• Non ci sono risultati.

La gestione di patrimoni mobiliari nel trade off rischio-rendimento. Una verifica empirica.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La gestione di patrimoni mobiliari nel trade off rischio-rendimento. Una verifica empirica."

Copied!
200
0
0

Testo completo

(1)

1

“Per aspera, sic itur, ad astra” Cicerone.

(2)

2

Indice

Introduzione ... 5

Capitolo 1. "La gestione di patrimoni mobiliari" ... 7

1.1 Caratteri introduttivi ... 7

1.2 La gestione di tipo Individuale ... 9

1.2.1 Profili normativi e definitori ...10

1.2.2 La riserva di attività e il suo accesso ...17

1.2.3 Svolgimento dell’attività: le regole di comportamento ...25

1.2.4 Il principio della separazione patrimoniale ...36

1.2.5 Gestione patrimoniale e consulenza indipendente ...38

1.3 La gestione di tipo collettivo ...41

1.3.1 Aspetti definitori: l’attività e i soggetti abilitati ...42

1.3.2 Il profilo strutturale...45

1.3.3 Il profilo funzionale ...48

1.4 La vigilanza sui gestori: aspetti tecnici ...51

1.4.1 La vigilanza nel caso dei fondi comuni di investimento ...52

1.4.2 La vigilanza su SICAV e SICAF ...54

Capitolo 2. "L'asset allocation" ...57

2.1 Caratteri introduttivi ...57

(3)

3

2.3 A.A. Strategica, Tattica e Dinamica: gestione collettiva Vs individuale ...70

2.4 Modelli e Indici di misurazione delle performance ...79

2.4.1 Time Weighted Rate of Return VS Money Weighted Rate of Return ...80

Capitolo 3. "La gestione indivuale di patrimoni mobiliari per diversi profili rischio-rendimento" ...93

3.1 Presupposti metodologici ...93

3.2 Investitore “A”: bassa rischiosità ... 101

3.2.1 L’asset allocation di “A”... 102

3.2.2 La composizione del portafoglio “A”: mercato monetario ... 104

3.2.3 La composizione del portafoglio “A”: mercato obbligazionario ... 105

3.2.4 La composizione del portafoglio “A”: mercato azionario ... 110

3.2.5 Investitore “A”: Conclusioni ... 117

3.3 Investitore “B”: media rischiosità ... 120

3.3.1 L’asset allocation di “B” ... 121

3.3.2 La composizione del portafoglio “B”: mercato obbligazionario ... 122

3.3.3 La composizione del portafoglio “B”: mercato delle commodities ... 129

3.3.4 La composizione del portafoglio “B”: mercato azionario ... 133

3.3.5 Investitore “B”: Conclusioni ... 157

3.4 Investitore “C”: alta rischiosità ... 160

3.4.1 L’asset allocation di “C” ... 161

3.4.2 La composizione del portafoglio “C”: mercato delle commodities ... 162

(4)

4

3.4.4 La composizione del portafoglio “C”: mercato azionario ... 164

3.4.5 Investitore “C”: Conclusioni ... 180

Conclusioni ... 185

Indice di figure, tabelle, grafici ed equazioni ... 191

Bibliografia ... 196

(5)

5

Introduzione

a

“La gestione di patrimoni mobiliari nel trade off

rischio-rendimento. Una verifica empirica”

Ognuno di noi, indipendentemente dalla nostra professione, età e provenienza geografica, cerca di condurre una vita finanziariamente stabile. Al di là del numero che fa bella mostra di sé in fondo all’ultimo estratto conto inviatoci dalla banca, lo sforzo che compiamo quotidianamente è quello di mantenere in equilibrio le molte uscite e i proventi del nostro lavoro. Questa dinamica vale per tutte le fasce sociali, anche per le classi più abbienti. Anche loro infatti sono chiamati a prodursi in questo sforzo e se il motivo per cui lo fanno non è riuscire a risparmiare qualcosa, allora probabilmente è cercare di aumentare la loro ricchezza. Insomma, quando Jean Paul Getty diceva che “Quando non si hanno soldi ci si pensa sempre. Quando se ne hanno, anche.” troppo torto probabilmente non lo aveva. Certamente quello che accomuna tutti, magari su diversa scala, è il prodursi in una gestione del patrimonio, il nostro, che risponda alle nostre esigenze. Se poi il capitale che nel tempo siamo riusciti ad accumulare è sufficiente decidiamo solitamente di non spenderlo per far fronte a delle necessità, ma di investirlo perché generi dei frutti e aumenti di consistenza. Questo obiettivo però richiede delle competenze che generalmente non sono molto diffuse e si rende quindi necessario rivolgersi a figure professionali che, sentite le nostre necessità, si adoperino nel raggiungimento del traguardo. Si concretizzano così diversi stili di gestione patrimoniale, e diverse strategie. Proprio questo sarà l’argomento delle pagine seguenti. L’obiettivo che ci prefiggiamo di raggiungere con questo lavoro è quello di fornire un quadro

(6)

6

esaustivo della disciplina che regola attualmente il complesso abito delle gestioni patrimoniali, avendo cura di evidenziare le nuove tendenze nate come conseguenza degli ultimi mutamenti legislativi; esplicitare l’apparato teorico dietro il fenomeno della gestione e, infine, prodursi in un esercizio pratico di gestione individuale. Concretamente il traguardo che si pone davanti è quello di tradurre in pratica un insieme astratto di principi, sperimentando in prima persona cosa possa significare gestire il patrimonio di un risparmiatore perché riesca a generare i risultati aspettati. L’obiettivo prefissato è certamente ambizioso e la strada che verrà percorsa sarà solo una delle possibili. Le tappe che ci guideranno in questo cammino prenderanno necessariamente le mosse dal quadro normativo. Ritengo costituisca la base per comprendere il sistema dentro cui poi ci muoveremo. Il passo successivo sarà più indirizzato nella pratica dell’argomento: analizzeremo per tanto quali sono gli asset a cui possiamo attingere per gestire il nostro patrimonio liquido, come si possono aggregare tra loro e secondo quali strategie. Infine, il lavoro troverà il suo culmine con la prova pratica della teoria. Verranno ipotizzati tre clienti, con differenti esigenze e obiettivi. Per ciascuno di essi studieremo una possibile strategia di gestione.

(7)

7

CAPITOLO PRIMO

LA GESTIONE DI PATRIMONI MOBILIARI

1.1 Caratteri introduttivi

In questo capitolo affronteremo il complesso e vasto argomento della gestione patrimoniale. Cercheremo innanzitutto di darne una prima approssimativa definizione perché possa risultare immediatamente chiara la materia che mi sono posto di affrontare. Successivamente l’obiettivo sarà quello di andare più nel dettaglio, analizzando il significato dei termini usati, per evidenziare come vadano a delineare in maniera puntuale un fenomeno ben preciso. La prima domanda a cui ritengo opportuno rispondere è quella che a mio avviso sorge spontanea, soprattutto in un quadro iniziale e definitorio come quello in cui ci troviamo:

“Cos’è il patrimonio?”

Fondamentalmente gli esiti possibili sono prevalentemente due e promanano da discipline differenti: da un punto di vista del Diritto Privato la nozione di patrimonio si esplicita “nell’insieme dei rapporti giuridici attivi e passivi rilevanti economicamente e facenti capo ad un soggetto”1. Dal punto di vista economico, invece, definiamo il patrimonio come “la ricchezza, espressa in termini monetari, disponibile per un soggetto in un dato istante temporale”2. Risulta evidente come non tutti i rapporti giuridici, secondo il diritto, costituiscano il patrimonio di una persona, ma solo quelli in cui è evidenziabile una diretta rilevanza economica, sia essa positiva o negativa. All’interno della visione di stampo

1Fonte: “http://www.dirittoprivatoinrete.it/patrimonio.htm” 2 Fonte: “https://it.wikipedia.org/wiki/Patrimonio”

(8)

8

economico possiamo distinguere un profilo quantitativo, riferendoci agli immobili, le merci, gli automezzi, e un profilo qualitativo cioè i valori monetari. Questo secondo profilo sarà quello che prenderò in oggetto. Si voglia, infine, porre attenzione su un ultimo dettaglio evidenziabile nella definizione di patrimonio, ossia il fatto che ci si riferisca ad esso, in relazione ad un preciso istante temporale. Usando un linguaggio tipico delle discipline economiche staremmo parlando cioè di una grandezza stock, di una grandezza, quindi, che ha significato solo se correlata ad un definito momento temporale. Tale distinzione è utile per capire la differenza con le grandezze flusso, quelle cioè, che esprimono un concetto di tipo dinamico: per esempio il reddito, ossia la ricchezza di un soggetto valutata all’interno di un arco temporale.

Una volta chiarito cosa intendiamo per patrimonio, siamo pronti a muovere il prossimo passo all’interno sempre del nostro quadro definitorio, e a tentare di delineare meglio la nozione sottostante alla gestione dei patrimoni. Quando parliamo di gestioni di patrimoni facciamo riferimento a quelle forme di investimento che permettono al risparmiatore di affidare, tramite apposito mandato, a professionisti abilitati, il compito di impiegare le ricchezze conferite affinché queste generino nuova ricchezza.3 Gli elementi cruciali su cui porre la nostra attenzione sono:

• Il fatto che un soggetto dia mandato ad un soggetto abilitato. Quindi nella decisione specifica dell’oggetto di investimento e/o nelle tempistiche e modalità assistiamo ad una perdita di autonomia volta a favorire l’inserimento del know-how del professionista incaricato.

• Il fine ultimo della gestione: lo sfruttare le risorse monetarie iniziali per generare nuova ricchezza. Un fine, quindi, produttivo.

3 Fonte: Assogestioni

(9)

9

Prendendo le mosse da quanto detto sopra è opportuno chiarire che le modalità con cui la gestione può concretizzarsi sono fondamentalmente distinguibili in due macro categorie. Essendo due diverse attuazioni della stessa definizione, esse avranno molteplici punti di contatto ma altrettanti preminenti punti distintivi. Prima di entrare nel vivo del mio elaborato ritengo cruciale sottolineare che tale distinzione non è rilevante solo a fini introduttivi, ma permeando l’intero mio lavoro, sarà il filo conduttore anche dei prossimi capitoli. La gestione può essere:

• INDIVIDUALE • COLLETTIVA

1.2 La gestione di tipo Individuale

La prima forma di gestione di cui mi accingo a parlare è quella di tipo individuale4. Per poter capire cosa il nostro ordinamento ritenga rientri in questa fattispecie sarà necessario introdurre alcuni concetti, come quello di strumento finanziario e di servizio d’investimento. Preliminarmente, però, affronteremo un breve excursus storico per identificare le fonti del diritto a cui ci rivolgiamo e verso cui dobbiamo sempre tendere per comprendere l’estensione delle attività di cui trattiamo.

(10)

10 1.2.1 Profili normativi e definitori

Perno centrale dell’apparto legislativo italiano è senza dubbio il Testo Unico della Finanza5, altrimenti noto col nome dell’allora Direttore Generale del Ministero del Tesoro, Mario Draghi. Il testo unico disciplina in maniera organica le interazioni tra soggetti operanti sul mercato finanziario. Il suo obiettivo è quello di coordinare e dare una visione d’insieme al complesso normativo vigente relativo ai servizi d’investimento in valori mobiliari, recependo e armonizzando il quadro prescrittivo soprattutto alla luce delle direttive europee. Elemento che merita di essere notato è come il nostro ordinamento, quello italiano, sia stato il precursore nell’identificare la necessità di un apparato legislativo unico e il più possibile omnicomprensivo. Ovviamente con le successive promulgazioni a livello europeo tutti gli stati membri sono andati in contro ad un processo di armonizzazione dei rispettivi sistemi normativi. Il fine era proprio quello di ridurre progressivamente la discrezionalità concessa individualmente e ottenere uno scenario omogeneo che, nell’ambito dei servizi d’investimento, presentasse regole di condotta comuni. In altre parole, si cercava di creare un unico mercato finanziario nell’Unione Europea che fosse integrato, efficace e competitivo.6 Proprio con tale scopo il documento fondamentale in materia è la cosiddetta Direttiva MiFID7, entrata in vigore il 1° Gennaio 2007 e recepita nel nostro ordinamento col d.lgs. 164/2007, e il suo sviluppo la MiFID 2 8, recepita col d.lgs. 233/2017 ed entrata in vigore il 28 Febbraio 2017. Al di là degli obiettivi di armonizzazione già espressi l’elemento che aveva reso necessario il passaggio ad una nuova e più elaborata fonte giuridica era stata la presa di consapevolezza da parte della Commissione Europea del profondo cambiamento che il mercato finanziario europeo stava manifestando. Il crescente numero di investitori nei mercati e l’aumentata complessità della gamma di servizi e strumenti che veniva loro offerta

5 Consob (2018) – Testo unico della Finanza – (D.Lgs 58/1998)

6 Annunziata F. (2017) – La disciplina del mercato mobiliare -Giappichelli Editore, Torino 7 EC (2004) - Markets in Financial Instruments Directive – MiFID – (CE/39/2004) 8 EU (2014) - Markets in Financial Instruments Directive 2– MiFID 2 – (EU/65/2014)

(11)

11

aveva reso inadeguata la precedente fonte prescrittiva vigente, la Direttiva ISD9, spingendo così al cambiamento. L’impatto della MiFID sull’apparato normativo, gli stravolgimenti e, nondimeno, il corposo processo che ha portato, attraverso la cosiddetta comitatologia, alla sua stesura, sono senza dubbio argomenti cruciali. Tuttavia, al fine della nostra trattazione, non rivestono un ruolo preminente e per non distogliere l’attenzione dal vero obiettivo del mio elaborato, preferisco non approfondire ulteriormente l’argomento. Vedremo più avanti le modifiche che la MiFID2 ha apportato alla precedente direttiva, limitandoci però alle tematiche oggetto di questo lavoro.

Quando parliamo di gestione individuale all’interno del più generico mondo della gestione patrimoniale, facciamo implicitamente riferimento ad un fenomeno giuridico ben preciso che si identifica con la gestione di portafogli e che rientra tra i più generici Servizi d’investimento. Nel TUF, in ottemperanze delle regole europee che in esso sono recepite, contrapposta alla gestione collettiva del risparmio troviamo appunto i servizi di investimento e al loro interno il caso specifico della gestione di portafogli. Iniziamo a fare chiarezza. L’articolo 1 della legge Draghi è destinato a fornire tutte le definizioni necessarie a comprendere i fenomeni oggetto di disciplina. Sebbene l’attività dei servizi di investimento venga trattata all’art.18, la definizione, appunto, di cosa si intenda per S.I. la troviamo all’art.1, comma 5 che recita10:

“Per servizi e attività di investimento si intendono i seguenti quando hanno ad oggetto strumenti finanziari”

a) negoziazione per conto proprio

9 EEC (1993) Investments Services Directives - (CEE/93/22)

(12)

12 b) esecuzione di ordine per conto dei clienti

c) assunzione a fermo e/o collocamento sulla base di impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente

c-bis) collocamento senza impegno irrevocabile nei confronti del cliente d) gestione di portafogli

e) ricezione e trasmissione di ordini f) consulenza in materia di investimenti

g) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione g-bis) gestione di sistemi organizzati di negoziazione

In pratica in questo quinto comma del primo articolo il legislatore ha voluto chiarire che se l’attività, soggetto della trattazione, rientra in questa lista, allora costituisce un servizio di investimento. Vi è però una precisazione da fare: perché possa effettivamente costituirsi come tale, l’attività deve avere come oggetto strumenti finanziari. Se così non fosse, se cioè fosse incentrata su altri strumenti, pur rientrando ipoteticamente nell’elenco, non sarebbe un servizio di investimento. Alla luce di quanto detto è palese la centralità della definizione di strumento finanziario. Ancora una volta volgiamo lo sguardo all’articolo 1, comma 2, il quale recita:

“Per Strumento Finanziario si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato 1. Gli strumenti di pagamento non rientrano negli strumenti finanziari”11

(13)

13

Riporto qua sotto l’allegato 1, sezione C, che elenca gli strumenti considerabili rientranti nella definizione di strumento finanziario. Conitinuo a citare direttamente del Testo Unico della Finanza:

(1) Valori mobiliari.

(2) Strumenti del mercato monetario.

(3) Quote di un organismo di investimento collettivo.

(4) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, quote di emissione o altri strumenti finanziari derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti. (5) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine («forward»), e altri contratti su strumenti derivati connessi a merci quando l’esecuzione deve avvenire attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in contanti a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto.

(6) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap» ed altri contratti su strumenti derivati connessi a merci che possono essere regolati con consegna fisica purché negoziati su un mercato regolamentato, un sistema multilaterale di negoziazione o un sistema organizzato di negoziazione, eccettuati i prodotti energetici all’ingrosso negoziati in un sistema organizzato di negoziazione che devono essere regolati con consegna fisica.

(14)

14

(7) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine («forward») e altri contratti su strumenti derivati connessi a merci che non possono essere eseguiti in modi diversi da quelli indicati al numero 6, che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati.

(8) Strumenti finanziari derivati per il trasferimento del rischio di credito. (9) Contratti finanziari differenziali.

(10) Contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», contratti a termine sui tassi d’interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, quando l’esecuzione avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti su strumenti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, non altrimenti indicati nella presente sezione, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l’altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato, un sistema multilaterale di negoziazione o un sistema organizzato di negoziazione.

(11) Quote di emissioni che consistono di qualsiasi unità riconosciuta conforme ai requisiti della direttiva 2003/87/CE (sistema per lo scambio di emissioni). 12

Cerchiamo di comprendere l’importanza della definizione appena data.

I servizi di investimento perché possano definirsi tali abbiamo detto che devono avere per oggetto strumenti finanziari. La gestione collettiva del risparmio, che formalmente

(15)

15

definiremo nel capitolo 1.2.1, si esplicita nella gestione degli OICR, ma l’attività di quest’ultimi riguarda strumenti finanziari. Entrambe le due attività non sono liberamente esercitabili, ma sono soggette a riserva di legge. Per comprendere definitivamente cosa significhi rimando al prossimo paragrafo. Capire, quindi, cosa si intenda per strumento finanziario serve ad individuare l’estensione della attività riservata, al fine di conoscere cosa sia soggetto ad essa e cosa sia liberamente esercitabile senza autorizzazione da parte delle autorità di vigilanza. In altre parole: più è ampia la nozione, più ampia sarà la fattispecie dell’attività riservata. Si potrebbe dire quindi che la funzione di questa definizione non è meramente descrittiva, non si vuole cioè descrivere lo status quo di un fenomeno immutabile, ma, anzi, è una finalità prescrittiva, ossia che vuole favorire l’applicabilità della legge di fattispecie in fattispecie.

Per ricapitolare: abbiamo detto che la gestione di portafogli rientra nei S.I. e che questi si identificano come tali solo se hanno per oggetto S.f. Abbiamo dato la relativa nozione e compreso perché è tanto importante. A questo punto non rimane che dare proprio la definizione di Gestione di Portafogli.

“Per gestione di portafogli si intende la gestione, su base discrezionale e individualizzata, di portafogli di investimento che includono uno o più strumenti finanziari e nell’ambito di un mandato conferito dai clienti”13

Della nozione appena fornita alcuni termini sono particolarmente rilevanti e devono essere esplicitati e approfonditi nel significato per meglio evidenziare i punti fondanti questa attività.

(16)

16

Ø Gestione: cosa intendiamo per gestione? Procedendo per via interpretativa possiamo dire che con questo termine intendiamo un insieme di atti finalizzati ad uno scopo produttivo, quindi a generare utilità per il cliente che conferisce il mandato al professionista autorizzato. Non ci stiamo cioè riferendo ad una attività statica, di mero godimento.

Ø Discrezionalità: Ci riferiamo a una discrezionalità di tipo tecnico e una di tipo decisoria. Nel primo caso intendiamo affermare che il beneficiario del mandato conferito dal cliente potrà decidere modalità e tempistiche di esecuzione delle varie operazioni. Quella decisoria, invece, afferisce alla possibilità in capo al professionista abilitato di scegliere il tipo di investimento, la tipologia di operazione da compiere. Ovviamente questi sarà tenuto a rispettare le regole di adeguatezza. L’intermediario, cioè, non può prendere decisioni che non siano adeguate al profilo del cliente. Chiariremo ulteriormente e in maniera esaustiva quelle che sono le regole di comportamento che l’intermediario abilitato è tenuto a rispettare più avanti, nel capitolo 1.1.3

Ø Individualizzata: Con questo termine il nostro legislatore non ha voluto intendere che la gestione fosse individualizzata. Bensì deve trattarsi di un approccio alle scelte di investimento realizzato su misura, verrebbe da dire, ancorato quindi alle necessità e propensioni del cliente mandatario. Non è quindi una limitazione in termini operativi che vincola in un rapporto uno-a-uno la gestione, ma più in termini funzionali, sebbene i clienti, anche se accorpati devono appartenere a categorie omogenee.

Ø Portafoglio di investimento: a questo riguardo faccio giusto una precisazione. Perché si configuri un portafoglio basta che vi sia un solo strumento finanziario. Il nostro legislatore non usa mai questo termine come sinonimo di patrimonio in quanto

(17)

17

quest’ultimo risulterebbe troppo vasto e generico per gli scopi normativi per cui viene definito.

Giunti a questo punto della trattazione, dopo aver individuato le fonti del diritto di questa materia, aver fornito un quadro definitorio il più esaustivo possibile, e aver definito la nostra gestione individuale, passiamo ora ad illustrare le regole di accesso allo svolgimento della attività e cosa significhi che essa goda della riserva di legge.

1.2.2 La riserva di attività e il suo accesso

Fornire servizi di investimento e di gestione collettiva del risparmio sono due attività che il nostro legislatore ha identificato come attività rilevanti e il loro svolgimento è salvaguardato dalla riserva di legge.14 Ciò significa che per poterle esercitare si deve essere soggetti abilitati a farlo. Il nostro ordinamento in questo caso è un sistema ad attività: ciò significa che il fenomeno oggetto di disciplina, il cosiddetto prius, è proprio l’attività e non i soggetti che la svolgono. La disciplina si applica per il solo fatto che l’attività rilevante venga esercitata e verrà applicata la disciplina collegata all’operatività svolta, indipendentemente da chi la metta in pratica. Se la banca si produce in operazioni tipiche dell’attività bancaria sarà assoggettata al Testo Unico Bancario, ma se mettesse in opera servizi di investimento o gestione collettiva del risparmio sarebbe assoggettata ai dettami del Testo Unico della Finanza. L’ambiguità che in questo contesto si manifesta è che, al contrario di quanto succeda per l’attività bancaria, dove per una attività rilevante abbiamo un solo soggetto destinatario, la banca appunto, nel caso in trattazione, abbiamo come soggetti destinatari, e quindi potenzialmente abilitabili, una pluralità.

(18)

18

Entriamo adesso più nello specifico del dettaglio normativo e per farlo poniamo la nostra attenzione proprio all’articolo 18, comma 1 che recita:

“L’esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi e delle attività̀ di investimento è riservato alle Sim, alle imprese di investimento UE, alle banche italiane, alle banche UE e alle imprese di paesi terzi”15

Da quanto detto pare evidente che i depositari della facoltà di esercitare queste attività siano:

Ø Società di Investimento Mobiliare (SIM) Ø Imprese di Investimento UE

Ø Banche italiane Ø Banche UE

Ø Imprese paesi terzi

Quello che invece è del tutto meno scontato è a cosa alluda l’articolo quando fa uso di alcune locuzioni. Analizziamo i punti cruciali che compongono il passo di legge:

Ø Esercizio professionale: in ambito giuridico vige il principio della Relatività delle nozioni giuridiche ossia il fenomeno per cui non è possibile traslare una nozione al di fuori della sua specifica disciplina. Ad una identità di norme, quindi, non corrisponde identità di nozioni. Ho richiamato questo concetto perché se potessimo mutuare l’idea di esercizio professionale fornita dal codice civile16, dovremmo

15 Consob (2018) – Testo unico della Finanza – (D.Lgs 58/1998). Art.18 comma 1

(19)

19

intenderlo come qualcosa di svolto in maniera non occasionale17. Tuttavia, in questo caso l’accezione corretta18 è quella di attività svolta a titolo principale, quindi non in maniera accessoria e che, anzi, avvenga attraverso la predisposizione di un idoneo schema organizzativo.19 Ad ulteriore riprova di quanto affermato possiamo riportare l’articolo 4 della direttiva MiFID che definisce le imprese di investimento:

“impresa di investimento: qualsiasi persona giuridica la cui occupazione o attività abituale consiste nel prestare uno o più servizi di investimento a terzi e/o nell'effettuare una o più attività di investimento a titolo professionale”.20

È chiaro che “a titolo professionale” non possa essere inteso come “abituale” proprio per l’uso fatto nella nozione citata, in cui l’uno e l’altro termine vengono indicati come condizioni necessarie e soprattutto disgiunte, non cioè, come sinonimi.

Ø Nei confronti del pubblico: Cioè destinati a terzi. Accezione però economica del termine, riferendosi quindi a soggetti economici terzi quindi non soggetti terzi rintracciabili all’interno della medesima unità economica. Il chiarimento anche in questo caso viene, in via interpretativa, fornita dalla Direttiva 39/2004/CE che all’articolo 2, esenta dall’applicabilità della disciplina:

“le persone che prestano servizi di investimento esclusivamente alla propria impresa madre, alle proprie imprese figlie o ad altre imprese figlie della propria impresa madre”.

Ø Imprese di Investimento: abbiamo richiamato la definizione espressa nella Direttiva MiFID proprio poco sopra. L’elemento cardine di tale nozione è che le

17 Fonte: “https://www.laleggepertutti.it/codice-civile/art-2082-codice-civile-imprenditore” 18 Ministro del Tesoro (1997) – Decreto Ministeriale del 26 Giugno 1997, n° 349 19 Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Servizi_di_investimento

(20)

20

imprese di investimento, come attività abituale e nei confronti del pubblico, forniscono uno o più servizi di investimento. Adesso, alla luce del quadro introduttivo fornito inizialmente, siamo in grado di capire che quindi dovranno avere ad oggetto strumenti finanziari e che quindi saranno soggetti destinatari di abilitazione necessaria a svolgere un’attività rilevante riservata.

Ad altri intermediari finanziari come le Società di Gestione del Risparmio (SGR) il legislatore ha dato la possibilità di svolgere solo alcuni S.I. indicati in modo puntuale e tassativo dall’Art.18, comma221 che sono:

Ø Gestione di Portafogli

Ø Ricezione e trasmissione di ordini Ø Consulenza in materia di investimenti

Si stabilisce inoltre che gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto all’articolo 106 del testo unico bancario possono esercitare le attività di22:

Ø Negoziazione per conto proprio

Ø Esecuzione di ordini per conto dei clienti Ø Collocamento con e senza garanzia

21 Consob (2018) – Testo unico della Finanza – (D.Lgs 58/1998) Art.18 comma 2: “Le Sgr possono prestare professionalmente nei confronti del pubblico i servizi previsti dall'articolo 1, comma 5, lettere d) ed f). Le Sgr possono, altresì, prestare professionalmente nei confronti del pubblico il servizio previsto dall’articolo 1, comma 5, lettera e), qualora autorizzate a prestare il servizio di gestione di FIA. Le società di gestione UE possono prestare professionalmente nei confronti del pubblico i servizi previsti dall'articolo 1, comma 5, lettere d) ed f), qualora autorizzate nello Stato membro d'origine.”

22 Consob (2018) – Testo unico della Finanza – (D.Lgs 58/1998) Art.18 comma 3: “Gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del testo unico bancario possono esercitare professionalmente nei confronti del pubblico, nei casi e alle condizioni stabilite dalla Banca d'Italia, sentita la Consob, i servizi e le attività previsti dall'articolo 1, comma 5, lettere a) e b), limitatamente agli strumenti finanziari derivati, nonché il servizio previsto dall'articolo 1, comma 5, lettere c) e c-bis)”.

(21)

21

Si conclude poi ricordando che l’articolo 18, comma 4, estende alle S.I.M tutti i servizi accessori e le attività connesse o strumentali, salvo le riserve di attività previste dalla legge.23 Il paragrafo che abbiamo in trattazione è stato pensato per dare la possibilità di comprendere cosa sia il fenomeno giuridico della riserva di attività, quali siano le conseguenze dell’identificare una attività come rilevante e poi per condurci nello specifico avendo quindi chiare, relativamente ai servizi di investimento, le previsioni di legge. Adesso che conosciamo i soggetti, rimane da affrontare come avvenga il loro accesso all’attività. Secondo i principi delle direttive comunitarie non basta che un soggetto sia abilitato (abilitazione astratta), questo deve essere anche sottoposto a un controllo preventivo affidato ad una autorità pubblica indipendente (abilitazione concreta). Quest’ultima fase avviene secondo due modelli, differenti in base al soggetto richiedente. Se il soggetto richiedente è un’impresa comunitaria, allora il modello applicato sarà quello della comunicazione di inizio attività, per tutti gli altri soggetti invece vige un modello autorizzativo. Tale semplificazione si è resa necessaria soprattutto alla luce del principio vigente dell’Home Country Controll, principio per cui l’abilitazione, con tutti i controlli associati, viene concessa dall’organismo di vigilanza preposto del paese di origine. Per non duplicare più volte i controlli, e quindi i costi, si ritiene sufficiente una comunicazione di inizio attività. Il modello autorizzativo, invece, ha come punto di inizio l’individuazione dell’autorità competente, l’ambito del controllo, la natura dell’autorizzazione, e gli effetti di quest’ultima. Parlando dell’autorità competente dobbiamo chiarire il criterio di divisione delle competenze tra le due autorità: Banca di Italia e Consob. La scelta poteva vertere su un criterio per soggetti in cui ad un organismo si affidava l’intera vigilanza di un soggetto, in tutte le sue attività, oppure un criterio per funzioni in cui i due organi di controllo si alternano e aiutano a vicenda nella

23 Consob (2018) – Testo unico della Finanza – (D.Lgs 58/1998) Art.18, comma 4, TUF: “Le Sim possono prestare professionalmente nei confronti del pubblico i servizi accessori e altre attività finanziarie, nonché attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge.”

(22)

22

sorveglianza delle rispettive funzioni di competenza. Sebbene il primo metodo presentasse il vantaggio di un contenimento dei costi, il secondo favoriva la specializzazione dell’autorità vigilante sulla materia di controllo. Per questa ragione, probabilmente, è stato quello che ha prevalso. In tale maniera la Consob vigila sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti, mentre Banca di Italia si occupa della stabilità patrimoniale, contenimento del rischio, e della sana e prudente gestione dell’intermediario. Ovviamente tra i due organismi sono attivi dei meccanismi di coordinamento per evitare sovrapposizioni, oltre a un principio di reciproca comunicazione. Alla luce di quanto detto avremo che Banca di Italia è tenuta ad abilitare i soggetti operanti nella gestione collettiva del risparmio, mentre i servizi di investimento sono appannaggio della Consob. Il controllo portato avanti dalla Consob non è un controllo di merito, non nega o concede l’autorizzazione sulla base delle esigenze di mercato, come avveniva in passato per l’attività bancaria, è piuttosto un controllo di legalità, si valuta cioè la conformità dell’iniziativa economica al modello di idoneità. Non si definisce, comunque, come un controllo puramente formale: affianco a requisiti tassativi esistono requisiti a contenuto discrezionale. Questo aspetto è necessario perché se così non fosse l’intermediario vanterebbe un diritto soggettivo a pretendere l’abilitazione, ma il nostro ordinamento non vuole essere un quadro di diritto soggettivo, quanto piuttosto si pone di tutelare un interesse legittimo. Vediamo direttamente il testo di legge e i requisiti richiesti:

“La Consob, sentita la Banca d’Italia, autorizza, entro sei mesi dalla presentazione della domanda completa, l’esercizio dei servizi e delle attività di investimento da parte delle Sim, quando, in conformità a quanto specificato dalle pertinenti norme tecniche di regolamentazione e di attuazione emanate dalla Commissione europea ai sensi della direttiva 2014/65/UE, ricorrono le seguenti condizioni:

(23)

23 a) sia adottata la forma di società̀ per azioni;

b) la denominazione sociale comprenda le parole “società di intermediazione mobiliare”; c) la sede legale e la direzione generale della società siano situate nel territorio della Repubblica;

d) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia;

e) vengano fornite tutte le informazioni, compreso un programma di attività, che indichi in particolare i tipi di operazioni previste e la struttura organizzativa;

f) i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano idonei ai sensi dell’articolo 13;

g) i titolari delle partecipazioni indicate nell’articolo 15, comma 1, abbiano i requisiti e soddisfino i criteri stabiliti ai sensi dell’articolo 14 e non ricorrano le condizioni per il divieto previsto dall’articolo 15, comma 2;

h) la struttura del gruppo di cui è parte la società non sia tale da pregiudicare l’effettivo esercizio della vigilanza sulla società stessa e siano fornite almeno le informazioni richieste ai sensi dell’articolo 15, comma 5;

i) siano rispettati, per la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione o di sistemi organizzati di negoziazione, gli ulteriori requisiti dettati nella parte III.24

(24)

24

La parte discrezionale della valutazione sulla effettiva concessione dell’abilitazione verte sulla verifica che la sana e prudente gestione sia garantita e con essa la capacità dell’impresa di esercitare i servizi di investimento. Qual ora non si verificassero tali circostanze verrebbe negata l’abilitazione all’intermediario finanziario.25 In conclusione di trattazione parlo brevemente delle condizioni, al ricorrere delle quali, si presenta la revoca dell’autorizzazione. La fonte normativa è l’articolo 8 della Direttiva MiFID. L’autorità competente ha facoltà di revocare l’autorizzazione quando l’impresa di investimento:

Ø Non si avvale della stessa entro 12 mesi, vi rinuncia espressamente o ha cessato di prestare S.I.

Ø Ha ottenuto l’autorizzazione con qualsiasi mezzo irregolare. Ø Non soddisfa più le condizioni a cui era subordinata

Ø ricade in uno degli altri casi in cui la revoca è prevista dalla legislazione nazionale, per questioni che esulano dall’ambito di applicazione della presente direttiva. 26

Il percorso sin qui affrontato ci ha permesso di entrare a fondo nella trattazione andando nel dettaglio di argomenti come la riserva di attività e cosa significhi sia a livello teorico che dal punto di vista più pratico. Relativamente ai S.I. abbiamo mostrato quali sono i soggetti abilitati a svolgere le attività, elencando anche alcune precisazioni e limitazioni. Abbiamo concluso portando alla luce la divisione delle competenze delle autorità preposte a vigilare e di come questo influisca sull’esito dei controlli. A questo punto possiamo muovere il

25 Consob (2018) – Testo unico della Finanza – (D.Lgs 58/1998) Art.19, comma2: “L'autorizzazione è negata quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulta garantita la sana e prudente gestione, e assicurata la capacità dell’impresa di esercitare correttamente i servizi o le attività̀ di investimento”

(25)

25

prossimo passo all’interno del mio lavoro affrontando il nucleo normativo dedicato allo svolgimento dell’attività e le regole di comportamento degli intermediari finanziari.

1.2.3 Svolgimento dell’attività: le regole di comportamento

Il quarto nucleo di norme contenuto all’interno del Testo Unico della Finanza è quello dedicato allo svolgimento dell’attività. Per rendere in maniera più chiara e comprensibile possibile la trattazione di questo argomento ho deciso di affrontare gli argomenti dividendoli in due tranche. La prima avrà ad oggetto i comportamenti che l’intermediario deve tenere per poter esercitare l’attività di fornitura di servizi di investimento. Quindi il nucleo normativo della correttezza e trasparenza. In seconda battuta affronterò l’altra tranche che sarà invece focalizzata sulla gradazione dell’attività in base alla tipologia di cliente. Quindi la distinzione tra cliente professionale o al dettaglio, come modificato dalla MiFID2. All’interno della disciplina della attività rilevante, relativamente al complesso di dettami relativi allo svolgimento della stessa abbiamo due gruppi di norme: uno interno e uno esterno. Il primo è legato all’ambito di competenza della CONSOB, ossia alle norme riguardo la correttezza e alla trasparenza dei comportamenti tenuti dall’intermediario finanziario. Il secondo, invece, all’ambito assoggettato all’autorità di Banca di Italia, ossia alla stabilità e contenimento del rischio. Sebbene anche questo secondo punto di vista sulla nostra legislazione troverà spazio, adesso il nodo cruciale sarà il primo gruppo di norme. Fonte normativa è l’articolo 21 del T.U.F che al primo comma recita27:

Nella prestazione dei servizi e delle attività̀ di investimento e accessori i soggetti abilitati devono:

(26)

26

a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità̀ dei mercati;

b) acquisire, le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;

c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti;

d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività.

I principi generali contenuti in questo passaggio normativo vengono a concretizzarsi in rules di dettaglio contenute nel regolamento degli intermediari redatto dalla CONSOB.

Per esempio, il principio della diligenza si concretizza à con la Best Execution; la correttezza à nell’appropriatezza; la trasparenza informativa à negli obblighi informativi. Cominciando ad entrare nello specifico relativamente ai principi sopra esposti, partirei dall’unico che non ho espressamente richiamato, ossia quello che regola i conflitti d’interesse. A tal fine la fonte normativa rimane il T.U.F che si esprime in maniera chiara dicendo che i soggetti abilitati28:

a) adottano ogni misura idonea ad identificare e prevenire o gestire i conflitti di interesse che potrebbero insorgere tra tali soggetti, inclusi i dirigenti, i dipendenti e gli agenti collegati o le persone direttamente o indirettamente connesse e i loro clienti o tra due clienti al momento della prestazione di qualunque servizio di investimento o servizio accessorio o di una combinazione di tali servizi;

(27)

27

b) mantengono e applicano disposizioni organizzative e amministrative efficaci al fine di adottare tutte le misure ragionevoli volte ad evitare che i conflitti di interesse incidano negativamente sugli interessi dei loro clienti;

c) quando le disposizioni organizzative e amministrative adottate a norma della lettera “b” non sono sufficienti ad assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato, informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti dei conflitti di interesse nonché́ delle misure adottate per mitigare i rischi connessi;

d) svolgono una gestione indipendente, sana e prudente e adottano misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati.

Il legislatore a tal punto ha cercato di essere il più preciso possibile cercando di colmare ogni eventuale sfaccettatura della problematica al fine di non lasciare alcun vuoto normativo. Così con la lettera “a” fornisce la linea guida generale di comportamento. Al punto “b” identifica nel concreto come deve essere favorita l’agevole applicazione della norma generale, ossia con una struttura aziendale adeguata. Segue il punto “c”, residuale, che vale qual ora non si realizzino le condizioni del punto precedente. Infine, con la lettera “d”, si stabilisce la linea di condotta generale e finale che, contenendo lo spirito della norma, cerca di impedire che possa essere aggirata. Alcuni hanno sottolineato29 come la MiFID abbia adottato un meccanismo basato sul disclose or abstain dove tuttavia l’accento viene posto sull’obbligo, posto in capo all’intermediario, di organizzarsi al fine di eliminare o ridurre il rischio di conflitti di interessi: per l’investitore la disclosure rappresenta soltanto l’extrema ratio, nell’ipotesi in cui i presidi organizzativi non siano ritenuti sufficienti a scongiurare il rischio che i conflitti possano nuocere ai loro interessi. Si potrebbe quasi dire che lo scenario in cui

(28)

28

l’investitore è reso edotto della presenza del conflitto di interesse sia quello marginale, ossia quando le altre possibili strade si siano verificate come non percorribili. In poche parole, l’investitore è tenuto all’oscuro fino a quando non è indispensabile. Muovendoci adesso verso il punto successivo, e richiamando quello che abbiamo precedentemente detto ricordiamo come il principio della diligenza si concretizzi nella Best Execution. La diligenza non crea nuovi obblighi all’interno del rapporto ma è un parametro su cui si valuta se l’intermediario è adempiente o no. Viene, in altre parole, usato più da un punto di vista tecnico per valutare l’adempimento. Ciò significa che per verificare la prestazione principale deve essere costituito un modello di comportamento diligente da usare come confronto col risultato ottenuto. Il regolamento degli intermediari all’Art. 47 dice:

Gli intermediari adottano misure sufficienti e, a tal fine, mettono in atto meccanismi efficaci, per ottenere, [..] il miglior risultato possibile per i loro clienti, avendo riguardo al prezzo, ai costi, alla rapidità e alla probabilità di esecuzione e di regolamento, alle dimensioni, alla natura dell'ordine o a qualsiasi altra considerazione pertinente ai fini della sua esecuzione30.

La questione fondamentale è che la diligenza non fa nascere in capo all’intermediario un’obbligazione di risultato, questi infatti non è inadempiente se l’investimento va male e non da i frutti preventivati, ma genera un’obbligazione di mezzo. Sarà inadempiente se alla luce di un risultato qualsiasi non ha adottato misure sufficienti per raggiungere il migliore possibile. Perché tutto ciò possa trovare concreta attuazione vi sono una serie di passi che l’intermediario abilitato deve compiere31:

30 Consob (2018) – Regolamento degli Intermediari – (delibera 20307 del 15 Febbraio 2018). Art. 47 31 Consob (2018) – Regolamento degli Intermediari – (delibera 20307 del 15 Febbraio 2018). Art. 47

(29)

29

Ø Istruire una strategia di esecuzione (o di ricezione ed esecuzione), chiamata anche Best Execution Policy (B.E.P)

Ø Fornire alla clientela informazioni appropriate sulla B.E.P. Ø Ottenere il consenso dalla clientela per la B.E.P proposta.

Ø Ottenere il consenso preliminare in forma scritta se si prevede negoziazione. fuori dai mercati regolamentati e dai sistemi multilaterali di negoziazione. Ø Eseguire gli ordini che, al momento dell’invio, garantiscono condizioni migliori. Ø Controllare periodicamente l’efficacia dei propri dispositivi di esecuzione

ordini.

Ø Controllare periodicamente l’efficacia della B.E.P e modificarla se necessario. Ø Essere in grado di dimostrare alla clientela di aver eseguito gli ordini in

conformità a quanto stabilito.

La B.E.P. è redatta tenendo conto delle caratteristiche del cliente, dalle caratteristiche delle differenti trading venues (mercati regolamentati, sistemi multilaterali, internazionalizzatori sistematici), e dalle performance delle trading venues. Gli intermediari sono tenuti ad adottare una strategia di esecuzione ordini finalizzata a individuare per ciascuna categoria di strumenti finanziari almeno la sede che permette di ottenere in modo duraturo il miglior risultato possibile per l’esecuzione, selezionandola in ragione del corrispettivo totale. Con tale dicitura intendiamo la somma del prezzo dello strumento e del costo di esecuzione. Fattori diversi come la rapidità di esecuzione e la probabilità possono ricevere precedenza soltanto a condizione che siano strumentali a fornire il miglior risultato possibile in termini di corrispettivo totale per il cliente al dettaglio. Per concludere aggiungerei che attenersi alla strategia esaurisce il dovere di diligenza sotto il profilo operativo ma non esonera

(30)

30

l’intermediario da una valutazione circa l’adeguatezza della strategia proposta. Muoviamoci oltre e volgiamo la nostra attenzione verso il prossimo principio oggetto di tutela: quello della correttezza delle scelte di investimento che si declina in appropriatezza. Questo punto, soprattutto dopo le novità subentrate con la direttiva MiFID2, è strettamente legato a quello successivo degli obblighi informativi. Questi ultimi infatti possiamo dire che sono scomponibili in obblighi in entrata e in uscita. Richiamando alla mente la lettera “b” dell’articolo 21, citato precedentemente a pagina 19, risulta chiaro che gli obblighi in entrata trovino riscontro nella necessita che l’intermediario raccolga tutte le informazioni necessarie per compiere le scelte di investimento adatte, mentre gli obblighi in uscita, invece, riguardino piuttosto l’obbligo di rendere conto al cliente dei movimenti, dei risultati e del dettaglio dei costi che la gestione ha generato. La CONSOB stessa ha voluto, in una nota datata 1° Marzo 2018, ricordare come si è andato a delineare il quadro normativo alla luce della seconda Direttiva MIFID. In particolare, i mutamenti intervenuti richiedono interventi sulle politiche e sull’assetto procedurale al fine di conformarsi ai mutamenti medesimi. L’autorità richiama dunque l’attenzione degli intermediari sulla necessità che, in occasione dell’invio della Relazione sui servizi da effettuarsi nel 2018, illustrino, nelle apposite sezioni dello schema preposto, le misure individuate per conformarsi a quanto stabilito della normativa, con specifico riferimento ai seguenti profili32:

a) processo di product governance b) consulenza in materia di investimenti

c) valutazione di adeguatezza e di appropriatezza d) prodotti complessi ed execution only

e) informativa alla clientela con particolare riguardo a quella su costi e oneri

(31)

31 f) pratiche di vendita abbinata

g) best execution h) conflitti di interesse i) incentivi

j) requisiti di conoscenza e competenza del personale degli intermediari, ivi inclusi gli agenti collegati, quando prestano la consulenza ai clienti in materia di investimenti o forniscono ai clienti informazioni riguardanti strumenti finanziari, servizi di investimento o servizi accessori.

Per quanto poi concerne la valutazione dell’adeguatezza, oggi la regola è scissa in due:

l’adeguatezza e la appropriatezza. La prima riguarda la gestione individuale e la consulenza,

cioè i servizi decisori. La seconda invece riguarda gli altri servizi di investimento, quelli non decisori e, per così dire, meno rischiosi. Si può dire quindi che il concetto di adeguatezza sia più ampio e, anzi, contenga al suo interno quello di appropriatezza. Dedicheremo mggiore attenzione proprio al primo. Entrando maggiormente nello specifico la direttiva parla di adeguatezza riferendosi alla “suitability rule” la quale viene a sua volta composta in “Know

your customer rule” e “know your merchandise rule”. In altri termini l’adeguatezza si

fonda sulle assunzioni di base che si deve conoscere il cliente (la sua conoscenza, esperienza, situazione finanziaria ed obiettivi di investimento) e si deve conoscere il prodotto che viene consigliato/inserito in gestione (tipologia, dimensione, oggetto e frequenza). Analizziamo meglio le due componenti:

(32)

32 1. Know Your Customer Rule:

Ø Capacità di comprensione e conoscenza del rischio (natura e tipologia degli strumenti con cui ha dimestichezza. Frequenza e volume delle operazioni su strumenti finanziari realizzate dal cliente. Grado di istruzione in materia.)

Ø La capacità di rischio, ossia di sopportare finanziariamente le perdite (dati sulla fonte e consistenza del reddito)

Ø Riguardo gli obiettivi di investimento non solo la propensione al rischio in termini di rapporto rischio/rendimento (rischio oggettivo), ma anche la capacita di sopportare il rischio (rischio soggettivo o risk tollerance).

2. Know Your Merchandise Rule:

Ø Le imprese distributrici devono conoscere le caratteristiche del prodotto, ossia la product governance, in particolare il target di mercato identificato in astratto dal produttore come destinatario di quello specifico prodotto sulla base di una valutazione preventiva. In aggiunta, perché la suitability rules venga applicata, si deve garantire la selezione degli strumenti raccomandati all’interno di una market list predeterminata e composta da una lista redatta dal produttore e una dal distributore, da intendersi comunque tra di loro complementari e non alternative. In secondo luogo, la valutazione sulla adeguatezza dovrà avvenire anche tenendo conto degli altri rapporti del cliente con possibili ulteriori intermediari e, per finire, la valutazione dovrà essere fatta prima di ogni operazione e poi nel continuo al fine di verificare della permanenza della condizione di adeguatezza. A completamento delle novità introdotte dalla MiFID2 per il rafforzamento della valutazione di adeguatezza dobbiamo ricordare:

(33)

33

Ø Il rendiconto di adeguatezza: ossia un documento scritto, consegnato al cliente prima o immediatamente dopo la transazione, che specifichi la consulenza prestata e le ragioni per cui la raccomandazione corrisponda alle preferenze, agli obiettivi e alle altre caratteristiche del cliente

Ø La relazione periodica sull’adeguatezza: una dichiarazione scritta, periodica, che illustri al cliente la permanenza della condizione di adeguatezza e le ragioni.

Come facilmente si potrebbe intuire le sfaccettature di questi argomenti sono molteplici e le possibili vie di approfondimento lo sono altrettanto. Ritengo che un maggior grado di dettaglio però potrebbe risultare controproducente ai nostri fini, ossia quelli di dare un quadro esaustivo sulle regole di comportamento degli intermediari abilitati nella prestazione dei servizi di investimento. L’ultimo punto che, per queste ragioni, mi accingo ad affrontare è quello della classificazione delle tipologie di clienti e la diversa gradazione di tutela a loro dedicata. Prima della direttiva MiFID del 2007 la distinzione era molto limitata e la differente tutela girava intorno alla figura dell’operatore qualificato. Con i cambiamenti avvenuti però le possibili categorie di appartenenza sono diventate 3:

Ø Cliente Retail o al dettaglio il quale giova del 100% della tutela disponibile Ø Cliente Professionale al quale spetta una tutela ridotta

Ø Controparte qualificata alla quale non è destinata tutela alcuna. Questa categoria è un sottoinsieme della precedente e diventa rilevante sono nei servizi di ricezione e

(34)

34

trasmissione di ordine, negoziazione per contro proprio o di terzi. L’elenco delle controparti qualificate è rinvenibile all’art. 6, comma 2-quater, del T.U.F.33

Perno centrale è la nozione di cliente professionale. Questi si definisce cosi quando è in grado, possedendo le competenze, di prendere in autonomia le decisioni di investimento, comprendendo tutti i rischi. Si può essere clienti professionali per diritto: è il caso delle imprese finanziarie, quelle che svolgono professionalmente attività collegate ai mercati finanziari, e delle imprese non finanziarie di grandi dimensioni (attivo patrimoniale superiore ai 20 Milioni, ricavi di vendita superiori ai 40 Milioni e Patrimonio Netto al di sopra dei 2 Milioni). Si può esserlo però anche per richiesta: quando cioè si chiede di non essere trattati come clienti al dettaglio, ma si rinuncia ad una parte della tutela. Per farlo è necessario:

Ø Comunicare in forma scritta all’intermediario l’intenzione

Ø L’intermediario deve adempiere agli obblighi informativi riguardo la perdita della tutela

Ø Il cliente deve dichiarare per scritto, in maniera separata dal contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze del cambio di status in termini di minore tutela Ø Deve essere verificata la competenza del cliente con almeno 2 circostanze su 3:

§ La frequenza media delle operazioni deve essere almeno di 10 al trimestre nell’ultimo anno.

33 Consob (2018) – Testo unico della Finanza – (D.Lgs 58/1998) Art.6, comma 2-quater. “Le Sim, le imprese di investimento UE, le banche, le imprese di assicurazione, gli Oicr, i gestori, i fondi pensione, gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del Testo Unico bancario, le società di cui all’articolo 18 del Testo Unico bancario, gli istituti di moneta elettronica, le fondazioni bancarie, i Governi nazionali e i loro corrispondenti uffici, compresi gli organismi pubblici incaricati di gestire il debito pubblico, le banche centrali e le organizzazioni sovranazionali a carattere pubblico.”

(35)

35

§ Il valore del portafoglio in strumenti finanziari deve essere almeno 500,000 EURO.

§ Aver maturato almeno 1 anno di esperienza in lavori collegati ai mercati finanziari.

Quanto abbiamo detto finora riguardava gli investitori professionali privati, ma la distinzione può essere applicata anche nel pubblico. Anche in questo caso avremo soggetti professionali di diritto, come i governi per esempio, e professionali su richiesta. Quesi ultimi però ottengono la qualifica al verificarsi delle condizioni preliminari e di due cautele: Le condizioni preliminari sono:

Ø Entrate risultanti da ultimo rendiconto di gestione superiori ai 40 Milioni Ø Operazioni su mercati finanziari negli ultimi 3 anni per importi superiori ai 100

Milioni

Ø Devono avere personale adatto alla gestione finanziari con esperienza e conoscenze adeguate.

Le cautele invece sono:

Ø SOSTANZILI: l’ente, nella figura del responsabile della gestione finanziaria, deve essere in grado di adottare con consapevolezza le decisioni in materia di investimenti

Ø PROCEDUARLI: si deve sottoporre alla stessa richiesta del cliente professionale privato

(36)

36 1.2.4 Il principio della separazione patrimoniale

Uno degli obiettivi cardine per il nostro legislatore è garantire la stabilità patrimoniale dell’intermediario. Tale scopo si pone non tanto perché il nostro sistema cerchi di essere garantista e provi quindi a vegliare persino sulla libera attività imprenditoriale per evitare che fallisca. Si pone perché l’obiettivo principe è salvaguardare la fiducia degli investitori nel sistema bancario e finanziario, italiano sì, ma anche mondiale. Il mondo bancario, e quello finanziario più in generale, si reggono sulla fiducia che risparmiatori e investitori nutrono in esso. Nei controlli degli enti preposti. Nelle sanzioni. Per quanto detto finora garantire la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione significa adoperarsi per il contenimento del rischio. Proprio muovendosi in tal senso intendo fare riferimento ad uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento: quello della separazione patrimoniale. Dando la parola direttamente alla fonte normativa, riporto quanto rintracciabile:34

“Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, gli strumenti finanziari e le somme di denaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dalla Sim, dall’impresa di investimento UE, dall’impresa di paesi terzi diversa dalla banca, dalla Sgr, dalla società di gestione UE, dai GEFIA UE o dagli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del T.U. bancario, nonché gli strumenti finanziari dei singoli clienti a qualsiasi titolo detenuti dalla banca, costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori dell'intermediario o nell'interesse degli stessi, né quelle dei creditori dell'eventuale depositario o sub-depositario o nell'interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patrimonio di proprietà di questi ultimi”.

(37)

37

Spesso in situazioni di dissesto finanziario è difficile riuscire a ricostruire esattamente la consistenza del patrimonio, distinguendo quello della società prossima al fallimento e quello dei creditori della stessa. Proprio per ovviare a questo serve il principio oggetto del paragrafo. Tutto ciò che è detenuto da uno dei soggetti abilitati in elenco nell’articolo è rigorosamente contabilizzato in maniera separata dal patrimonio dell’intermediario e va a costituire in maniera autonoma un’entità che non può essere preda dei creditori dell’intermediario. È fatto quindi salvo dai tentativi di escussione dei creditori dell’entità in default. Più in generale è fatto divieto, ai soggetti abilitati, fare uso, a qualsiasi titolo, degli strumenti finanziari e del denaro che detengono in gestione. Proprio da ciò deriva l’impossibilità che i conferimenti dei singoli investitori diventino oggetto di azioni esecutive da parte dei creditori dell’intermediario. Il comma 3 ci chiarisce proprio quanto anticipato:

Salvo consenso scritto dei clienti, la Sim, […] e la banca non possono utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, gli strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, da essi detenuti a qualsiasi titolo. La Sim, […] non possono utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, le disponibilità liquide degli investitori, da esse detenute a qualsiasi titolo. 35

Rimane tuttavia da prevedere che tale principio venga meno. Il mancato rispetto delle regole, oltre a condurre all’impossibilità dell’effettiva tutela di tali diritti, porta con sé l’equiparazione degli investitori agli altri creditori chirografari.

(38)

38

1.2.5 Gestione patrimoniale e consulenza indipendente

Nel mondo finanziario delle gestioni patrimoniali di qualche anno fa la vendita di un prodotto ad un cliente portava con sé la cessione a quest’ultimo di rischi e commissioni: più sono alti i rischi che l’investitore si assume, maggiori sono le commissioni che verranno pagate e quindi incassate da colui che ha realizzato il collocamento dello strumento. Un derivato ha un contenuto, in termini di commissioni, superiore a quello di un fondo azionario, il quale a sua volta supera quello di un fondo obbligazionario, e di uno monetario. È evidente che tale comportamento facesse nascere un serio problema di adeguatezza degli strumenti finanziari rispetto agli investitori sottoscrittori. Fortunatamente ormai già dall’arrivo della MiFID questa pratica è stata limitata. La disciplina dell’adeguatezza, correttezza e degli obblighi informativi metteva abbastanza al riparo da questi comportamenti fraudolenti lesivi della fiducia, e non solo, degli investitori.36 Sempre in tema di consulenza finanziaria e di comportamenti non completamente corretti dei professionisti del settore vi era, almeno fino all’entrata in vigore della seconda Direttiva MiFID, quello legato alle retrocessioni dei compensi da parte degli emittenti di strumenti finanziari. Nella pratica il consulente spingeva il risparmiatore a preferire un fondo piuttosto di un altro, uno strumento piuttosto che l’alternativa, in funzione del fatto che l’emittente di quel prodotto finanziario avrebbe poi retrocesso, quindi rigirato, al consulente, una frazione delle commissioni, corrisposte dal cliente sottoscrittore. Come si può intravedere, tale prassi, facendo forza sul fatto che gli strumenti suggeriti potessero essere effettivamente adeguati al profilo dell’investitore, non era per legge un comportamento illegale. Non può tuttavia per questo essere un comportamento giustificabile. L’evidente conflitto di interessi sottostante è comunque idoneo a minare il clima di fiducia che si dovrebbe instaurare tra il

36 Pedone A. (2018) – “Consulenza finanziaria indipendente: dopo un decennio parte l’albo, ma i bastoni fra le ruote continuano” – in “Aduc.it” - 3 Luglio 2018- tratto da www.aduc.it

(39)

39

professionista è l’investitore. Inoltre, queste commissioni occulte sulla consulenza hanno impatti non trascurabili sulla redditività degli strumenti. A partire dagli anni 2000 comunque si è assistito ad una progressiva riduzione dell’aliquota retrocessa: riportando i dati elaborati da AdvisorOnline in un articolo dell’Aprile 201337, l’aliquota media di retrocessione nel 2000 era circa all’80%, scesa poi al 70% nel 2007, per stabilizzarsi al 45% nel periodo in cui veniva redatto l’articolo. Soprattutto in concomitanza dell’entrata in vigore della MiFID2 e dei suoi maggiori obblighi informativi verso il cliente, ha preso piede una nuova forma di consulente, slegata dalla retrocessione degli emittenti. Si parla oggi di consulenza fee only, o autonoma. Riportando direttamente la descrizione fornita dall’ Associazione dei Professionisti e delle Società di Consulenza Finanziaria Indipendente Fee Only definiamo i consulenti autonomi come:

“un professionista o una società che vengono remunerati a parcella (Fee-Only) solo dal proprio cliente e non possono, per legge ed eticamente, ricevere alcun compenso da nessun intermediario quali ad esempio Banche, SGR, SIM o Compagnie assicurative. Non svolgono alcuna attività di vendita, non hanno alcun rapporto con chi vende prodotti finanziari ma prestano esclusivamente consulenza e assistenza ai loro clienti per la corretta pianificazione del loro patrimonio. Non toccano mai i soldi della clientela che rimangono depositati nella banca di fiducia del cliente, le operazioni consigliate vengono eseguite dal cliente stesso supportato dal professionista indipendente. Svolgono analisi approfondite sugli investimenti esistenti e predispongono le strategie di investimento più adeguate al raggiungimento del corretto livello di rischio e della protezione adeguata del patrimonio. In sintesi, sono liberi dal conflitto di interesse economico tipico degli operatori tradizionali, che sono legati alla

37 Morici M. (2013) – “Consulenti e fondi: crollano le retrocessioni” – in “AdvisorOnline” - 18 Aprile 2013 - Tratto da www.advisoronline.it

(40)

40

banca o rete di vendita cui appartengono e devono mediare gli interessi del cliente con gli interessi dei propri datori di lavoro.”38

I professionisti del settore sottolineano in maniera unanime come la via della consulenza autonoma remunerata a parcella sia il futuro di questo settore. I pareri più favorevoli sono rintracciabili anche in un articolo39 di Gaia Giorgio Fedi apparso il 24 Aprile 2018 sul Sole 24 Ore, dove Federico Taddei, direttore commerciale di Ersel, spiega che: “la Mifid2 porterà alla definitiva affermazione della consulenza evoluta e a pagamento, sanando un’anomalia del nostro mercato dove la consulenza è sempre stata erogata ma non riconosciuta nei fatti.” Anche FinecoBank, che dal 2008 offre il servizio di consulenza a parcella FinecoAdvice, ha scelto un servizio fondato “su piattaforma ad architettura aperta guidata, con una politica di remunerazione trasparente che elimina il legame tra la retribuzione del consulente e i prodotti in portafoglio, attraverso la restituzione al cliente di commissioni implicite” ha riferito il direttore investimenti e private banking Carlo Giausa. Insomma, il parere generalmente diffuso tra gli addetti ai lavori è che la consulenza, autonoma e sempre più olistica, costituisca il futuro verso cui il settore si sta muovendo, spinto soprattutto dalla necessità di adeguarsi a delle normative via via più stringenti e puntuali in termini di trasparenza e rendicontazione dei costi gravanti sugli investitori. In conclusione, di trattazione di questa prima ampia parte dedicata ai servizi di investimento, concludo con una tabella riepilogativa delle principali differenze tra una consulenza fee only e gestione patrimoniale.

38 Associazione dei professionisti e delle società di consulenza finanziaria indipendente Fee Only – Tratto da www.nafop.org/il-consulente-fee-only/

Riferimenti

Documenti correlati

 con tassi risk-free vicini a zero sono privilegiati i portafogli «difensivi», mentre se il tasso risk-free è più alto, i portafogli più vivaci sono più efficienti. • non è

Il giocatore ha più topolini sulla plancia – così come gli investitori hanno più titoli in portafoglio – e li dovrà gestire singolarmente ma in un’ottica di ottimizzazione del

• ceduto ossigeno ritorna ad essere sangue venoso che attraverso il sistema delle vene cave, raggiunge l'atrio destro del cuore.. • Produce e trasmette stimoli di tipo elettrico,

c) richiedere ai revisori legali o alle società di revisione delle sedi di negoziazione di fornire informazioni. Nel caso previsto dalla lettera b) del comma 1,

L’ostruzione o occlusione trombotica di una vena del sistema venoso profondo generalmente si localizza a livello degli arti inferiori al di sotto del ginocchio (TVP distale), ma

Nell’F RA le due parti si obbligano a corrispondersi ad una data futura (diversa, quindi da quella di negoziazione del contratto, la c.d. trade date) stabilita (si

I fattori di successo e le raccomandazioni in merito al Dialogo Sociale per la gestione del rischio psicosociale possono essere identificati tramite l’ana- lisi della

• Il 75% della rifrazione della luce si verifica nella cornea, il cristallino rifrange ulteriormente i raggi luminosi, deviandoli in modo che siano messi a fuoco sulla retina. •