Il MAXXI: un flusso nella contemporaneità
3.4 Il MAXXI: contenitore e contenuto
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3.4 Il MAXXI: contenitore e contenuto
“(..) L’idea di ‘flusso’ assume forma corporea. Di conseguenza, il fluire emerge sia come motivo architettonico, sia come modo di navigare in maniera esperienziale attraverso il museo”88: nell’idea del progettista il museo viene, dunque,
concepito non più come un oggetto rappresentativo, bensì come un campo urbano in cui immergersi, percorso da flussi direzionali che seguono
complesse geometrie e si rispecchiano nella forma architettonica dell’edificio, a sua volta inscindibilmente legata al contenuto dell’opera d’arte che accoglierà. Il progetto della Hadid, infatti, è stato pensato per proporre uno spazio fluido e flessibile, al passo con l’evoluzione della rappresentazione delle arti: un polo museale interessato al presente e al futuro non poteva non tenere conto delle molteplici dissonanze di un'arte ormai tesa a sovvertire l'immaginario unico e lineare in favore di un’estetica pluralista attenta a tutte le possibili sollecitazioni; l’architetto ha, dunque, riflettuto sull'arte che nasce dalla mente dei suoi contemporanei, costituita di immagini ma anche di suoni, luce pura, corpi in movimento.
La scelta è stata, quindi, quella di un’architettura senza confini definiti, un corpo animato in cui traiettorie e prospettive offrono una complessa rete di connessioni che innesca un processo continuo di dialogo e confronto: percorsi irradianti che invadono lo spazio interno di una forma architettonica errante e ove “la simultaneità e la stratificazione profonda di tutti gli eventi comunicativi sono evidenti in ogni direzione: la gente appare stratificata – di fronte, dietro – ma anche sospesa – sopra, sotto.”89. Arte e architettura qui interagiscono in
modo nuovo, cercando un’intesa ricca di rapporti e di associazioni multiple: è senza dubbio un energico cambio di orizzonte rispetto alla neutralità del ‘white cube’ dei musei tradizionali, del contenitore ermetico che protegge le opere per l’eternità, lasciando il mondo fuori per preservarle dai cambiamenti esterni e dalle caratteristiche del tempo.
Il principio non è più, dunque, la scatola, ma il flusso: questa idea di museo è una delle ragioni della scelta del progetto di Hadid da parte della giuria del concorso, fondata sulla richiesta di promozione di un concetto non tradizionale di museo che, dunque, ad una pratica statica e passiva di accumulo, contrapponesse la comunicazione e l’interazione, in breve, una visione fresca e dinamica dell’arte, lontana da stereotipate storicizzazioni ed etichette; un museo che fosse architettura e, al contempo, opera d'arte, aperto alla interdisciplinarietà e alla mutevolezza dei linguaggi attuali, luogo vivo di memorie e progettualità, dunque, d’incontro tra passato e futuro.
Nel MAXXI il visitatore non percepisce il museo solo come contenitore di mostre (che nella tradizione museale sono pensate rigidamente in successione cronologica e tematica con un percorso guida predeterminato), ma si lascia trasportare facilmente dal continuum di spazialità diverse ma complementari, pieno di energia e senza riferimenti prefissati, coinvolto in una esperienza fisica e mentale che lo induce ad una libertà di auto-‐organizzazione della visita, ad un’elaborazione autonoma e ad una lettura non condizionata: “dovunque si trovi lo spettatore, lo spazio lo spinge oltre, porgendogli nuove visioni a ogni passo e nuove scelte per continuare il percorso”90.
L’idea di creare spazi che si susseguono in modo labirintico, inaspettato e sorprendente, con gallerie, ora incrociate, ora intrecciate o sovrapposte, addentrate in direzioni diverse e poi ricongiunte, che si avvalgono di pareti ora curve, ora inclinate, ora vetrate, mostra come l’architetto abbia voluto rivoluzionare la funzione della parete:
“Contro la tradizionale codificazione della ‘parete’ di un museo, intesa come armatura verticale privilegiata e immutabile (su cui esporre i dipinti) oppure come elemento per delimitare spazi discreti che creino un ‘ordine’ ed una ‘narrativa’ lineari, proponiamo una versione emancipata. La ‘parete’ diventa il motore versatile per l’allestimento delle mostre. Nelle sue forme – muro solido, schermo di proiezione, tela, finestra sulla città – la parete espositiva diventa il principale strumento di definizione dello spazio”91.
Le pareti, dunque, non sono più concepite come statici supporti per le opere, esposte secondo gerarchie e classifiche, ma come impulsi in movimento, motori dinamici di narrazioni plurali e simultanee; non più stanze scatolari, spazi circoscritti, chiusi e contenuti da pareti, ma pareti che si trasformano in congegni, in stimoli a progettare allestimenti non usuali e mai scontati:
“mutando continuamente dimensione e geometria, il muro si adatta ad ogni ruolo il curatore gli voglia attribuire. Sistemando entro gli spazi della galleria una serie di potenziali partizioni, appese alle travi del soffitto, si viene a creare un sistema espositivo versatile”92.
90 Ivi.
91 Relazione di progetto, op. cit.. 92 Ivi.
Il visitatore può percepire, in questo modo, l’unicità dell’oggetto architettonico, penetrando sia gli spazi del museo sia le opere che essi accolgono: così, sculture, dipinti e installazioni, l’arte in breve, nel manifestare la sua capacità di interagire con la nuova fluidità territoriale del comunicare architettonico, crea una perfetta reciprocità con il contenitore, riuscendo a sfidare lo spazio in un corpo a corpo, a riaffermarsi e ad entrare nel flusso del XXI secolo.
Il MAXXI, dunque, a differenza dei contenitori spettacolari e seducenti in virtù del loro packaging, che garantisce sicuro successo di pubblico a prescindere dalle opere contenute, si propone come ‘opera d’arte ’ dotata di un proprio carattere iconico certamente dal forte potere attrattivo (basti pensare alla sua inaugurazione avvenuta a museo vuoto), ma anche come centro pulsante e
Il contenitore tetragono alle critiche sferzanti: “Il MAXXI non è un museo di arte contemporanea, tutto al più è una scultura contemporanea. In definitiva è il Mausoleo
di Zaha Hadid e come tale è straordinario” (V. Sgarbi)
L’edificio del MAXXI è stato da subito oggetto di rifiuto pregiudiziale e di polemiche e discussioni controverse: critiche inevitabili se si considera l’ambito della disquisizione, il contemporaneo, e quindi, qualcosa di per sé fuori dai canoni tradizionali, fuori dalle convenzioni, rappresentativo non della storia passata, ma del momento presente con le sue molteplici contraddizioni. In particolare, dell’edificio è stata contestata sia la collocazione che la forma, giudicata suggestiva ma autoreferenziale e inadeguata per un museo ed è stata sottolineata la dicotomia fra un involucro/contenitore spettacolare ed un contenuto di opere assai meno significativo. Sull’inserimento nel contesto urbano si sono spese molte parole: un museo-‐scultura fine a se stesso che fluttua in un sito che non gli appartiene, con un recupero “banalmente risolto con la sopravvivenza di una parte della facciata della caserma demolita, per dar vita a un edificio che poco si integra con il paesaggio urbano circostante. Restando un corpo estraneo”*. L’idea di uno spazio
espositivo costituito da piani curvilinei ha ricordato, invece, le animate discussioni suscitate circa sessanta anni fa dal Solomon Guggenheim Museum di New York. Analogamente a quanto accadde all’epoca per l’edificio di Wright, infatti, oggetto di perplessità e critica anche pungente (oltre a come avrebbe dovuto essere e cosa avrebbe dovuto contenere un museo d'arte) è stata l’opportunità o meno di realizzare pareti curve per l’esposizione di dipinti anche di grande dimensione; critica poi smentita dalla presenza costante di grandi opere pittoriche esposte nel tempo. Adesso, il nuovo corso del museo romano che partirà dal Maggio 2017, con il raddoppio della collezione permanente e l’acquisizione di nuovi progetti d’architettura, imprimerà una virata al conformismo negativo che sembra aver accomunato nel recente passato certa parte del pubblico romano e non solo.
* (G. MURATORE, Il Maxxi: per fortuna oggi non ci sono più le condizioni per farlo, in AR 112 Tematiche, Maggio 2015)
pensato per la comunicazione, come un ‘organismo sensibile’ che trova ragione nel paradigma dell’interazione tra opera d’arte e visitatore, “come una cassa di risonanza di per se stessa produttrice di emozioni e sensazioni entro le quali vivono altri ‘strumenti’ anch’essi concepiti per emettere una musica propria”93.
3.5 La mission: il dialogo fra due discipline, l’arte e l’architettura del XXI