropolitano di Torino o la Fondazione Innovazione Urbana per l’Urban Center di Bologna. Questa autonomia favorisce la possibilità Fig. 58 · Bambini attraversano in bici e in monopattino i giochi d’acqua della piazza. Rotterdam 2018.

di sviluppare temi svincolati dalle esigenze amministrative e invece proiettate verso la qualità dell’abitare. Gli assi tematici di Fondazione Innovazione Urbana sono infatti: Città accogliente, Nuovo welfare urbano, Democrazia urbana e digitale e Città sostenibile. Questi vengono perseguiti nell’azione congiunta dell’Urban Center come luogo di informazione e promozione del territorio e della cultura urbana e grazie all’attivazione di percorsi di partecipazione e di ricerca documentale e cartografica. Allo stesso modo l’Urban Center Metropolitano di Torino dichiara di essere un luogo in cui raccontare la trasformazione della città attraverso la comunicazione, la ricerca, la promozione, il confronto e l’informazione. Entrambi si configurano come luoghi di coesione, oltre che di ricerca, di divulgazione trasversale, accessibile al cittadino, all’amministrazione, al privato.

Lungi dal volerne sintetizzare un paradigma formale, innescare e osservare gli esiti di questi processi collettivi è più che mai utile nella loro traduzione in politiche urbane. Nella seconda parte di questo capitolo, la ricerca ha esplicitamente evitato di cadere nella tentazione di analizzare o descrivere i fenomeni legati allo spazio pubblico attraverso le categorie formali del progetto. Diversamente, questa ricerca avrebbe preso tutt’altra direzione, discostandosi dal mandato iniziale di interpretare lo spazio pubblico nel suo ruolo per la qualità dell’abitare urbano. È però doveroso concludere questo commento critico sottolineando due considerazioni critiche legate al contesto italiano. Antropologicamente, va riconosciuta la naturale propensione delle popolazioni mediterranee a vivere lo spazio pubblico come prolungamento di quello domestico. In particolare, lo spazio pubblico italiano, le peculiari e talvolta plateali modalità in cui questo è vissuto, usato e abitato, sono state motivo di interesse e oggetto di studio da sempre. Questa condizione permane nel gesto progettuale, sebbene nelle diverse declinazioni formali, stilistiche, urbane e finanche storiche, che hanno consentito all’Italia di vantare un enorme patrimonio di spazi pubblici di qualità. Tale condizione di equilibrio ha preservato fino in tempi relativamente recenti che il concetto e il ruolo sociale, politico e culturale dello spazio pubblico rimanesse un tema ricorrente del dibattito, non fosse che per la concomitanza al tema della conservazione dei beni culturali urbani. D’altra parte, le complesse e globalizzate istanze del vivere contemporaneo ci portano a riflettere sul progetto di spazio pubblico come risultato finale di un più ampio processo di trasformazione urbana e sociale.

Entro il 2030, garantire a tutti l’accesso ad alloggi adeguati, sicuri e convenienti e ai servizi di base e riqualificare i quartieri poveri Entro il 2030, garantire a tutti l’accesso a un sistema di trasporti sicuro, conveniente, accessibile e sostenibile, migliorando la sicurezza delle strade, in particolar modo potenziando i trasporti pubblici, con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani

Entro il 2030, potenziare un’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificare e gestire in tutti i paesi un insediamento umano che sia partecipativo, integrato e sostenibile

Potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo

Entro il 2030, ridurre in modo significativo il numero di decessi e il numero di persone colpite e diminuire in modo sostanziale le perdite economiche dirette rispetto al prodotto interno lordo globale causate da calamità, comprese quelle legate all’acqua, con particolare riguardo alla protezione dei poveri e delle persone più vulnerabili

Entro il 2030, ridurre l’impatto ambientale negativo pro-capite delle città, prestando particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti urbani e di altri rifiuti

Entro il 2030, fornire accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e disabili

Supportare i positivi legami economici, sociali e ambientali tra aree urbane, periurbane e rurali rafforzando la pianificazione dello sviluppo nazionale e regionale

Entro il 2020, aumentare considerevolmente il numero di città e insediamenti umani che adottano e attuano politiche integrate e piani tesi all’inclusione, all’efficienza delle risorse, alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici, alla resistenza ai disastri, e che promuovono e attuano una gestione olistica del rischio di disastri su tutti i livelli, in linea con il Quadro di Sendai per la Riduzione del Rischio di Disastri 2015-2030

Supportare i paesi meno sviluppati, anche con assistenza tecnica e finanziaria, nel costruire edifici sostenibili e resilienti utilizzando materiali locali

11.1

11.2

11.3

11.4

11.5

11.6

11.7

11.a

11.b

11.c

11.3.1 Ratio of land consumption rate to population growth rate 11.3.2 Proportion of cities with a direct participation structure of civil society in urban planning and management that operate regularly and democratically

11.3

11.4.1 Total expenditure (public and private) per capita spent on the preservation, protection and conservation of all cultural and natural heritage, by type of heritage (cultural, natural, mixed and World Heritage Centre designation), level of government (national, regional and local/municipal), type of expenditure (operating expenditure/investment) and type of private funding (donations in kind, private non-profit sector and sponsorship)

11.4

11.5.1 Number of deaths, missing persons and directly affected persons attributed to disasters per 100,000 population

11.5.2 Direct economic loss in relation to global GDP, damage to critical infrastructure and number of disruptions to basic services, attributed to disasters

11.5

11.6.1 Proportion of urban solid waste regularly collected and with adequate final discharge out of total urban solid waste generated, by cities

11.6.2 Annual mean levels of fine particulate matter (e.g. PM2.5 and PM10) in cities (population weighted)

11.6

11.7.1 Average share of the built-up area of cities that is open space for public use for all, by sex, age and persons with disabilities

11.7.2 Proportion of persons victim of physical or sexual harassment, by sex, age, disability status and place of occurrence, in the previous 12 months

11.7

11.a.1 Proportion of population living in cities that implement urban and regional development plans integrating population projections and resource needs, by size of city

11.a

11.b.1 Number of countries that adopt and implement national disaster risk reduction strategies in line with the Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015–2030

11.b.2 Proportion of local governments that adopt and implement local disaster risk reduction strategies in line with national disaster risk reduction strategies

11.b

11.c.1 Proportion of financial support to the least developed countries that is allocated to the construction and retrofitting of sustainable, resilient and resource- efficient buildings utilizing local materials