Seguendo questo filo possiamo trovare un'altra possibile interpretazione del mito della caverna: non solo dunque come lezione morale, ma potrebbe sollevare il problema del confine
129Questo tema è presente anche nell'intervento che fece Kant quando scrisse nel 1784 nella rivista Berlinische Monatsschrift in risposta alla domanda “Che cos'è l'illuminismo?” (Was ist Aufklärung?)
130In inglese viene chiamata safety blanket, ossia coperta di sicurezza che non lascia mai la spalla sinistra di Linus (personaggio delle strisce dei Peanuts di Charles M. Schulz). “La coperta di Linus” è diventato ormai un detto proverbiale per indicare qualcosa che dà sicurezza, come una protezione magica, e di cui non ci si può privare. È quello che Donald Winnicott chiama oggetto transizionale, un oggetto cioè utilizzato dai bambini nel passaggio dall'esperienza di una realtà pienamente soggettiva ad una oggettiva condivisa.
e del suo attraversamento. È sempre pericoloso stare sul confine, sul bordo. Si può rischiare di perdersi. Platone ha proprio in mente questo quando critica le arti: poesia, tragedia e commedia possono rovinare l'educazione dei difensori poiché sono in grado di frantumarne l'identità. Questo significa che è possibile perdersi nella rappresentazione, significa immedesimarsi in molteplici persone diverse e rischiare di non ritrovare sé stessi come accade al personaggio dell'omonimo film di Woody Allen: Leonard Zelig131, il quale per compiacere
l'altro diventa lui stesso l'altro, “Io non saprei dire di no” dice Zelig. Film con precisi richiami a Pirandello, grazie al sapiente uso della maschera mimetica come desiderio di omologazione, e a Kafka, dove vediamo una patologia psichica di un singolo individuo diventare metafora della condizione umana. È un mockumentary, ossia un film parodico e satirico camuffato sotto le vesti di documentario: la vicenda, collocata tra gli anni Venti e Trenta, racconta di Leonard Zelig, che scopre di essere affetto da una malattia132 che lo porta ad acquisire le
somiglianze delle persone che si trova accanto, come un camaleonte.
La capacità d'immedesimarci può farci perdere, come capita a Leonard e al già citato Gurdulù di Calvino. Ma quand'è che ci si perde? Quando non si riesce più a collocare il confine tra realtà e finzione. Il bambino che gioca a fare il vescovo sa benissimo di non esserlo: sta giocando nel fare la parte di qualcun altro. Ha ben presente sempre l'esistenza, vede con la coda dell'occhio potremmo dire, della realtà a cui appartiene. Impara a soggiornare in mondi intermedi dunque.
Dorota Semenowicz in uno dei saggi presenti nel libro Toccare il reale. L'arte di Romeo
Castellucci, racconta che uno spettatore durate la rappresentazione teatrale del Purgatorio di
Romeo Castellucci al festival di Avignone, dopo la scena dello stupro del figlio, abbia violentemente urlato all'attore che interpretava il padre stupratore “Ti è piaciuto, mostro!” L'aneddoto sembra una versione attualizzata del famoso episodio raccontato da Stendhal in
Racine e Shakespeare, nel primo capitolo in cui tratta dell'illusione teatrale, dove un soldato
di Baltimora che nel 1821 montava di guardia in una sala teatrale, nel momento in cui Otello stava per strangolare Desdemona, imbracciò il moschetto e sparò all'attore che interpretava il Moro. Se non riuscissimo a distinguere le cornici saremmo in quell'illusione perfetta, come la chiamava lo scrittore francese, per cui qualunque persona avrebbe approvato il gesto che fece il soldato quando alzandosi esclamò “Non sia mai che in mia presenza un maledetto negro
131Zelig è un film del 1983 scritto, diretto ed interpretato da Woody Allen.
132La sindrome di Zelig, detta anche Zelig syndrome o Zelig-like syndrome, dal nome del protagonista del film Zelig di Woody Allen; è una particolare forma di sindrome da dipendenza ambientale. Il paziente modifica di continuo la sua identità, adeguandola alle persone e agli oggetti con cui entra in relazione. Un caso clinico, conseguenza di un danno cerebrale, è stato descritto nel 2007 dalla psicologa italiana Giovannina Conchiglia.
abbia ucciso una donna bianca senza che io abbia cercato di impedirlo!”, facendo poi fuoco sul povero attore rompendogli il braccio. Il soldato credeva vera l'azione che si svolgeva sulla scena e ha agito di conseguenza. Mentre lo spettatore ordinario sa benissimo di trovarsi a teatro e di assistere ad una pièces teatrale.
“Quando assistiamo a una rappresentazione teatrale sappiamo che sul palcoscenico ci sono uomini mascherati che ripetono le parole che Shakespeare, Ibsen o Pirandello hanno messo loro in bocca. Ma noi ci persuadiamo che quelli non sono uomini mascherati; che quell'uomo mascherato che monologa lentamente nell'anticamera della vendetta è realmente Amleto, il principe di Danimarca; ci abbandoniamo alla finzione. Al cinema il meccanismo è ancora più curioso, perché quelle che vediamo non sono nemmeno persone mascherate, ma fotografie di mascherati; e tuttavia, finché dura la proiezione, crediamo alla loro realtà”133.
Quando siamo a teatro viviamo in una condizione intermedia, come questa sopracitata descritta da Borges. Ci abbandoniamo dunque alla finzione e crediamo che ciò che stiamo vedendo sia realtà. Ma questo “abbandonarsi” significa e presuppone un entrata consapevole in un mondo, in un contesto particolare, essendo coscienti del fatto che quando finisce lo spettacolo e termina la storia, le luci si accendono e ci si avvia all'uscita del teatro. Dunque quelle realtà o mondi di finzione smettono di essere creduti. Del resto anche se immersi nello spettacolo continuiamo, con la coda dell'occhio, a percepire la cornice e dunque ad essere consapevoli che fuori dell'universo della finzione esiste un altrove. Non diventiamo come Leonard Zelig, ma applichiamo la già citata fede poetica di Coleridge (“willing suspension of disbelief for the moment”). Quest'ultimo è lo stesso passo che Huizinga attribuisce al rapporto che l'uomo ha con il gioco: ossia “ l'unità di credere e non credere”, quando tale unione viene meno allora di passa dall'illusione all'inganno.
L'illusione teatrale è un invito a guardare il mondo con altri occhi. Gli spettatori di teatro entrano all'interno di una caverna, provengono dunque da un altro luogo come il prigioniero liberato, sanno perciò che al di là di essa esistono altri mondi comparabili e differenziabili da essa. Il teatro, il cinema o un romanzo sono il gioco che, grazie all'emozione e all'illusione, ci addestra alla critica e all'autonomia. Quando entriamo volontariamente e consciamente in queste caverne, a differenza dei prigionieri del mito di Platone, viviamo in una condizione intermedia, quella descritta da Borges, continuiamo a percepire la cornice. Bisogna allenare la capacità ad immedesimarsi e allo stesso tempo quella a non perdersi. Il prigioniero liberato
non è Zelig,non vuole compiacere e così facendo vince il proprio desiderio di contemplazione e torna indietro passando attraverso una difficile katabasi.
“Nel gioco vi è coinvolgimento emotivo. Esso può essere interpretato anche (ma non solo) nei termini dell'oblio della condizione del contesto ovvero della perdita della cornice. Ma vi è anche un altro elemento da prendere in considerazione: si tratta della facoltà di sapere entrare e uscire dai molti mondi di senso che ci troviamo a vivere. Noi non solo passiamo continuamente da un mondo di senso a un altro, ma siamo anche in grado di padroneggiare i molteplici confini che ci circondano, dando ad essi un senso”134.
La definizione dei mondi intermedi è molto vicina a quella di cerchio magico, descritto in precedenza. Per entrarvi sono dunque necessarie competenza, capacità e legittimazione, che per i mondi intermedi potrebbero essere tradotte così:
• (Necessità di) Passaggio, • Attribuirgli senso, • Padroneggiarli.
Anche il prigioniero liberato è come spinto da un'entità misteriosa ad alzarsi e ad uscire dalla caverna, quindi inizialmente il bisogno di avere un altrove con cui confrontarci ci viene insegnato, per così dire. Ma poi questo addestramento si solidifica e diventa una competenza e una necessità. Dunque acquisiamo la capacità di dare senso e di conseguenza di padroneggiare i mondi intermedi. Come per il cerchio magico s'incorre nel paradosso della
duplicità: crediamo e non crediamo, ci perdiamo ma non ci perdiamo, siamo dentro e fuori.
Come per la cornice che viene percepita e allo stesso tempo ignorata.
Ritornando a parlare del coinvolgimento emotivo, si può ricordare un altro esempio di perdita della cornice, tratto dal Don Chisciotte: nel capitolo XXVI dell'opera di Cervantes, il protagonista assiste allo spettacolo dei burattini di Mastro Pietro, prendendoli per uomini veri, estrae la spada e inizia a decapitarli tutti finché non viene fermato, quando ormai ha irrimediabilmente distrutto il teatro di mastro Pietro. La confusione del “cavaliere dalla trista figura” tra burattini e uomini in carne ed ossa potrebbe essere tradotta come un'incapacità nel sapere padroneggiare i diversi mondi di senso. A differenza dei prigionieri della caverna, Don Chisciotte ha esperienza dei mondi intermedi e quindi delle “Illusioni condivise”, ma non è
riuscito ad apprendere come uscire ed entrare da essi, non acquisendo consapevolezza dei loro confini.
Nel saggio Una teoria del gioco e della fantasia, Bateson scrive che il gioco:
“segna un passo in avanti decisivo nell'evoluzione della comunicazione, anzi il passo cruciale nella scoperta delle relazioni di tipo mappa-territorio. Nel processo primario la mappa e il territorio sono identificati; nel processo secondario essi possono essere distinti. Nel gioco vengono sia identificati sia distinti”135.
Abbiamo già detto che la frase “questo è un gioco” è un atto meta-comunicativo che funge la cornice. Tuttavia, quello che vuol dire Bateson nell'ultima riga della citazione è quanto segue: il momento dell'identificazione tra mappa e territorio è il momento di coinvolgimento dei giocatori e degli spettatori, quando si entra nella caverna e si dimentica di esservi entrati136;
ma nel gioco è presente anche il momento di distinzione tra mappa e territorio, quando cioè, si esce dalla caverna e dall'illusione condivisa. Se i processi di naturalizzazione nascondono i confini e le cornici, al contrario la frase “questo è un gioco” può aiutare a svelarli e farci uscire da uno stato di minorità. L'ironia rende possibile unire e separare mondi: riesce a farci stare a cavallo della cornice, riesce a porre in dubbio la realtà che ci circonda. L'ironia gioca sull'ambiguità e segue la duplicità dell'uomo. Don Chisciotte confonde i mulini a vento con i Saraceni, noi ne ridiamo perché siamo in grado di distinguerli mentre i prigionieri del mito di Platone non riderebbero perché non sono in grado di distinguere i due mondi. Loro ridono del prigioniero liberato perché costui vede i Saraceni, mentre loro sulla loro parete vedono solo mulini: pensano che sia pazzo perché non condivide del tutto il loro mondo. Senza la conoscenza delle cornici siamo alla stregua dei prigionieri incatenati.