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Eutanasia passiva consensuale.

4. Lʼeutanasia individualistica pietosa.

4.5 Eutanasia passiva consensuale.

Per quanto riguarda lʼeutanasia passiva, sussiste un problema giuridico in ordine allʼomissione. La condotta omissiva, in questo caso quella medica del non praticare le cure o di interromperle, nel nostro ordinamento penale è disciplinata dallʼarticolo 40, comma 2 c.p. e fonda

la responsabilità medica quando per esso si profili lʼobbligo giuridico di eseguire o continuare determinati trattamenti. Però, prima di giungere alla conclusione della sicura responsabilità medica nel caso di rifiuto delle cure, occorre distinguere tra eutanasia passiva consensuale ed eutanasia passiva non consensuale.

Lʼipotesi di eutanasia passiva consensuale è la forma meno controversa in quanto, in realtà, si traduce in un diritto, quello costituzionalmente tutelato del rifiuto delle cure, infatti al secondo comma dellʼart. 32 Cost. leggiamo: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. In base a questo diritto, viene riconosciuta anche la già citata incoercibilità di vivere, ovvero è garantita costituzionalmente la scelta di non curarsi e dunque di lasciarsi morire. Così facendo, allʼobbligo di prestare delle cure, che contraddistingue la professione medica, si sostituisce il dovere di rispettare la volontà del paziente di rifiutare le cure, anche quelle salvavita. Se, diversamente, il medico non rispettasse il volere del paziente, iniziando o protraendo le cure, potrebbe essere accusato di violenza privata ex art. 610 c.p.122.

Il punto più complesso della discussione riguarda il momento in cui, il medico, per rispettare la volontà del suo paziente di interrompere un determinato trattamento, si trovi a dover compiere non una pura omissione ma una azione (si pensi ai casi di distacco dal respiratore,

dal macchinario per il battito cardiaco, dal sondino naso-gastrico ecc...). Si rischia di confondere eutanasia passiva con eutanasia attiva, in quanto entrambe, in questo caso, presuppongono un comportamento attivo. Ma, in realtà, abbiamo visto come questa “omissione mediante azione” è giustificata dal diritto costituzionale al rifiuto delle cure e, dunque, anche ad un accanimento terapeutico troppo prolungato e invasivo. Chi farà questa richiesta, infatti, non chiede un aiuto a morire ma vuole solo essere libero da cure così estenuanti, che apportano gravi sofferenza e riducono a minimi termini la qualità della loro vita, tanto che sono disposti a rinunciarvi. In sostanza, questo particolare caso di eutanasia passiva consensuale, posta in essere mediante una azione, ha una soluzione in parte coincidente con la prima. Da un lato, è confermato che il medico che rispetti la libertà di autodeterminazione del paziente, conformandosi, dunque, alla sua volontà di interrompere un trattamento, stia adottando una condotta lecita, ma, dallʼaltro, in questa peculiare situazione in cui si necessità di un comportamento attivo del medico, la condotta non deve essere ritenuta un dovere, in quanto deve essere rispettata anche la libertà di convincimenti etici e deontologici del medico123.

Se è vero che nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario, sottintendendo cioè che può ricorrere un diritto in capo a

123 Il dovere di dar seguito al rifiuto di cure, in casi del genere, graverebbe sullo Stato, non sul singolo sanitario che potrebbe rinunziare alla propria posizione di garante invocando il diritto allʼobiezione di coscienza; S.SEMINARA, Riflessioni in tema di

suicidio ed eutanasia in Riv. it. dir. pr. pen., 1995, pag. 696 concorda S.CANESTRARI

ciascuno di rifiutare trattamenti sanitari ed un divieto di imporre delle cure contro volontà, è altrettanto vero che, la stessa norma da cui abbiamo ricavato tutto ciò, allo stesso tempo lo smentisce, ponendo una eccezione.

Lʼarticolo 32 Costituzione, infatti, con la frase “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” crea un principio generale ed una eccezione per cui solo la legge può derogarvi, intendendo che ci possano essere trattamenti sanitari obbligatori per legge, cosiddetti T.S.O. (si pensi alle malattie infettive per le quali il legislatore attribuisce maggiore rilevanza allʼinteresse della collettività facendo soccombere il diritto del singolo al rifiuto delle cure). Nella prosecuzione del dettato normativo costituzionale viene poi posto un ulteriore limite allʼeccezione e cioè che, anche se la legge, derogando al principio generale, può imporre alcuni tipi di trattamenti sanitari obbligatori per esigenze specifiche che, in qualche modo, contrastino con il diritto del paziente al rifiuto, non può comunque ed in alcun caso contrastare con il valore della persona umana (“La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”)124.

Per spiegare meglio il concetto, è forse opportuno fare un esempio riportando ciò che si è appena detto ad un caso concreto125: un

soggetto A è affetto da una grave malattia neuro-muscolare a carattere

124 A.VALLINI , Lasciar morire, lasciarsi morire: delitto del medico o diritto del malato? in Studium Iuris, vol.5, 2007 pag. 539 e sg.

degenerativo che è ormai in fase terminale. A vive ancora e solo grazie ad un respiratore artificiale in quanto si trova completamente paralizzato. A, pur versando in una condizione fisica drammatica, è però ancora pienamente lucido e consapevole della sua condizione, al punto da chiedere al medico di porre fine alle sue sofferenze staccando il respiratore artificiale.

Come può apparire evidente, in questo caso, anche alla luce di ciò che è stato detto pocʼanzi, siccome nessuna legge vigente impone come obbligatoria la respirazione artificiale, si applica la regola generale e cioè quella per cui A ha tutto il diritto a richiedere la sospensione della terapia senza che il medico possa incorrere in responsabilità. La responsabilità del medico, come si è detto in precedenza, si ha nel caso in cui vi sia una omissione che, a sua volta, si configura ogni qualvolta non venga posta in essere unʼazione che si ha il dovere giuridico di compiere. Nel caso specifico, non esiste un obbligo giuridico di impedimento e sulla base di questo ragionamento si può affermare che lʼeutanasia consensuale passiva, ovvero il rifiuto di cure è del tutto lecita. Eʼ, oltretutto, affermazione ricorrente anche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale126 che il diritto a rifiutare le cure non sia altro

che unʼestrinsecazione del più generale diritto di libertà 127di scegliere

che non siano ammesse intromissioni nella sua sfera personale quali

126 Corte Cost. n° 238/1996; n°471/1990; n°257/1996.

127 Riferimento allʼart. 13 Cost. che afferma al suo primo comma il principio generale: “La libertà personale è inviolabile”

sarebbero le insistenti ed invasive cure mediche128. Il rispetto della

libertà del paziente di autodeterminarsi e di scegliere autonomamente se sottoporsi a trattamenti sanitari pur sapendo in quale condizione fisica si versi, è sancito anche in altre leggi che disciplinano materie più specifiche rispetto ai principi generali costituzionali. In particolare, tra le più significative, si ricordano: la legge Basaglia129, 180 del 1978, al suo

articolo 1 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana” e la legge 83 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, che allʼarticolo 33 afferma : “Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono

128 A.VALLINI, op.cit. pag 541.

129 Legge del 13 Maggio 1978 n°180, in materia di Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, detta Legge Basaglia da FRANCO BASAGLIA psichiatra promotore della riforma psichiatrica in Italia.

attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove, necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato. L'unità sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunità. Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l'infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno. Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio. Sulle richieste di revoca o di modifica il sindaco decide entro dieci giorni. I provvedimenti di revoca o di modifica sono adottati con lo stesso procedimento del provvedimento revocato o modificato” . Sotto questo profilo si apre

quindi un dibattito in ordine a quello che potrebbe essere un diritto del malato a rifiutare le cure e a morire. La dottrina costituzionalistica si è contrapposta in due filoni di pensiero.

Nel più volte citato art. 32 Cost leggiamo “la Repubblica tutela la salute

come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” , questa affermazione ha fatto sì

che si creasse, in alcuni, il convincimento che il diritto alla salute fosse da riferire a un diritto collettivo per cui la salute della collettività corrisponde alla salute dei singoli individui tutti, la salute del singolo

come funzionale alla salute collettiva. Da questo ragionamento ne deriverebbe, quindi, un “obbligo di tenersi in vita ed in salute per servire al meglio allo Stato, agli altri ed alla collettività 130”. Ma, dʼaltra parte, questo è ritenuto incompatibile con lʼidea dei costituenti che, contrariamente, intendevano attribuire alla salute il significato di una vera e propria pretesa del singolo, persona umana al centro di ogni valore e diritto, nei confronti dello Stato. Questa linea di pensiero è sostenuta dalla Costituzione stessa, sia nei limiti imposti dal comma 2 allʼarticolo 32, sia allʼarticolo 2 “la Repubblica riconosce e garantisce i

diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Questi articoli

ci aiutano a distinguere chiaramente il principio costituzionale di inviolabilità della vita, per cui nessuno può incidere sulla vita altrui senza il suo assenso, e il principio codicistico di indisponibilità della vita, per cui gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanete dellʼintegrità fisica (5 c.c). Appurato che i due principi hanno significati differenti, si constata, in ogni caso, che norme subordinate non possono comunque circoscrivere principi di portata costituzionale. Ma, nella visione dottrinale costituzionale di chi vede il diritto alla salute come un interesse collettivo e sostiene lʼinvalidità del rifiuto di cure salvavita, troviamo, a difesa, anche unʼargomentazione storica supportata da una

sorta di “processo alle intenzioni” dei costituenti. Si ritiene, infatti, che lʼidea della costituente, nella stesura dellʼart.32,2°comma, fosse finalizzata quasi esclusivamente ad evitare il reiterarsi di quegli eventi atroci o pratiche abitudinarie che avevano caratterizzato il regime nazista (si pensi non solo ai casi di eutanasia eugenica ed economica ma anche al trattamento di sterilizzazione forzata, per esempio) e non a disciplinare il rapporto medico-paziente, tantomeno nei casi in cui il bene a rischio fosse la vita stessa. Sta di fatto, però, che, nel corso degli anni, tutti gli emendamenti tesi ad introdurre forme di obbligatorietà del curarsi e del vivere furono rigettati. Da questa disanima, possiamo inferire che lʼidea di una salute collettiva sovra- ordinata a quella individuale sarebbe incostituzionale e pertanto è corretto affermare, come abbiamo fatto fino ad ora, che è lecito e doveroso rispettare le scelte individuali, specie se garantite da diritti costituzionali, come dunque è lecita lʼeutanasia passiva consensuale e cioè il libero rifiuto di qualsiasi tipo ci cure, anche quelle salvavita.

Infatti tutti i criteri interpretativi quale quello letterale, sistematico, teleologico,storico confermano il principio generale della rifiutabilità di qualsiasi trattamento131.

Ancora, se la legge nazionale non ci bastasse potremmo fare riferimento al Consiglio dʼEuropa del 1997 per la protezione dei diritti

dellʼuomo e la dignità dellʼessere umano riguardo alle applicazioni della

biologia e della medicina, cosiddetta Convenzione di Oviedo132, specificamente allʼarticolo 2133, che rimarca la centralità e prevalenza del valore della persona umana sugli interessi sociali smentendo così ogni tipo di concezione utilitaristica, e allʼarticolo 5134 che ribadisce come ogni trattamento medico possa essere compiuto solo dopo un consenso. Lʼidea, sui valori di cui si sta discutendo, è così univoca da ritenere valido, come regola generale, che il dissenso del soggetto in cura vincolerà sempre ed in modo assoluto il comportamento del medico, che non potrà così imporre alcun tipo di terapia, nemmeno quando questo porti allʼestrema conseguenza della morte del paziente135.