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Il problema etico-culturale: i diversi modelli di riferimento.

Il valore ed il rispetto per la propria vita, sentimento condiviso dalle religioni sopra citate, è punto di incontro con la visione etico-morale e culturale dellʼeutanasia.

Già più volte abbiamo nominato i progressi medico-scientifici e tecnici che sono stati compiuti negli ultimi anni e che vanno sempre ampliandosi; questi consento allʼuomo di poter disporre di risorse terapeutiche sempre più efficaci per malattie che si presentano sempre più di frequente. In questo modo, il paziente, è maggiormente in grado di decidere del proprio destino, accettando dei rischi e scontrandosi, a volte, con valori e diritti della persona.

In materia, ci sono vari modelli di riferimento presenti nella situazione sociale e culturale.

Un primo modello è quello liberista che impone, come condizione necessaria di questa corrente, la libertà, intesa non in senso generico, ma nel senso di libertà individuale che si esprime come valore unico ed assoluto. Quindi qualsiasi persona può usare come preferisce le risorse che ha a disposizione, con il solo vincolo di non ledere la libertà ed i diritti altrui, per il resto tutto è lecito se posto in essere tramite una scelta libera e cosciente dellʼuomo. Questo modello è privo di qualsiasi principio di responsabilità e socialità. Lʼeutanasia rappresenta soltanto una libera scelta, una libera richiesta del malato.

Il secondo modello da prendere in considerazione è quello sociologico-

utilitarista, questo può essere esemplificato attraverso il calcolo del

rapporto danni/benefici, e cioè lʼottenere massimi vantaggi con minimi rischi. Assodato che, questa teoria, come termine di riferimento utilizza la cultura, intesa in senso ampio (e cioè la legislazione vigente, il potere politico dominante, i valori trasmessi dai mass media... ), si ammette che le norme siano mutevoli nel tempo affinché il “valore collettività” prevalga su quello dellʼindividuo stesso che è strumentalizzabile per finalità extra-personali. Lʼindividuo è visto, dunque, come un “uomo- cosa” (mera entità bio-socio-economica), “uomo-massa”, “uomo- mezzo”.

Corollario della concezione utilitaristica è il principio di disponibilità dellʼessere umano 50.

Quindi, basandosi su questa teoria, una scelta personale come quella riguardante il fine della vita, sarà ritenuta morale e pertanto promossa dalla collettività, se decisa in base allʼutilità e al beneficio sociale conseguente.

Saranno quindi accettate perfino le forme eutanasiche collettivistiche come quella eugenica e criminale ed anche quella scientista- progressista, sperimentale, solidaristica, economica ed umanitaria.51

50 F.MANTOVANI, voce “Eutanasia” in Digesto delle discipline penalistiche,UTET, Torino, 1990, pag. 424.

Nel modello scientista-tecnologico, invece, lʼuomo è considerato, per natura, come un essere in grado di intervenire e manipolare la realtà, compresa la vita stessa. Questa teoria si basa sulla corrispondenza fattibilità/bene e quindi sulla convinzione che tutto ciò che è possibile fare è lecito; lascia spazio, però, ad un grande interrogativo: realmente tutto quello che è tecnicamente possibile diventa automaticamente e moralmente lecito ?

A cui si è risposto optando per sostenere che sarà lecito ciò che potrà essere spiegato in maniera razionale.

Lʼultimo modello che esaminiamo è quello della teoria personalista che poggia la sua spiegazione ontologica nellʼuomo stesso, nella sua persona e nella sua vita.

Lʼessere umano, attraverso la sua persona trova, infatti, la sua essenza ovvero un valore oggettivo ed intangibile. Si può dire che la persona umana è il suo corpo, la sua psiche ed il suo spirito, senza fare dualismi. Il corpo è il modo attraverso cui la persona realizza la sua anima. Quindi, in questo caso, lʼindividuo è visto come un “uomo- persona”, “uomo-valore”; non uno strumento da utilizzare per fini extra- personali quale lʼinteresse pubblico collettivo, ma una persona da rispettare e sostenere.

In questa visione in cui notiamo che bene personale e bene comune vanno coincidendo, si afferma, come corollario, un principio opposto a

quello della concezione utilitarista : il principio di indisponibilità della vita.

Ciò comporta una distinzione fra:

- la disponibilità manu propria, disponibilità del proprio corpo attraverso unʼazione propria;

- la disponibilità manu alius, disponibilità del proprio corpo attraverso unʼazione altrui 52.

La prima è giuridicamente lecita e tollerata 53 mentre la seconda è giuridicamente illecita54 nel caso in cui manchi il consenso o, in talune circostanze, anche in presenza del consenso del soggetto 55.

52 F.MANTOVANI, op. cit., pag 425.

53 Nel nostro ordinamento il suicidio è giuridicamente tollerato cioè rappresenta un disvalore ma, non viene punito né in caso di suicidio riuscito, né in caso di suicidio mancato.

L.STORTONI in Riflessioni in tema di eutanasia ammette la liceità del suicidio dicendo che “...lʼesistenza del diritto al suicidio debba essere affermata quale diritto

inviolabile dellʼuomo riconosciuto e garantito dallʼordinamento giuridico ai sensi dellʼart. 2 della Carta Costituzionale e non da esso concesso”, in S.CANESTRARI,

G.CIMBALO, G.PAPPALARDO Eutanasia e diritto. Confronto tra

discipline ,Giappichelli, Torino, 2003, pag.89.

54 F.MANTOVANI,op,cit. pag. 425

“Il principio della indisponibilità della persona umana manu alius ha come corollari i

quattro sottostanti principi:

a) della salvaguardia della vita, integrità fisica e salute del soggetto (artt. 32 Cost. , art

5 c.c. );

b) della salvaguardia della dignità della persona umana (artt. 3/1, 27/3, 32, 41 Cost. ); c) della eguaglianza e pari dignità dei soggetti umani (art. 3 Cost. );

d) del consenso del soggetto (artt. 13 Cost., 1 l.n. 180 del 1978 e 33 l.n. 833 del

1978).”

55 Distinzione resa chiara dallʼart. 579 c.p. “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col

consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni” e dallʼart 580 c.p.

“Chiunque determina altrui al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne

agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la

reclusione da uno a cinque anni sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.”

Al soggetto è però lasciata la libertà di curarsi o meno, infatti i diversi trattamenti sanitari non posso essere imposti come dovere, ma anzi viene costituzionalmente garantito il diritto a rifiutarli sino a lasciarsi morire 56; ciò non vuol essere un diritto al suicidio ma una affermazione dellʼincoercibilità del vivere 57.

Concludendo, lo Stato non può, nella maniera più assoluta, essere complice della scelta di un singolo individuo ma allo stesso tempo non può nemmeno privarlo della sua libertà di non curarsi e lasciarsi morire. In questa particolare situazione , è sempre tutelata la libertà di decisione dellʼindividuo ma non è mai riconosciuta come valore la scelta suicida, proprio per questo, come abbiamo detto, ricade in quei comportamenti giuridicamente tollerati.

3.

Lʼeutanasia dal punto di vista del diritto comparato.

3.1 LʼAustralia:

lʼeutanasia viene legalizzata per la prima volta al mondo.

56 Art. 13 Cost. “La libertà personale è inviolabile...” e art. 32 Cost. “ La Repubblica

tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

57 A. OCCHIPINTI, Tutela della vita e dignità umana, cap. V, Dignità e autonomia nelle

scelte di fine vita, pag. 131 “... proprio dal riconoscimento del principio personalistico deve discendere lʼaffermazione dellʼincoercibilità del vivere e che la libertà personale non possa essere sacrificata di fronte ad un astratto dovere di vivere...”

Lʼeutanasia come fenomeno che suscita sentimenti così contrastanti, è stato preso in considerazione da quasi tutti gli ordinamenti giuridici. LʼOlanda rappresenta sicuramente un caso interessante, forse il più interessante essendo noto a tutti come il primo paese al mondo a legalizzare il fenomeno eutanasico.

Molto meno noto è che in realtà, storicamente, per la prima volta, lʼeutanasia attiva volontaria è stata legalizzata da un atto australiano. LʼAustralia, tuttavia, prendeva proprio le mosse dal percorso olandese con lʼintento di colmarne le lacune 58. Così, nel 1995, il primo ministro

del Territorio del Nord australiano 59 , Marshall Perron, elaborò un

disegno di legge per la legalizzazione dellʼaiuto al suicidio e dellʼeutanasia attiva volontaria. Il primo ministro, una volta presentata la proposta, dette le sue dimissioni così da consentire ai suoi colleghi del partito conservatore di votare senza alcun tipo di condizionamenti, dato il coinvolgimento emotivo di Perron 60. Il 25 maggio 1995, dopo un

lungo dibattito di 14 ore, il Parlamento del Territorio del Nord, con 15 voti a favore e 10 contrari, approvò il ROTI, “Rights of the Terminally Ill Act”, approvato dalla Suprema Corte il 24 giugno 1996 ed entrato in

58 LʼOlanda, dal 1993, è l'unico paese al mondo ad avere, a livello giuridico, una

prassi che consente di escludere responsabilità penali per il medico che attui

l'eutanasia a seguito di una richiesta del paziente. Lʼeutanasia, però, per lʼart 293 del Codice Penale olandese, rimane un crimine da sanzionare.

59 Il Territorio del Nord (in inglese, Northern Territory) è un territorio federale dell'Australia, dipendente direttamente del governo federale.Conosciuto come Top End, cioè la parte alta di Down Under, l'Australia. Eʼ un area piuttosto vasta ma scarsamente popolata.

60 La madre di Perron era deceduta a causa di una malattia che lʼaveva costretta ad una morte lenta e molto dolorosa.

vigore il 1 luglio 1996. La legge affermava che un paziente maggiorenne, giunto allo stadio terminale di una malattia incurabile, in situazione di dolore ritenuta inaccettabile, conscio di tutti i trattamenti sanitari e cure palliative a disposizione61, potesse porre fine alla propria

vita con lʼaiuto di un medico, soltanto dopo che altri due dottori avessero accertato le condizioni cliniche. I due medici dovevano essere obbligatoriamente: uno psicologo, che constatasse la sanità mentale del paziente e lʼassenza di depressioni, ed un dottore residente nel Territorio del Nord che confermasse lo stato di salute e la prognosi 62.

Era inoltre previsto un lasso di 7 giorni tra la richiesta iniziale e la firma per lʼattuazione dellʼeutanasia che si sarebbe applicata nelle 48 ore successive. Una copia del certificato di morte era da trasmettere al Parlamento63.

La norma rimase valida ed operante per pochi mesi, infatti il 24 marzo 1997 venne abrogata dal Commonwealth, il Parlamento nazionale,

61 Rights of the Terminally Ill Act, art. 7 “Conditions under which medical practitioner

may assist”.

62 F.BOTTI, Una legge contestata: lʼeutanasia in Australia : sulla sezione 4 del del Roti che dispone che il paziente, affetto da una malattia terminale, gravato da dolore, sofferenza e/o angoscia in misura per lui inaccettabile, può richiedere al proprio medico curante di assisterlo per porre fine alla propria vita, si obiettata che: “...non era

espressamente previsto che il motivo per richiedere la morte dovesse essere la malattia terminale. Pertanto un paziente affetto da una malattia terminale, il cui dolore, sofferenza e/o angoscia fossero derivati da una causa completamente diversa (es. un divorzio, un lutto) sarebbe rientrato nella fattispecie. Così, ancora, un paziente poteva rientrare nella disciplina del suicidio assistito e dellʼeutanasia attiva, nel caso in cui lo psichiatra avesse ritenuto che la depressione fosse non trattabile o che fosse originata da una causa non correlata alla malattia (es. un divorzio). Inoltre la legge non richiedeva che lo psichiatra accertasse che il paziente non fosse affetto da una malattia mentale diversa dalla depressione.”; in S.CANESTRARI, G.CIMBALO,

G.PAPPALARDO, Eutanasia e diritto. Confronto tra discipline, Giappichelli Editore, Torino, 2003, pag.193.

avendo esso il potere di annullare leggi di governi territoriali in sostanziale conflitto con espresse posizioni nazionali.

Si sosteneva infatti che ci fosse più di una giustificazione per giungere allʼabrogazione.

Sul piano formale e tecnico, per esempio, vi era un problema di competenza. Infatti il Parlamento del Territorio, considerando questo atto come un trattamento medico da rendere disponibile a tutti, lo estese ad ogni singolo cittadino australiano senza alcun limite di residenza, trasformando così una legge territoriale in una legge nazionale. Legiferando quindi su una materia a lui indisponibile, cioè i diritti fondamentali dellʼindividuo, il Parlamento del Territorio del Nord era sicuramente andato oltre i suoi poteri.

Per quel che riguarda un piano più sostanziale, lʼattenzione si focalizzava sullʼidea che questa legalizzazione avrebbe potuto oltrepassare i suoi stessi margini e sconfinare nellʼeutanasia non volontaria o peggio ancora nellʼeutanasia involontaria. Quindi, sia per le problematiche di competenza, sia per il pericolo del cosiddetto “slippery slope” (pendio scivoloso), il ROTI, con lʼapprovazione dellʼEuthanasia Bill of Laws da parte del Parlamento federale, fu dichiarato

costituzionalmente illegittimo e lʼeutanasia attiva è considerata un reato. Eʼ un dato di fatto, però, che durante i nove mesi di vigore, con lʼaiuto del Dottor Philip Nitschke, ci furono quattro casi di morte assistita e che questi rappresentino i primi quattro casi di eutanasia attiva volontaria legalizzata.

3.2Le esperienze di altri paesi extraeuropei: