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Le affinità del provvedimento definitorio fra il caso Englaro ed il caso Welby.

requisiti e scriminanti della condotta del medico.

7. Il paziente incapace: Caso Englaro.

7.4 Le affinità del provvedimento definitorio fra il caso Englaro ed il caso Welby.

Dal punto di vista fattuale le due vicende si differenziano poiché nellʼun caso, quello di Welby, allʼinsorgere della malattia fa seguito una evoluzione lenta e progressiva della patologia, che lo lascia, però, pienamente cosciente, e nellʼaltro si verifica un solo ed unico evento traumatico che riduce Eluana in una condizione di totale incoscienza ed incapacità.

Ciò ha le sue ricadute sul profilo giuridico, in quanto, a differenza di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro non era più in grado di esprimere un consenso che avesse tutti i suoi requisiti di validità e dunque la

decisione sulla possibilità di interrompere lʼalimentazione e lʼidratazione artificiale doveva essere presa sulla base di un consenso presunto. Inoltre sussisteva un altro problema, se infatti, i trattamenti sanitari a cui Welby era sottoposto non vennero riconosciuti come accanimento terapeutico, in questo caso, lʼalimentazione artificiale non era nemmeno considerata un trattamento medico a cui poter opporre dissenso ex art. 32, comma 2 Cost.

A questo riguardo la risposta della Corte di Cassazione fu quella di ritenere questo tipo di alimentazione un trattamento medico in quanto, per la complessità tecnica di somministrazione, era richiesto un sapere scientifico medico specifico e perché, come molti altri trattamenti, era invasivo del corpo del paziente245.

Esso era quindi rifiutabile tramite dissenso.

Ma, è proprio sul problema del consenso che viene a differire maggiormente lʼiter argomentativo giuridico dei due casi: mentre nellʼipotesi di esplicito rifiuto del trattamento da parte di un paziente cosciente e capace è agevole sostenere che ci si trovi in presenza di un “trattamento coattivo”, cioè imposto al paziente contro la sua stessa volontà, e quindi, a pieno titolo, espressione della situazione raffigurata dallʼarticolo 32, comma 2 Cost., nellʼipotesi di un trattamento praticato ad un paziente incosciente, non in grado di esprimere alcuna volontà contraria, appare molto più problematico poterlo ricondurre a tale articolo, anche perché, in tali situazioni cliniche, lʼattuazione di cure appare appropriata, ed anzi doverosa, in virtù della salvaguardia della salute e sopratutto della vita del paziente incapace246. In effetti, proprio il GUP del caso Welby aveva condizionato lʼefficacia della scriminante a determinati requisiti come per esempio il carattere attuale e reale del dissenso al trattamento e la piena capacità del paziente, condizioni certamente non rinvenibili nella caso Englaro.

Sempre nella solita sentenza, la Cassazione ha evidenziato che non esiste per il medico un dovere di salvaguardare, ad ogni costo, la vita di un paziente laddove venga constatata una volontà contraria

allʼeffettuare o al proseguire un determinato trattamento salvavita. Ciò vale a dire che il diritto del paziente alla sua autodeterminazione sanitaria, rappresenta un limite invalicabile al dovere di curare e quindi 246 F.VIGANOʼ, Riflessioni sul caso di Eluana Englaro, in Diritto penale e processo N °8/2008, pag.1036.

la conseguente non configurabilità di un addebito per omesso impedimento dellʼevento ex art.40, comma 2 c.p., nel caso in cui il medico, nel rispetto della volontà espressa dal paziente ometta di eseguire o proseguire le terapie in grado di garantirne la

sopravvivenza247.

Specularmente si evince come, la Suprema Corte, ritenga che la prosecuzione della vita non possa essere imposta a nessun malato, nemmeno quando il malato versi in stato di assoluta incapacità. La Corte di Appello di Milano sostiene che la Cassazione, con questa decisione, abbia dato “unʼinterpretazione che appare in effetti in grado

di attuare, più che di contrastare, il principio di uguaglianza nei diritti di cui allʼart. 3 della Costituzione, che evidentemente non va riguardato solo nella finalità di assicurare sostegno materiale agli individui più deboli o in difficoltà, come gli incapaci, ma anche in quella di rendere possibile la libera espressione della loro personalità, della loro dignità e dei loro valori 248”.

Questa sentenza ha quindi sottolineato che un diritto supremo, come quello dellʼautodeterminazione, non può essere precluso soltanto perché il soggetto è diventato incapace, essendo quindi necessario ricostruirne la volontà tramite coloro i quali hanno con lei convissuto e vissuto.

247 F.VIGANOʼ, op.cit., pag. 1037.

Eʼ proprio questo infatti lʼaspetto più innovativo della pronuncia della Cassazione sul caso Englaro, lʼinteresse del paziente incapace non coincide sempre e necessariamente con il suo mantenimento in vita, e nemmeno con la decisione terapeutica che, dalla scienza medica, viene indicata come più appropriata per il caso concreto; anzi si ribadisce che le decisioni sulla salute del soggetto malato, anche se al momento incapace, dovranno in ogni caso essere conformi alla sua personalità e alla sua visione del mondo249.

Ovviamente questa volontà dovrà necessariamente essere formulata da persona diversa dallʼincapace: il legale rappresentate (in questo caso tramite il tutore unitamente al curatore speciale). Ma dato il carattere personalissimo della decisione, questo potere sarà doppiamente condizionato, da una parte, infatti, egli dovrà agire nellʼesclusivo interesse dellʼincapace e dallʼaltra dovrà decidere non al posto dellʼincapace, ma con lʼincapace, insieme allʼincapace, nel senso che dovrà calarsi idealmente nei suoi panni per decidere come lui stesso avrebbe deciso qualora ne avesse avuto lʼopportunità250.

Usando le parole della Corte di Appello il tutore deve “farsi portavoce” del paziente ed evitare di sovrapporre il proprio giudizio sui “migliori interessi del paziente” e conformarsi invece esclusivamente al “suo modo di concepire dignità e vita”251.

249 Corte di Cassazione, Sez. I Civile, 16 Ottobre 2007 sentenza n°21748. 250 Ibidem.

In conclusione, per la Suprema Corte, il potere di rappresentanza consente di giungere allʼinterruzione delle cure solo in due casi:

- “quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello

internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno ;

- e sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del

paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, lʼidea stessa di dignità della persona.

Ove lʼuno o lʼaltro presupposto non sussista, il giudice deve negare lʼautorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa 252” .

La prima condizione è stata ritenuta senza dubbio sussistente dalla Corte di Appello, essendo già emersa nei precedenti gradi di giudizio, per parere unanime dei consulenti tecnici e per i consolidati standard

internazionali in materia, la certezza che la paziente da molti anni versasse in una condizione di stati vegetativo permanente.

Per la seconda condizione, i giudici del rinvio, tramite unʼampia ed accurata istruttoria ricostruiva la volontà di Eluana253 basandosi sulla

sua storia personale e le sue convinzioni per arrivare a dire che “ad oggi” avrebbe scelto di morire e giungere ad autorizzare il distacco del sondino naso-gastrico disponendone, inoltre, le relative modalità attuative per assicurare “un adeguato e dignitoso accudimento

accompagnatorio della persona [...] durante il periodo in cui la sua vita si prolungherà dopo la sospensione del trattamento, e in modo da rendere sempre possibile le visite, la presenza e lʼassistenza, almeno, dei suoi più stretti familiari254 ” .

Ma la Corte dʼAppello si spingerà oltre rispetto alla strada seguita dalla Cassazione, che in modo prudente, come abbiamo visto poco sopra, aveva affermato che, in caso di dubbio o non univocità sulla

ricostruzione della volontà presunta dellʼincapace, il trattamento di sostegno vitale andasse comunque proseguito. I giudici del rinvio sostengono, infatti, che nel caso in cui risulti impossibile ricostruire il “pregresso quadro personologico” del paziente incapace, nulla avrebbe

253 In realtà, nei precedenti gradi di giudizio di merito era stata già raccolta un serie ampissima di testimonianze e di documenti per ricostruire con la maggior sicurezza possibile la volontà di Eluana, la sua personalità, stile di vita,convincimenti, grazie a documenti ed audizione del tutore, il padre, e della curatrice speciale. Ma questo materiale probatorio era stato ritenuto insufficiente a dimostrare la sua volontà. Ma il test voluto dalla Cassazione in sede di rinvio è più ampio, estendendosi anche alla decisione che questʼultima avrebbe verosimilmente assunto quando ancora poteva godere della pienezza delle sue facoltà psichiche.

vietato di autorizzare lʼinterruzione di un trattamento che si fosse rivelato “oggettivamente contrario alla dignità di qualunque uomo e quindi anche di qualunque malato incapace, o che aliunde non proporzionato e come tale [...] contrario al best interest del

rappresentato 255”. Arrivati a questo punto, dovrebbe apparire chiara la

ratio sottesa a tale affermazione: un trattamento attuato in tali condizioni risulterebbe sprovvisto di una idonea legittimazione, rivelandosi quindi una invasione inutile e dannosa del corpo del paziente dunque, certamente, non doverosa ai sensi dellʼart. 40, comma 2, c.p256.

Allora la domanda cruciale per il penalista non è quella che riguarda le condizioni legittimanti la sospensione di trattamenti sanitari, che

causano o comunque non impediscono la morte del paziente, ma è quella preliminare che concerne la legittimità di porre in essere o proseguire quei trattamenti, se sono presenti oppure no le tassative ragioni giustificative previste dallʼordinamento e cioè o il consenso del paziente capace o il consenso del legale rappresentante il paziente incapace257.

Da tutto ciò deriva il fatto che il GIP di Udine258 , Paolo Milocco, così

come il GUP di Roma259, Zaira Secchi, data la non configurabilità di una

255 Ibidem.

256 F.VIGANOʼ,op.cit.,pag. 1039. 257 Ibidem.

258 GIP Udine, decreto di archiviazione 11 Gennaio 2010. 259 GUP Roma, sentenza 23 Luglio 2007, n° 2049.

responsabilità ex art. 40, comma 2 c.p. , e la conseguente impossibilità di qualificare il fatto ai sensi del combinato disposto dellʼart.40, comma 2 e dellʼart.575 c.p., per i motivi sopraindicati, ha deciso di utilizzare la causa di giustificazione prevista dallʼarticolo 51 c.p. per affermare che sia lʼindagato per omicidio volontario Beppino Englaro sia le altre 13 persone,fra medici ed infermieri, indagate per concorso in omicidio volontario, avessero agito nel pieno rispetto della legge.

Queste le parole del GIP : “La prosecuzione dei trattamenti di sostegno vitale di Eluana Englaro non era legittima in quanto contrastante con la volontà espressa dai legali rappresentanti della paziente, nel ricorrere dei presupposti in cui tale volontà puo' essere espressa per conto dell'incapace".

Si capisce che si sta trattando del medesimo diritto, quello del rifiuto delle cure inteso come diritto ad autodeterminarsi, ai sensi del

combinato disposto dellʼart.13 e dellʼart. 32 Costituzione, che ha

dunque ricevuto il solito trattamento, a prescindere dal fatto che questo sia stato esercitato da un soggetto capace o da un soggetto non più capace, o meglio da un tutore che lo ha rappresentato.

Ancora, sul caso Englaro, cʼè da dire che, probabilmente , il GIP avrebbe potuto spingere il proprio convincimento ancora più a fondo, anche perché la legittimazione del tutore e lʼacquisizione del consenso informato da parte del paziente erano stati già accertati dalla Corte di Appello di Milano con decreto divenuto definitivo.

Ciò che si viene a constatare è come, sia nel caso Welby che nel caso Englaro, i giudici non si siano fermati davanti ad un apparente vuoto normativo ma anzi abbiano sfruttato interamente il “pieno normativo” attraverso unʼ importante ma “semplice” applicazione della normativa vigente, prevalentemente costituzionale mostrando, soprattutto nel caso di Eluana, uno sguardo sempre più attento e sempre più rivolto alla normativa internazionale vincolante per lʼItalia260.

Ma ne concludiamo che, nonostante lʼesame delle loro decisioni, senzʼaltro ben motivate, giuridicamente e umanamente orientate, ci abbia fatto apparire il problema come risolto in realtà esso non lo è, essendo, anzi, più che mai, vivo.

260 Si vedano per esempio tutti gli articoli della Convezione di Oviedo citati in questo capitolo, ma anche la CEDU.

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CAPITOLO III

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE