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NIVERSITÀ DIP
ISADIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE
CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE
Tesi di laurea magistrale
I normali e gli altri. Gioco e filosofia
Relatore
Candidata
Prof. Alfonso Maurizio Iacono
Carlotta Lagomarsini
Indice generale
Introduzione...1
1 Cos'è il Gioco...3
1.1 Due modi di definire il Gioco...3
1.2 Declinazione dei Giochi...4
1.3 Game e Play: tra Ludus e Paidia...9
1.4 Dalle regole alla processualità...11
1.4.1 Non-regole e meta-regole...15
1.5 Il Cerchio magico...19
1.5.1 Entrare e uscire dal cerchio magico...22
1.5.2 Un cerchio magico particolare: gioco - culto sacro...30
1.6 Realtà, Finzione, Irrealtà. Dopo il cerchio magico...39
1.7 Serio - non serio...46
1.7.1 Dove incomincia e dove finisce questo gioco nuovo?...50
1.7.2 Ludicizzazione del quotidiano...58
1.8 Il gioco per la fama e l'onore...63
1.9 Agon...70
2 La cornice...73
2.1 Storia della cornice...73
2.2 La finestra...75
2.3 Mondi intermedi...79
2.4 Una cornice particolare: la caverna di Platone...83
2.4.1 I mondi intermedi e il cerchio magico...87
2.4.2 Illusione e inganno...91
3 Normali e spostati...99
3.1 Struttura del vivere sociale...99
3.2 Costruzione degli stati ordinari normali: il desiderio mimetico...106
3.3 Il capro espiatorio...111
3.4 On doing being ordinary...115
4 Normalità come gioco...121
4.1 Normalità tra game e play...121
4.2 Dinamiche della società in gioco...129
4.4 Realtà e irrealtà nel gioco sociale...146
4.5 Agon nella realtà sociale...150
Conclusioni...155
Introduzione
In questa tesi ho intenzione di indagare fino a che punto è possibile tracciare un parallelo tra le varie analisi che sono state svolte da più studiosi riguardo alla struttura, al senso, al funzionamento del gioco, e la nozione di normalità sviluppata nell'ambito delle scienze sociali.
La struttura della tesi è composta da quattro capitoli. Nel primo capitolo introdurrò tutte le nozioni e i concetti necessari ad analizzare il tema del gioco come attività a sé stante, senza riferimenti preliminari alla società e agli altri aspetti della vita umana. In particolare si analizzeranno le descrizioni di Huizinga e Caillois. Si mostrerà inoltre come una descrizione statica delle strutture del gioco, delle sue regole e del suo svolgimento, debba essere integrata da una descrizione dinamica del gioco come processo aperto che si svolge evolvendosi in altri giochi, esplicitando le sue regole implicite, trasformando continuamente la propria struttura. Di fianco alle regole enunciate e alle strutture rigide, esiste un sottofondo di regole implicite e solamente potenziali, esiste inoltre la possibilità di non rispettare o non accettare queste regole minacciando così la stabilità del gioco. Analizzeremo quindi le categorie di baro e guastafeste. Occorrerà dunque mostrare come si configura la capacità dei giocatori di entrare e uscire dalle strutture del gioco ed essere in grado di viverlo dinamicamente, come processualità.
Il gioco comporta un rapporto del tutto particolare tra illusione e realtà, non si può dire che il gioco è pura irrealtà eppure conserva un certo distacco dalla realtà che occorre descrivere. Bisognerà conquistare la nozione di illusione (seguendo il senso etimologico del termine) opponendola a quella d'inganno.
Alla fine del primo capitolo indagheremo i confini del gioco e mostreremo come tanti aspetti della società contengono già qualcosa di ludico pur non essendo giochi: la fama, l'onore, l'agonismo, il culto sacro.
Nel secondo capitolo utilizzerò la metafora della cornice e della finestra per parlare del concetto di contesto. Tramite queste metafore sarà possibile analizzare più nel dettaglio il modo in cui si può passare tra mondi intermedi, farli coesistere, non sovrapporli. La realtà in cui viviamo è costituita da tanti di questi contesti che s'intersecano in modi complessi. La metafora della caverna di Platone ci servirà per mostrare quanto il percorso verso la libertà e la verità sia inseparabile dalla capacità di non soffermarsi in uno solo di questi contesti assolutizzandolo come una verità ultima.
Nel terzo capitolo esporrò le riflessioni più di stampo sociologico sulla nozione di normalità. Mostrerò come la normalità sia performativa e richieda un impegno costante e coordinato da parte di chi la esegue. Indagheremo le competenze e le azioni necessarie per accedere alla categoria dei normali. Si parlerà in maniera approfondita del desiderio mimetico girardiano e del modo in cui le dinamiche sociali possono essere utili ai fini della normalità per uniformare le ambizioni e i desideri. Tramite il capro espiatorio e il concetto di stigma scopriremo che la normalità ha sempre bisogno di definirsi come gruppo in opposizione rispetto ad alcuni individui emarginati che ne vengono esclusi. Chiameremo questi individui “spostati”.
Nel quarto capitolo esporrò le singolari similitudini che possono essere rintracciate tra gli aspetti del gioco analizzati e il funzionamento sociale della normalità. Bisognerà anche prestare attenzione alle differenze per evitare di appiattire un concetto sull'altro.
Questa similitudine permetterà di raggiungere una più alta comprensione sul concetto sociale di normalità e sui suoi rapporti con l'aspetto ludico.
1 Cos'è il Gioco
1.1 Due modi di definire il Gioco
Nel definire il termine “gioco” si trova un'insieme di significati vari e fecondi data l'innumerevole quantità di tipologie di giochi: d'azzardo, all'aperto, di pazienza, destrezza, costruzione, ecc. Nel linguaggio comune parliamo di gioco come una cosa nota, dove vi è connaturata l'idea di distensione, svago, momento ricreativo, ma appena tentiamo di incasellarla in una definizione più appropriata diventa evanescente e quasi ci sfugge dalle mani. A complicare ulteriormente questo passaggio intervengono i diversi significati ed etimologie nelle differenti lingue. Tutti i popoli giocano, ma non ne consegue che tutte le lingue diano lo stesso significato alla parola gioco o suddividano le sue varie tipologie utilizzando le stesse parole. Difatti l'astrazione del concetto generale di gioco si è verificata in alcune culture prima e in maniera più completa rispetto alle altre. Tutto questo discorso potrà sembrare in antitesi con l'intestazione di questo capitolo, questo perché non voglio fare una ricognizione puntuale e minuziosa come per esempio si trova nel secondo capitolo di Homo
Ludens dello studioso Johan Huizinga.
In questo capitolo mi limiterò ad un'analisi più agile per delineare cosa intendo con la parola “gioco” e prenderò le mosse da un paragone tra le due lingue, inglese e italiano, che sono utili al mio scopo.
Nella nostra lingua il termine gioco ha significati diversi. Questo lo si può vedere nei diversi usi della parola fuori dal suo senso proprio, molti di questi sensi sono traslati o metaforici. In primo luogo viene ad indicare non solo l'attività specifica, ma anche l'insieme degli strumenti, simboli e figure necessarie a questa attività e al suo funzionamento. Per esempio: “gioco di scacchi”, “gioco di carte”, “gioco d'organo”, “gioco di vele”. Qui si pone l'accento sulla totalità inizialmente completa e immutabile del gioco. Può indicare ancora il gusto soggettivo, un particolare modo d'interpretare di un attore o un musicista, che pur restando aderente al testo usa la sua originalità per esprimere la sua unicità. Qui il termine “gioco” mette in scena idee di libertà, invenzione, abilità. Si rifà anche al concetto di fortuna e quindi all'idea del rischio, per esempio con espressioni come: “mettere in gioco”, “giocarsi la vita”, “Il gioco non vale la candela”. L'idea di “gioco” nella lingua italiana non è solo svago e divertimento, ma è anche competizione regolata, è esercizio, allenamento e ancora molto altro. Può essere
utilizzata per questioni meccaniche come nella formula “gioco di vite”, oppure ancora “gioco di luce”, dove il significato si modifica traslandosi.
Ad una serie di concetti così vasti si contrappone il dualismo della lingua inglese nei termini di “game” e “play”. Nel primo caso il focus è sulla competizione regolamentata fisica o mentale (come negli sport), dove concorrono uno o più partecipanti antagonisti. Nel secondo caso si fa riferimento all'agire e agli atti del giocatore, quindi alla sua intrinseca soggettività. Gregory Bateson nel libro Questo è un gioco1 mette brevemente in relazione questi due termini affermando che il “play”, diventa “game”, quando il giocatore diventa suscettibile di vittoria o sconfitta in virtù di una regolamentazione e organizzazione del gioco. Si ha dunque una differenza qualitativa dove nel primo caso abbiamo un gioco strutturato e regolamentato, nel secondo abbiamo il giocare, quindi un atteggiamento, disposizione ludica. Da una parte l'oggetto gioco, la struttura e il contesto con qualità passive, dall'altra l'atto del giocare quindi qualità attive.
Mi concentrerò, nel corso della tesi sull'analisi del play, ovvero sulle qualità attive inerenti cioè alla situazione ludica, sopratutto al rapporto tra il giocatore e il mondo, e all'atto ludico.
1.2 Declinazione dei Giochi
Un tentativo di formalizzare una teoria dei giochi viene dal sociologo francese Roger Caillois nel suo libro I giochi e gli uomini. L'autore individua quattro macro-categorie di giochi: Agon,
Alea, Mimicry e Ilinx2. La classificazione di ogni gioco in una determinata categoria dipende
dalla preponderanza della competizione (Agon), del caso (Alea), del simulacro (Mimicry), della vertigine (Ilinx). Nonostante queste designazioni siano lontane dall'esaurire tutto l'universo del gioco, ci apprestiamo a vederle un po' più da vicino.
Agon
Tanto presente nei giochi umani, quanto nei giochi animali, l'Agon è il minimo comune denominatore delle competizioni regolate. Con questo non intendo solo le gare sportive propriamente dette, ma tutti quei giochi in cui è presente rivalità come la dama, il biliardo. Per far si che questi giochi riescano devono essere presenti tre condizioni:
• sfida attiva,
1 Bateson, G., Questo è un gioco, Raffaello Cortina, p. 119. 2 Caillois, R., I giochi e gli uomini, Bompiani, cap. 2.
• giustizia del vincitore,
• un giocatore che conti solo su se stesso.
Essendo giochi basati sulla rivalità e quindi sul riconoscimento da parte degli altri del proprio valore, eliminando il primo requisito verrebbe meno la superiorità acquisita in un'ipotetica vittoria. La sfida, come le leggi che la regolano, vengono prese sul serio e ci si impegna attivamente per farle rispettare. Il fine del gioco è quindi, avere la certezza del vincitore misurandone le capacità. Per riuscire a mantenere inalterata la seconda condizione si cerca di eliminare in tutti i modi squilibri derivanti da condizioni materiali per esempio nelle corse delle gare di atletica le corsie dei podisti vengono estratte a sorte, oppure nelle partite di calcio il campo viene scelto con il lancio di una moneta e le squadre a metà partita se lo scambiano. Se invece lo squilibrio è presente nel diverso livello di abilità dei giocatori, si introdurranno degli handicap per ripristinare l'equilibrio aiutando il giocatore più debole o penalizzando il più forte. Difatti Caillois stesso afferma che la corruzione dell'Agon si ha quando non vengono riconosciute regole ed arbitri.
Alea
Esempi tipici di questa categoria sono i giochi con i dadi, alla roulette, di carte, le lotterie. Quindi cadono dentro questo quadrante tutti i giochi aleatori che si fondano, per definizione, sul caso. Sembra qui che quasi si ribaltino i nodi focali detti per l'Agon:
• Sfida passiva,
• ingiustizia del vincitore,
• un giocatore che conti “su tutto”.
Contrariamente a quanto avviene nell'Agon, il giocatore non può assolutamente far presa sulle sue abilità per accaparrarsi la vittoria. In più si tratta non di vincere contro un avversario fisico, quanto contro il destino stesso. La molla del gioco è fondata proprio sull'ingiustizia del caso. Il giocatore è totalmente passivo e deve solo aspettare in trepidante attesa il responso della sorte.
“L'Agon è una rivendicazione della responsabilità personale, l'Alea un'abdicazione della volontà, un abbandono al destino”3.
Possiamo notare come in questa casistica di giochi, non sia tanto importante la vittoria in se (a differenza dei giochi basati sull'Agon) quanto tutte le “formule magiche”4 che li circondano.
L'insensatezza e l'ingiustizia del gioco ci porta a non considerare le cause, ma le coincidenze. Si prenda per esempio i giochi d'azzardo dove prima di lanciare un dado lo si tiene stretto nella mano e ci si soffia sopra, oppure prima di estrarre una carta dal mazzo si compiono una serie di gesti che razionalmente sappiamo essere inutili. È altamente improbabile che incrociare le dita ci faccia avere un poker d'assi, eppure è un comportamento comune. Anche i bambini, a differenza degli animali, conoscono questo tipo di giochi, ma in maniera molto ridotta, in quanto dipendono materialmente dai loro genitori. Qui la sfida contro la sorte non è mai totale perché non può mettere a repentaglio la loro esistenza.
Mimicry5
“Quello in cui mi imbattei allo zoo è un fenomeno ben noto a tutti: vidi due giovani scimmie che giocavano, cioè erano impegnate in una sequenza interattiva, le cui azioni unitarie, o segnali, erano simili, ma non identiche, a quelle del combattimento. Era evidente, anche all'osservatore umano, che la sequenza nel suo complesso non era un combattimento, ed era evidente all'osservatore umano che, per le scimmie che vi partecipavano, questo era non
combattimento”6.
Bateson con questo esempio ci fa capire che le azioni, nel gioco della “lotta delle scimmie”, non denotano ciò per cui esse stanno. Il mordicchiare, assomiglia e imita il morso, ma la scimmia non sta veramente mordendo l'altra. C'è una differenza di senso e significato. La mimesis come simulazione non implica necessariamente sostituzione, non intende quindi sostituirsi all'originale (all'azione del mordere). Nei giochi di Mimicry si ha “un fare come se”. L'esempio più calzante è quello del teatro, dove si ha:
• membrana semipermeabile tra attore e personaggio, • si crea attivamente una nuova personalità,
• si vuole affascinare lo spettatore.
4 Bisogna ricordare però che le “formule magiche” sono utili finché non degenerano: “La degenerazione
dell'Alea nasce con la superstizione. […] La superstizione appare così come la perversione, vale a dire l'applicazione alla realtà di quel particolare principio del gioco, l'Alea, in base al quale non ci si aspetta niente da se stessi e tutto dal caso”. Caillois, R., I giochi e gli uomini, Bompiani, pp. 64-67.
5 “Ho scelto di designare queste manifestazioni con il termine di Mimicry, parola inglese che indica
mimetismo, segnatamente degli insetti, per sottolineare la natura fondamentale e elementare, quasi organica, dell'impulso che suscita”. Caillois, R., I giochi e gli uomini, Bompiani, pp. 36-37.
Sia il bambino che finge di essere un cavaliere, sia una bambina la mamma, sanno bene tutti e due il confine tra loro stessi (bambini in carne e ossa) e il loro personaggio illusorio e si comportano di conseguenza. Si viene a creare un doppio legame tra la personalità vera e quella fittizia creata all'interno del gioco senza che mai una sovrasti l'altra o si identifichi con essa. Per evidenziare questo legame che non collassa in un'identificazione, possiamo paragonarlo ad una membrana semipermeabile: questa metafora evidenzia la fluidità con cui avviene il passaggio cosciente tra i mondi, ovvero la capacità del giocatore d'integrare in maniera coerente nel suo comportamento aspetti delle personalità del gioco. Tutti coloro che giocano nella Mimicry indossano una maschera, sostengono attivamente una parte, si calano nel ruolo di fantasia o meno. Il fine del gioco sta nel piacere di farsi passare per altro, sostenuto dal tacito accordo tra l'attore e spettatore. Questo accordo è costituito tramite la fascinazione dello spettatore ad opera dell'attore. Non ci si maschera con l'intento di ingannare realmente, solo un fuggiasco o un ladro lo fanno; difatti non giocano. Quindi da ambo le parti si gioca, sia sul palco che in platea. Esiste sempre la possibilità che i giochi degenerino, si corrompano. Quando tra l'attore e il personaggio da lui interpretato non c'è una membrana semipermeabile, ma completa identificazione; quando l'imitazione non è più presa come tale allora si ha la psicosi.
Ilinx
L'ultimo pezzo del puzzle è l'Ilinx che in greco significa gorgo, da questo etimologicamente deriva ilingos, la vertigine. Questo termine indica infatti la ricerca di vertigine, di smarrimento (sia organico che fisico) che annulla la realtà fino ad ora percepita. Le corse in macchina, i balli sfrenati, effetti dell'ubriachezza, le discoteche, i giochi delle fiere e luna park, l'altalena, l'uso di sostanze stupefacenti sono tutti esempi che si ritrovano in questa categoria. Si ricerca un'ebrezza anche se momentanea e senza conseguenze funeste nel reale. Deve esserci sempre un contesto controllato perché il gioco si svolga e continui a rimanere tale. Non si ha più una membrana semipermeabile come nella Mimicry, ma si ha un muro divisore, il cerchio diventa unico e al suo interno avviene l'identificazione tra gioco e realtà. Per il giocatore diventa difficile integrare la personalità recitata, piuttosto ne viene assorbito. Diventa impossibile una comunicazione regolata tra i mondi ma uno di essi sovrasta e occulta gli altri. Possiamo dire che la membrana che nella Mimicry era pluridirezionale, qui diventa unidirezionale in quanto l'Ilinx tende ad invadere la realtà. Basti pensare a tutti i comportamenti che verrebbero considerati, al di fuori di questo cerchio, patologici come i tifosi durante una partita di calcio. Dentro lo stadio tutto è concesso quindi anche il mio vicino
di casa o perfino mio fratello, se tifa la squadra opposta alla mia, può diventare oggetto di scherno. Gli animali stessi non sono esenti da questi comportamenti: i cani ruotano su se stessi per prendersi la coda finché non cadono, i camosci si arrampicano sui nevai e poi con uno slancio si lasciano scivolare giù, gli uccelli che da grandi altezze cadono in picchiata per aprire le ali a pochi metri da terra.
A differenza dei giochi di Mimicry, qui abbiamo dunque: • membrana unidirezionale,
• totale abbandono passivo, • si viene affascinati.
Lasciarsi permeare passivamente dagli stimoli esterni porta con sé il rischio di non percepire più i confini e le regole. Ci si può assuefare alla vertigine. Si rischia di portare questo turbinio, questo vortice all'interno dei confini della vita quotidiana, di portare dentro al cerchio ciò che dovrebbe immancabilmente restarne fuori. Situazioni come queste creano un bisogno permanente che è agli antipodi del gioco. Alcool e droga possono portare conseguenze funeste. Anche negli animali si può avere questo tipo di degenerazione per esempio:
“un emittero giavanese, Ptilocerus ochraceus, […] porta nel mezzo della faccia ventrale una ghiandola contenente un liquido tossico che offre alle formiche, che ne sono ghiotte. Queste corrono subito a leccarlo. Il liquido le paralizza ed esse diventano così, per il Ptilocerus, una facile preda. […] In modo curiosamente analogo, l'ebetismo, l'ebbrezza, l'intossicazione da alcool, spingono l'uomo verso una strisciante, ma irreversibile autodistruzione”7.
1.3 Game e Play: tra Ludus e Paidia
Competizione, caso, imitazione e vertigine non si trovano sempre in maniera isolata. Possono anche combinarsi, difatti molti giochi si basano sulla loro capacità di associazione.
Classificazione dei giochi secondo Caillois.
Gli abbinamenti Agon/Ilinx e Alea/Mimicry sono definiti da Caillois contro natura. Questo perché sia le coppie Regola/Vertigine sia Caso/Imitazione non sono suscettibili di complicità. La prima coppia è formata da contrari: l'Ilinx ha la tendenza a far degenerare l'Agon, questo perché il conflitto a cui le regole forniscono una strada per essere espresso con una violenza non eccessiva, rischia di sfociare in una guerra senza regole. Per quanto riguarda la seconda ha poco senso unire la passività dell'Alea con la richiesta di azione della Mimicry: passività intesa come attesa della decisione della sorte e totale immobilità.
Chiamo casuali quegli abbinamenti in cui Alea/Ilinx e Agon/Mimicry si associano senza danni. Caillois fa notare come l'Ilinx in questo caso non renda impossibile l'Alea perché paralizzando il giocatore e affascinandolo non lo porta a distruggere il gioco, ma lo prepara ad abbandonarsi incondizionatamente alla sorte. Inoltre avendo tutte e due componenti passive si innescano l'una con l'altra. Presupponendo un abbandono totale e un'abdicazione della volontà da parte dell'Alea, si ha un conseguente stato di trance e di smarrimento caratteristico dell'Ilinx. Si ha una fusione delle due dinamiche. Lo stesso avviene con la coppia di Agon e Mimicry. Sono entrambi due principi attivi e fondendosi insieme si rafforzano l'un l'altro. L'Agon ha sempre una componente di spettacolo, ogni competizione implica un mettere in mostra le proprie capacità. È per questo motivo che i giochi di Agon sono predisposti ad essere svolti davanti ad un pubblico.
Le combinazioni fondamentali si riscontrano nelle linee opposte di Agon/Alea e Mimicry/Ilinx, rispettivamente attive/passive. Le prime hanno in comune la creazione di una gerarchia di perdenti e vincitori, la loro combinazione permette di dare ai giocatori delle
situazioni non completamente sotto il loro controllo, ma che comunque possono gestire con le loro capacità, per esempio accade nel gioco del domino, del golf, del bridge. Questa caratteristica può essere usata per creare un equilibrio nel gioco tramite l'imparzialità del caso oppure viceversa per creare instabilità: nel Risiko un tiro di dadi può cambiare la partita, nella Briscola è la sorte a decidere le carte che peschi. Nel secondo caso l'unione di maschera/estasi può essere altamente pericolosa, si crea il rischio di smarrire completamente la propria identità dietro quella della maschera. Allo stesso tempo in questa coppia la vertigine diventa funzionale perché aggiunge al “fare come se” l'elemento dell'immedesimazione e può dare al gioco un elemento dialettico di realtà. Viceversa la maschera permette alla vertigine di esprimersi tramite una forma. Questa loro potenza è fondata sull'elemento della fascinazione che condividono. Caillois aggiunge, lo tratteremo in seguito nel dettaglio, che questa unione appartiene alla sfera del sacro grazie a questo misto di autoconvincimento, recitazione, terrore e seduzione.
Se Agon/Alea creano l'ordine nel caos della realtà, viceversa Mimicry/Ilinx presuppongono un mondo privo di regola nel quale il gioco è sempre improvvisazione, fantasia, estro. Non a caso Caillois fa coincidere la nascita della società con il passaggio di potere da un regime sociale di Mimicry/Ilinx a uno di Agon/Alea:
“Il numero e la misura, lo spirito e il rigore che emanano, se sono incompatibili
con i turbamenti e i parossismi dell'estasi e del travestimento, consentono in cambio il subentrare dell'Agon e dell'Alea come regole del gioco sociale”8.
Questa ipotetica evoluzione storica avrebbe portato l'umanità da un atteggiamento ludico libero, legato quindi alla definizione di play, ad uno invece regolamentato e strutturato legato quindi alla definizione di game. Questa è una divisione che attraversa in maniera trasversale tutto il libro. Un'altra distinzione fondamentale si può individuare nelle due modalità di gioco contrapposte: Ludus e Paidia. Ritroviamo qui le due coppie antitetiche: Paidia/Play, dal carattere improvvisato ed anarchico, diventa spesso puro gusto di distruzione, è una potenza attiva e creatrice; Ludus/Game al contrario, è il piacere di produrre regole costrittive, di creare problemi e superarli.
Ludus e Paidia sono due modalità di gioco complementari e a volte opposte. Il gioco è sempre comunicazione e per far si che questo sia possibile serve un set di regole più o meno rigide. Queste possono anche essere deliberatamente ignorate rendendo la forma incomprensibile.
Tutto ciò non rende il gioco meno espressivo, meno divertente o meno regolato perché il gioco può sempre significare una mancanza di significato. Quando c'è struttura, che sia condivisa o idiosincratica, c'è Ludus; quando c'è libertà dal senso e caos c'è Paidia. Sono due differenze qualitative che si compenetrano a vicenda. Difatti i rapporti tra Ludus/Paidia con le quattro categorie spiegate poc'anzi sono molto stretti. Il rapporto tra Ludus e Agon è molto forte, deve esserci un set di regole condiviso e una partenza equanime perché tutti si possano riconoscere nei vincitori/perdenti alla fine del gioco. La combinazione di Ludus/Alea potrà sembrare non evidente, ma la ritroviamo nei giochi di scommesse, nelle lotterie e nella roulette, in quei giochi dove il gusto di superare le difficoltà è messo a dura prova dal caso. Nella Mimicry si usano in egual misura. Al contrario non ci può essere fusione tra Paidia e Alea, caos e libertà non vanno d'accordo con l'attesa passiva. Idem per Ludus e Ilinx, che non può essere ingabbiata dall'autocontrollo, pena la trasformazione in qualcosa d'altro: come avviene nell'alpinismo dove le imbragature e una tecnica specialistica esorcizzano la vertigine.
1.4 Dalle regole alla processualità
Abbiamo detto che per giocare bisogna darsi inevitabilmente un set di regole implicite o esplicite, scritte o non scritte. L'attività ludica quindi, esige una serie di configurazioni. Abbiamo definito qualità passive, legate all'oggettività del gioco, e attive, legate alla soggettività del giocatore. Sono quindi in una posizione contrapposta: la regolamentazione del oggetto e struttura del gioco si oppongono alla libertà di azione del giocatore. Gioco libero e regole sembrano qui creare un cortocircuito. Sia per Huizinga che per Caillois la libertà d'azione e di simulazione (della vita vera), cioè quelle caratteristiche legate all'intenzionalità del giocatore, al suo agire fanno parte delle proprietà attive; mentre la separazione e regolamentazione alle proprietà passive. Sembrano quindi opporsi innegabilmente, sembra che facciano parte di due sfere ben distinte e ben lontane. Ma è veramente così?
La distinzione non è così netta perché le regole vanno considerate come una proprietà attiva del gioco in quanto modificabili e convenzionali. Le regole diventano così delle convenzioni modificabili e mobili dal giocatore all'interno del gioco stesso. Le regole si rinnovano in base alla volontà dei giocatori. È proprio qui che si esprime la libertà essenziale per la definizione di gioco. In realtà il gioco è processuale, si evolve nel tempo e con chi gioca. Le regole sono quindi profondamente negoziabili nel momento del farsi gioco. Libertà e regole non sono in
antitesi, ma si compenetrano a vicenda, implicando che sia la libertà sia l'incertezza prevalgono sulla struttura.
Il gioco è reso possibile dal tacito consenso alle regole, dall'arbitraria scelta di mettere tra parentesi il mondo e di in-ludersi di essere in uno spazio-tempo per così dire artificiale. Ma cosa succede quando questo consenso crolla? Cosa succede quando sono proprio i giocatori a rimettere in discussione le regole? Esistono due tipologie fondamentali di “giocatori disturbatori”: il guastafeste e il baro. Il primo non accetta le regole formali e smaschera l'illusione del gioco facendolo precipitare, mentre il secondo non mette in discussione nulla, non obbietta, aggira semplicemente le regole e le usa a suo vantaggio. Quest'ultimo è pienamente inserito nel gioco, mentre il guastafeste si comporta all'opposto. Hanno due fini e intenti diversi. Un gioco può sempre gestire chi bara, tramite regole che rendano sconveniente o impossibile barare, ma non potrà mai resistere al confronto con chi smentisce la veridicità del gioco stesso. Il baro è inserito a pieno titolo nel gioco perché ne accetta il senso e la gerarchia di vincitori e perdenti, il guastafeste no. Questo è il vero distruttore, contro il quale non si può nulla se non cambiare o riniziare il gioco senza lui.
Come detto fin'ora abbiamo dunque, un modello ludico basato sulla regolamentazione e sulla processualità, intesa come esortazione all'azione da parte dei giocatori, come un fare partecipativo dell'individuo. Le regole non sono più assolute, ma vengono definite in corso d'opera. Il gioco è in grado di lasciare spazio all'individuo, svincolandosi dal reale, non smantellandolo o ponendosi in contrapposizione assoluta, ma introducendo “un nuovo tipo di realtà” forse meno ingessata. Dunque è sia regolato che sregolante. Nel gioco bisogna sottostare a delle regole che ne dettano i confini e i ritmi. Allo stesso tempo esiste un certo margine di libertà, insegna anche a discuterle ed eventualmente a modificarle a nostro piacimento. Considerando le regole in un'accezione simile a quella presentata, basata cioè sull'idea di volontà e su di un processo negoziabile, è interessante notare come la cicala di Bernard Suits arrivi a simili conclusioni:
“Rules are always lines that we draw, but in games the lines are always drawn short of a final end or a paramount command. Let us say, then, that a games is an activity in which observance of rules is part of the end of the activity, and where such rules are non-ultimate; that is, where other rules can always supersede the game rules; that is, where the player can always stop playing the game. […] games require obedience to rules which limit the permissible means to a sought end and where such rules are obeyed just so that such activity can occur”9.
The Grasshopper di Bernard Suits è un testo del 1978 mai uscito in Italia. Racconta gli ultimi
istanti di vita della cavalletta e del suo lascito morale, richiamando la celebre favola di Esodo e ricordando quasi l'Apologia di Socrate. Suits si propone di dare una definizione di gioco attraverso dialoghi in flashback tra la cavalletta, controparte del filosofo, e le due formiche, Skepticus e Prudence. In aggiunta a quanto detto fin'ora, Suits definisce il gioco come “il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari”; afferma che la creazione di regole è utile per limitare i mezzi con cui un giocatore potrebbe conseguire il suo obbiettivo. Le regole hanno la capacità di costringere il giocatore a compiere determinati passi, ma stabiliscono anche lo spazio lasciato alla sua arbitrarietà. Qui forse si può tracciare un parallelo con Caillois, il quale rintraccia nel Ludus una potenza, una tensione che spinge a creare ostacoli per poi superarli.
Suits conia il termine lusory attitude:
“The acceptance of constitutive rules just so the activity made possible by such acceptance can occur”10.
La buona riuscita del gioco passa attraverso questo accordo. Questa attitudine è paragonabile alla “suspension of disbelief”, espressione coniata da Samul Taylor Coleridge in un suo scritto nel 1817. Questa consiste nella sospensione volontaria, da parte dello spettatore o del lettore, del giudizio critico per accettare e ignorare le incongruenze presenti nella storia. Per esempio nel teatro o nelle opere di fantascienza/fantasy dove sono presenti creature sovrannaturali o extraterrestri. Tutto ciò non implica la soppressione totale della coerenza e della logica, ma un loro adattamento. Ne parla anche Huizinga stesso come unità di credere e non credere. Ritornerò sulla questione in maniera più approfondita nei capitoli successivi.
Thomas Malaby è professore e presidente di antropologia presso l'Università del Wisconsin-Milwaukee. È un antropologo sociale statunitense che si è cimentato in uno studio sulle possibili metodologie d'analisi dei giochi in generale. Descrive il gioco come processo, come un fenomeno in divenire che cambia grazie alle intenzioni dei giocatori, ma anche grazie alle conseguenze del suo esser giocato. Le regole, pur essendo qualità attive, sono insufficienti per descriverlo completamente. La struttura è subordinata al cambiamento e alla contingenza. Scrive:
“A game is a semibounded and socially legitimate domain of contrived contingency that generates interpretable outcomes”11.
Le tre caratteristiche fondamentali, secondo Malaby, del gioco processuale sono: • Semivincolato, come abbiamo detto fin'ora, cioè non strettamente regolato;
• Contingente, lo definisce con quattro variabili come puro (tiro del dado), sociale (inconoscibilità delle scelte altrui), semiotico (diverso significato dipendente da diversi risultati) e performativo (intesa come l'efficacia o meno di una determinata azione);
• Interpretabile, non solo per quanto riguarda gli obbiettivi intrinsechi al gioco, ma anche dai fenomeni paralleli e contingenti che il giocare stesso aziona e che creano significato.
Pensare a questo tipo di ludicità processuale, dove prevale l'analisi dell'agire umano rispetto ai contenuti del gioco, rende l'attività ludica accomunabile ad altre forme di esperienza umana. Questa lettura processuale fa pensare che il gioco non sia solo un'attività, ma anche un modo e un luogo dell'agire, integrato con il reale e in rapporto ontico con esso. Il gioco, allargando sempre più il focus, diventa parte integrante della cultura umana e metafora del funzionamento del mondo.
Se fino adesso abbiamo parlato di processualità in relazione alla struttura del gioco fissa e regolata con quest'ultima analisi siamo costretti a studiare i legami del gioco con gli altri aspetti del mondo e dell'agire umano. Per parlare degli aspetti della processualità che trascendono la struttura rigida del game e si riferiscono alla dinamica attiva del play, introdurrò il termine performance: l'attitudine, abilità, la capacità dell'individuo di performare la realtà. Dalla processualità alla performance il passo è breve. Tutte e due si fondano su delle regole contingenti e in parte non scritte, che prescrivono il corretto modo di saper valutare e attuare comportamenti richiesti in specifiche situazioni.
Il gioco così inteso, come processo e metafora integrata al reale, implica dunque concrete conseguenze sulla vita stessa. Questa lettura è valida nel momento in cui consideriamo il gioco come capace di fornirci strumenti atti a formare comportamenti e strategie in vista di creare ruoli sociali sconosciuti. In questo mettiamo in atto una performance. Attraverso la cornice-gioco esploriamo e capiamo il mondo.
“Ma riflettere sul gioco non è esso stesso un gioco, né tanto meno è giovevole al nostro piacere di giocare. Il pensare non ci rende più propensi al gioco, ma anzi tende ad allontanarci da esso – si perde la spensierata ingenuità di vita, lo slancio impulsivo […] vivere la nostra vita in modo irriflesso e ininterrotto. […] In altre manifestazioni della vita il pensiero contribuisce talvolta ad una elevazione. […] Non altrettanto si può dire per il gioco”12.
Fink, filosofo fenomenologo tedesco, parlando di meta-gioco, continua dicendo che “l'uomo che gioca non pensa, l'uomo che pensa non gioca”. S'intravede una certa ostilità, quasi come se gioco e pensiero appartenessero a due sfere opposte. Ci ricorda anche che se consideriamo il gioco come un'occupazione ricreativa del tempo libero, ci avviciniamo pericolosamente all'ozio.
Se dunque si considera il gioco solamente inteso come divertissement o come pausa dal reale, in quanto privo di obbiettivi concreti, si giunge alla degenerazione di esso. Tale deriva non può essere più considerata gioco stesso.
1.4.1
Non-regole e meta-regole
Prima di passare al paragrafo successivo, voglio approfondire alcuni concetti relativi alle regole del gioco.
Prendiamo per esempio il gioco “Tris” (Tic-Tac-Toe in inglese). Ha un set di regole molto semplice. Servono due giocatori, una o due matite/penne ed un foglio di carta. Si disegna una griglia 3x3,a turno ogni giocatore traccia una X o una O su una casella vuota a sua scelta. Vince chi per primo ottiene tre dei suoi simboli in fila, in colonna o in diagonale. Sembrano regole banali. Elencandole le abbiamo esaurite tutte? Per esempio non è stato detto nulla riguardo al tempo a disposizione di ogni giocatore. Entrambi i giocatori sanno che ne esiste uno, anche se non esplicitato. Una manciata di secondi (20-30). Se uno dei due prende più del tempo ragionevole, l'altro di contro può iniziare ad irritarsi e perfino a minacciare di uscire dal gioco. Senza averlo esplicitamente dichiarato, abbiamo accettato una regola ovvia.
Altro esempio. Immaginiamo che io stia giocando ad una partita a scacchi e che sia il mio turno. Sto perdendo e il mio avversario vincerà al prossimo turno, indipendentemente dalla mia prossima mossa. Esiste negli scacchi un preciso termine per questo tipo di situazione ed è
Zugzwang. È una parola tedesca che significa “obbligato a muovere”. Negli scacchi si
riferisce alla situazione in cui un giocatore, qualsiasi mossa faccia, subirà per forza lo scacco matto o una perdita immediata o a breve termine. Nulla nelle regole dichiarate mi obbliga a
fare la mia mossa entro un certo limite di tempo. Potrei procrastinare la mia mossa affinché il mio avversario si stufi e si arrenda. Se procrastinassi all'infinito la mia mossa, tecnicamente sarei sottostato alle regole, ma avrei veramente vinto? Chiunque usasse una simile tattica verrebbe considerato infantile o anti-sportivo o socialmente indesiderato. Un comportamento simile sembrerebbe violare un principio non dichiarato ma fondamentale del gioco.
Per evitare questa serie di problemi potremmo includere il limite di tempo nelle regole di base del Tris. Prima ho parlato di “tempo ragionevole”, ma non è abbastanza. Ho anche provato a quantificarlo (20-30 secondi). Così facendo entreremmo in una serie di problemi ancora più grossi. Dovremmo stabilire quando un giocatore è “in gioco” e quando non lo è. Per esempio se il nostro avversario dovesse rispondere ad una telefonata o dovesse andare improvvisamente in bagno, dovremmo contare questi minuti come parte del gioco oppure no? Se dovessimo creare delle regole esaustive si entrerebbe in un loop senza fine, perché saremmo costretti a scrivere un elenco che discrimina situazioni di vita in cui dobbiamo sospendere il tempo di gioco e altre in cui lo dobbiamo lasciar scorrere.
Per non complicarci la vita usiamo regole intuitive, quindi ragionevoli, nei giochi tra amici; mentre le regole esaustive e complete le lasciamo ai giochi dei professionisti dove non se ne può fare a meno. Per esempio l'introduzione degli orologi negli scacchi, i cronometri nelle gare sportive ecc.
Non bisogna dimenticarsi però che anche le regole ufficiali, pur tendendo alla perfezione assoluta, sono soggette a dei limiti. Nessun set di regole è infallibile, perché non potrà mai elencare tutte le possibili situazioni della vita. Supponiamo che scatti un allarme incendio durante una partita di basket e che tutti siano costretti ad evacuare la stanza. Gli arbitri dovranno decidere se il tempo trascorso dovrà essere conteggiato come tempo di partita oppure decidere se aumentare il tempo della partita per recuperare quello perso. Supponiamo ancora che un giocatore di tennis professionista abbia dei crampi, qualcuno dovrà decidere se e per quanto tempo interrompere la partita per permettere al giocatore di riprendersi. Oppure basti pensare a quante polemiche e discussioni sul concedere o meno un rigore, un fallo ad un giocatore in un campo di calcio. L'introduzione di un arbitro porta alla risoluzione di alcuni problemi, ma non si raggiunge la completa regolazione del gioco perché ci si affida al suo arbitrio con tutto il rischio di personalismi che ne conseguono.
Alla fine chi prende queste simili decisioni sono degli esseri umani e non dei codici di regole. Sicuramente si atterranno a degli schemi di correttezza, praticità, sportività, ma certamente non possono essere completamente codificati.
Stiamo parlando di “giocare pulito”, di fair-play. Queste regole non scritte si applicano a tutti i giochi. Sarebbe impossibile per un computer discernere le regole dalle non-regole. La comprensione della psiche umana, le implicazioni sociali della situazione e la capacità di arrivare ad un compromesso soddisfacente non sono variabili programmabili in un computer. Nemmeno Deep Blue, un sofisticato programma di scacchi, può distinguere tra una partita giocata per soldi o una giocata per divertimento. Non riconosce quando si deve contare una mossa o quando la cortesia, la compassione, il senso comune, un'emergenza medica imporrebbero di non farlo. Non riesce a capire il contesto sociale, politico, morale in cui sta giocando. Non riesce a discriminare i vari frame, i vari contesti.
Nel libro Quando gli elefanti piangono, gli autori Jeffrey M.Masson e Susan McCarthy raccontano di un gruppo di scienziati che tentavano d'insegnare ai delfini a giocare a pallanuoto. I delfini erano in grado di segnare punti e sembravano trovarlo divertente, ma non appena gli addestratori insegnavano alle squadre a impedire a gli avversari di segnare, i delfini si sono lanciati in una guerra tra squadre, usando metodi poco sportivi. Gli addestratori, dopo questa esperienza, hanno rinunciato ad insegnare la pallanuoto ai delfini.
Se non avessero desistito, forse avrebbero capito che non bastava insegnare ai giocatori solo i set di regole. Avrebbero dovuto rendersi conto di quanta nostra conoscenza del comportamento del gioco corretto precede l'apprendimento di un particolare sport. Forse avrebbero dovuto insegnargli gran parte della nostra cultura per giocare veramente. Non è detto che questo sia possibile, forse è possibile solo per degli umani.
Non stiamo mai semplicemente giocando un solo gioco. Siamo sempre consapevoli della relazione gioco-mondo. Percepiamo più contesti, più frame contemporaneamente; e non potrebbe essere diversamente, ma uno su tutti s'impone fra gli altri senza escluderli. Proseguendo questo ragionamento per assurdo potremmo dire che i computer e gli animali non giocano, perché quanti di questi contesti potrebbero capire? Un cavallo da corsa gioca al gioco delle corse di cavalli o risponde alle sollecitazioni del fantino? Allo stesso modo Deep Blue sta giocando a scacchi o muove semplicemente delle pedina sulla scacchiera secondo un algoritmo? Sta tentando di vincere?
Giocare senza perseguire consapevolmente gli obbiettivi del gioco non equivale a giocare. Potremmo far finta di giocare come i wrestlers o gli attori in un film su uno sport, oppure potremmo allenare i nostri muscoli, ma esiste gioco senza il tentativo di raggiungere gli obbiettivi.
Per cui i motivi del perché un elenco completo di regole è impossibile sono:
1. Le regole del gioco devono, ovviamente, essere enunciate in qualche lingua che è intrinsecamente ambigua. A loro volta le regole per interpretare qualsiasi lingua sono indicate con un certo linguaggio anch'esso ambiguo. Abbiamo così una sorta di regressione all'infinito assai improduttiva perché rischia di rovinare il gioco;
2. Ogni giocatore potrebbe avere una sua interpretazione personale delle regole del gioco. Un elenco di tutte le interpretazioni possibili sarebbe anch'esso infinito. Se per conciliare queste diversità tra giocatori si creasse un'insieme di meta-regole, anche per esse si rischierebbe la regressione infinita, in quanto interpretabili. Non esistono “regole ultime”.
3. Le regole sono stratificate a livelli. Esistono regole più importanti e meno. In alcuni casi le prime potrebbero avere la precedenza sulle altre, quindi per sapere quando è opportuno sospenderle e quali devono essere sospese occorrerebbe un altro set di regole a parte. Anche qui non esiste un set finale che concluda.
4. Tutti i giochi iniziano, finiscono, ma possono essere anche interrotti, quindi serve avere delle regole che ci dicano quando i vincoli si applicano e quando no. Purtroppo anche queste sono interpretabili e discutibili. Servirebbe un qualcosa che ci faccia capire quando siamo in gioco e quando smettiamo di esserlo come in “Simon dice”13.
Domande sulle meta-regole emergono più spesso di quanto si possa pensare e questo è valido per tutti i tipi di giochi. Quando per sbaglio un giocatore lancia i dadi fuori dal tavolo, da o rifiuta un handicap, ottiene un “tiro bonus”, chiede la spiegazione di una regola, spinge l'altra squadra a giocare più velocemente, da consigli o avverte circa una mossa che può risultare disastrosa, lascia che l'avversario cambi una mossa sbagliata. È sbagliato pensare che esistano delle regole esaustive e omni comprensive. Nonostante questo i giochi sono presi seriamente da quasi tutti i giocatori. I giochi possono esistere su un accordo sconosciuto (lusory attitude), quasi mistico, ineffabile e quasi non basato su un dialogo precedente tra i partecipanti. I giocatori hanno un senso di fiducia nella realtà del gioco, che non è fondato su nulla di tangibile e concreto. È la suspension of disbelief di Coleridge. Teniamo il piede in due scarpe, il gioco è sia importante sia irrilevante, serio e non serio ecc.
13 “Simon dice”, in inglese “Simon says”, è un gioco per bambini da fare in gruppo. Prima di tutto bisogna scegliere un bambino che impersonerà Simon, il quale impartirà degli ordini a cui tutti gli altri dovranno sottostare. Le istruzioni che non iniziano con le parole “Simon dice” non vanno eseguite e viceversa. Chi sbaglia viene eliminato. Per esempio “Simon dice salta” e tutti dovranno saltare.
Analogamente funziona il sistema monetario. Il valore della moneta lo ottiene dall'accordo reciproco tra gli utenti, sarà cioè simbolico e soggetto a cambiamenti. Il sistema funziona, ma potrebbe anche collassare in qualsiasi momento. Lo stesso si ha nel linguaggio. Tutti sappiamo che chiunque può scegliere di fare il guastafeste e decidere di tirarsene fuori come fa Humpty Dumpty14. Come nel gioco, la comunicazione dipende dalla volontà dei
partecipanti di operare “come se” ci fosse un accordo universale sui significati e le regole grammaticali.
Tutti i sistemi governati da regole come la politica, la guerra, la legge, l'istruzione, la lingua, l'economia, possono essere considerati per certi aspetti, come giochi. Il riconoscimento del fatto che non possiamo conoscere tutte le regole può avere un profondo effetto su come ci approcciamo al mondo. La coscienza che nel mondo non ci sono assoluti e nessun libro di regole potrà mai essere abbastanza esaustivo può liberarci o distruggerci. Già dopo queste considerazioni si può comprendere che i giochi non andrebbero liquidati come forme d'intrattenimento triviale, ma dovrebbero essere considerati come un aspetto profondamente importante della nostra cultura.
“Per capire il gioco dobbiamo conoscere il mondo e per capire il mondo come
gioco dobbiamo acquisire un'intuizione del mondo molto più profonda”15.
1.5 Il Cerchio magico
“Il gioco s’isola dalla vita ordinaria in luogo e durata. Ha un terzo contrassegno nella sua indole conchiusa, nella sua limitazione. Si svolge entro certi limiti di tempo e di spazio. Ha uno svolgimento proprio e un senso in sé.
Ecco qui dunque una caratteristica nuova e positiva del gioco. Il gioco comincia e a un certo momento è finito. Mentre ha luogo c’è un movimento, un andare su e giù, un’alternativa, c’è il turno, l’intrigo e il distrigo. Ora, alla sua limitazione nel tempo si collega immediatamente un’altra qualità curiosa. Il gioco si fissa subito come forma di cultura. Giocato una volta, permane nel ricordo come una 14 “‘When I use a word’, Humpty Dumpty said in rather a scornful tone, ‘it means just what I choose it to mean
– neither more nor less’. […] ‘They’ve a temper, some of them – particularly verbs, they're the proudest – adjectives you can do anything with, but not verbs – however, I can manage the whole of them!’ […] ‘That’s a great deal to make one word mean’, Alice said in a thoughtful tone. ‘When I make a word do a lot of work like that’, said Humpty Dumpty, ‘I always pay it extra’”. Carroll, L., Through the looking-glass, Macmillan
& co., p. 124-125.
creazione o un tesoro dello spirito, è tramandato, e può essere ripetuto in qualunque momento, sia subito, sia anche dopo un lungo intervallo. Questa possibilità di ripresa è una delle qualità essenziali del gioco. Vale non solo per il gioco come un tutto, ma anche per la sua struttura interna. In quasi tutte le forme più sviluppate del gioco si possono riscontrare gli elementi della ripresa del ritornello, del cambio di turno.
Notevole più ancora della sua limitazione nel tempo è la sua limitazione nello spazio. Ogni gioco si muove entro il suo ambito, il quale, sia materialmente, sia nel pensiero, di proposito o spontaneamente, è delimitato in anticipo. Come formalmente non vi è distinzione tra un gioco e un rito, e cioè il rito si compie con le forme stesse d’un gioco, così formalmente non si distingue il luogo destinato al rito da quello destinato al gioco. L’arena, il tavolino da gioco il cerchio magico, il tempio, la scena, lo schermo cinematografico, il tribunale, tutti sono per forma e funzione dei luoghi di gioco, cioè spazio delimitato, luoghi segregati, cinti, consacrati sui quali valgono proprie e speciali regole. Sono dei mondi provvisori entro il mondo ordinario, destinati a compiere un’azione conchiusa in sé.
Entro gli spazi destinati al gioco, domina un ordine proprio e assoluto. Ed ecco qui un nuovo e più positivo segno del gioco: esso crea un ordine, è ordine. Realizza nel mondo imperfetto e nella vita confusa una perfezione temporanea limitata. L’ordine imposto dal gioco è assoluto. La minima deviazione da esso rovina il gioco, gli toglie il suo carattere e lo svalorizza. In quello stretto rapporto con l’idea dell’ordine sta indubbiamente la ragione per cui il gioco, come già osservammo di sfuggita qui sopra, pare situato per tanta parte sul terreno dell’estetica. Dicemmo che il gioco tende a essere bello. Questo fattore è forse identico a quell’impulso a creare forme ordinate da cui è penetrato il gioco in tutti i suoi aspetti. I termini coi quali possiamo definire gli elementi del gioco provengono, in gran parte, dalla sfera dell’estetica. Sono i termini con i quali cerchiamo d’esprimere anche effetti di bellezza: tensione, equilibrio, oscillamento, scambio di turno, contrasto, variazione, intreccio e soluzione. Il gioco vincola e libera. Attira l’interesse. Affascina, cioè incanta. È ricco delle due qualità più nobili che l’uomo possa riconoscere nelle cose ed esprimere egli stesso: ritmo e armonia”16.
Da dove nasce l'idea di “cerchio magico”?
Il termine appare una manciata di volte nel libro già citato di Huizinga Homo Ludens. Ho riportato sopra il suo richiamo più citato e importante. Qui il “cerchio magico” appare in una lista che include: spazi fisici come il tavolino per le carte, campo da tennis, spazi del mondo reale come il palazzo di giustizia, il tempio, spazi per intrattenimento e arte come il palco, lo schermo.
Il cerchio magico non è un concetto particolarmente importante in Homo Ludens e non è da attribuire interamente all'autore del libro. È stato ripreso e reso più centrale dal libro Rules of
play scritto a quattro mani da Katie Salen e Eric Zimmerman. Due game designer che
propongono, in questo libro (2004), una rilettura piuttosto rigida della proposta teorica di Huizinga, ma molto feconda.
Lo stesso Zimmerman, in un articolo sulla rivista online Gamasutra17, da una definizione di
cerchio magico. Chiede al lettore d'immaginarsi di andarlo a trovare nel suo appartamento di Brooklyn, di fare due chiacchere davanti ad un caffè accanto alla sua scacchiera. Chiede ancora di ipotizzare le miriadi di relazioni che si sviluppano in quel momento tra i due interlocutori, compresa la scacchiera stessa. Forse le pedine su di essa saranno di spunto alla conversazione, oppure serviranno per dedurre che il proprietario è un giocatore di scacchi, o serviranno solo come arredamento. Continua dicendo:
“Once we start playing a game of Chess, many of these relationships shift and
change. For example, in a casual conversation, we might fiddle with the Chess pieces on the board, knocking them about. But after we begin to play, suddenly it really matters whether a piece is in the middle of a square or not, and which of us can move it, and when, and how.
Each of our kings acquires a special significance, and our social interaction shifts - perhaps it becomes more adversarial, or more conversational, or simply more quiet. Time and space, and identity, and social relations acquire new meanings while the game is going on. This is how playing a game is ‘entering a magic circle’ - there are meanings which emerge as cause and effect of the game as it is played
For me this idea - that games are a context from which meaning can emerge - is so simple as to be almost banal. Hardly a cause for debate! And note that this general understanding of the magic circle does not imply the impossibly brittle, heavy-handed caricature that is so often criticized - the ideas held by the imaginary magic circle jerk.
For example, are the meanings that emerge from the chess game in my example completely divorced from ordinary life? Absolutely not! They are inexorably intertwined. A preexisting friendship, for example, will certainly impact the social 17 Gamasutra è un sito web, nato nel 1997, che si rivolge agli sviluppatori di videogiochi. È l'equivalente online
interaction between players in a game. Are the meanings ultimately derived from the rules and formal structures of the game? Hardly! Meaning is everywhere and infinitely subtle, appearing wherever one wishes to look. […] there's no need to think about the magic circle (a context for meaning creation) as something exclusive to games. Could one think of almost any physical or social space as a magic circle in this way? Probably - if that's your cup of tea, go for it. Certainly Huizinga makes a similar gesture when he places courts of law and religious temples in the same ‘play-ground’ category as card tables and tennis courts”18.
Il cerchio magico è un termine che ricorda come si realizza la significazione, dice Zimmerman. Il concetto “gioco” non è altro che un diverso approccio sul mondo/realtà.
“Attraverso il gioco un individuo diventa consapevole dell’esistenza di vari tipi e categorie di comportamento […]. E il gioco stesso è una categoria di comportamento classificata in qualche maniera da un contesto. […] Mi interessa mostrarvi come il gioco predisponga una cornice per il comportamento”19.
Questo termine da l'idea che lo spazio e il tempo del gioco si formano da una salienza, una rilevanza, un'emersione di una figura su uno sfondo, dello spazio e del tempo reali. La magia è proprio questa. Il cerchio racchiude uno spazio, si taglia una porzione nel mondo reale, la separa, la eleva. Come segno del tempo, il cerchio magico è paragonabile ad un orologio: indica sia un percorso con inizio e fine, sia uno senza inizio e fine. Il cerchio rappresenta uno spazio ripetibile, sia limitato sia illimitato. In breve, uno spazio finito con infinite possibilità. Tutti i movimenti si muovono e hanno il loro essere all'interno di un campo da gioco segnato in anticipo, sia materialmente sia idealmente. Il tempio, l'arena, il palcoscenico, la scacchiera, il tribunale sono tutte “forme di gioco”, sono spazi cioè, isolati, santificati, nicchie, all'interno delle quali si creano regole speciali. Sono mondi temporanei all'interno del mondo ordinario, preposti allo svolgimento di un atto separato.
1.5.1
Entrare e uscire dal cerchio magico
Stephen Sniderman, in un suo saggio intitolato La vita dei giochi, ha chiamato un capitolo
Nessun gioco è un'isola. Credo che sia un titolo molto adatto, perché ci ricorda come nessun
gioco o sport venga svolto in assenza di legami, ma che sia in connessione con molti fattori detti poc'anzi.
18 Zimmerman, E., Jerked Around by the Magic Circle – Clearing the Air Ten Years Later, in Gamasutra, 7 febbraio 2012.
“Players and fans and officials of any game or sport develop an acute awareness of the game's ‘frame’ or context, but we would be hard pressed to explain in writing, even after careful thought, exactly what the signs are. After all, even an umpire's yelling of ‘Play Ball’ is not the exact moment the game starts. (And think how confused a new fan of baseball would be when some dignitary threw out ‘the first pitch’!) We must rely on our intuition, based on our experience with a particular culture, to recognize when a game has begun”20.
Sniderman in pratica, ci dice che non possiamo programmare un computer per fargli comprendere quando un gioco è in corso. Non ha questa capacità di discernimento. Se il gioco nel computer è avviato, starà necessariamente giocando indipendentemente da chi sia il suo avversario. Inoltre continuerà a giocare finché non verrà disattivato anche se l'altro giocatore è assente o impegnato in altre attività. Questo fenomeno è la premessa del film, Wargames21, in cui un supercomputer, WOPR, non può distinguere tra un “gioco” della guerra termonucleare e la cosa reale. Difatti alla domanda se sia coinvolto in una vera battaglia e non in una simulazione, la risposta di WOPR è “Qual è la differenza?”. Viceversa, un essere umano monitora continuamente il “frame” ed osserva costantemente se le condizioni, le circostanze del gioco sono ancora in corso, per determinare se il gioco si sta ancora svolgendo. Dunque è sempre consapevole (anche inconsapevolmente) se gli altri partecipanti agiscono come se fossero in gioco.
Le distinzioni tra dentro e fuori la cornice del gioco, tra quando spendere energia e quando invece rilassarsi, s'imparano senza esserne del tutto consapevoli. È un'attitudine che viene naturalmente acquisita con l'esperienza e con la pratica.
“Let us imagine a person named Leslie who has taken extensive tennis lessons, memorized an official USTA rule book, and watched professional tennis on television but never actually played a match at any level and never played or watched or read about any other games […] One day, let's suppose further, someone invites Leslie to substitute in one of our doubles games. […] He would almost certainly get very confused and frustrated at the way my friends and I play ‘tennis’. In fact, Leslie might not even recognize it as tennis at all and might conclude that we are playing some bastardized form of the game. And in a sense he would be absolutely right”22.
Sniderman mostra come un accordo tra i partecipanti sia basilare per la riuscita del gioco. Indipendentemente da quale set di regole si usa. Bisogna creare un meta-cerchio magico
20 Sniderman, S., Unwritten Rules, in The Life of game, N° 1 ottobre 1999. 21 Badham, J., Wargames – Giochi di guerra, 1983.
condiviso tra i partecipanti, con regole non necessariamente elencate ad alta voce, per entrare nel cerchio magico, per iniziare quindi a giocare. Si crea la cornice gioco che è qualitativamente diversa, seguendo questa citazione poco sopra, dal tennis giocato a Wimbledon. Sniderman continua dicendo che molto spesso si è ritrovato a parlare, scherzare e fare battute dopo aver segnato un punto con gli altri giocatori. Leslie, ipotizza, ne rimarrebbe sconvolto. Questo perché potrebbe percepire i giocatori come disinteressati nell'esito del gioco, quando in realtà non è detto sia così. Per non parlare del fatto che ne andrebbe la concentrazione di Leslie stesso. L'autore del saggio però va più in profondità:
“If Leslie did start to talk, though, he might find himself violating other aspects of our etiquette. Certain subjects are taboo, or at least frowned upon or rarely mentioned. Business, for example, is almost never discussed between points and rarely between games. […] More significantly, politics and religion are strictly avoided. At most, someone will make a passing comment about the president or some interesting current event, but I can't remember a single remark about abortion or gun control or any other such controversial topic, even when I have played with other academics. […] Would Leslie recognize that we are limiting our comments to certain topics? Until I wrote these last sentences, I had never articulated this ‘rule’ even to myself (though I've been playing for over 40 years)”23.
Stiamo parlando qui di meta-meta-cerchio magico. Come dicevamo poco fa, parlando di regole generali, ora è applicato ad uno sport in particolare ossia il tennis. Questi giocatori hanno delle linee guida che seguono ancora prima di essere formulate a voce (si veda l'ultima frase della citazione). I giocatori in questione hanno tutta una serie di segnali arbitrari per capirsi, creati nel tempo, diversi da altri giocatori dilettanti che avranno i propri.
Per entrare quindi, nel cerchio magico un giocatore necessita di tre fattori essenziali: • Competenza,
• Capacità, • Legittimazione.
Conoscere uno o più set di regole di quel preciso gioco, saperli applicare opportunamente (discernimento) ed ottenere il riconoscimento dello status di giocatore dagli altri partecipanti. Quando entriamo nel cerchio magico si crea una sorta di paradosso, perché siamo sia dentro che fuori esso. Non potremmo mai completamente credere di essere un re o una regina delle
pedine degli scacchi, una principessa in pericolo o un investigatore che risolve delitti. Si verrebbe giustamente internati. È necessario comprendere il confine. L'immersione nella cornice-gioco non esclude il fuori, lo mette leggermente in ombra semmai. Si entra in un mondo di senso senza tuttavia mai staccarsi da quello che ci circonda. Il mondo esterno, il fuori rimane come una nota a piè pagina con un rimando sempre presente. Se non si monitora attivamente la circonferenza del cerchio si rischia di perdersi come capita a Gurdulù:
“- No, le anatre le guardo io, son mie, lui non c’entra, è Gurdulú... – disse la contadinotta. – E che faceva con le tue anatre? – Oh niente, ogni tanto gli piglia così, le vede, si sbaglia, crede d’esser lui... – Crede d’essere anatra anche lui? – Crede d’essere lui le anatre... Sapete com’è fatto Gurdulú: non sta attento... […] L’uomo tirò fuori la testa dall’acqua tutt’a un tratto, come ricordandosi in quel momento che doveva respirare. Si guardò smarrito, come non comprendendo cosa fosse quel bordo di felci che si specchiavano nell’acqua a un palmo dal suo naso. Su ogni foglia di felce era seduta una piccola bestia verde, liscia liscia, che lo guardava e faceva con tutta la sua forza: – Gra! Gra! Gra! – Gra! Gra! Gra! – rispose Gurdulú, contento, […] – Ma non ci annega? – chiesero i paladini a un pescatore. – Eh, alle volte Omobò si dimentica, si perde... Annegare no... Il guaio è quando finisce nella rete con i pesci... Un giorno gli è successo mentre s’era messo lui a pescare... Butta in acqua la rete, vede un 30 pesce che è lì lì per entrarci, e s’immedesima tanto di quel pesce che si tuffa in acqua ed entra nella rete lui”24.
Il romanzo Il cavaliere inesistente di Calvino, si regge sulla coppia di contrari Agilulfo-Gurdulù. Agilulfo, il cavaliere inesistente, è rappresentato da un'armatura bianca, animata, ma vuota. È un perfetto robot. Gurdulù, all'opposto, è Leonard Zelig25 di Woody
Allen. È uno che non sa chi è e pensa di essere ciò che vede (di qui il nome Gurdulù che deriva da “guarda qui”). Se vede una rana, una zuppa diventa una rana o una zuppa. La gente lo chiama con vari nomi, ma a lui pare non importare. Si lascia permeare da ogni cosa e diventa ogni cosa su cui posa lo sguardo. C'è ma non sa di esserci. È come un camaleonte, si mescola e si perde.
Nella nostra vita quotidiana passiamo regolarmente attraverso “cerchi magici”, che vivono nella compresenza. Implicano un fuori, che resta e deve essere sempre ben presente. Il rischio sennò è, come per Gurdulù, quello di smarrire la nostra propria identità. Il cerchio magico, la
24 Calvino, I., Il cavaliere inesistente, Mondadori, p. 28.
25 Zelig è un film del 1983 scritto, diretto e interpretato da Woody Allen. È ambientato nel 1928. Il protagonista è Leonard Zelig, uomo colpito da una malattia sconosciuta che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti a seconda del contesto in cui l'individuo si trova. Zelig, come Gurdulù, è un uomo che non ha né un sé né una personalità. È come uno specchio che restituisce alle persone la propria immagine. È come un camaleonte: in una scena del film si trova vicino ad un rabbino e si trasforma immediatamente in esso per esempio.
cornice-gioco tiene ben separato il gioco dalla “vita vera”, ma allo stesso tempo li unisce. È paradossale, ma questa coppia di opposti compartecipa sempre insieme.
Nella nostra vita di tutti i giorni abbiamo a che fare con il passaggio da un “cerchio” all'altro. Si prenda per esempio una lezione universitaria. Questa situazione ha vari elementi che l'accomunano alla sfera del gioco. Si vive una sorta di realtà parallela, un mondo costruito che sottostà a determinare regole condivise. È una sorta di simulazione, in quanto stiamo ancora imparando e non siamo veramente alla prova nella vita reale. Non possiamo causare gravi conseguenze, anche se dovessimo prendere un brutto voto o farci cogliere impreparati non pregiudicherà la nostra vita. Non subirò danni irreparabili per questo. Ogni particolare è curato, dal vestiario (sia per chi insegna sia per chi impara) all'intonazione usata nel dialogare, dai gesti alla scelta delle parole usate. La lezione durerà un certo tempo stabilito in anticipo, il luogo verrà scelto in base alla disponibilità delle aule e così via. Il gioco “corso di storia della filosofia” può essere giocato se e solo se qualcuno ha elaborato le regole e se tutti vi sottostanno. Le regole sono libere perché quella porzione di mondo dentro l'aula Barone dipende nella sua esistenza dai significati che tutti i partecipanti gli attribuiscono in modo libero.
Avviene un'elevazione della vita alla sfera dello spirito. È questo che fa dire a Huizinga che gli animali sono qualcosa di più che meccanismi perché sanno giocare. Questa situazione, quando ci troviamo in aula, possiamo dire che non è la realtà. Riceve importanza solo ed esclusivamente se prendiamo in esame le sue finalità. Anzi di più, non si può inferire nulla. Non si può dedurre che uno studente, se ha preso un brutto voto, non stia imparando in assoluto o che sia poco intelligente. Semmai verrà considerato inadeguato rispetto a quel set di regole che vige solo in quell'aula lì. La vita è come un fiume che lambisce varie terre, l'aula di studio è solo una di queste. Si può disattendere o non comprendere le regole o la situazione. Allora interverranno altri fattori per arginare la conclusione del gioco o bisognerà addirittura crearne un altro. Per esempio dopo una discussione con uno studente, il professore potrà ristabilire il gioco-lezione con una battuta ilare interrompendo il disturbo che lo minacciava; o ancora se il gioco-lezione venisse interrotto da una prova antincendio il professore sarà costretto a riprendere il gioco la volta successiva.
Il gioco in aula quindi può essere minacciato da un ingerenza improvvisa della realtà esterna. In aula c'è spazio, per quella che Huizinga chiama la “sovrabbondanza” che crea vita spirituale e permette la produzione di senso e la creatività di cui è contraddistinto il gioco. Grazie al gioco ciascuno può innestare l'elemento spirituale su quello materiale. La
condizione per questa sovrabbondanza è però un certo distacco dalle altre esigenze della vita, cosa che le regole contribuiscono ad attuare. Ovviamente il gioco-lezione per svolgersi deve mantenere un saldissimo contatto con la realtà, anche se vista attraverso la membrana semipermeabile della situazione. La realtà non viene completamente separata, ma è ciò di cui si parla nella lezione. Ciò che viene detto durante una lezione non è in completa balia della libera creatività, ma si può parlare tranquillamente della realtà proprio perché c'è questo distacco. Abbiamo dunque una stretta correlazione, non un esclusione. Non due poli che si annullano, ma che si pervadono. Si crea una dialettica che produce una nuova realtà, qualitativamente migliore.
Le regole dovranno permettere tale produzione. Ci saranno sicuramente divieti e proibizioni che permettono il conservarsi del gioco e quindi la produzione di significato, ma le regole più importanti sono quelle che spingono i partecipanti a collaborare alla produzione di senso. Bisognerà definirle per esempio in modo tale che le differenze individuali vengano rispettate e valorizzate.
Il professore, per la maggior parte, è colui che le crea ed è influenzato da un vissuto e dei comportamenti (come gli stessi alunni) che lo condizionano. È indispensabile un controllo o che almeno qualcuno che ci ricordi che possiamo essere proprio noi a barare o a fare i guastafeste, non seguendo le regole o agendo in modo non conforme ad esse. Non bisogna però dimenticare che anche nel gioco “corso di storia della filosofia” ci sono regole non espresse o non definite esplicitamente.
Ricapitolando quello detto fin'ora, possiamo dire che:
• Nessun gioco è un isola, già prima di iniziare un gioco siamo in relazione con varie
situazioni;
• si entra e si esce dal gioco, non solo metaforicamente;
• esiste un confine, una membrana semipermeabile, una cornice-gioco, creata dal comune accordo dei giocatori;
• non è così scontato e banale capire quando si è in gioco;
• siamo contemporaneamente dentro e fuori i cerchi magici, separati e uniti, con il rischio sempre presente di perderci.
Riflettendoci su, il paradosso si amplia: il gioco è sia ideale che reale allo stesso tempo. È astratto e immaginario, ma realizzato attraverso oggetti, regole, spazi e tempi concreti e