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Eutanasia e scelte di fine vita nel diritto penale.

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Academic year: 2021

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PREMESSA

Il tema dellʼeutanasia è ampiamente dibattuto a livello giuridico, ma coinvolge molti più settori come quello medico, teologico e filosofico; inoltre è diventato sempre più spesso argomento di discussione per lʼopinione pubblica.

Lo stesso termine “eutanasia” non assume mai un significato unitario ma riconduce, in generale, ad un molteplice insieme di fenomeni appartenenti alla vita reale.

Etimologicamente “eutanasia” significa “dolce morte” (dal greco εὐθανασία, composta da εὔ-, bene e θάνατος, morte) e, nel linguaggio comune, spesso anche impropriamente, è utilizzata per riferirsi al caso in cui un soggetto terzo pone fine alla vita di un altro soggetto in maniera indolore.

In realtà questa è una accezione del termine che, però, lascia fuori una moltitudine di casi che, invece, devono essere ricompresi sotto la definizione stessa di eutanasia.

Innanzitutto, per avere un quadro giuridico più chiaro e coerente, è bene precisare che i suddetti casi, diversi tra loro per finalità, modalità o moventi, sono riconducibili a due macro-raggruppamenti di fenomeni eutanasici:

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- lʼeutanasia collettivistica (posta in essere per un fine di utilità pubblico- collettiva);

- lʼeutanasia individualistica o cosiddetta “pietosa” (posta in essere per un sentimento di pietà verso lo stato della vittima)1.

Il dibattito sullʼeutanasia, sicuramente, non è limitato al nostro secolo ed è, infatti, proprio la storia che ci mostra come il fenomeno di eutanasia collettiva sia in realtà molto variegato.

Basti pensare, ad esempio, allʼEuthanasieprogramm nazista ovvero lʼintento di migliorare la razza attraverso lʼeliminazione di soggetti disabili, malati fisicamente o psicologicamente, soggetti di diverse etnie o soggetti comunque non considerati idonei alla sopravvivenza in quel tipo di società.

Addentrandosi poi fino allʼantichità, notiamo come, già dai tempi di Aristotele, fosse presente la volontà di sopprimere da piccoli, i bambini che mostrassero deformazioni o malattie2.

Entrambi sono esempi di un tipo di eutanasia collettiva detta eutanasia eugenica.

Un significato affine assume la categoria detta eutanasia economica che giustifica la soppressione indolore di individui deboli, di malati incurabili, di anziani che non rappresentano nessuna utilità economica ma solo un peso, soprattutto per le tasche dello Stato.

1 F.MANTOVANI, voce “Eutanasia” in Digesto delle discipline penalistiche,UTET, Torino, 1990, pag. 422 e ss.

2 ARISTOTELE, La Politica, VII, 1335, Roma-Bari 1993, testualmente “... sia legge non allevare nessun bimbo deforme...”.

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Una tipologia che, invece, vive nel presente ed è anche ammessa in larga misura è lʼeutanasia criminale vale a dire la pena di morte, cioè la privazione della vita (peraltro non sempre con metodi indolore) come pena per un soggetto colpevole di gravi crimini.

Affianco a queste categorie ne incontriamo altre come lʼeutanasia sperimentale, in cui si favorisce il progresso della scienza a discapito della vita di una persona, lʼeutanasia profilattica che consiste nellʼuccisione di soggetti col solo fine di salvaguardarne altri (magari in caso di epidemie) ed infine lʼeutanasia solidaristica attraverso la quale la vita di qualcuno viene sacrificata a favore della vita o salute di altri (per esempio per prelevare organi a scopo di trapianto)3.

Ovviamente, anche per quel che riguarda lʼeutanasia individualistica, ci ritroveremo di fronte a più tipologie della stessa (pura, passiva, attiva) e le esamineremo dettagliatamente.

Lo scopo di questo lavoro è infatti quello di cercare di delineare al meglio la situazione attuale in merito a questo tema prendendo, però, le mosse da una analisi generale sia a livello storico, per capire come cambi nel tempo il concetto dellʼoriginario significato etimologico della parola “eutanasia”, sia a livello religioso, in quanto le diverse confessioni influiscono e spesso si collocano addirittura come base ideologica delle conseguentemente diverse discipline giuridiche formatesi nelle nazioni.

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Proprio per la differenza con cui ogni stato affronta il tema, sarà fatto cenno al diritto comparato; in particolar modo riferendoci a quei sistemi giuridici che da tempo hanno una legislazione avanguardistica in materia come lʼOlanda e la Svizzera.

Come si è visto poco sopra sarà oggetto di approfondimento quella che è la forma più comune di eutanasia ovvero lʼeutanasia individualistica pietosa, da quella indiretta a quella attiva e passiva per poi poter passare ad esaminare, alcuni casi giurisprudenziali particolarmente complessi.

Infatti, in un clima culturale, in cui è giusto e doveroso cercare di dare a tutti le migliori cure a disposizione, può capitare che, grazie agli enormi progressi e risultati raggiunti dalle scienze mediche, si salvino delle vite rendendole, però, allo stesso tempo, dipendenti da apparecchiature artificiali.

Lʼutilizzo di dispositivi salvavita o di altri trattamenti clinici invasivi, ha portato ad interrogarsi sulla loro liceità e soprattutto sulla loro disponibilità:

attivarli, sospenderli o interromperli; interrompendo così, con essi, anche la propria vita.

Si sta parlando di casi limite, casi in cui la linea di demarcazione, fra il legittimo esercizio del diritto a rifiutare un trattamento sanitario (art. 32,co.2 COST.) e la condotta penale di soppressione della vita altrui, è lieve.

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Ed è proprio in queste circostanze che si annida uno dei problemi cardine di questa tematica : il consenso, una manifestazione diretta e attuale della volontà del soggetto.

Come esempi paradigmatici di eutanasia analizzeremo il caso di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, casi giurisprudenziali che in Italia hanno suscitato un importante dibattito culturale intorno ad essi ed hanno imposto al diritto penale di dover dare soluzioni convincenti su temi così delicati.

Nel caso Welby era lo stesso paziente, pienamente cosciente e capace, a richiedere la disconnessione dal ventilaltore, nel caso Englaro, la volontà, secondo la Cassazione, doveva essere ricostruita sulla base di elementi probatori “chiari, univoci e convincenti ”.

Lʼaccertamento del consenso, anche nel caso in cui non vi siano dubbi, non è, però, sufficiente a escludere lʼilliceità penale della sospensione del trattamento salvavita; anzi lʼefficacia della scriminante del consenso dellʼavente diritto, è esclusa nel caso in cui riguardi beni indisponibili (art. 50 c.p.).

Tuttavia, la giurisprudenza si sta muovendo verso un più ampio riconoscimento dellʼautodeterminazione in ambito sanitario, con particolare rilievo per il diritto, costituzionalmente tutelato, al rifiuto di trattamenti sanitari anche salvavita4.

Ma il confine fra il lecito e lʼillecito rimane sempre molto labile.

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Inoltre, se è vero che, queste situazioni di dubbio, creano molte problematiche a livello etico-morale, è oltremodo vero che irrompono negli schemi rigidi del diritto e proprio a questo chiedono una risposta. Alla giurisprudenza è, dunque, lasciato lʼarduo compito di destreggiarsi e trovare un punto di equilibrio fra le regole della deontologia medica, lʼautodeterminazione del paziente e le norme di diritto.

Quindi un ultimo esame sarà incentrato proprio sullʼattuale situazione del diritto penale in materia di eutanasia e trattamenti di fine vita, con particolare attenzione sia alla normativa vigente sia alle proposte elaborate de iure condendo.

In conclusione, siamo sicuri che la frammentaria legislazione e le scarse sentenze sul tema, riescano a disciplinare incontrovertibilmente questo particolare aspetto del bene “vita” , bene giuridico per eccellenza, presupposto per il godimento di ogni altro diritto della persona?

Oppure ci sentiremo più tutelati se, la nostra volontà su particolari trattamenti salvavita, a cui essere o non essere sottoposti in precise circostanze, fosse garantita da una legge ad hoc che cerchi di soddisfare allo stesso tempo più parti in causa (la volontà del paziente, la condotta responsabile del medico e le confessioni religiose)?

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CAPITOLO I

LʼEUTANASIA: PARTE GENERALE

1.

Lʼeutanasia dal punto di vista storico.

1.1 Nel mondo antico.

Lʼeutanasia, come si è cercato di illustrare nella breve premessa poco sopra, è un fenomeno molto variegato ed è, da sempre, oggetto di forti dibattiti e discussioni.

Infatti nonostante il tema sia di grande attualità, ha origini piuttosto lontane.

La parola stessa ha origini greche (εὐθανασία, εὔ- bene e θάνατος- morte) e significa letteralmente “una buona morte”.

Ma accanto al significato testuale, si sono affiancati tanti diversi concetti quante epoche storiche si sono susseguite.

Partendo proprio dal mondo ellenico, vediamo che questo vocabolo era utilizzato per intendere il modo con cui si concludeva la vita ed era diverso a seconda di che tipo di vita si conduceva, quindi, per esempio, mentre per un guerriero una “buona morte” poteva essere

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rappresentata dalla morte in battaglia5, per qualsiasi altra persona

poteva voler dire una morte tranquilla senza estenuanti sopportazioni di dolore fisico e magari circondati dallʼaffetto dei famigliari.

Sempre in Grecia, a Sparta, nacque unʼulteriore idea di eutanasia, che si proponeva di migliorare la società alleggerendola dal peso di soggetti deboli, come malati o anziani, abbandonandoli a loro stessi, quindi lasciandoli morire oppure uccidendoli.

La stessa pratica di fini utilitaristici era presente e condivisa dal mondo romano.

Si narra che lʼindividuo divenuto anziano e contemporaneamente incapace sia di provvedere al proprio sostentamento, sia di offrire qualcosa di materialmente utilità alla società, venisse ucciso6.

5 Ettore, prima dell'ultimo duello contro Achille; Iliade , XXII, 304-305.   “ μὴ μὰν ἀσπουδί γε καὶ ἀκλειῶς ἀπολοίμην,

ἀλλὰ μέγα ῥέξας τι καὶ ἐσσομένοισι πυθέσθαι ”

“Ma non fia per questo

che da codardo io cada: periremo, ma glorïosi, e alle future genti

qualche bel fatto porterà il mio nome”.

6 G.LUCHETTI, D.MASINI, F.MATTIOLI, Spunti per unʼindagine sullʼeutanasia nel

mondo antico. Si fa riferimento ad una leggenda romana che vuole che gli anziani,

oltre i sessantʼanni, fossero uccisi per far fronte alla scarsità di cibo, vista la

sproporzione fra abitanti e approvvigionamenti. Sembrerebbe che proprio nel periodo della Roma arcaica si diffuse lʼusanza dellʼuccisione per “depontazione” degli ultra-sessagenari (“de ponte in Tiberim deicere” e “Sexagenarii de ponte”); in

S.CANESTRARI, G.CIMBALO, G.PAPPALARDO, Eutanasia e Diritto: confronto tra discipline, Giappichelli, Torino, 2003, pag. 33 e ss.

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Ciò rappresenta una prima forma di eutanasia eugenica7 ed

economica8, ma apre anche la via ad un problema cruciale, quello della

somministrazione della morte da parte del medico. Questo tema di correttezza morale è piuttosto controverso ed ogni volta che si pone porta automaticamente con sé il riferimento al giuramento prestato da medici-chirurgi e odontoiatri prima di iniziare la loro professione: il Giuramento di Ippocrate.

In esso leggiamo : “ Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo ”, deducendone lʼassoluta contrarietà a questa pratica.

Di simile parere deontologico anche fonti più antiche come il Codice di Hammurabi e la Bibbia nella parte dellʼAntico Testamento in cui si narra

7 PLATONE, La Repubblica, 459c - 460c, “ Invece i figlioli degli elementi peggiori e

anche lʼeventuale prole minorata degli altri, li nasconderanno, comeʼè bene, in un luogo segreto e celato alla vista ”.

8 PLATONE, La Repubblica, 409e - 410a, parlando di arti mediche e giuridiche “...

useranno quelli che siano naturalmente sani di corpo e d'anima. Quanto a quelli che non lo siano, i medici lasceranno morire chi è fisicamente malato, i giudici faranno uccidere chi ha l'anima naturalmente cattiva e inguaribile. Questa è evidentemente la migliore soluzione sia per questi stessi sciagurati sia per lo stato.”

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della leggenda del combattente Saul ucciso da un altro soldato su sua richiesta ma David in seguito lo condanna a morte per omicidio9.

In linea di massima, però, sempre riferendoci allʼepoca pre-cristiana, le filosofie più note come epicureismo e stoicismo, pur non trattando specificatamente il tema eutanasia, considerano il suicidio come unʼazione moralmente accettabile e dunque da rispettare in determinate circostanze.

Gli esempi più citati come casi ammirevoli di suicidio sono quelli di Socrate e Seneca, aiutato da medici e servitori a morire in maniera dignitosa, nel momento in cui riteneva che, rimanendo in vita, non avrebbe più potuto offrire nulla alla società. Infatti nei suoi scritti, Seneca, condanna chi usa il suicidio per fini meramente egoistici, mentre condivide lʼidea di rinunciare alla vita quando ad essa non corrisponda più nessuna possibilità di offrire qualcosa di utile ai propri cari10.

9 II SAMUELE 1, 6-16, “ 6 Il giovane che recava la notizia rispose: «Ero capitato per

caso sul monte Gelboe e vidi Saul curvo sulla lancia: lo attaccavano carri e cavalieri. 7 Egli si volse indietro, mi vide e mi chiamò vicino. Dissi: “Eccomi!”. 8 Mi chiese: “Chi sei tu?”. Gli risposi: “Sono un Amalecita”. 9 Mi disse: “Gettati sopra di me e uccidimi: io sento i brividi, ma la vita è ancora tutta in me”. 10 Io gli fui sopra e lo uccisi, perché capivo che non sarebbe sopravvissuto alla sua caduta. Poi presi il diadema che era sul suo capo e la catenella che aveva al braccio e li ho portati qui al mio signore». 11 Davide afferrò le sue vesti e le stracciò; così fecero tutti gli uomini che erano con lui. 12 Essi alzarono lamenti, piansero e digiunarono fino a sera per Saul e Gionata, suo figlio, per il popolo del Signore e per la casa dʼIsraele, perché erano caduti di spada. 13 Davide chiese poi al giovane che aveva portato la notizia: «Di dove sei tu?». Rispose: «Sono figlio di un forestiero amalecita». 14 Davide gli disse allora: «Come non hai temuto di stendere la mano per uccidere il consacrato del Signore?». 15 Davide chiamò uno dei suoi giovani e gli disse: «Accostati e aggrediscilo». Egli lo colpì subito e quegli morì. 16 Davide gridò a lui: «Il tuo sangue ricada sul tuo capo. Attesta contro di te la tua bocca che ha detto: “Io ho ucciso il consacrato del Signore!”».”

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Pertanto arriviamo a constatare che in epoca classica, sia essa greca o romana, la pratica eutanasica è ammissibile nellʼottica della prevalenza del bene collettivo rispetto a quello individuale, in una visione prettamente utilitaristica, cioè a seconda che lʼazione sia voluta e richiesta dal soggetto stesso oppure imposta o attuata per fini sociali.

1.2 Dal medioevo allʼetà moderna.

In età medioevale è notevole lʼinfluenza del pensiero ebraico-cristiano che, come meglio approfondiremo in seguito, si basa sullʼidea che la vita sia un dono sacro e per questo lʼuomo non può disporne liberamente, e quindi il suicidio, come anche lʼeutanasia sono comportamenti condannabili.

Tommaso dʼAquino, con tre semplici affermazioni, supporta la tesi della contrarietà di tali comportamenti alla legge divina ma anche alla legge morale:

- per natura ogni uomo si ama e dunque tende alla conservazione di se stesso;

- lʼuomo fa parte di un tutto che è la società quindi morendo farebbe un torto a questa;

- la vita è un dono di Dio e perciò solo Lui può disporne, diversamente, optando di porre fine in modo arbitrario alla propria vita, si sta commettendo un grave peccato11.

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Nel Medioevo dunque, il cristianesimo monopolizzò il rapporto con la morte e soltanto con il Rinascimento lʼargomento tornò ad essere oggetto di trattazioni filosofiche che giustificano lʼ interruzione volontaria della vita preparando le basi per il moderno concetto di eutanasia che vede la morte come unica soluzione per eliminare le sofferenze di un male incurabile. Sostenitori di questa visione sono per esempio Thomas More12, Michel de Montaigne13, Pierre Charron14.

Se è vero, come è vero che Thomas More parla dellʼargomento introducendo concetti sostanzialmente moderni, sostenendo ed affiancando alla classica eutanasia eugenica ed economica anche lʼidea dellʼeutanasia terapeutica o pietosa che libera da atroci

12 THOMAS MORE, Utopia, 1516, sullʼeutanasia : “ Nella migliore forma di repubblica i

malati incurabili sono assistiti nel miglior modo possibile. Ma se il male non solo è inguaribile, ma dà al paziente continue sofferenze allora sacerdoti e magistrati, visto che il malato è inetto a qualsiasi compito, molesto agli altri, gravoso a sé stesso, sopravvive insomma alla propria morte, lo aiutano a morire liberandosi, lui stesso, da quella vita amara, ovvero consenta di sua volontà a farsi aiutare dagli altri. Sarebbe un atto religioso e santo”. Secondo More infatti “chi non vuole lasciare la vita deve continuare ad essere curato senza riserve.”

13 MICHEL DE MONTAIGNE, Saggi, 1580, sul suicidio : “...il saggio vive quanto deve

e non quanto può; la natura ha fissato un solo modo di entrare nella vita, ma

centomila modi per uscirne (ed è questo il suo dono più bello); la morte è lʼevento che risana tutte le ferite, è la ricetta per tutti i mali, è “il porto sicurissimo” cui lʼuomo è destinato ad approdare dopo la difficile navigazione della vita; la morte volontaria è la più bella; la vita dipende dalla volontà altrui, ma la morte dalla nostra; contro le malattie più gravi occorrono i rimedi più efficaci; Dio ci dà un chiaro segno di congedo quando ci mette in uno stato tale che per noi vivere è peggio che morire; come io non violo le leggi stabilite contro i ladri quando rubo dalla mia borsa, così non sono punibile in base alle leggi contro gli assassini se mi tolgo la vita.”

14 PIERRE CHARRON, Della saggezza, 1601, sul suicidio : “come è meglio sposarsi

piuttosto che peccare, così uccidersi è un gesto ragionevole e giustificato in caso di “mali insopportabili e irrimediabili”, che possono sconvolgere lo spirito, portare alla disperazione, al risentimento o alla rivolta.”

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sofferenze lʼammalato15, è altrettanto vero che il termine eutanasia non fu introdotto nelle lingue occidentali fino al 1605 dal filosofo inglese Francis Bacon nel saggio “Of the Proficience and Advancement of

Learning” (Progresso della conoscenza).

Bacon fa corrispondere al termine eutanasia il significato puramente etimologico di buona morte, una morte priva di sofferenze, e collega il vocabolo alla sfera del rapporto tra medico e paziente, invitando per cui i medici né ad abbandonare i pazienti incurabili a se stessi, né ad aiutarli a morire, ma solo ad assisterli e sostenerli nel morire. In questʼidea, il medico, che non è mai autorizzato a sopprimere volontariamente lʼindividuo, lascia intatte le dinamiche naturali che portano alla morte ma, allo stesso tempo si adopera per lenire inutili dolori e angosce, attraverso cure palliative e terapia del dolore.

La grande innovazione, oltre allʼutilizzo del vocabolo stesso, è lʼaver collegato lʼazione allʼattività del medico ed averne distinto nellʼopera del 1623 De dignitate et augmentis scientiarum, due tipologie:

- lʼ “eutanasia esteriore” ("euthanasia exterior") intesa come interruzione di vita in modo sereno e senza sofferenze ("excessus e vita lenis e

placidus");

- lʼ “eutanasia interiore” ("euthanasia interior") intesa come preparazione psicologico-spirituale alla morte ("animae praeparatio").

15 G.LUCHETTI, D.MASINI, F.MATTIOLI, op.cit. pag.24. Questo è il pensiero che traspare nel testo Utopia, infatti T.More si focalizza sulla condizione dei malati incurabili in questa sua società ideale della Repubblica dellʼisola di Utopia e pur non chiamandola così, anticipa il moderno dibattito sullʼeutanasia.

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Per Bacon, compito del medico è proprio dare al paziente insanabile unʼeutanasia esteriore. Ugualmente a More (“chi non vuole lasciare la

vita deve continuare ad essere curato senza riserve”), però, anche

Bacon ritiene determinante la volontà del malato, senza la quale nulla può essere fatto o dato.

Ma questa interpretazione è ancora molto lontana dallʼodierna idea di creare proposte per la legalizzazione dellʼeutanasia.

In età moderna si sviluppano diversi filoni di pensiero attorno ai temi di fine vita, in particolar modo sul suicidio, e le teorie filosofiche si dividono fra chi continua a sostenere che il suicidio sia un atto immorale e lesivo del bene comune della società, da Diderot, Kant, Fichte nel settecento e da Hegel16 allʼinizio Ottocento e chi, invece, lo giustifica e lo sostiene anche se in forma anonima o con opere postume come per esempio Donne, Robeck e Hume17.

Tuttavia, nonostante la diversità di posizione dei pensatori “moderni”, lʼilluminismo ha segnato una decisiva svolta per quel processo di decriminializzazione e depenalizzazione del suicidio iniziato grazie allʼaiuto di Federico II di Hohenzollern (Federico il Grande di Prussia), che era solito ospitare gli intellettuali del tempo nella sua reggia di Saint-Souci a Postdam. Invece, per quel che riguarda esclusivamente 16 GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL, in Fenomenologia della spirito, lʼesistenza umana è lʼintegrazione della morte nella vita: “Ma non la vita che teme la morte e la

mantiene pura dalle devastazioni, ma che la sopporta e si conserva in essa, è la vita dello spirito. Questa morte raggiunge la sua verità trovando se stessa nella

lacerazione assoluta”

17 DAVID HUME, in un saggio Sul suicidio, pubblicato postumo nel 1777, afferma: “...se la Provvidenza governa molte cause, tra di esse potrebbe esserci anche lʼatto di

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la fattispecie eutanasiaca, nel famoso Dizionario Universale

dellʼIlluminsmo di Zedler del 1734, lʼeutanasia viene definita come

“morte molto lieve che sopraggiunge senza convulsioni dolorose ”.

Negli anni successivi si prendono le distanze dalle idee di More e Bacon. Viene rifiutata lʼeutanasia esteriore mentre è accettata quella interiore18.

La parola eutanasia viene poi ad assumere una molteplicità di significati che vede ai suoi estremi, da una parte lʼinterruzione della vita e, dallʼaltra, la mera assistenza al morire.

Ma sul finire dellʼottocento, il termine introdotto da Bacon inizia ad essere sempre più frequentemente utilizzato associato al concetto di “uccisione per pietà” tramite un intervento medico, che su espressa volontà del paziente, tende a porre fine alle sofferenze del malato.

1.3 La storia contemporanea.

Nel XX secolo, la richiesta della pratica eutanasica va notevolmente aumentando e proprio per questo motivo, in diversi stati, si alternano

18 CHRISTOPH WIHELM HUFELAND, medico tedesco, 1800 afferma che: “il medico

deve e non può far altro se non mantenere la vita, sia che tratti di una vita in fortuna o in sfortuna, sia che abbia o meno valore. Questa è una cosa che non lo riguarda. Dovesse mai operare sulla base di tali considerazioni, le conseguenze saranno imprevedibili e il medico diventerà la persona più pericolosa allʼinterno di quello stato. Infatti una volta superato questo limite, una volta che il medico si crede autorizzato a decidere sulla necessità di una vita, il passo sarà breve dal considerare senza valore e inutile la vita umana”.

MAXIMILIEN ISIDOR SIMON, medico francese in Déontologie médicale, 1845,

sostiene lecito e doveroso aiutare il malato a raggiungere la morte con mezzi fisici e psicologici, ma non sopprimere attivamente la sua vita; infatti per lui la medicina è un “ramo della carità“ ("branche de la charité"), la "vera eutanasia" starebbe nella fede, nellʼunione con Dio ("une union intime avec Dieu; là est la véritable euthanasie").

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proposte e progetti di legge al riguardo.

Nel 1906 abbiamo nellʼOhio la primissima richiesta da parte del Parlamento che, dopo avere presentato un testo di legge, lo vide respinto dal Consiglio Superiore.

Iniziarono poi a nascere società per lʼeutanasia volontaria come la londinese “Vesper” nel 1935 grazie a Lord Moynihan e al dottor Killick Millard, seguita nel 1938, dalla newyorkese “Società americana per

lʼeutanasia volontaria”, ad opera del reverendo Charles Potter.

La Vesper presentò un suo progetto di legge, anchʼesso respinto dalla Camera dei Lords.

Ma affianco a questi movimenti, a sostegno dellʼeutanasia volontaria, inizia a riaffermarsi, attraverso nuove manifestazioni, un concetto di eutanasia che ha un retaggio classico ovvero quello della cosiddetta “eutanasia sociale”.

Ne è paradigma lʼAktion T419, operazione nazista tesa allʼeliminazione di soggetti vecchi o malati fisicamente e psicologicamente.

Il tutto coperto da un precedente percorso giuridico che mirava a rende il piano di “igiene razziale” legale. Infatti, anche prima del regime nazista, durante gli anni ʼ20 del Terzo Reich, si arriva allʼuccisione criminale di un gran numero di pazienti ospedalieri considerati incurabili, risparmiando così su costi ritenuti onerosi e soprattutto inutili.

19 Venne creato un centro di coordinamento dellʼoperazione, con sede un villino espropriato ad un ebreo, a Berlino in Tiergartenstrasse n° 4, da qui il nome in codice dellʼoperazione: AktionT4.

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Inoltre già serpeggiava lʼidea dellʼeliminazione infantile di bambini affetti da deficienze mentali 20.

Notiamo come da un lato si evidenzino motivazioni economiche21, non sufficienti però a giustificare unʼazione così sistematica , e dallʼaltro inizino a profilarsi idee eugenetiche tipiche del nazismo, più consone a motivare il piano di conservazione della purezza della razza ariana. Fu quindi un susseguirsi di leggi 22 e campagne 23, volte a convincere il popolo della bontà di tali pratiche, culminate con lʼinizio del processo di eutanasia per ordine scritto dello stesso Adolf Hitler 24, il 1 Settembre 1939.

20 E.MELTZER, psichiatra infantile, inviò ai genitori dei bambini in cura al

Katharinenhof, centro da lui diretto, un questionario (per sostenere il progetto di una imminente legge che a suo dire avrebbe vietato lʼeutanasia) con la domanda: "Acconsentirebbe allʼaccorciamento indolore della vita di Suo figlio nel caso in cui un

esperto ne constatasse lʼinguaribile deficienza mentale?“. Il 73% dei genitori rispose in

maniera affermativa e il 27% negativa.

21 A.HOCKE e K.BINDING in L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non più degne

di essere vissute, 1920, sostengono che alcune vite sono connotate esclusivamente

dalla sofferenza, sia per i pazienti stessi, sia per famigliari e sono inoltre un costo inutile e, dunque, un danno economico per lo Stato che quindi avrebbe dovuto autorizzarne e promuoverne lʼuccisione.

22 1933 Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie

ereditarie;

1935 Legge sulla salvaguardia della salute ereditaria del popolo tedesco.

23 Fu creata la "Commissione del Reich per la salute del popolo" che organizzava propaganda in scuole e uffici pubblici.

24 Testualmente: "Il Reichsleiter Bouhler e il dottor Brandt sono incaricati, sotto la

propria responsabilità, di estendere le competenze di alcuni medici da loro nominati, autorizzandoli a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l'umano giudizio, previa valutazione critica del loro stato di malattia"

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Nel 1941 si interruppero ufficialmente le pratiche di eliminazione con una stima di 70000 vittime; in via ufficiosa 25 , però, le soppressioni continuarono fino alle termine della guerra.

Durante il processo di Norimberga, nel 1946/47, vennero condannati i responsabili di quella che non può che essere definita una forma illegale e amorale, direi selvaggia, di eutanasia, che portava alla morte di soggetti non informati, che non avevano espresso nessuna forma di consenso o proprio andando contro la loro volontà.

Eʼ dunque intuitivo constatare che ne seguì un periodo in cui tutti i temi riguardanti la materia eutanasica venivano trattati molto cautamente. In ogni caso il dibattito, anche se sopito, non fu mai interrotto, ma anzi cominciò a riacquistare vigore con il veloce progredire delle scienze mediche soprattutto quando queste svilupparono tecniche di rianimazione che conducevano il paziente in uno stato vegetativo persistente. Infatti si ottennero molti consensi, quando nel 1974 alcuni fra i più importanti scienziati e filosofi produssero il manifesto A Plea for

Beneficent Euthanasia. Inoltre dal 1980 ad oggi le associazioni di tutto il

mondo sono riunite nella WFRtDS World Federation of Right to Die

Socities (Federazione Mondiale delle Società per il Diritto di Morire).

Palese è la conclusione che, davanti a questi nuovi e più forti movimenti a favore dellʼeutanasia volontaria e della sua legalizzazione, ogni Paese reagì in maniera differente a seconda delle sue usanze, cultura o

25 Essendo stato scoperto il piano, le proteste iniziarono a fermentare così Hitler trasformò lʼazione Aktion T4 in unʼaltra azione (Aktion 14F13) condotta dalle SS unitamente alle pratiche svolte nei campi di concentramento.

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religione dando vita alle più disparate soluzioni giurisprudenziali; ma di questo diremo in seguito.

2.

Lʼeutanasia dal punto di vista religioso, etico-morale

e culturale.

2.1 Il cristianesimo e la Chiesa Cattolica.

Il dibattito sullʼeutanasia, essendo il tema così delicato, ha catturato lʼattenzione di molti settori, in particolar modo di uno: la religione.

Lʼambito religioso è notevolmente rilevante in quanto, come già abbiamo accennato, influenza i sistemi giuridici e ne costituisce spesso la base ideologica.

Sono diverse le confessioni religiose che hanno preso una posizione, più o meno dettagliata nei confronti dellʼargomento eutanasia.

Ovviamente non vi è unʼidea unitaria, ma possiamo constatare come, a grandi linee, abbiano credenze simili fra loro, la religione cattolica, lʼebraismo e lʼislamismo, distaccandosi però dallʼinduismo e dal buddismo, due religioni, queste ultime, più inclini a giustificare la pratica eutanasica.

Se si prende il punto di vista religioso cattolico, lʼeutanasia non può che essere un comportamento da condannare.

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Il Magistero della Chiesa Cattolica è intervenuto più volte in tema di eutanasia.

Un primo documento incentrato sullʼargomento è stato realizzato dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede ed è la “Dichiarazione sullʼeutanasia”, del 5 Maggio 1980.

Il documento arriva quasi in risposta ai problemi etici che i progressi scientifici avevano sollevato grazie alla creazione e utilizzo di nuove tecnologie mediche che consentivano una più alta percentuale di guarigione e soprattutto un prolungamento della vita.

Infatti, il ragionamento non è circoscritto al concetto di eutanasia, ma si vanno argomentando tematiche riguardanti lʼuso di analgesici e lʼattuazione di mezzi terapeutici.

Il dolore fisico, come elemento naturale della condizione umana, assume un significato particolare nei momenti ultimi della vita, rappresentando un sacrificio volontario da offrire al Padre (richiamando e avvicinandosi così alle sofferenze di Cristo crocifisso); tuttavia il giudizio umano e cristiano suggerisce lʼuso di medicinali che possano lenire o eliminare il dolore, lasciando, proprio per questo motivo, in mano alle cure mediche la decisione sulla loro somministrazione, in caso di paziente non in grado di esprimersi.

La dichiarazione ricorda appunto le parole di Papa Pio XII, tuttʼora valide, date in risposta ad un gruppo di medici che gli chiedeva se “la

soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici... è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente (anche

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allʼavvicinarsi della morte e se si prevede che lʼuso dei narcotici abbrevierà la vita) ”.

Il Papa rispose: “Se non esistono altri mezzi e se, nelle date

circostanze, ciò non impedisce lʼadempimento di altri doveri religiosi e morali: Sì” 26.

In questi casi, a differenza di quello che succede nel caso di eutanasia,suicidio,omicidio, la morte non è cercata, non è un atto voluto, ma è soltanto un rischio che si accetta nel voler mettere fine al dolore utilizzando analgesici.

Questi stessi medicinali, se non per gravi motivi, non devono essere la causa di perdita di coscienza da parte dellʼammalato che, proprio in piena coscienza, deve prepararsi allʼincontro con il Cristo. 27

In merito ai mezzi terapeutici, per proteggere la dignità umana anche nel momento della morte, evitando così unʼabuso di tecniche mediche invasive, si va sostituendo alla consueta distinzione fra mezzi ordinari/ straordinari (generalmente sempre valida), la distinzione fra mezzi proporzionati/sproporzionati.

Optando quindi per la possibilità di astenersi dallʼattuazione di mezzi sproporzionati una volta che, valutati tutti gli elementi come il tipo di terapia, la difficoltà, i rischi che ne conseguono, le spese e il presunto risultato medico, si prospettino sofferenze e disagi maggiori dei benefici o solo un prolungamento precario e penoso della vita.

26 PIO XII , Discorso ad un gruppo di medici, 24 febbraio 1957. 27 Ibidem.

(22)

E' invece ammesso, con il consenso del paziente e come atto di generosità del paziente stesso, l'uso di i metodi nuovi e sperimentali, purché non pericolosi, al fine di accrescere il sapere e progresso medico-scientifico.

Concentrandosi sul concetto di eutanasia, la dichiarazione, ribadisce il pensiero della Chiesa: “Ora, è necessario ribadire con tutta fermezza

che niente e nessuno può autorizzare lʼuccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo. Si tratta, infatti, di una violazione della legge divina, di una offesa alla dignità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro lʼumanità”.

Si vuole così sottolineare, lʼidea cattolica della vita come un dono dato da Dio e pertanto solo da Lui controllabile.

Contrariamente, nella visione laica, ognuno è “padrone” di se stesso, della propria vita e può liberamente disporne decidendo così anche sulla propria morte.

Inoltre, come già accennato, avendo una fede cattolica, molti ammalati sopportano, con coscienza e dignità, una sofferenza quasi salvifica nellʼottica di una vita futura, una vita ultraterrena negata dagli atei che preferiscono dunque sopprimere tali dolori.

(23)

Questo documento, però, richiama come presupposti di tale visione di opposizione ad una legalizzazione dellʼeutanasia, non solo sentimenti religiosi, ma anche principi civili.

Infatti potrebbe accadere che il malato invochi la morte non per una vera e propria volontà eutanasica, ma per un recondito bisogno di affetto e aiuto dai propri cari che va spesso di pari passo, invece, con lʼidea di essere un peso per la propria famiglia.

Si sostiene così che, agli ammalati e, soprattutto, ai malati allo stadio terminale, servano tutte le competenze mediche ma ancor di più serva il conforto e lʼ affetto 28.

I principi affermati nella “Dichiarazione sullʼeutanasia”, appena esaminata, sono stati poi ribaditi e riconfermati da Giovanni Paolo II nellʼenciclica “Evangelium Vitae”, in cui si asserisce : “In conformità con

il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i Vescovi della Chiesa Cattolica, confermo che l'eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata , moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta e trasmessa dalla Tradizione della Chiesa e insegnata dal Magistero ordinario e universale. Una tale pratica comporta a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell'omicidio” 29.

28 “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lʼavete fatto a me” (Mt 25,40).

(24)

In questo passaggio, inoltre, il Sommo Pontefice evidenzia la stretta connessione tra omicidio/suicidio ed eutanasia e condanna in egual misura questi atteggiamenti che vengono considerati così poco rispettosi del dono di Dio.

Non mancano certo passaggi in cui, anche Giovanni Paolo II, sottolinei lʼimportanza della sofferenza per un cattolico,vista come sacrificio che in cambio dona, però, una speranza per una vita ultraterrena, cercando in questo modo di svelare il mistero del dolore, spesso incompreso a causa del contesto sociale : “Ma nell'orizzonte culturale complessivo

non manca di incidere anche una sorta di atteggiamento prometeico dell'uomo che, in tal modo, si illude di potersi impadronire della vita e della morte perché decide di esse, mentre in realtà viene sconfitto e schiacciato da una morte irrimediabilmente chiusa ad ogni prospettiva di senso e ad ogni speranza”30; ed ancora, rivolto al mistero della vita

“lʼuomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le

dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio” 31.

Infatti la morte di un fedele, la fine della vita, il distacco dal proprio corpo e dai propri cari è in realtà il vero inizio, il momento dellʼincontro con il Padre e del passaggio allʼeternità, motivazioni che trasformano la morte, e le sofferenze ad essa associate, motivo di grande serenità.

30 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n°15. 31 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n°2.

(25)

Lo stesso Papa scrisse in “Lettera agli anziani” : “Nonostante le

limitazioni sopraggiunte con l'età', conservo il gusto della vita … Al tempo stesso trovo una grande pace nel pensare al momento in cui il Signore mi chiamerà di vita in vita”

Sempre nellʼenciclica, invece, troviamo nuovamente evidenziato il ruolo del dominio di Dio sulla vita di cui ha omaggiato ogni essere umano, affermando quindi che chiunque ne voglia disporre liberamente stia di fatto, in maniera implicita, rifiutando la Sua sovranità: “...costituisce un

rifiuto della sovranità assoluta di Dio sulla vita e sulla morte...”32.

Ribadito dallʼ “Evangelium Vitae” , anche, il netto distinguo fra lʼeutanasia ed il rifiuto allʼaccanimento terapeutico, allʼutilizzo di trattamenti sproporzionati : “La sospensione dei mezzi sproporzionati

non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime piuttosto l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte” 33.

Il pensiero di Giovanni Paolo II è dunque quello di una netta condanna verso la pratica eutanasica sia perché questo viola la legge divina sia perché rappresenta una “una falsa pietà, anzi una preoccupante

"perversione" di essa: la vera "compassione", infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza” 34.

32 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n°66. 33 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n°67. 34 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium Vitae, n°66.

(26)

Nel 1997 è stato poi, definitivamente, approvato il testo del “Catechismo

della Chiesa Cattolica” che, sintetizzando tutta la sua dottrina, cerca di

raccogliere in pochi articoli tutto il pensiero cattolico riguardo lʼeutanasia, esortando dunque a sostenere ed aiutare i malati in un momento così difficile, togliendo così loro il pensiero di mettere fine alla propria vita, azione che sarebbe immorale e contraria alla dignità umana e al volere di Dio; lasciando invece libertà di scelta per quel che riguarda le procedure mediche straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi, e consentendo lʼuso di analgesici per alleviare le sofferenze e anzi lo incoraggia come gesto di carità verso il paziente.35

Argomentazioni tutte sostenute e rafforzate dai più recenti messaggi alla Pontificia Accademia delle Vita da parte di Papa Benedetto XVI e

Papa Francesco.

35 Catechismo della Chiesa Cattolica, Parte III, Sezione II, Capitolo II, Articolo V, 1992.

2276 Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un'esistenza per quanto possibile normale.

2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.

Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere.

2278 L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. 2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come

inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.

(27)

Papa Benedetto XVI in uno di questi messaggi, oltre a confermare in tutto e per tutto le idee fino a quel momento espresse dalla Chiesa sulle terapie straordinarie e le spinte eutanasiche, risultato di una visione utilitaristica della persona, si rivolge alla società e soprattutto al mondo del lavoro affinché si presti attenzione e si dia sostegno alle famiglie di persone colpite da una malattia grave e prolungata, per esempio mediante speciali congedi o diritti simili a quelli riconosciuti al momento di una nascita; auspicando una sinergia fra le stesse Istituzioni civili e la Chiesa 36.

Infatti, nella fase terminale di una malattia e nel momento della morte in cui a prevalere su qualsiasi altro sentimento deve essere la fraternità e la solidarietà, anche la società deve partecipare facendo in modo che le persone, che accudiscono un proprio famigliare sofferente, non siano ostacolate ma anzi aiutate e tutelate da veri e propri diritti sociali.

Da ultimo Papa Francesco, sempre rivolto allʼAccademia, condanna lʼeutanasia rimarcando la sacralità della vita, soprattutto quella degli anziani e dei malati, visti come un dono per la comunità, come una presenza che ci invita a valori forti di solidarietà e di responsabilità. Inoltre constata come la salute non sia per certo garanzia di felicità, mancando questa non viene a mancare infatti la pienezza della vita, soprattutto se, anche essendo indeboliti, non si è privati dellʼamore di chi ci circonda.

36 BENEDETTO XVI, Discorso alla Pontificia Accademia per la Vita, al Congresso dal tema “Accanto al malato inguaribile e al morente: orientamenti etici ed operativi”, 25 Febbraio 2008.

(28)

Pertanto, conclude richiamando Papa Giovanni II e lʼ “Evangelium

Vitae”, dicendo che il Vangelo della vita, in realtà, altro non è che il

Vangelo della famiglia 37.

Possiamo quindi riassumente dicendo che, il pensiero cristiano cattolico di opposizione alla legalizzazione dellʼeutanasia, trova sì fondamento nella legge divina ma è anche dettato dal rispetto di forti principi morali come amore, solidarietà e compassione.

2.2 La Chiesa Ortodossa e le Chiese Riformate : lʼesempio della Chiesa Evangelica Valdese.

Sempre allʼinterno del mondo cristiano, si colloca il pensiero della Chiesa Ortodossa e delle Chiese Riformate.

Mentre la prima sostanzialmente conferma il pensiero cattolico, equiparando di fatto lʼeutanasia a omicidio e suicidio, e classificando entrambi come peccati mortali; la seconda merita un approfondimento. Le posizioni rispetto al tema eutanasia nelle chiese riformate sono varie, ciò dipende dal tessuto sociale e soprattutto dal rapporto fra i pastori e le comunità in cui operano.

Fra queste, importante è lʼapporto dato dalla Chiesa evangelica Valdese.

37 PAPA FRANCESCO, Apertura del Concistoro, 20 febbraio 2014, accompagnato dalla pubblicazione di un messaggio,datato 19 Febbraio 2014,alla Pontificia Accademia per la Vita.

(29)

In Italia è piuttosto diffusa in Piemonte, è inoltre presente in molte comunità italiane in Svizzera e per quanto riguarda lʼestero soprattutto in Sudamerica.

La Chiesa evangelica valdese fa parte della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, è membro dellʼAlleanza mondiale delle Chiese riformate e del Consiglio Ecumenico delle Chiese.

Nel 1975 è nata lʼ Unione della Chiese metodiste e valdesi, grazie allʼaggregazione della Chiesa Metodista italiana.

La massima autorità valdese è il Sinodo, ovvero lʼassemblea generale rappresentativa delle chiese locali, composta da 180 membri, con un potere ecclesiastico interno su emanazione delle leggi, giurisdizione e dottrina.

Invece lʼorgano rappresentativo esterno, cioè verso lo Stato e le altre organizzazioni ecumeniche è la Tavola Valdese, composta da 7 membri e presieduta da un moderatore.

La presenza, sul nostro territorio, di queste confessioni religiose, ed il loro impegno in molti temi etici, ne ha favorito il dibattito.

I valdesi si sono dichiarati favorevoli alla pratica eutanasica, per combattere quella che è considerata una sofferenza inutile per il malato38.

38 “Lʼeutanasia e il suicidio assistito”, documento approvato nel 1998 dal Gruppo di

lavoro sui problemi etici posti dalla scienza (COMMISSIONE BIOETICA) istituito nel

(30)

Loro non negano il valore della vita come dono di Dio, ma distinguono la vita biologica, come insieme di funzioni chimiche, cellulari e organiche, dalla vita biografica, come insieme di relazioni e sentimenti. Giungono, così, a sostenere che “ quando la vita biografica cessa,

come nel caso di uno stato vegetativo persistente, oppure divenga intollerabile, come nelle malattie terminali, deve essere presa in considerazione lʼeventualità di porre termine alla vita biologica”39.

Ancora, a Marzo 2006, il professor Sergio Rostagno, coordinatore della Commissione Bioetica della Tavola Valdese, dopo le dichiarazioni del ministro Carlo Giovanardi (al tempo sottosegretario alla presidenza del Consiglio) sulla legge olandese in tema di eutanasia, affermò : “

L'eutanasia non è un attentato alla vita umana, ma una norma che vuole indicare come si può morire con dignità. Ci batteremo perché venga introdotta in Italia

e, sulla legge stessa, “Ci è sembrata buona perché regolamenta una procedura che ha certo i suoi limiti, ma diventa inevitabile in certi casi ben definiti ” 40.

Lʼeutanasia è dunque, per i valdesi, ritenuta lecita, sempre se attuata in base a leggi chiare e precise che sollevano oltretutto il medico da qualsiasi responsabilità giuridica, non è infatti, per loro, violata nessuna legge divina ma anzi è rispettata la volontà e la dignità dellʼuomo, unico soggetto responsabile della sua vita.

39 Ibidem.

40 Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 22 Marzo 2006 citato in

(31)

2.3 La confessione religiosa Ebraica ed Islamica.

Passando alla religione ebraica, sappiamo che, a differenza dei cattolici, gli ebrei non hanno una loro autorità centrale che esprima una visione unitaria su determinati argomenti. Essi infatti, per le questioni etiche, si basano sulla tradizione della Torah (letteralmente “insegnamento”, che si riferisce al Pentateuco, cioè i primi cinque libri dellʼantico testamento: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) e dellʼHalakha (letteralmente “andare-camminare” quindi “percorso da seguire), corpus normativo religioso ebraico, che, oltre ad essere lʼapplicazione pratica dei comandamenti esposti nella Torah, è un sistema aperto e dunque in continuo sviluppo.

Entrambe le fonti sono interpretate, e in un caso anche incrementate, dagli insegnamenti dei rabbini. Il rabbino ( letteralmente “mio

maestro” ), infatti, dà una soluzione anche a problemi nuovi, come la

stessa eutanasia è, partendo sempre da un principio biblico, in questo caso quello del non uccidere e del rispetto della vita umana propria ed altrui.

Come nel cattolicesimo, la vita e la morte sono a disposizione di Dio e non dellʼuomo, che quindi non può liberamente decidere quando porre fine alla propria vita, se non violando la legge divina e mancando di rispetto alla sacralità della vita, dono simbolo dellʼamore di Dio per i propri figli.

(32)

Però, i rabbini, guardando alla sofferenza e alla dignità del malato, ammettono lʼuso di analgesici, anche laddove questi possano, in qualche modo, avvicinare il momento della morte, purché non ne siano la diretta causa.

Viene proibita qualsiasi azione, atta a modificare il momento naturale della morte, sia che questa la anticipi, sia che questa la ritardi 41.

Spostando lʼattenzione sulla religione islamica, vediamo che, come in quella ebraica, manca unʼautorità centrale che detti una visione unitaria su particolari argomenti. Si fa, allora, riferimento alla Shariʼ ah (letteralmente “strada battuta”), ovvero legge islamica che è interpretabile tramite due significati, uno metafisico (legge di Dio) ed uno pragmatico (scienze giurisprudenziale). Le sue fonti riconosciute sono il Corano e la Sunna (gli insegnamenti del profeta Maometto). La società islamica, dove i valori di solidarietà e fratellanza hanno la priorità assoluta su elementi materialistici come tempo e denaro, rivolge ogni sacrificio e impegno quotidiano ad Allah. Grazie a questo forte spirito di devozione e al rispetto incondizionato dei precetti divini, il

41 Il rabbino di Roma RICCARDO DI SEGNI, in Eutanasia e bioetica degli stadi

terminali. La bioetica dei trapianti :

- “...Per quanto riguarda l'eutanasia e la bioetica degli stadi terminali, non esistono

indicazioni chiare e specifiche su questi punti nella Bibbia, ma da questa vengono comunque tratte le basi per il ragionamento successivo della tradizione...” e

- “...Nel conflitto di interessi tra tutela della santità della vita e l'esigenza legittima di

liberare dalla sofferenza, quest'ultima non può avere la prevalenza. Questo non significa tuttavia che non sia parimenti doveroso preoccuparsi della dignità del malato e lenire al massimo le sue sofferenze. I farmaci antidolorifici sono permessi, anche se possono affrettare la morte, purché non siano dati proprio per questo scopo...”

- “..Di qui l'importante distinzione: così come è proibito accelerare la morte di un individuo, parimenti può essere proibito ritardarla con mezzi artificiali...”

(33)

problema eutanasia non è stato ancora dibattuto in maniera molto organica, ma se ne può ricostruire lʼidea attraverso la lettura del Corano unitamente al Codice Islamico di Etica Medica.

Dio dà la vita 42, a Lui appartiene 43 e di essa, solo Lui, può disporre,

infatti si vive e si muore col permesso e nel momento da Lui stabilito 44.

Eʼ quindi sottolineata la sacralità della vita, che non deve mai essere tolta45 in maniera arbitraria tramite omicidio o suicidio, nemmeno come

atto misericordioso46.

Il Corano ripete più volte di non mettere a repentaglio la propria vita o quella altrui, perché in entrambi i casi si commetterebbe un peccato mortale. Tuttavia, rimane ferma, per alcuni fondamentalisti, lʼidea che morire per Allah sia un gesto che attribuisce onore nellʼaldilà.

Infatti,parimenti ai cattolici, anche gli islamici non guardano alla morte come ad una fine, ma come un momento di passaggio per una vita ultraterrena, ed essendo, questa vita terrena, considerata come una fase di preparazione per il futuro, anche qui, la sofferenza assume un significato positivo, tanto è vero che nelle correnti più conservatrici

42 Sura (3:156): “Eʼ Dio che dà la vita e la morte.”

43 Sura (6:162): “Certo la mia preghiera, i miei atti di devozione, la mia vita e la mia

morte sono di Dio, Signore dei mondi.”

44 Sura (3:145): “Ognuno muore, nel momento fissato, col permesso di Dio.” 45 Sura (6:151): "Non prendere alcuna vita che Dio ha reso sacra, tranne che per

giustizia."

46 Sura (5:32): "Chiunque uccida una persona e' come se avesse ucciso tutta

(34)

anche gli antidolorifici vengono annoverati fra le sostanze proibite dallʼIslam.

Su questa scia il Codice Islamico di Etica Medica, nel 1985, stabilì che lʼeutanasia può essere giustificata soltanto da chi, essendo ateo, non crede in una vita oltre la vita; ma in unʼottica religiosa, come quella islamica, non si può pensare di sopprimere un essere umano anche se affetto da una malattia incurabile e dolorosa 47(secondo un detto del Profeta: "Cercate la cura, con l'aiuto di Dio, poiché, per ogni malattia,

Dio ha dato anche una cura").

Tuttavia i giuristi musulmani non obbligano alle cure mediche, neppure nel caso di buone speranze per una ripresa, ciò rimane una facoltà del paziente. Nei casi limite, però, sarà il medico a giudicare e a non utilizzare mezzi sproporzionati, lasciando così ad una morte naturale lʼammalato, salvo somministrazione di analgesici per alleviare il dolore48.

47 Codice Islamico di Etica Medica istituito dalla Prima Conferenza Internazionale di Medicina Islamica, Kuwait, nel 1985 :

"L'eutanasia, come il suicidio, non ha supporti se non in una visione atea della vita, la

quale ritiene che la vita sulla terra sia seguita dal nulla. L'Islam rifiuta la pretesa di poter sopprimere un essere umano anche nel caso di una malattia incurabile particolarmente dolorosa, poiché non vi e' dolore umano che non possa essere trattato dalla medicina palliativa o dalla neurochirurgia”.

48 Codice Islamico di Etica Medica stabilisce: "Nella sua difesa della vita, comunque, il

medico dovrà capire quali sono i limiti e non trasgredirli. Se e' scientificamente accertato che le funzioni vitali non possano essere restaurate, in quel caso e' inutile mantenere diligentemente il paziente in uno stato vegetativo grazie all'uso di macchinari o attraverso l'ibernazione o altri metodi artificiali. Il medico mira a mantenere il processo della vita, non quello della morte. In ogni caso, il medico non prenderà alcuna misura atta a mettere fine volontariamente alla vita del paziente"

(35)

2.4 Un cenno al pensiero Induista e Buddista.

Per avere un quadro dʼinsieme completo, accenniamo a Induismo e Buddismo.

NellʼInduismo cʼè un grande rispetto della vita umana, per questo il suicida è equiparato allʼomicida e, secondo le scritture, è condannato a diventare un fantasma costretto a vagare sulla terra fino al momento in cui sarebbe sopraggiunta la sua morte se così non avesse agito; al contrario, invece, lʼeutanasia è tollerata e lasciata alla libertà di coscienza.

Nel Buddismo, suicidio ed eutanasia, sono entrambi giustificati solo nel caso in cui, le motivazioni di tali gesti, non nascondano sentimenti di odio nei confronti di se stessi o di altri. Nel 2009 il Dalai Lama, intervistato sul caso Englaro, ha ribadito il carattere di eccezionalità che dovrebbe appartenere alla pratica eutanasica, riservata a casi di malattie incurabile o di inattività delle funzioni celebrali 49.

49 8 Febbraio 2008, Dalai Lama a SKY TG24: ”...Dovremmo evitarla ma in casi

particolari si potrebbero fare delle eccezioni...", "...Se veramente non c'è alcuna possibilità di guarigione, mantenere quello status è molto costoso e le famiglie soffrono, allora si potrebbe agire. In generale se pure una persona non cammina più ma il suo corpo e il suo cervello sono ancora presenti allora è meglio tenere una persona in vita, ma si possono fare eccezioni...", "nei casi di male incurabile c'è una pratica che consente l'abbandono della coscienza dal corpo"; negli altri casi "anche noi parliamo di suicidio..."

(36)

2.5 Il problema etico-culturale: i diversi modelli di riferimento.

Il valore ed il rispetto per la propria vita, sentimento condiviso dalle religioni sopra citate, è punto di incontro con la visione etico-morale e culturale dellʼeutanasia.

Già più volte abbiamo nominato i progressi medico-scientifici e tecnici che sono stati compiuti negli ultimi anni e che vanno sempre ampliandosi; questi consento allʼuomo di poter disporre di risorse terapeutiche sempre più efficaci per malattie che si presentano sempre più di frequente. In questo modo, il paziente, è maggiormente in grado di decidere del proprio destino, accettando dei rischi e scontrandosi, a volte, con valori e diritti della persona.

In materia, ci sono vari modelli di riferimento presenti nella situazione sociale e culturale.

Un primo modello è quello liberista che impone, come condizione necessaria di questa corrente, la libertà, intesa non in senso generico, ma nel senso di libertà individuale che si esprime come valore unico ed assoluto. Quindi qualsiasi persona può usare come preferisce le risorse che ha a disposizione, con il solo vincolo di non ledere la libertà ed i diritti altrui, per il resto tutto è lecito se posto in essere tramite una scelta libera e cosciente dellʼuomo. Questo modello è privo di qualsiasi principio di responsabilità e socialità. Lʼeutanasia rappresenta soltanto una libera scelta, una libera richiesta del malato.

(37)

Il secondo modello da prendere in considerazione è quello

sociologico-utilitarista, questo può essere esemplificato attraverso il calcolo del

rapporto danni/benefici, e cioè lʼottenere massimi vantaggi con minimi rischi. Assodato che, questa teoria, come termine di riferimento utilizza la cultura, intesa in senso ampio (e cioè la legislazione vigente, il potere politico dominante, i valori trasmessi dai mass media... ), si ammette che le norme siano mutevoli nel tempo affinché il “valore collettività” prevalga su quello dellʼindividuo stesso che è strumentalizzabile per finalità extra-personali. Lʼindividuo è visto, dunque, come un cosa” (mera entità bio-socio-economica), massa”, “uomo-mezzo”.

Corollario della concezione utilitaristica è il principio di disponibilità dellʼessere umano 50.

Quindi, basandosi su questa teoria, una scelta personale come quella riguardante il fine della vita, sarà ritenuta morale e pertanto promossa dalla collettività, se decisa in base allʼutilità e al beneficio sociale conseguente.

Saranno quindi accettate perfino le forme eutanasiche collettivistiche come quella eugenica e criminale ed anche quella scientista-progressista, sperimentale, solidaristica, economica ed umanitaria.51

50 F.MANTOVANI, voce “Eutanasia” in Digesto delle discipline penalistiche,UTET, Torino, 1990, pag. 424.

(38)

Nel modello scientista-tecnologico, invece, lʼuomo è considerato, per natura, come un essere in grado di intervenire e manipolare la realtà, compresa la vita stessa. Questa teoria si basa sulla corrispondenza fattibilità/bene e quindi sulla convinzione che tutto ciò che è possibile fare è lecito; lascia spazio, però, ad un grande interrogativo: realmente tutto quello che è tecnicamente possibile diventa automaticamente e moralmente lecito ?

A cui si è risposto optando per sostenere che sarà lecito ciò che potrà essere spiegato in maniera razionale.

Lʼultimo modello che esaminiamo è quello della teoria personalista che poggia la sua spiegazione ontologica nellʼuomo stesso, nella sua persona e nella sua vita.

Lʼessere umano, attraverso la sua persona trova, infatti, la sua essenza ovvero un valore oggettivo ed intangibile. Si può dire che la persona umana è il suo corpo, la sua psiche ed il suo spirito, senza fare dualismi. Il corpo è il modo attraverso cui la persona realizza la sua anima. Quindi, in questo caso, lʼindividuo è visto come un “uomo-persona”, “uomo-valore”; non uno strumento da utilizzare per fini extra-personali quale lʼinteresse pubblico collettivo, ma una persona da rispettare e sostenere.

In questa visione in cui notiamo che bene personale e bene comune vanno coincidendo, si afferma, come corollario, un principio opposto a

(39)

quello della concezione utilitarista : il principio di indisponibilità della vita.

Ciò comporta una distinzione fra:

- la disponibilità manu propria, disponibilità del proprio corpo attraverso unʼazione propria;

- la disponibilità manu alius, disponibilità del proprio corpo attraverso unʼazione altrui 52.

La prima è giuridicamente lecita e tollerata 53 mentre la seconda è giuridicamente illecita54 nel caso in cui manchi il consenso o, in talune circostanze, anche in presenza del consenso del soggetto 55.

52 F.MANTOVANI, op. cit., pag 425.

53 Nel nostro ordinamento il suicidio è giuridicamente tollerato cioè rappresenta un disvalore ma, non viene punito né in caso di suicidio riuscito, né in caso di suicidio mancato.

L.STORTONI in Riflessioni in tema di eutanasia ammette la liceità del suicidio dicendo che “...lʼesistenza del diritto al suicidio debba essere affermata quale diritto

inviolabile dellʼuomo riconosciuto e garantito dallʼordinamento giuridico ai sensi dellʼart. 2 della Carta Costituzionale e non da esso concesso”, in S.CANESTRARI,

G.CIMBALO, G.PAPPALARDO Eutanasia e diritto. Confronto tra

discipline ,Giappichelli, Torino, 2003, pag.89.

54 F.MANTOVANI,op,cit. pag. 425

“Il principio della indisponibilità della persona umana manu alius ha come corollari i

quattro sottostanti principi:

a) della salvaguardia della vita, integrità fisica e salute del soggetto (artt. 32 Cost. , art

5 c.c. );

b) della salvaguardia della dignità della persona umana (artt. 3/1, 27/3, 32, 41 Cost. ); c) della eguaglianza e pari dignità dei soggetti umani (art. 3 Cost. );

d) del consenso del soggetto (artt. 13 Cost., 1 l.n. 180 del 1978 e 33 l.n. 833 del

1978).”

55 Distinzione resa chiara dallʼart. 579 c.p. “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col

consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni” e dallʼart 580 c.p.

“Chiunque determina altrui al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne

agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la

reclusione da uno a cinque anni sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.”

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