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La prassi ospedaliera: lʼeutanasia come fenomeno clandestino

requisiti e scriminanti della condotta del medico.

9. La necessità di un intervento del Legislatore.

9.1 La prassi ospedaliera: lʼeutanasia come fenomeno clandestino

Nonostante sia cosa nota che, nellʼordinamento italiano, per ora, è fatto divieto di dare attuazione a qualsiasi forma eutanasica ci si domanda, sempre più spesso, se questo divieto venga realmente e generalmente rispettato e condiviso nella pratica.

Per dare risposta a questa difficile e spinosa domanda non possiamo che affidarci alla chiarezza di dati e statistiche, risultato di indagini più o meno recenti, ed alle dichiarazioni dei medici che le hanno volutamente rilasciate con la speranza di riportare il tema al centro dellʼattenzioni dei mass-media, ma soprattutto, della politica e della società.

Nel 1999:

297 Legge 194/1978.

298 Lʼentità degli aborti prima della legalizzazione era stimata tra i 220 e i 500 mila casi lʼanno.

- lʼ 11% dei medici italiani ha avuto richieste di eutanasia, il 4,5% di assistenza al suicidio299;

- il 17% dei medici italiani si proclamano disposti a praticare l'eutanasia attiva o il suicidio assistito, mentre il 79,4% e' disposto ad interrompere il trattamento di sostentamento vitale300;

- il 13% dei medici italiani di rianimazione dichiara di aver somministrato farmaci con l'intento di accelerare il processo di morte del paziente301. Nel 2000 il 45% dei medici neonatologi italiani interpellati ha deciso di non somministrare alcun trattamento di sostentamento vitale, come per esempio la respirazione meccanica; il 52% ha deciso di non praticare manovre di rianimazione; il 78% ha deciso di non aggiungere altri trattamenti anche se necessari ai fini dell'allungamento della vita; il 34% ha deciso di non somministrare farmaci salva-vita; il 28% ha deciso di cessare la respirazione meccanica; il 32% ha deciso di somministrare farmaci per alleviare il dolore anche se potenzialmente letali; il 2% ha deciso di somministrare farmaci con l'intenzione di terminare la vita302. Sempre nel 2000 è stata realizzata una ricerca dalla “Fondazione Floriani”.

Lo studio ha interessato 680 medici iscritti alla Società di cure palliative e, tra quanti hanno risposto al questionario, il 39% ha dichiarato di aver

299 Journal of Pain and Symptom Management, volume 17, Marzo 1999, pag. 188 e ss.

300 The Lancet, volume 354, Novembre 1999, pag. 1876 e ss. 301 Clinical Care Medicine, volume 27, Agosto 1999, pag.1626 e ss. 302 The Lancet, 2000, pag 2112 e ss.

ricevuto reiterate richieste di eutanasia attiva e il 4% ha riconosciuto di aver accolto quella richiesta 303.

Nel Novembre 2002, in venti centri di terapia intensiva, è stata condotta una ricerca dal Centro di bioetica dell'Università cattolica di Milano. L'indagine, coordinata dal professor Adriano Pessina, docente di Filosofia morale presso l'Università Cattolica di Milano, rivela che dei 295 medici rianimatori sottoposti al questionario, il 3,6% hanno affermato di aver praticato l'eutanasia attiva, somministrando farmaci letali; inoltre, una percentuale rilevante, il 15,8%, ha riconosciuto come 'accettabile' quella pratica. Per quanto riguarda lʼeutanasia attiva dai risultati notiamo che il 38,6% del campione dichiara di aver attuato, “almeno una volta” la sospensione delle cure (staccare il respiratore, interrompere l'erogazione dell'ossigeno); il 42% dichiara di averlo fatto “più spesso”. Quello che è bene sottolineare è che in nessun caso questo "atto medico" è stato riportato sulla cartella clinica unicamente per il timore di essere denunciati 304.

Una terza ricerca, condotta a livello europeo dal professor J. L. Vincent, evidenzia come il 40% dei medici intervistati, tutti operanti in unità di terapia intensiva, ammette lʼuso clinico di dosi letali di farmaci nelle cosiddette “situazioni estreme”; la percentuale che interessa i medici italiani intervistati in quello studio corrisponde al 13% (ANSA)305.

303 M.WELBY,intervistata il 14 Giugno 2014.

304 A.PESSINA, Scelte di confine in medicina, Vita e Pensiero, Milano, 2004. 305 M.WELBY, intervistata il 14 Giugno 2014.

Ancora secondo The Lancet, nel 2003, il 23% dei decessi in Italia era stato preceduto da una “decisione medicale sul fine vita”.

NellʼOttobre del  2007, una ricerca dellʼIstituto Mario Negri ha dimostrato che, delle trentamila persone che muoiono ogni anno nei reparti italiani di terapia intensiva, quasi ventimila, è cioè il 62%, vedono accelerata la loro fine a seguito dellʼintervento attivo dei medici rianimatori.

Lʼimpossibilità di ricorrere alla eutanasia, in base ai dati lʼISTAT, induce ogni anno 1.000 malati a togliersi la vita, ed altri 1.000 al tentato suicidio306.

Anche Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby e co-presidente dellʼAssociazione Luca Coscioni, in prima linea nel sostenere il movimento che vorrebbe vedere lʼeutanasia legalizzata e che da anni si fa promotrice di leggi di iniziativa popolare, mi ha rilasciato, in una recente intervista, un parere su questa tragica questione, rispondendo alla seguente domanda:

306 Secondo l'Istat in questi dieci anni si sono verificati in Italia 10.000 suicidi e oltre 10.000 tentati suicidi di malati. Il consigliere generale dell'Associazione Luca Coscioni, Carlo Troilo afferma “praticamente mille lʼanno”; il calcolo si basa su un'elaborazione di alcuni dati Istat. Troilo spiega come e' giunto al risultato dei 1.000 suicidi l'anno: "Ho proceduto in modo induttivo. Nel 2008 i suicidi sono 2.828; 1.316 hanno come

movente le malattie, fisiche e psichiche; 463 hanno altri moventi (motivi d'onore, affettivi o economici); per 1.049 il motivo e' ignoto o non indicato. Ipotizzando, per difetto che meta' dei suicidi per malattie avrebbero preferito, grazie all'eutanasia, morire serenamente e senza sofferenze nel proprio letto, vicino ai propri cari, siamo a 658. Facendo la stessa ipotesi per i suicidi di cui non si conosce il movente (1.049) la meta' risulta essere 524. Sommando le due cifre, si giunge a 1.182. Dunque parlando di 1.000 suicidi, ho fatto una ulteriore tara ai data. Lo stesso ragionamento si puo' dare per i tentati suicidi, che sono più numerosi (3.327 contro 2.828); dunque in questo caso avrei potuto dire più' di 1.000”. Eʼ singolare il fatto che, da quando questo dati sono stati resi noti su molti giornali, lʼISTAT ha cambiato i criteri di rilevazione degli stessi, eliminando dalle relative tabelle la voce “MOVENTE”, rendendo quindi i dati stessi inutili a capire le ragioni di un così drammatico fenomeno che è il suicidio.

Conscia del vuoto normativo sull'eutanasia, crede che in Italia vi siano molti casi di "eutanasia clandestina" e di soggetti che, condizioni economiche permettendo, andrebbero fuori confine per veder attuata tale pratica?

! Piuttosto vorrei parlare di una zona grigia, dove non cʼè chiarezza di come sia morta una persona. Non è chiaro, se i medici in tutti gli ospedali scrivano esattamente, quando interrompono dei trattamenti sanitari e come sono proceduti. Ancor di più sarebbe giusto e necessario che scrivano, quando somministrano dosi letali di morfina. Congiunti di persone defunte raccontano di aver chiesto al medico di non continuare e terminare al più presto la sofferenza del malato. I medici hanno alzato il dosaggio della morfina e il malato è morto dopo poco. Nei reparti ospedalieri, quando muoiono dei pazienti, viene sempre scritto il percorso terapeutico o di accompagnamento e oltre alla causalità del decesso? Per quel che riguarda i casi conosciuti di eutanasia, sono quelli che sono andati in Svizzera e di cui hanno parlato anche i giornali nazionali.

Le seguenti tre inchieste ho trovato salvate nei documenti di Welby (...). Non ci sono inchieste più recenti di questo tipo.

Chi se lo può permettere va in Svizzera.

Da questa risposta si evince che, anche in accordo con quanto dimostrato dai risultati dellʼindagine svolta dal professor A.Pessina, la lacuna normativa potrebbe essere arrivata a creare una vasta “zona

idonei ad essere qualificati quali atti di eutanasia attiva o passiva consensuale, ma non registrandoli in cartella clinica, per il timore di essere denunciato, essi risultano astrattamente mai compiuti.

Inoltre, quasi a conferma dei dati degli anonimi questionari di cui abbiamo poco sopra parlato, giungono, proprio mentre si sta scrivendo, le dichiarazioni da parte di due medici, Mario Sabatelli307, neurologo responsabile del centro SLA del Policlinico universitario Gemelli di Roma (Ospedale Cattolico308) e lʼanestesista Giuseppe Maria Saba309, 87 anni, ordinario di Anestesiologia e rianimazione allʼUniversità di Cagliari e poi alla Sapienza di Roma.

Il professor Sabatelli , rispondendo alle domande di Simonetta Tortora, davanti alla telecamera dellʼassociazione "Viva la Vita onlus", afferma : “Trovo assurdo e violento che il destino di una persona che sta vivendo

un dramma così particolare, comʼè vivere con un tubo in gola, debba essere deciso da qualcuno seduto dietro a una scrivania. È violento, illogico, irrazionale, illegittimo. Per questo noi abbiamo già praticato la sospensione del trattamento - naturalmente col consenso informato - a pazienti sottoposti alla ventilazione non invasiva. E in un caso abbiamo avviato la procedura anche con un tracheostomizzato. Io non ho paura: stiamo facendo il bene dei pazienti.

307 In data 4 Giugno 2014.

308 Una delle più importanti testate giornalistiche ha intitolato la notizia “Così

lʼospedale del Papa lascia i malati liberi di morire”

Eʼ necessario un ospedale in cui le persone in fin di vita, affette da patologie come la Sclerosi laterale amiotrofica allo stadio terminale, possono scegliere se continuare a vivere artificiosamente attaccate a una macchina o essere lasciate andare ”.

Il Dottor Sabatelli, non vuole rimanere nellʼanonimato di un questionario ma anzi vuole nel vero senso della parola “metterci la faccia” , perché, dice “ho dalla mia il codice deontologico, le leggi, lʼetica". Il medico è perfettamente consapevole, e forse lo spera, che le sue parole potrebbero portare a far rialzare i toni intorno al tema del "fine vita", che, come abbiamo visto, così tanto aveva acceso il dibattito politico soltanto a riguardo del trattamento da riservare ai casi di Piergiorgio Welby o Eluana Englaro.

Il centro Sla del Gemelli prende in carico, ogni anno, circa 120 nuovi pazienti, inoltre, grazie ad un team di cui lo stesso Sabatelli fa parte, svolge innumerevoli ricerche e malgrado siano stati fatti, in questʼultimo ventennio, numerosi progressi, non esiste ancora nessuna possibilità di sconfiggere tale malattia.

Uno dei momenti più critici è quello in cui un malato di Sla deve decidere se sottoporti o meno alla tracheostomia, dice il professore: “ è

un momento in cui si deve scegliere tra ʻla situazione finisce quiʼ oppure si va ʻavanti con una vita artificialeʼ. Si tratta di una terapia straordinaria, di una pratica non convenzionale, come spiega lʼarticolo 15 del Codice deontologico dei medici. E dunque ci sono alcuni punti da rispettare: il consenso informato e lʼefficacia del trattamento, che deve

essere appropriato clinicamente. Vi faccio un esempio: bisogna chiedersi se un trapianto di cuore sia appropriato per un paziente di 90 anni. Ma per la Sla vale anche un quarto elemento: la proporzionalità. Lʼintervento deve essere proporzionato, se ne deve pesare la gravosità. La ventilazione meccanica ti tiene in vita, ma quanta sofferenza in più ti sto dando? E allora non si parla solo di terapie, ma di valori. Si parla di una scelta esistenziale del paziente. E rifiutare la tracheotomia non è un atto illecito. Nessuno può immaginare cosa significhi vivere con un tubo in gola e una macchina che pompa aria nei polmoni, per quanto un medico si sforzi di descriverne la condizione. Allora il piano terapeutico deve essere flessibile ciò significa che quello che è proporzionato oggi, può essere sproporzionato tra sei mesi, quando la malattia sarà drammaticamente avanzata. E allora un paziente ha tutto il diritto di dire: ok, basta. Nessuno dietro a una scrivania può decidere per me, che sono a letto tracheostomizzato ”.

Da queste parole capiamo che per Sabatelli se una persona, ventilata artificialmente (o sottoposta a qualsiasi altro trattamento medico invasivo) ma pienamente cosciente e lucida, cambia idea decidendo che non vuole più respirare attraverso quella macchina (o essere sottoposta a quel tipo di trattamento cui è sottoposto), ha tutto il diritto di chiedere lʼinterruzione, sotto sedazione, del trattamento medico precedentemente accettato, in questo caso di essere stubato; anche se ne consegue una morte imminente.

Il professore ammette che questa pratica è già stata molte volte eseguita al Gemelli su pazienti sottoposti a ventilazione non invasiva e che lui stesso, in una determinata occasione, aveva iniziato la pratica per un tracheostomizzato.

Aggiunge: "Noi ci avvaliamo della consulenza di un etico clinico.

Bisogna rispettare la volontà del paziente e creare con lui unʼalleanza. Sono persone che noi seguiamo dallʼinizio della malattia e quindi conosciamo bene. E allora diventa una scelta condivisa ".

Per rispondere ad una domanda che gli prospetta la possibilità di dover affrontare le medesime conseguenze giuridiche del collega, il dottor Mario Riccio, il medico di Piergiorgio Welby, Sabatelli risponde: "Riccio

mi pare sia stato prosciolto, qualcosa significherà. Se non cʼè chiarezza legislativa, e io auspico che la politica decida in fretta, mi muovo in accordo col codice deontologico e con lʼetica. Non ho paura: stiamo facendo il bene dei pazienti". Esattamente cinque giorni dopo le

affermazioni di Mario Sabatelli, il professor Giuseppe Maria Saba ha rilasciato unʼintervista al quotidiano LʼUnione Sarda in cui ha dichiarato: “Ho aiutato a morire un centinaio di malati. Non la chiamo anestesia

letale ma dolce morte, è una questione di pietà. Non sopporto più il silenzio che cade su cose che sappiamo tutti. Parlo dei rianimatori. La dolce morte è una pratica consolidata negli ospedali italiani, ma per ragioni di conformismo e di riservatezza non se ne parla”.

Saba spiega che questo comportamento, oltre che “lʼessere in pace con

la propria coscienza ”, è un atto di rispetto nei confronti del Codice

deontologico del medici.

Il dottor Saba ha così raccontato di aver aiutato molti malati nella sua carriera

“quando era necessario, quando te lo chiedono e quando tu, nella veste

di medico, ti rendi conto che hanno ragione. Che senso ha prolungare unʼagonia, assistere allo strazio di dolori insopportabili che non porteranno mai a una guarigione? ”.

Quindi conclude “ non ho nulla di rimproverare a me stesso. Lʼho

sempre fatto di fronte a situazioni che non avevano altra via dʼuscita ”.

Non può che constatarsi che entrambi i medici, Sabatelli con riferimento alla cosiddetta eutanasia passiva consensuale e cioè al rifiuto di trattamenti medici e Saba ben predisposto, invece, anche allʼeutanasia attiva consensuale, si dimostrino in ogni caso favorevoli ad una legge che, in casi particolari e solo ed esclusivamente a volontà accertata del malato, consenta la dolce morte.

Ma, nonostante queste due attualissime interviste abbiano riacceso il dibattito sul fine vita e, nonostante lʼinvito rivolto al Parlamento da parte del Presidente della Repubblica 310a non ignorare il problema, il tema non è allʼordine del giorno dei lavori parlamentari.

310 G.NAPOLITANO, Marzo 2014, “Ritengo anche io che il Parlamento non dovrebbe

ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulla materia. Richiamerò su tale esigenza, anche attraverso la diffusione di questa mia lettera, lʼattenzione del Parlamento”.

Tutta la vicenda denota una grande problematica: la lacuna normativa ha fatto sì che si creasse una grave conseguenza, ovvero, che i medici, forse insieme ai familiari o forse no, hanno nel mentre “liberamente” deciso con la massima discrezionalità le modalità di attuazione delle pratiche eutanasiche. Inoltre, il vuoto legislativo ha dunque, a priori, contribuito al sorgere di una inquietante disparità di trattamento dei pazienti e cioè se la professione medica è relativamente libera, i diritti del malato dovrebbero, al contrario, essere uguali per tutti. Perché allora il paziente che è in cura con un medico che pratica clandestinamente ed illegalmente lʼeutanasia può usufruirne ed un altro invece no?

Come si è già anticipato, a dare il suo parere sul tema, con special riguardo alla gravità della lacuna legislativa, cʼè anche unʼaltra protagonista delle vicende esaminate in questa trattazione, Mina Welby, moglie di Piergiorgio. La battaglia portata avanti con grande dignità dal marito è passata ad essere, ora, la sua stessa battaglia, affinchè a tutti possa essere riconosciuto un diritto, quello del rifiuto delle cure e soprattutto quello della libertà di autodeterminazione da cui esso discende, diritto che era stato, dal Tribunale Civile di Roma, riconosciuto ma negato a Piergiorgio.

Per questo motivo è proprio Mina Welby, la prima firmataria della proposta di legge, “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dellʼeutanasia” , di iniziativa popolare, che si articola principalmente su tre punti focali ovvero la liceità dellʼeutanasia per i malati terminali in

gravissime condizioni, unʼapposita disciplina sul testamento biologico ma anche il rifiuto dei trattamenti sanitari.

La domanda che ho posto alla Signora Welby, è volta ad approfondire la comprensione delle tre richieste della proposta ma soprattutto quello riguardante la tutela del diritto al rifiuto delle cure.

Non pensa che almeno questo ultimo punto sia già garantito dalla nostra Costituzione?

" “ LʼAssociazione Luca Coscioni ha depositato in Camera dei

Deputati, il 13 settembre 2013, la proposta di legge di iniziativa popolare, firmata da quasi 70.000 cittadini italiani, “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dellʼeutanasia”. Certamente che lʼarticolo 32, in particolare nel comma 2 tutela il diritto a decidere per se stesso e rifiutare qualsiasi terapia, anche salvavita. Ma Dott. Riccio fu incriminato per omicidio del consenziente. Mi sto chiedendo, se per caso il GUP dott. Zaira Secchi fosse stata dello stesso parere del GIP? Eʼ possibile che un giudice esprima opinioni personali nelle sentenze? Pare di sì. Ho sentito anche citare il nuovo Codice Deontologico Medico che recita allʼarticolo 17: “Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte.” Quindi la legge depenalizzi questo atto, che provoca la morte. Inutile fare ipocritamente una arrampicata sugli specchi per negare lʼintenzionalità. Senza poi dover ricorrere allʼart. 51c.p. come esimente per lʼatto compiuto dal medico.

Lʼordine dei medici su Welby sempre nel Dicembre del 2006 fa subito sapere che il medico che ha in cura Welby non può accogliere la sua richiesta, «non può» staccare la spina perché andrebbe incontro «a serie conseguenze». Ad elencarle è Amedeo Bianco, il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici e odontoiatri (Fnomceo). Il medico - ha precisato Bianco - «avrebbe contro sia il Codice penale sia quello deontologico, che vieta al medico di assecondare qualunque richiesta esplicita di eutanasia». Ecco qui una interruzione di un trattamento sanitario viene configurato a eutanasia, a mio parere il presidente dellʼordine non poteva fare simile errore. Mentre Amedeo Santosuosso, magistrato milanese tra i fondadatori della consulta di bioetica, «è illegittimo» non tener conto della volontà di Welby. «Nulla può essere fatto ad una persona non consenziente», dice il magistrato citando gli articoli 32 e 13 della Costituzione.

Il deputato Luca Volontè si esprime così: “Welby sa benissimo che le leggi dello Stato italiano non consentono, se non attraverso il suicidio, di decidere personalmente di morire, quindi se lui ritiene di voler dare un taglio alla propria vita può suicidarsi con lʼaiuto della moglie, ma questo non ha niente a che fare con la legalizzazione dellʼeutanasia che è un omicidio sul quale la nostra cultura giuridica non può essere dʼaccordo.”

Che dire poi del ricorso di Welby al Tribunale Civile, dove “il giudice Angela Salvio respinge il ricorso presentato da Piergiorgio Welby, che aveva chiesto l'interruzione del trattamento terapeutico al quale è

sottoposto. Nello stesso provvedimento il giudice si è appellato al Parlamento e alla politica chiedendo una iniziativa legislativa proprio per colmare il vuoto normativo in materia.”

La seconda richiesta nella proposta di legge è la legalizzazione delle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari. Trovo importante che i cittadini scrivano già ora senza legge specifica le loro volontà di come voler essere curati o meno per il momento dove non potrebbero essere capaci di comunicare. Se di Eluana si fosse trovato uno scritto, anche una nota in un diario, che avesse potuto manifestare la sua volontà, che in vita aveva espresso in voce, la faccenda giudiziaria non avrebbe probabilmente avuto quel risvolto tanto penoso e doloroso per la famiglia. Ma ringrazio Beppino, papà affettuoso di Eluana, per aver lottato insieme a sua figlia per un diritto di noi tutti.

Terzo punto la liceità dellʼeutanasia. Se un medico pratica un atto