Corso di Laurea magistrale
(ordinamento ex D.M. 270/2004)
in Economia e Gestione delle Arti e
delle Attività Culturali
Tesi di Laurea
La configurazione artistica ed
economica del museo d’arte
contemporanea: uno sguardo
sul MAXXI di Roma
Relatore
Ch. Prof. Pieremilio Ferrarese Correlatore
Ch. Prof. Riccardo Zipoli
Laureando
Maria Vittoria Argenti 857833
Anno Accademico 2016 / 2017
Indice
PARTE I
Premessa 5
CAPITOLO 1. IL MUSEO DELLA CONTEMPORANEITA’
1.1 Il museo: la “preistoria” e la storia 10 1.2 Il Museo moderno 15 1.3 Il ruolo del museo nel XXI secolo: il museo della contemporaneità 22 1.4 Il pubblico ed il sistema di relazioni 31
CAPITOLO 2. IL MUSEO: APPROCCIO ECONOMICO E AZIENDALE
2.1 Funzione istituzionale e mission di un museo 36 2.2 Il ruolo del museo-‐azienda 39 2.3 L’economicità come principio e come obiettivo 41 2.4 Le problematiche di gestione di un museo 43 2.5 L’accountability nei musei 46 2.6 Sponsorizzazioni e donazioni 48 2.7 Il modello di bilancio dell’azienda – museo 51 2.7.1 Il prospetto di Stato Patrimoniale 52 2.7.2 Il prospetto del Conto Economico gestionale 54 2.7.3 La Nota Integrativa e la Relazione sulla missione 55
PARTE II
CAPITOLO 3. IL MAXXI: UN FLUSSO NELLA CONTEMPORANEITA’
3.1 Il MAXXI: “dalle armi alle arti”, dalla ex Caserma Montello al “Museo Nazionale per le arti del XXI secolo” 57 3.2 Il MAXXI e la trasformazione della città 60 3.3 Il progetto architettonico 69 3.4 Il MAXXI: contenitore e contenuto 81
3.5 La mission: il dialogo fra due discipline, l’arte e l’architettura del XXI secolo 84 3.6 Le due anime del MAXXI: MAXXI Arte e MAXXI Architettura 88 3.6.1 Il Premio MAXXI 93 3.7 MAXXI Re-‐Evolution 94
CAPITOLO 4. MAXXI: ASSETTO ISTITUZIONALE E ORGANIZZATIVO
4.1 Statuto e organi della governance 101 4.2 L’organizzazione: Segretario Generale, Direttore Artistico e
Dipartimenti 103 4.3 Gli eventi al MAXXI 111 4.4 I media e la comunicazione 115 4.5 Il fundraising: sponsorizzazioni, donazioni e membership 120
CAPITOLO 5. MAXXI: RENDICONTAZIONE E DIMENSIONE ECONOMICO-‐ FINANZIARIA
5.1 I dati di performance 124 5.2 Il bilancio di esercizio 126 5.2.1 Lo Stato Patrimoniale 128 5.2.2 Il Conto Economico gestionale 130 5.2.3 La Nota Integrativa 132
5.3 Analisi di bilancio 140 5.3.1 Aspetti emergenti dallo Stato Patrimoniale 140 5.3.2 Aspetti emergenti dal Conto Economico gestionale 143 Conclusioni 148 Bibliografia 151 Sitografia 155
Premessa
Il presente lavoro ha come oggetto l’analisi dell’istituzione museale, un luogo che non solo è destinato alla conservazione ed all’esposizione di beni di importante valore e interesse per la collettività, ma è, allo stesso tempo, centro di produzione e trasmissione condivisa di cultura e, grazie all’affermarsi di nuove tecnologie nel campo dell’informazione e della comunicazione, anche di significati; è spazio critico, relazionale e di confronto, laboratorio di nuove visioni in relazione, soprattutto, al rapporto con il pubblico. Nella misura in cui esercita una funzione comunicativa, il museo si qualifica, quindi, come strumento per la conoscenza e la comprensione della realtà.
Perciò, l’elaborato, partendo da una breve introduzione sulla “storia” del museo nei secoli, mette in luce i cospicui cambiamenti che hanno modificato, nel tempo, il modo di considerarlo ed il ruolo attribuitogli dalla società, fino al suo momento chiave (la seconda metà del XVIII secolo), quando, cioè, l’istituzione assume una destinazione pubblica, dando origine, così, alle sue finalità comunicative. Il processo di trasformazione, che da quel momento ha investito i musei, li ha spinti ad interrogarsi sempre più sul proprio ruolo e sulla propria funzione per relazionarsi efficacemente con l’attualità, complessa ed in continuo divenire. Contenere un’arte adatta alle esigenze del presente, frutto di interazione tra diverse forze creative e soggetta a forme di ibridazione con mondi paralleli, avvedersi dei mutamenti costanti e contraddittori della collettività in evoluzione continua, misurarsi con il dibattito politico e il progresso culturale tenendo conto del crescente sviluppo della società di massa, diffondere nel pubblico stimoli e spunti di riflessione sull’arte contemporanea ponendolo al centro dell’esperienza museale e determinandone un coinvolgimento attivo nel processo d’interpretazione dei significati del museo, sono questi gli obiettivi principali che si pone il museo di arte contemporanea.
A seguito di questo salto qualitativo, si è andata progressivamente ampliando l’identità del museo, che si connota, oggi, sempre più frequentemente, come una macchina polivalente capace di produrre un’offerta articolata e di mettere in atto nuove pratiche attrattive, proponendosi come terreno di sperimentazione: organizzazione di seminari e percorsi tematici, proposte
didattiche, installazioni a volte multimediali, concerti, proiezioni filmiche, organizzazione di eventi culturali, spettacoli dal vivo e arte in movimento. Questa nuova configurazione, mentre garantisce un’esperienza polisemantica, culturale, formativa, educativa e di intrattenimento appagante, ha anche il grande vantaggio di attirare nuove categorie di pubblici, più numerosi e trasversali, in un meccanismo, strategicamente vitale per la sopravvivenza del museo, di centralizzazione della figura del visitatore. Poiché rivolto al pubblico, il museo produce stimoli e comunica messaggi, veicolati attraverso i suoi segni, l’architettura e l’allestimento, il contenitore ed il contenuto: nel corso dei secoli, l’imporsi dell’uno sull’altro ha generato una diversa percezione di questo binomio e, per questo motivo, il presente studio intende attraversare lo sviluppo e la trasformazione dello spazio museale ricercando gli effetti che tale combinazione ha prodotto nella genesi delle sue forme e nella costruzione delle sue modalità comunicative.
Esaminati alcuni casi specifici che l’architettura ha consegnato alla storia, l’interesse si è, però, direzionato sul MAXXI di Roma, proprio perché Museo del XXI secolo in una città, la mia, dal grande passato artistico che, pur sembrando inviolabile dall’incursione del futuro, non si è, invece, tirata indietro dal compiere un passo in avanti verso una modernità sospirata da tempo, in una prospettiva di ricercata continuità. Ho voluto soffermarmi su questo museo della contemporaneità (in cui ho avuto l’onore di svolgere un tirocinio) perché si propone come “opera d’arte” dotata di un proprio e significativo carattere iconico, ma anche come centro culturale ed espositivo pensato per la comunicazione, laboratorio di sperimentazione e innovazione, officina di linguaggi multiformi e atelier per la produzione di contenuti estetici e di attività del nostro tempo, in breve come un organismo complesso che si alimenta di relazioni fra l’opera d’arte e il suo pubblico. La mia ricerca, quindi, si concentra sull’analisi di questa struttura museale, attraversando la storia della sua realizzazione in relazione al contesto urbano che ne ha direzionato le scelte progettuali, spiegando la genesi del segno dinamico attraverso il quale il progettista ha dato forma all’edificio, al disegno di un organismo plastico il cui andamento sinuoso riflette le direzioni-‐vettori del tracciato urbano, create dalla sovrapposizione fra la trama del nuovo e la preesistenza storica del
quartiere. Prosegue prendendo in considerazione il progetto architettonico ed il concept che lo informa: un contenitore senza fine, strutturato su una fluidità avvolgente, generatrice di interazione dinamica tra interno ed esterno, tra ambienti calmi, labirintici e liquidi e passerelle sospese, intrecciate o sovrapposte, in cui traiettorie e prospettive offrono una complessa rete di connessioni ed attraversamenti che innesca un processo continuo di dialogo e confronto. Nel MAXXI il visitatore non percepisce il museo solo come contenitore di mostre poiché lo spazio agisce spingendolo oltre, trasportandolo facilmente nel continuum di spazialità e, svincolato da riferimenti prestabiliti, si trova immerso in una esperienza fisica e mentale che lo induce ad una libertà di auto-‐organizzazione della visita e ad una lettura non condizionata.
Un contenitore così particolare ed esclusivo non può che contenere una collezione decisamente articolata e multiforme, più precisamente tre collezioni per tre distinte categorie: arte nel MAXXI Arte, architettura nel MAXXI Architettura e fotografia, quest’ultima costituente, però, una linea portante del Museo di Architettura. Ed è proprio dalla collaborazione delle sue due anime, MAXXI Arte e MAXXI Architettura, che è stata concepita e realizzata la recentissima trasformazione totale che ha coinvolto il Museo (con il nuovo allestimento della collezione permanente) e lo ha reso ancor più avamposto culturale sempre in grado di rinnovarsi, spazio di discussione ed elaborazione dei grandi temi della contemporaneità, luogo di produzione scientifica e di ricerca ed, insieme, di incontro, di esperienze e di scambio sociale e culturale. Di tutto questo tiene conto il mio lavoro.
Il museo, tuttavia, oltre alla sua componente culturale deve comprendere e essere perfezionato anche nella sua dimensione economica (attraverso il ricorso alle discipline economico-‐aziendalistiche), che non compromette il conseguimento del fine ultimo per il quale il museo viene in essere, ma, anzi, determina la condizione necessaria all’adempimento degli scopi istituzionali. Se, infatti, fino a pochi anni fa, l’approccio economico nella gestione museale rappresentava una minaccia per gli operatori culturali, intimoriti dal rischio che l’economia penetrasse forzatamente nella sfera culturale e dalla conseguente meccanica applicazione di principi estranei alla cultura, oggi, il
concetto di aziendalizzazione del museo può essere interpretato per il suo carattere di strumentalità economica rispetto ai fini perseguiti.
D’altro canto, la pianificazione strategica del museo è lo strumento necessario che molte istituzioni attuano o stanno attuando per estendere la propria immagine, incrementare l’offerta ed ampliare il pubblico; una iniziativa che chiama in causa analisi, missioni, obiettivi, progetti, per realizzare una impalcatura sulla quale pianificare, modellare, attuare e controllare la mission che ha scelto di perseguire: i programmi, i prodotti ed i servizi che offre e il raggiungimento dei segmenti di pubblico che vuole attrarre.
Negli ultimi decenni, infatti, le istituzioni museali hanno orientato sempre più la propria attenzione sugli aspetti economico-‐aziendali e ciò, in virtù dell’incremento significativo dei musei e della moltiplicazione delle reti museali, dell’espansione delle esternalità positive, della riduzione della quota di finanziamento pubblico al settore, dello sviluppo tecnologico e delle strategie di marketing culturale. Tra i principali aspetti d’interesse che hanno indotto il cosiddetto “processo di aziendalizzazione” si annoverano l’autonomia gestionale, la valorizzazione delle eccellenze, il controllo di gestione, la misurazione della performance attraverso appositi indicatori, gli standard di qualità, il marketing, la comunicazione, le esternalizzazioni di alcuni servizi marginali (ad es. ristorante e bookshop) e, quindi, l’intervento di società fornitrici esterne al museo.
In questa ottica, si prende in esame la struttura organizzativa del MAXXI, l’insieme dei criteri di divisione del lavoro e dei meccanismi di coordinamento delle attività svolte. Vengono definite le modalità di allocazione delle persone e delle risorse ai diversi compiti e le relazioni di autorità e collaborazione tra i membri; vengono quindi indicati quali siano i ruoli e le attività, e come sia possibile coordinare queste attività in modo tale da perseguire al meglio gli scopi istituzionali.
I dati numerici reperiti dimostrano gli sforzi del personale dei vari dipartimenti (educazione, ricerca e sviluppo) per garantire un’offerta sempre più varia e di qualità, che coinvolga in maniera partecipata il pubblico attraverso progetti innovativi e sperimentali.
Infine si analizza la Fondazione da un punto di vista economico – finanziario attraverso il suo bilancio di esercizio, al fine di fornire una visione completa
dell’istituzione. Tale analisi consente di valutare le risorse di cui il MAXXI dispone per il perseguimento dei suoi fini, i vincoli a cui esso è soggetto, nonché i risultati che ottiene in relazione all’impiego di tali risorse ed in rapporto alle attese dei propri interlocutori o stakeholder.
CAPITOLO I
Il museo della contemporaneità
1.1 Il museo: la “preistoria” e la storia
Una riflessione sul museo, ed, in particolare, sul museo d’arte contemporanea, non può prescindere da una breve introduzione sull’evoluzione dell’istituzione nella storia, che metta in luce i cospicui cambiamenti che hanno modificato, nel tempo, il modo di considerarlo ed il ruolo attribuitogli dalla società, e che evidenzi la sua funzione sociale nel contesto contemporaneo1. La concezione moderna del museo, infatti, si impone in Europa, con struttura logica e caratteri di autocoscienza e volontà programmatica, dalla metà del XVIII secolo, in concomitanza con l’affermarsi ed il diffondersi della cultura illuminista, ma il suo processo di gestazione si è protratto lungamente durante lo scorrere dei secoli precedenti2.
Ed, infatti, il senso del termine museo è andato mutando profondamente nel corso della storia, a partire dall’originario etimo greco “mouseion” che designava il tempio delle Muse, l’istituzione culturale pubblica del mondo ellenistico, fondata da Tolomeo da Sotere ad Alessandria d’Egitto (in stretto rapporto con la rinomata biblioteca), luogo di incontri e di meditazione, centro di studio e di produzione della cultura per filosofi, letterati, artisti, poeti e matematici e tra le cui funzioni, è probabile vi fosse anche la raccolta e l’esposizione di opere d’arte3. Il tempio delle Muse, anche Accademia e spazio dell’esperienza, della discussione, della memoria e della conservazione delle vestigia del proprio passato, trasformò, poi, l’etimo nella parola latina “musaeum”. In quest’ambito nasceva il collezionismo che, del museo, è autentico incunabolo ed insieme linfa: a Roma i trofei di guerra ed i bottini sottratti al nemico furono all’origine delle collezioni private che divennero, via via, il segno di crescente prestigio sociale e di sfoggio di fasto, oltreché una
1 M.V. MARINI CLARELLI, Che cos’è un museo, Carocci Editore, Roma, 8° ristampa Luglio 2011. 2 V. VERCELLONI, Cronologia del museo, Jaka book, 2007.
forma di investimento con conseguente formazione di un ampio mercato dell’arte.
Fu la civiltà romana, inoltre, a sostenere l’opportunità di rendere di pubblica utilità le opere d’arte, al fine di consentirne a tutti il godimento visivo come patrimonio culturale, mentre la giurisprudenza del momento promuoveva il principio di inamovibilità delle statue esposte alla vista, in quanto “ornamenta” volte ad assicurare il decoro del paesaggio urbano.
Nel Medioevo, invece, furono le istituzioni religiose ad occuparsi della conservazione dell’arte religiosa: il culto delle reliquie rivelava una interpretazione del mondo in senso morale e teologico e, per questo, santificava i luoghi ove queste erano collocate ed attribuiva alle cerimonie religiose, di cui erano protagoniste, un alto valore simbolico che trascendeva la loro apparenza. Il Cristianesimo trasformò in Chiese gli antichi templi in disuso, arricchendole di raccolte eterogenee e dipinti funzionali alla catechesi dei fedeli, mentre i monumenti dell’antichità romana divenivano, progressivamente, oggetto di sistematiche spoliazioni per il riutilizzo dei materiali saccheggiati4.
Sarà il Rinascimento a sancire la coscienza di tutela delle opere d’arte dell’antichità e, grazie all’Umanesimo, ad affiancare alle collezioni ecclesiastiche ed ai “tesori” accumulati dai nobili forme più aggiornate di collezioni, quali manoscritti, strumenti scientifici, busti, monete, gemme, opere d’arte, oggetti magici ed esotici, che consentirono l’elaborazione e la divulgazione delle conoscenze e, conseguentemente, un crescente sviluppo culturale. L’Italia del Rinascimento rappresenta il contesto che sostanzia l’accezione moderna del museo, laddove, nel 1539, viene utilizzata da Paolo Giovio la parola musaeum in riferimento alla sua collezione artistica ed insieme all’edificio che la contiene (una villa sul lago di Como che, grazie alla sua decorazione fortemente connotata di simbolismo, appariva proprio come
Tempio delle Muse), entrambi offerti all’ammirazione ed all’uso di una cerchia allargata di persone5.
La raccolta di pezzi antichi e opere moderne nelle sale dei palazzi delle corti italiane o nei raffinati “studioli”6, spazi privati riservati alle attività intellettuali (come quelli di Lionello e Borso d’Este a Ferrara, di Federigo da Montefeltro a Urbino, di Isabella d’Este nel Castello di San Giorgio a Mantova) e, successivamente, al piacere ed al godimento estetico (come i camerini di alabastro di Alfonso d’Este a Ferrara o le Wunderkammern, le stanze delle meraviglie delle corti nord-‐europee destinate a rappresentare la varietà del reale, come gli oggetti d’arte o quelli provenienti dal mondo naturale, gli strumenti scientifici o le opere create dall’ingegno umano), rappresentano i primi “progetti” con finalità museali, così come la creazione a Venezia, nell’Antisala della Biblioteca Marciana, dello Statuario Pubblico da parte di V. Scamozzi (grazie alle donazioni della famiglia Grimani) o la realizzazione del “giardino delle statue” in Belvedere ad opera di D. Bramante su commissione di Giulio V 7.
E’ a partire dalla fine del ‘500 che si diffonde la “galleria”, un nuovo tipo di spazio, originariamente adibito al passeggio ed ora destinato all’esposizione di importanti collezioni private, come la Galleria degli Antichi a Sabbioneta, realizzata per ospitare la collezione archeologica (marmi antichi e trofei di caccia) del Duca Vespasiano Gonzaga Colonna o i due corridoi (l’uno per le statue e l’altro per i dipinti) degli Uffizi, la nuova sede delle raccolte medicee aperta al pubblico nel 1584, o, ancora, le sontuose gallerie delle famiglie aristocratiche romane, Doria Pamphili, Borghese, Colonna, fino a quelle più imponenti delle dinastie regnanti europee, ancora private, ma, talvolta, accessibili a categorie selezionate di visitatori e costituenti i primi nuclei dei futuri musei nazionali. Sono rari, infatti, gli esempi di collezioni aperte al pubblico, come la Pinacoteca Pubblica d’Europa a Basilea e la Pinacoteca Ambrosiana a Milano, fondata nel 1618 dal cardinale Federigo Borromeo con
5 R. SCHAER, Il museo. Tempio della memoria, op. cit.
6 M. T. FIORIO, Il museo nella storia. Dallo “studiolo” alla raccolta pubblica, B. Mondadori,
Milano 2011.
7 L. BINNI, G. PINNA, Museo. Storia e funzioni di una macchina culturale dal Cinquecento ad oggi,
la donazione della propria collezione d’arte, avente la finalità di strumento educativo per gli artisti.
L’affermarsi della concezione del patrimonio artistico come bene della collettività (e non più, quindi, solo come proprietà dei privati) segna lo spartiacque tra preistoria e storia del museo, che si concretizzò, con differenti modalità, nell’Europa settecentesca8.
Nel 1759 nasceva il primo nucleo del British Museum, destinato dal Parlamento inglese non solamente all’esame ed allo studio dei cultori e degli eruditi, ma anche al godimento, all’educazione ed all’uso del pubblico.
In Italia, la principessa elettrice palatina Anna Maria Luisa de’ Medici compì il gesto che fu la vera fortuna di Firenze: stipulò nel 1737 il cosiddetto "Patto di Famiglia" con il quale veniva stabilito che le raccolte di famiglia non potessero essere trasportate o levate dalla Capitale o dallo Stato del Granducato e che, quindi, rimanessero “per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei forestieri”9.
Contemporaneamente, a Dresda, Dusseldorf e Vienna, venivano rese pubbliche le raccolte dinastiche che così diventavano patrimonio dello Stato, mentre a Roma, per limitare smembramenti e dispersioni delle opere d’arte, causate da un mercato antiquario sempre più dinamico, il Papato poneva in essere i primi atti di legislazione di tutela, con l’apertura del Museo Capitolino nel 1734, l’aggiunta della Pinacoteca nel 1750 e la realizzazione del Museo Pio-‐ Clementino fra il 1773 ed il 1787.
E’, dunque, con l’Illuminismo che l’architettura del museo assume specifiche caratteristiche, sottolineando, attraverso il suo disegno, l’importanza del contenitore che, a sua volta, adempie alla funzione di comunicazione del significato e della leggibilità del patrimonio contenuto e di partecipazione alla trasformazione della città.
Alla fine del XVIII secolo, in Francia, la Rivoluzione innescò l’inizio di una nuova era museale con l’apertura del Louvre del Musée Francais nel 1793, il
8 A. MOTTOLA MOLFINO, Il libro dei musei, Allemandi, Torino 1992.
9 http://www.polomusealetoscana.beniculturali.it/index.php?it/21/news/264/firenze-‐
primo museo moderno istituito per il bene pubblico e non già per concessione del sovrano, ma per diritto dei cittadini, essendo la proprietà del museo stata destinata al popolo che doveva tutelarla ma anche valorizzarla. Modello per la costituzione dei grandi Musei nazionali in Europa, il Museo venne concepito con palesi finalità didattico-‐formative, per servire come mezzo di comunicazione culturale, di educazione dei cittadini, di insegnamento per gli artisti e di formazione del gusto del pubblico, come immagine simbolica e strumento di ostentazione del prestigio e della storia della nazione. Quest’ultimo aspetto divenne centrale nel “Musée Napoleon” che raccoglieva le maggiori opere d’arte sottratte ai paesi occupati durante le guerre napoleoniche e che incarnerà il simbolo dell’universalità dell’arte e della cultura10.
Nell’Ottocento il museo fu oggetto di un rapido quanto diffuso sviluppo (si pensi alla Glyptothek ed all’Alte Pinakotkek di Monaco, al Nuovo Ermitage di San Pietroburgo, alle creazioni monumentali a Berlino dell’Altes Museum, del Neues Museum e della Nationalgalerie, alla nuova sede del British Museum ed al South Kensington, ora Victoria and Albert Museum, a Londra, il Kunsthistoriches Museum ed il Naturhistoriches Museum a Vienna, etc) e vide il tramonto del museo “universale” in favore del museo “specializzato” in ambiti del sapere differenziati, quali la scienza, la storia, l’arte e la tecnologia11. In questa fase, alla funzione didattica del Museo si affiancò quella conservativa, sempre più necessaria per salvaguardare le testimonianze del passato, messe a rischio dal crescente sviluppo industriale e dalle modifiche subite dalle città a causa del fenomeno dell’urbanesimo. Il Museo ottocentesco aveva caratteristiche e forme architettoniche di stampo neoclassico poiché doveva rappresentare la conservazione e la divulgazione della cultura e dei valori storici, mentre l’assetto interno seguiva le vicende della nuova scienza storica dell’arte, fondata su criteri storici e sistematici, su principi razionalisti rigorosamente cronologici quanto ad autori e a scuole; inoltre, in tema di allestimento, venne delineandosi la necessità di creare un “ambiente” idoneo
10 K. SCHUBERT, Museo. Storia di un'idea. Dalla Rivoluzione francese a oggi, Il Saggiatore,
Milano 2004.
alle opere, un rapporto coerente fra lo spazio museale e le caratteristiche della collezione.
Alla nascita dei grandi musei nazionali in Europa si contrappose in Italia lo sviluppo di una trama di musei civici che conservavano e valorizzavano le opere d’arte locali e che, diversamente dai complessi museali, appositamente ed ex novo sorti nelle altre città europee, ospitavano le collezioni in edifici storici e monumentali, con la conseguenza di rendere meno visibile ed incisivo l’intervento museale nell’ambito della trasformazione delle città ottocentesche12.
1.2 Il Museo moderno
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fermentò il dibattito sul concetto di museo e sulla sua funzione, a causa dell’affacciarsi sulla scena artistica dei movimenti di avanguardia e della perdita di prestigio delle Accademie e, grazie anche allo sviluppo di nuovi canali di comunicazione fra arte e pubblico (gallerie private, esposizioni periodiche, luoghi espositivi fuori dalla tradizione…) ed allo scarso interesse dimostrato dai gestori dei musei pubblici nei confronti degli artisti innovatori, si consolidò l’opinione che il museo fosse un passivo conservatore di oggetti, uno statico mausoleo, un “cimitero” dell’arte, per dirla alla Filippo Tommaso Marinetti.
Se, da un lato, gli artisti emergenti e le correnti d’avanguardia, con i profondi mutamenti che apportavano al linguaggio artistico di quegli anni, non sembravano essere stati oggetto di una concreta politica di acquisizione da parte dei Musei di gran parte dell’Europa ad eccezione di Berlino, capitale mondiale della museologia (e sede di importanti istituzioni allestite secondo criteri innovativi ed aperte alle nuove tendenze, prime fra tutte Cubismo ed Espressionismo), sul versante del linguaggio architettonico si assisteva, invece, ad una diretta influenza delle correnti figurative moderne sull’oggetto d’architettura (basti pensare a Le Corbusier, a Van Doesburg, a Moholy-‐Nagy, a Malevic, etc), talvolta proprio sul contenitore, verso il quale alcuni autori, come lo stesso Le Corbusier in Francia o Van de Velde in Olanda, direzionarono, negli
anni ’30, il proprio interesse, mettendo in campo ricerche di natura fortemente sperimentale (si pensi al labirintico Musée à croissance illimité o il Museo provvisorio Kroller-‐Muller di Otterloo, progetti tuttavia mai tradotti in realtà), volte ad operare una revisione dei modelli architettonici preesistenti e ad adottare un linguaggio non fondato sulla ripetizione di tipi riconoscibili. Negli stessi anni la neo nata disciplina museologico/museografica si adoperò per far conquistare al museo un ruolo “moderno” (da luogo della conservazione ed esposizione di oggetti a potente medium di comunicazione sociale) ed una maggiore efficienza, indirizzando la propria ricerca verso una flessibilità degli spazi museali, una semplificazione degli allestimenti, una particolare attenzione ai percorsi ed alle metodologie di illuminazione e ciò anche in considerazione delle mutate caratteristiche dei fruitori che, lungi dall’essere costituiti solo da eruditi, appassionati e studiosi, erano rappresentati per lo più da un pubblico di massa13. In questa ricerca di nuovo linguaggio architettonico le due correnti che influenzarono e condizionarono l’assetto del contenitore e dei suoi spazi interni furono quella razionalista e quella organica.
La prima, piuttosto che quella espressiva, privilegiava la funzione espositiva del museo applicando il concetto di white cube14 , cosicchè l’oggetto
architettonico fosse privo dei caratteri del museo tradizionale e risultasse un contenitore ermetico atto a preservare le opere al suo interno per l’eternità: il mondo doveva rimanere fuori e l’arte libera di vivere la sua vita. La concezione organica, al contrario, esaltava la carica espressiva del contenitore e l’architettura, dinamica e non vincolata ad un programma di tipo funzionale, doveva prediligere la fluidità e la continuità delle linee che, partendo dall’edificio, dovevano penetrare nell’ambiente fino a confondervisi ed esprimere la visione della realtà di un’epoca (incarnazione di questi principi sarà il Guggenheim Museum di New York di F. Lloyd Wright).
13 Per il formarsi e l’affermarsi di una «nuova natura» dell’istituzione museale nella prima
metà del Ventesimo secolo, quale momento strategico di cerniera o ponte tra il museo classico e quello contemporaneo, si veda: L. BASSO PERESSUT, Il Museo Moderno. Architettura e
museografia da Perret a Kahn, Lybra Immagine, Milano 2005; per un’analisi degli elementi di
rinnovamento e sperimentazione progettuale del museo nell’ultima parte del ventesimo secolo si veda L. BASSO PERESSUT, Musei. Architetture 1990-‐2000, 24 ore Cultura, Milano 1999.
14 Sul tema si veda: B. O’DOHERTY, Inside the white cube. L’ideologia dello spazio espositivo,
Nella prima metà del secolo anche la scena statunitense conquistò un suo spazio di considerazione: nel 1929 fu istituito, infatti, a New York il Museum of Modern Art, con lo scopo di diffondere l’arte contemporanea a tutte le tipologie di visitatori ed interlocutori e rendere partecipe il pubblico degli aspetti e delle riflessioni dell’arte contemporanea nella società, realizzando un vero e proprio laboratorio di ricerca e di studio. Il suo straordinario successo di pubblico e l’incremento delle raccolte richiesero l’abbandono della sede originaria e la costituzione di quella attuale: la linea innovativa seguita all’epoca dal giovane direttore Alfred Barr (allestimenti di mostre interne ed esterne, non per scuole ma per movimenti, apertura verso le culture europee, le avanguardie, i programmi e le ricerche internazionali, cura dei contenuti e della veste editoriale dei cataloghi, incremento degli aspetti manageriali, contatti con gli artisti e rapporti con il pubblico) consacrò definitivamente il museo e la sua collezione d’arte contemporanea, tantoché le correnti americane, nel dopoguerra, trovarono una sicura affermazione, oscurando quelle europee15.
Negli stessi anni, su volere di un magnate americano, collezionista di opere d’arte, venne fondato il Solomon R. Guggenheim Museum (inizialmente in un edificio sulla Fifth Avenue), con l’intento di esporre la sua nutrita collezione di arte astratta (in cui figuravano importanti dipinti di artisti come Vasily Kandinsky, Paul Klee, Marc Chagall, Piet Mondrian..) per “promuovere, incoraggiare, educare all’arte e illuminare il pubblico”16. A causa della vastità
della collezione, nel 1943, la direttrice della Guggenheim Foundation, Hilla von Rebay, interpellò l’Architetto Frank Lloyd Wright di progettare e realizzare una struttura permanente che potesse accogliere la collezione di pittura “non oggettiva” dell’industriale del rame, il cui desiderio era quello di realizzare uno spazio che fosse una compenetrazione fra la valenza architettonica del contenitore e l'inestimabile valore delle opere d'arte che ne costituivano il contenuto, stabilendo così un forte legame fra arte e architettura, come scriveva la direttrice stessa nella lettera indirizzata a Wright: “… ognuno di
15 S. GORDON KANTOR, Le origini del MOMA. La fortunata impresa di Alfred H. Barr, Jr., Il
Saggiatore, 2010.
questi grandi capolavori dovrebbe essere organizzato nello spazio poiché (essi) sono ordine, creano ordine e sono sensibili allo spazio che li ospita“17.
Inaugurato nel 1959, fin dall’inizio la relazione tra l’eccezionale struttura dell’edificio e l’arte in essa contenuta suscitò polemiche e discussioni: da una
17 da Il Guggenheim, una rivoluzione americana, testo di Riccardo Bianchini, giugno 2015, in
https://www.inexhibit.com/it/case-‐studies/una-‐rivoluzione-‐americana-‐guggenheim-‐wright/
UNA SPIRALE EMOZIONALE
Il Museo Solomon R. Guggenheim, progettato da Frank Lloyd Wright, è considerato una delle opere più emblematiche della poetica di questo architetto che, in controtendenza rispetto ai caratteri del Movimento Moderno, propugnava un’immagine “organica" dell'edificio: "ecco l'ideale ch'io propongo per l'architettura dell'era della macchina, per l'edificio americano ideale: lasciamo che si sviluppi nell'immagine dell'albero… l’architettura proviene dalla terra ed il luogo, le condizioni dell’ambiente, la natura dei materiali e lo scopo della costruzione determinano la forma dell’edificio"*. Come accade nel mondo naturale, Wright concepiva la stessa funzionalità dell'edificio nella sua forma, così da generare un rapporto dialettico tra forma e funzione, l’una non essendo più conseguenza dell’altra come, invece, le correnti di pensiero a lui contemporanee andavano decretando. Abbracciando i principi dell’architettura organica Wright immaginava la forma come costruzione di una dimensione vitale, lo spazio come un crescendo emozionale di situazioni, un contesto unico che si integra perfettamente con il percorso nel mondo dell’arte di cui è complice. L’opera è stata pensata per dare la sensazione di non-‐interruzione tra l’esterno e l’interno: “Alla cattedrale dell’arte Wright oppone una passeggiata nell’arte, una strada affine ad un super garage, che prolunga quella della città ravvolgendosi in una spirale aperta per ricongiungersi poi al contesto urbano”**. Eppure il Guggenheim è un intervento di rottura: il suo esterno curvilineo e fluido (quattro anelli di cemento bianco che sembrano racchiudere, in una vorticosa e vibrante spirale, un cono rivolto verso l’alto) contrasta con la regolarità della scacchiera newyorkese e con le retoriche ed enfatiche facciate dell’edilizia ordinaria, la sua struttura museale è in antitesi con la tradizione architettonica che voleva lo spazio espositivo organizzato in una successione di sale, ciascuna chiusa in se stessa, non coinvolta in un continuum spaziale unico. Qui, invece, il visitatore è trascinato verso l’interno, quasi senza rendersene conto, risucchiato dalla spirale avvolgente in un percorso ininterrotto ed unificato che consente una fruizione intima, continua delle opere, senza alcuna pausa causata dalla sovrapposizione passiva dei piani. L’intero spazio può essere percepito da ogni punto dell’edificio, così come dall’aula centrale la spirale della rampa e le opere esposte sono visibili nel loro insieme. Tale articolazione spaziale è concepita per essere percorsa dall'alto verso il basso, fino a ricongiungersi con lo spazio urbano dal quale tutto ha avuto inizio. La continuità del percorso racchiude in sé un'adesione naturale tra il fruitore e l'opera esposta, ancor più amplificata se messa in relazione col grande vuoto centrale, il cui richiamo, mentre si percorre la galleria espositiva, è continuo. E’ questa, forse, l’eredità che lascia il progetto di Wright: i musei attuali si pongono come crocevia della comunicazione e interazione attiva del pubblico dove la cultura può essere veicolata all’interno di un luogo meno “sacralizzato” rispetto al museo tradizionale: luogo nel quale gli oggetti, le opere d’arte e lo spazio sono gli attori di un’esperienza percettiva globale, multiforme e complessa.
* F.L. WRIGHT, Io e l'architettura, 1955
parte, l’oggetto si poneva come un vero protagonista, attirando l’attenzione su di sé per la sua forza plastica non vincolata, ma libera di fluire attraverso un movimento ascensionale generato dalla spirale di sei piani destinata a una galleria espositiva veramente rivoluzionaria; dall’altra, molti artisti (e non solo) espressero chiaramente il loro disappunto, sottolineando come l’idea di esporre dipinti e sculture in un ambiente curvilineo ed in pendenza indicasse un irrispettoso disprezzo per il contesto lineare, imprescindibile per una idonea fruizione visiva delle opere d’arte. Le critiche mosse al contenitore per la mancanza di quella neutralità necessaria a far emergere la predominanza del contenuto anticiparono le problematiche successive e più attuali sulla configurazione architettonica di un museo che si relaziona con la metropoli contemporanea. Ciononostante, l’opera costituì un modello al quale si sarebbe ispirata tutta l’architettura museale della seconda metà del ‘90018.
In Europa, negli stessi anni, venne concepito il Louisiana Museum a Humlebæk poco fuori Copenaghen, una sintesi armoniosa tra opere d’arte, architettura e paesaggio. Il contenitore qui non si imponeva, bensì appariva come una membrana importante, ma neutrale, misurata e mediatrice fra la natura e l’arte.
In Italia, invece, i progetti più interessanti riguardarono opere di restauro e ricostruzione postbellica, in cui l’allestimento degli spazi interni (giocato a seconda dei casi su neutralità, massima semplificazione, sapiente equilibrio, sviluppo di nuove narrative, felice relazione fra spazio e oggetti…) ebbe un ruolo fondamentale nella trasformazione delle esposizioni permanenti: solo per citare alcuni esempi, Palazzo Bianco a Genova di F. Albini, Palazzo Abatellis di C. Scarpa, Castello Sforzesco a Milano dello studio BBPR.
Molti nuovi interventi si affacciarono sulla scena europea a partire dagli anni ’60: al razionalismo rarefatto ed alla potenza della semplicità della Neue Nationalgalerie di Mies Van der Rohe, una scatola espositiva asettica, un contenitore trasparente in cui lo spazio risulta libero e svincolato, completamente permeabile all’occhio, ma che non rinnega il ruolo
18 P. MARANI, R. PAVONI, Musei. Trasformazioni di un’istituzione dall’età moderna al
dell’architettura, si affiancò la neutralità del Kimbell Art Museum di Fort Worth in Texas di Louis Kahn, un museo concepito come un edificio multiuso, fondato sul bilanciato rapporto fra volumi esterni e spazi interni, sapientemente valorizzati dalla luce19.
In quegli stessi anni, le nuove esigenze poste dalla cultura di massa, le sollecitazioni provenienti dal mondo dei media ed il progressivo incremento del turismo internazionale obbligarono l’istituzione museale a sintonizzarsi con la modernità ed a trasformarsi in luogo di elaborazione culturale: in questa linea si pone la realizzazione del Centre National d’Art et Culture Georges Pompidou a Parigi fra il 1971 ed il 1977 ad opera di R. Piano e R. Rogers. Il contenitore tornava ad essere protagonista, imponendosi, nella sua ostentata veste high-‐tech, come una grandiosa opera di ingegneria che ospita una vera fabbrica di cultura con carattere polifunzionale “ove il pubblico partecipa al processo di produzione e appropriazione della cultura. L’apertura alla fruizione di massa raggiunge effettivamente il suo scopo, ma con il risultato paradossale che i visitatori sono più attratti dalla spettacolare vista della terrazza o dai molti altri servizi che dalle sale di esposizione”20. L’architettura, con le sue vetrate trasparenti, funge da mediatore fra l’arte, il pubblico che riempie le sale e la città che la accoglie, consentendo “un gioco di sguardi a tre” e il compimento di una complessa liturgia del vedere e dell’essere visto21.
Intervento urbanistico mirato alla trasformazione della città, è stato, invece, quello di J. Stirling a Stoccarda, la post-‐moderna Staatsgalerie, “capostipite di una nuova genealogia architettonica(..) Tra le sue caratteristiche principali vi è un programma funzionale complesso, nel quale gli spazi aperti al pubblico come i ristoranti ed i negozi del museo svolgono un ruolo sempre più importante in una dimensione squisitamente urbana. Questi edifici sono diventati sempre più veri e propri catalizzatori culturali, ambiziosi dispositivi estetici (…) Tutto ciò, tuttavia, non di rado è andato a scapito di ciò per cui erano
19 L. BASSO PERESSUT, Il Museo Moderno. Architettura e museografia da Perret a Kahn, op. cit. 20 M.V. MARINI CLARELLI, Che cos’è un museo, op. cit., pag. 59.
21 Sul tema si vedano: G. MARINELLI, Il Beaubourg a Parigi: “Macchina” e segno architettonico,