Sconfitta e vittoria sono i due volti della competizione. La dimensione competitiva è presente ovunque le capacità fisiche e mentali sono messe alla prova; dove è presente una tensione al misurarsi, al superare sé stessi, al confrontarsi. Abbiamo visto che, al giorno d'oggi, lo sport rischia di degenerare in un'esasperazione di questa dimensione competitiva. Il peso di cui si è caricata la vittoria, e di conseguenza la sconfitta, in termini d'immagine e di denaro, è divenuto sempre maggiore, rischiando di snaturare la stessa fisionomia dell'Agon. Gli interessi economici prevaricanti, la spettacolarizzazione esasperata, il razzismo, il ricorso al doping, la violenza negli stadi ne sono una testimonianza. L'interesse e il successo che suscita l'attività sportiva, non solo agonistica, sono legati al fatto che essa rappresenta l'espressione sociale praticabile più eclatante della dimensione competitiva, della ricerca di autoaffermazione, di quella tensione alla salienza e all'essere “speciali” che è connaturata ad ogni essere umano. Ma il vincitore è solo uno. La massa resta nella frustrazione. Così, si sceglie d'essere vincitori per delega, come descritto da Caillois, che è il modo più facile e immediato perché tutti trionfino allo stesso tempo e senza sforzo o rischio d'insuccesso. Da qui il culto, caratteristico della società moderna, della “diva” e del “campione”. La delega, come abbiamo già visto è un modo usato dalla società per rinormalizzare coloro che hanno caratteristiche salienti, ma è anche una forma degradata, diluita della Mimicry. Esiste un'osmosi continua fra questi idoli effimeri e la folla dei loro ammiratori, i quali vivono tramite loro e in loro, seguendo il modello del desiderio girardiano. Tutto questo è alimentato dal fatto che l'ipotesi di perdere non è mai, oggi, una normale alternativa. È qualcosa di drammatico e perfino tremendo, una paura che vogliamo esorcizzare piuttosto che affrontare.
In un approccio sano e ludico all'Agon, vincere non è un dovere né una necessità, ma sopratutto perdere non è una maledizione, è semplicemente una possibilità che deve essere messa in conto e che non dovrebbe mai rovinare il fascino del mettersi in gioco e della sfida. Ma la competizione verso la quale la nostra società mira va oltre tutto questo.
Ho già lungamente analizzato in che modo i giochi migliorino e siano estremamente utili per l'essere umano e per la società. Ma io credo che con i giochi, e in particolare con i videogiochi217, che oggi ormai occupano una posizione altamente rilevante all'interno della
vita umana, si possa uscire da questa spirale discendente di “vittoria a tutti i costi”, per la quale “non posso perdere”, e di conseguenza o divento probabilmente un fallito o attuo l'opzione delega.
Sentiamo che in questi mondi di procura, come possono essere i videogiochi, un romanzo, un film, possiamo immedesimarci in un personaggio di successo, ma anche essere motivati a fare qualcosa d'importante, inspirati a collaborare e a cooperare. Nella vita reale, quando affrontiamo un fallimento o un ostacolo, spesso ci sentiamo frustrati, ansiosi, depressi o cinici. Per quale motivo invece nel gioco si riesce a conservare l'idea di poter ottenere qualsiasi risultato? Come possiamo applicare i sentimenti dei giochi al mondo reale?
Prendiamo per esempio il videogioco World of Warcraft, di cui ho già parlato, è veramente l'ambiente ideale per risolvere i problemi in maniera collaborativa. In questo gioco si possono notare alcune differenze importanti rispetto al nostro mondo: la prima è che quando appari in questi mondi online, fin da subito, ci sono tantissimi personaggi diversi che si fidano a tal punto da affidarti una missione per salvare il mondo. La seconda differenza è che non vengono mai affidate missioni a caso, ma sono sempre adeguate all'attuale livello del giocatore, così da poterle completare. Non viene mai data una sfida impossibile, ma è al limite delle capacità del giocatore dunque va presa sul serio per vincere. Terza differenza, non c'è disoccupazione e non si spende il tempo ad oziare, c'è sempre qualcosa di specifico ed importante da fare. Inoltre c'è un contesto “epico”: una narrativa che ispira e creata ad hoc per noi.
217I videogiochi hanno un impatto positivo sulla nostra vita ed ormai oggi questo è dimostrato anche scientificamente: per esempio il gioco World of Warcraft è stato menzionato nella Harvard Business Review come strumento per insegnare virtualmente la leadership e la creazione di skills virtuali di gruppo. Minecraft è stato utilizzato per insegnare matematica e geometria in molti paesi americani. Il gioco Rise of Nation è stato un caso approfondito di studio: hanno preso quaranta non giocatori di circa 69 anni, li hanno fatti giocare a questo gioco per un determinato periodo costantemente monitorati. Hanno scoperto che giocare a quel tipo di gioco, ha aumentato il loro acume mentale in termini di switching tasks, ragionamento e memoria a breve termine. Altri ricercatori hanno dimostrato come coloro che gioca abitualmente a videogiochi simili ad Assasin's Creed, ha l'abilità di prendere decisioni il 25% più veloci senza sacrificare però l'accuratezza, rispetto a persone che non giocano a videogiochi d'azione.
In una conferenza intitolata Gaming can make a better world218, Jane McGonigal afferma che
collettivamente tutti i giocatori di Wow hanno passato 5,93 milioni di anni risolvendo i problemi virtuali di Azeroth. Prosegue affermando che, in una statistica pubblicata da un ricercatore all'Università Carnagie Mellon, il tipico giovane medio avrà passato 10.000 ore giocando online all'età di 21 anni. 10.000 ore è interessante per due motivi: il primo è che per i bambini negli Stati Uniti, continua Jane, 10.080 ore è l'esatto numero di ore che passano a scuola dalle elementari alle superiori, se sono presenti tutti i giorni. Il secondo motivo è da rintracciarsi nel libro di Malcolm Gladwell, intitolato Fuoriclasse, nel quale analizza la teoria delle 10.000 ore per avere successo. Questa è fondata su una ricerca nel campo cognitivo, che afferma che se dedichiamo 10.000 ore di studio fruttuoso a una qualsiasi cosa fino all'età di 21 anni saremo dei geni in quel campo. Dunque McGonigal fa notare che ora abbiamo un'intera generazione di giovani ragazzi che sono dei geni nel campo dei videogiochi sotto quattro aspetti:
• Ottimismo urgente: come desiderio di agire immediatamente per affrontare un
ostacolo, insieme alla convinzione di avere una ragionevole speranza di successo. • Fabbrica sociale: i giocatori abituali sono dei virtuosi nel tessere una robusta trama
sociale. Ci sono molte ricerche che mostrano come ci troviamo meglio con altre persone dopo aver giocato con loro, anche se ci hanno battuto sonoramente. La ragione è che ci vuole molta fiducia per giocare con qualcuno: abbiamo fiducia che passeranno il loro tempo con noi, che giocheranno con le stesse regole e con gli stessi obiettivi, e che rimarranno fino alla conclusione del gioco. Giocare insieme costruisce di fatto i legami della fiducia e della cooperazione. Con il risultato che abbiamo davvero relazioni sociali più robuste.
• Produttività gioiosa: c'è una ragione per la quale il giocatore medio di Wow gioca 22
ore alla settimana, quasi quando un lavoro part-time. Mentre gioca sa di avere un obbiettivo ben preciso e che se s'impegnerà lo raggiungerà facilmente. Durante il gioco è ottimizzato, come essere umano, per raggiungere un fine che, per quanto poco oggettivo possa essere, egli può rivestire di significato. Normalmente non pensiamo i giochi come un “lavoro duro”. In fin dei conti giochiamo, e ci è stato insegnato a considerare il gioco proprio l’opposto del lavoro. Ma nulla potrebbe essere più lontano
218È il titolo di una conferenza tenuta da Jane McGonigal, una game designer e scrittrice americana, al TedTalks nel febbraio del 2010. Da cui ha tratto un libro che s'intitola: Reality is broken. Why games make us better
and how they can change the world, pubblicato dalla Penguin Books. Il video ha raggiunto oltre i cinque
dalla verità. In effetti, come ha detto Brian Sutton-Smith, uno dei maggiori psicologi del gioco, “L’opposto del gioco non è il lavoro. È la depressione”. Il gioco può essere più faticoso e impegnativo del lavoro e può assorbire più tempo e attenzione, eppure risultare appagante.
• Significato epico: i giocatori abituali adorano essere associati a missioni meravigliose,
a storie umane su scala planetaria. Queste persone credono di essere individualmente capaci di cambiare il mondo. L'unico problema è che credono di poter cambiare il mondo virtuale e non quello reale219. Questo aspetto costituisce un incremento della
propria potenza e capacità, ma solo per procura. Quindi anche i videogiochi rischiano di essere concepiti come un modo di evasione da un mondo nel quale la sconfitta risulta inevitabile.
Erodoto narra che i giochi, in particolare i giochi di dadi, furono inventati nel regno della Lidia, durante un periodo di carestia. Pare che la carestia fosse così severa, che il re della Lidia decise di fare qualcosa di impensabile. La gente soffriva, la popolazione era in rivolta, la situazione era estrema e avevano bisogno di una soluzione estrema. Quindi, secondo Erodoto, inventarono i giochi di dadi, ed emanarono una legge valida per tutto il regno. Un giorno tutti avrebbero mangiato, quello successivo, tutti avrebbero giocato. S'immersero così profondamente nei giochi di dadi, dal momento che giocare è così coinvolgente, che ignorarono il fatto di non avere niente da mangiare. Secondo Erodoto, passarono così 18 anni, sopravvivendo alla carestia mangiando un giorno e giocando quello seguente.
Questo il modo in cui noi usiamo i giochi oggi, per sfuggire alla sofferenza del mondo reale. Per allontanarci da tutto ciò che non funziona nel nostro ambiente reale, da tutto ciò che non ci soddisfa della vita reale, e otteniamo ciò di cui abbiamo bisogno dai giochi. Ma non dobbiamo fermarci per forza qui. Secondo Erodoto, dopo 18 anni, la carestia sembrava non migliorare quindi il re decise che avrebbero giocato un'ultima partita a dadi. Divisero l'intero regno a metà, giocarono l'ultima partita a dadi, e i vincitori di quella partita parteciparono ad un'avventura epica. Lasciarono Lidia e andarono in cerca di una nuova terra dove vivere, lasciandosi dietro il numero giusto di persone per sopravvivere con le risorse disponibili, con la speranza di portare la loro civiltà da qualche altra parte, dove avrebbe potuto prosperare.
219Edward Castronova, economista, studia perché la gente investe così tanto tempo, energia e soldi nei mondi online. Lui afferma “Stiamo osservando ciò che costituisce niente meno che un esodo di massa verso i mondi virtuali e gli ambienti di gioco online”. Questa è una cosa perfettamente sensata, perché i giocatori abituali possono ottenere di più nei mondi virtuali che nella vita reale. Possono avere relazioni sociali più forti, ricevono un feedback migliore e si sentono più ricompensati. È razionale, ma non è il mondo ideale perciò dobbiamo cominciare a rendere il mondo reale più simile ad un gioco.
Sembra assurdo. Ma di recente degli studi sul DNA hanno rivelato che gli Etruschi che avrebbero poi portato all'impero romano, condividono lo stesso DNA degli antichi abitanti della Lidia. Recentemente quindi, gli scienziati hanno suggerito che la storia narrata da Erodoto potrebbe essere una storia vera. I geologi hanno trovato le prove di un raffreddamento globale che durò quasi 20 anni che potrebbe spiegare la carestia. Potrebbero avere veramente salvato la loro cultura giocando, rifugiandosi nei giochi per 18 anni per poi essere così ispirati, e sapere così bene come venirsi incontro nel gioco al punto di salvare così l'intera civiltà. I giocatori dunque sono risorse umane che possiamo utilizzare per fare del lavoro nel mondo reale. I giochi sono una potente piattaforma per il cambiamento.
Conclusioni
Nell'introduzione abbiamo dichiarato il proposito di indagare, utilizzando le analisi del gioco, certi aspetti della società come la normalità e l'esclusione di alcuni individui che essa implica. Già nel corso dell'analisi del gioco è emerso come, per certi aspetti, alcuni degli elementi sociali presentano caratteristiche ludiche: nel culto sacro abbiamo trovato in opera certe dialettiche di credere/non credere e dinamiche simili alla recitazione, l'istituzione di un certo contesto spazio-temporale chiuso e separato dalla quotidianità; nella gamification, abbiamo descritto gli effetti dell'applicazione di certe dinamiche del gioco per agire su aspetti sociali migliorando la produttività, l'efficacia dell'apprendimento, la salute; nell'onore, che, seppur è una dinamica sociale molto seria e per la quale s'investono molte energie, operano dinamiche ludiche molto accentuate; nelle dinamiche agonistiche e competitive della società si è trovato un ricoprimento parziale con l'Agon del gioco, pur senza identificazione.
Abbiamo notato come i confini, che nella struttura del gioco tendono ad essere rigidi e chiusi, nella società tendano a diventare molto più labili. Il gioco tende a essere finito e a esaurire gli esiti al suo interno senza produrre effetti, per lo meno immediatamente, sulla società. I giochi sociali tendono invece a essere infiniti e a rinnovarsi completamente ponendo sempre nuovi obbiettivi. I giochi sociali sono giochi sul limite e non dentro il limite.
Abbiamo visto come la normalità costituisca infatti una performance aperta ancora prima di un insieme chiuso di regole esplicite. Di fianco alle regole esplicite, sia nel gioco che nella normalità, esiste tutto un insieme di regole date per scontate e condivise, impossibili da esplicitare completamente. Questo genera la possibilità di incidenti e la necessità continua di ridefinire queste regole, di applicarle ai nuovi casi, di reincludere dentro l'istituzione, sociale o ludica, ogni aspetto o individuo che la minaccia. Abbiamo visto come l'esigenza della rinormalizzazione sia più stringente e seria nella società piuttosto che nel gioco, questo può generare emarginazione e violenza, come nelle dinamiche del desiderio triangolare e del capro espiatorio girardiani.
Per performare la normalità occorre saper instaurare una struttura ludica nella misura in cui occorre una certa duplicità nel meccanismo comunicativo: bisogna distanziarsi dal significato letterale, dal contenuto informativo dei propri messaggi, in favore della forma e della meta-comunicazione. Questo è risultato chiaro dall'analisi della funzione fàtica del linguaggio nelle situazioni conversazionali quotidiane. Occorre quindi la capacità di sapersi spostare tra mondi intermedi riuscendo sempre a guardare con la coda dell'occhio tutte le altre
molteplicità di significati possibili, senza assolutizzare una possibilità a discapito di tutte le altre. Per essere considerati normali bisogna avere determinati requisiti: competenza, capacità e legittimazione. Abbiamo descritto nel dettaglio cosa comportano queste capacità e cosa succede nel caso non si possiedano.
Data la necessaria definizione della normalità in opposizione rispetto a una categoria d'individui che ne rimangono emarginati, abbiamo chiamato questi individui “spostati” e li abbiamo catalogati in base al motivo per cui minacciano la struttura ludica della normalità. Abbiamo visto come le categorie di baro e guastafeste si declinino riguardo alla normalità, di come esistano varie gradazioni di spostati. Se il gioco è costituito da una fragile dialettica di Agon, Mimicry, Ilinx e Alea, che è continuamente minacciata di rottura, gli spostati si possono catalogare in base all'eccesso o al difetto di queste caratteristiche nel loro gioco sociale che rovina questa dialettica rendendo impossibile il gioco.
Esiste una certa dose di irrealtà, una tensione fra la maschera e la vertigine anche nella performazione della normalità. Per recitare il proprio personaggio sociale occorre prendere una certa distanza tra il ruolo sociale e la propria personalità totale. Da questo punto di vista il rapporto fra gioco e normalità acquisisce un significato particolare: nel gioco si possono sperimentare le proprie azioni, i propri ruoli, la propria immagine, in un ambiente disinnescato e senza effetti duraturi sul reale, nella società queste stesse azioni sono definitive e gravide di effetti sul reale.
Per concludere abbiamo esaminato come nella nostra società esista il rischio concreto di una degenerazione delle dinamiche fisiologiche dell'Agon in una competizione non più ludica, ma che genera violenza e l'esclusione dei perdenti. Tutto questo provoca, in risposta, il meccanismo della delega, nel quale ci si rifà della propria sconfitta sociale immedesimandosi nelle figure vincenti della diva, del campione, dell'eroe del videogioco. Abbiamo visto come queste dinamiche contengano, da un lato il rischio di un'evasione dal reale, dall'altro la possibilità di immaginare nuove soluzioni di cooperazione e aiuto reciproco.
Riferimenti
Bibliografia
ALBERTI, LEON BATTISTA, De Pictura, in Opere volgari, tomo IV, Tipografia galileiana,
Firenze, 1847.
BADIOU, ALAIN, La repubblica di Platone, Ponte delle Grazie, Milano, 2013.
BARTEZZAGHI STEFANO, Indagini sul gioco in Aut Aut, 337, 2008, Il Saggiatore, Milano.
BATAILLE, GEORGES, L'aldilà del serio e altri saggi, Guida, Napoli, 2000.
———, La parte maledetta, in La parte maledetta, preceduto da La nozione di dépense,
Bollati Boringhieri, Torino, 2015.
BATESON, GREGORY, Questo è un gioco, Cortina, Milano, 1996.
———, Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984.
———, Una teoria del gioco e della fantasia, in Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976.
———, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976.
BERGER, PETER, con THOMAS LUCKMANN, La realtà come costruzione sociale – saggio di
sociologia della conoscenza, il Mulino, Bologna, 1969.
BLOCH, ERNST, La cornice che scompare due volte, in Tracce, Garzanti, Milano, 2015.
BORGES, JEORGE L., Nove saggi danteschi, Adelphi, Milano, 2001.
BURKERT, WALTER, Homo necans, University of California Press, Berkeley, 1983.
CALLOIS, ROGER, I giochi e gli uomini, Bompiani, Milano, 2016.
———, L'uomo e il sacro, Bollati Boringhieri, Torino, 2001. CALVINO, ITALO, Il cavaliere inesistente, Mondadori, Milano, 2016.
———, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 2016.
———, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Mondadori, Milano, 2010. CAMUS, ALBERT, Lo straniero, Bompiani, Milano, 2009.
CARROLL, LEWIS, Through the looking-glass, Macmillan & co., London, 1872.
CARSE, JAMES P., Finite and infinite games, The free press, New York, 1986.
DE CERVANTES, MIGUEL, Don Chisciotte, Bompiani, Milano, 2012.
CONTE, AMEDEO G., Filosofia del baro in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 80, Il
Mulino, Bologna.
DELEUZE, GILLES, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino, 2001.
DIDEROT, DENIS, Paradosso sull'attore, Audino, Roma, 2014.
DOSTOEVSKIJ, FËDOR M., Delitto e castigo, L'Espresso, Roma, 2004.
———, Il giocatore, Feltrinelli, Milano, 2014. ———, L'Idiota, Feltrinelli, Milano, 2014.
ECO, UMBERTO, A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Bompiani, Milano,
2006.
ESIODO, Opere e i giorni, Garzanti, Milano, 2006.
FINK, EUGEN, Il gioco come simbolo del mondo, Hopeful Monster, Firenze, 1991.
———, L'oasi del gioco, Raffaello Cortina, Milano, 2008.
FLAUBERT, GUSTAVE, Madame Bovary, Mondadori, Milano, 2001.
FREUD, SIGMUND, Il perturbante, in Saggi sull'arte, la letteratura e il linguaggio, Boringhieri,
Torino, 1991.
———, Tre saggi sulla teoria sessuale. Al di là del principio del piacere, Boringhieri, Torino,
2012.
GIRARD, RENÉ, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 2011.
———, Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano, 2014. ———, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano, 2001.
GABLIK, SUZI, Magritte, Rusconi, Milano, 1988.
GOFFMAN, ERVING, Frame Analysis. L'organizzazione dell'esperienza, Armando, Roma, 2001.
———,Rituale d'interazione. Saggi sul comportamento faccia a faccia, Il Mulino, Bologna,
1988.
GOMBRICH, ERNST, A cavallo di un manico di scopa. Saggi di teoria dell'arte, Einaudi, Torino,
1971.
———, Arte e illusione, Einaudi, Torino, 1965.
HESSE, HERMANN, Il giuoco delle perle di vetro, Mondadori, Milano, 2000.
HUIZINGA, JOHAN, Homo ludens, Einaudi, Torino, 1972.
———, Sui limiti del gioco e del serio nella cultura, in Aut Aut, 337, 2008, Il Saggiatore,
Milano.
IACONO, ALFONSO M., Illusione e sostituto, Mondadori, Milano, 2010.
———, Mondi intermedi e complessità, ETS, Pisa, 2005. ———, Storia di mondi intermedi, ETS, Pisa, 2016.
JAMES, WILLIAM, Principles of psychology, Henry Holt & co, New York, 1918.
JAKOBSON, ROMAN, Linguistica e poetica, in Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano,
2002.
KAFKA, FRANZ, La tana, in Racconti, Mondadori, Milano, 2001.
KANT, KREUTZFELD, Antropologia pragmatica, Laterza, Bari, 1994.
———, Inganno e illusione, Guida, Napoli, 1998.
MALABY, THOMAS, Beyond play, in Games and culture, vol.2, n°2, 2007, SAGE Publications.
MALINOWSKI, BRONISŁAW, Argonauti del Pacifico Orientale. Riti magici e vita quotidiana
nella società primitiva, Boringhieri, Torino, 2004.
———, Il problema del significato nei linguaggi primitivi, in Il significato del significato.
Studio sull'influsso del linguaggio sul pensiero e sulla scienza del simbolismo, a cura di:
C. K. Ogden et al., Il saggiatore, Milano, 1966.
MASSON, JEFFREY M., con SUSAN MCCARTHY, Quando gli elefanti piangono. La vita emotiva
degli animali, Orme, Roma, 2015.
DE MAUPASSANT, GUY, La collana, in Racconti, RCS, Milano, 2008.
MAUSS, MARCEL, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, in