In questo capitolo mi appresto a parlare dei fenomeni ludici che trascendono l'attività del gioco nelle sue forme e manifestazioni più tipiche. Nei paragrafi precedenti avevo già iniziato ad analizzare il gioco come realtà aperta e non separabile dal mondo. Tutto questo discorso preparatorio vuole creare un parallelo e fare da ponte per la seconda parte della mia tesi dove parlerò degli effetti concreti del gioco e della sua utilità nella società.
Un'attività giocosa tipica dei bambini è quella di tormentare sadicamente gli esseri più deboli di lui, che non possono reagire o minacciarlo. In queste occasioni i bambini entrano in contatto con la sofferenza e la morte in alcuni casi. Il piacere procurato dal gioco scaturisce dal potere che ne deriva, dal sentirsi reali e vivi quasi onnipotenti. Tramite questo sopruso i bambini affermano la propria forza e la propria esistenza. Celebre è l'analisi freudiana del gioco di suo nipote che si divertiva a far sparire e ricomparire il filo di un rocchetto accompagnando le sue azioni con due suoni, interpretati da Freud come corrispondenti agli avverbi tedeschi fort e da. Sotteso all'analisi freudiana troviamo il rapporto tra gioco e ontologia. Il gioco del fort ha un fondo nichilistico, quando il bambino lancia il rocchetto lontano, è come se lo espellesse da sé annientandolo diventa dunque il gioco dell'assenza, del nulla. Dopo aver risposto con un atto nichilistico all'assenza della madre, il bambino passa al momento ludico del da richiamando a sé l'essere e dunque riempiendo il vuoto calmando così l'angoscia ontologica. Il gioco con il rocchetto si trasforma così in Weltsymbol, come espressione del rapporto tra il soggetto e il mondo.
Questi giochi sono un'esperienza diretta della fugacità e fragilità delle cose, allo stesso tempo diventano un'affermazione della propria indipendenza da esse quindi della propria esistenza autonoma. Non importa se ad essere maltrattato sia un essere vivente o un oggetto. Anche in Winnicott troviamo lo stretto legame tra la violenza e il porre un oggetto all'esterno di sé:
“La distruzione dell'oggetto, pone l'oggetto fuori dall'area di controllo onnipotente del soggetto. In questi modi l'oggetto sviluppa la propria autonomia e la propria vita, e (se sopravvive) porta il suo contributo al soggetto”86.
85 Huizinga, J., Homo Ludens, Einaudi, p. 73. 86 Winnicott, D., Gioco e realtà, Armando, p. 157.
Per Winnicott l'amore può esistere solo in seguito al tentativo di distruggere l'oggetto e alla sopravvivenza di questo senza ripicche. Questi giochi tra due persone sono sempre unilaterali ed asimmetrici.
“Il tormentare secondo me è un fenomeno correlato al gioco, e addirittura si può definire un meta-gioco perché la premessa su cui l'aguzzino basa il suo gioco è la domanda: questo è un gioco?”87
Naturalmente la risposta alla domanda è affermativa per chi tormenta e negativa per colui che viene tormentato. L'aguzzino risponderà a questa domanda dicendo “Rilassati! È solo un gioco, stiamo scherzando”, quando per il tormentato non è così.
Questa tipologia di giochi è stata osservata anche negli animali: per esempio alcune specie di delfini tormentano sadicamente in gruppo le focene, lanciandole in aria e colpendole ripetutamente persino fino ad ucciderle per poi smettere quando troppo annoiati.
Questi giochi violenti fatti di soprusi e prepotenze sembrano essere in antitesi rispetto a quelle situazioni nelle quali il giocatore esibisce la sua onestà e il suo onore. Potrebbe voler aiutare un avversario in difficoltà magari a discapito di un'eventuale vittoria, oppure concedere un vantaggio ad un contendente svantaggiato. Il fair-play, la sportività, il “giocare pulito” sono atteggiamenti indispensabili sopratutto negli sport agonistici. Chi attua espedienti disonesti, quando scoperti, sono sempre puniti o esiliati dal gioco. Mentre l'aiuto degli avversari in difficoltà non è prescritto dalle regole del gioco, ma accade che, quando qualcuno si trova in una situazione di pericolo, non è raro che un altro gareggiante scelga di salvarlo, anche se così facendo può mettere a repentaglio sia la propria vita sia la possibilità stessa di vittoria. Se viene lanciata una condanna morale verso i disonesti, questo avviene durante il gioco ma anche nello spazio del mondo reale. Il legame tra la violenza, la sopraffazione, l'onestà e l'onore è molto complesso. In realtà non si escludono a vicenda, ma sono manifestazioni diverse di uno stesso fenomeno.
Intrinseco al gioco è il concetto del vincere, significa “risultare superiore” nell'esito di un gioco. Ogni vittoria è sempre ostentazione, si cerca di mettere in mostra la propria superiorità materiale o morale. Il vincitore ha vinto qualcosa di più del gioco in sé, ha vinto l'onore. Quest'ultimo è messo in rilievo tanto quanto la sopraffazione. Può esistere identità tra onore e prevaricazione solo se abbandoniamo i nostri preconcetti morali: mutilare il corpo di un nemico sconfitto o divorargli il cuore, svolgere per esso un corretto rito funebre sono tutte
azioni che riguardano parimenti l'esaltazione del proprio onore88. In guerra è tanto onorevole
rispettare il nemico quanto offenderlo, prestargli aiuto o misericordia quanto disumanizzarlo89.
Huizinga nota inoltre come numerosi miti attestino l'eroicità del protagonista proprio in virtù del barare al gioco, cita in Homo Ludens vari esempi tra i quali: Giasone e Teseo aiutati da Medea e di Arianna, Gunther per mezzo di Sigfrido, la favola della lepre e del porcospino che con un inganno vince la gara di corsa. In questi casi si vince per scaltrezza o per aiuto divino, difatti l'ingannatore e il baro non sono dei guastafeste, continuano a giocare finché scoperti. Di questa mescolanza di rispetto-sopruso, Huizinga riporta degli esempi parossistici di scambio di cortesie col nemico, dove l'elemento di satira fa spiccare maggiormente il carattere ludico delle usanze. Huizinga racconta90 che nella guerra feudale cinese era uso mandare
all'avversario un boccale di vino per commemorare gli omaggi ricevuti nel sereno passato, oppure nel 1637, nell'assedio di Breda in Olanda, il comandante di Breda rimandò al conte di Nassau la sua quadriga rubatagli dagli assediati con 900 fiorini per le truppe. A volte il nemico dà consigli ironici o ingiuriosi come nel caso in una lotta tra Tsin e Ch'ou, dove un guerriero mostra al nemico in fuga come riuscire a liberare dal fango un carro militare, al che il nemico in risposta dice: “Noi non siamo abituati come voialtri a fuggire”. In questo scambio di battute si nota sia la dimensione dell'onore rappresentata dalla cortesia verso il nemico, sia quella della prevaricazione dovuta all'intento denigratorio e di scherno.
Questo rapporto di simbiosi tra onore e sopraffazione si può trovare in casi più vicini alla nostra cultura come nell'Idiota di Dostoevskij quando nella prima parte del racconto Nastas'ja, donna “svergognata” che sta venendo mercanteggiata, per rivalsa, getta nel fuoco del camino i centomila rubli della dote con cui è stata appena “comprata” sfidando Gavrila ad andarli a riprendere promettendo di regalarglieli se riuscirà nell'impresa. Il pretendente non regge la tensione e sviene.
Huizinga cita un caso estremo nel quale due zingari egiziani, per terminare una lite, davanti alla tribù solennemente riunita, uccisero ciascuno tutte le proprie pecore, finite queste iniziarono a bruciare tutti i biglietti di banca che possedevano. Per evitare di perdere uno dei due decide di vendere tutti i suoi sei asini per restare vincitore con il denaro ricavato dalla vendita. Mentre stava andando a casa per prendere gli asini, la moglie provò a fermarlo allora
88 Ho usato la parola “onore” in un'accezione più ampia dove nella nostra morale è solo un caso particolare. L'onore è un comportamento aggiuntivo alla struttura formale del gioco in sé, che ne trascende la logica. 89 L'unica guerra che non riguarda l'onore è quella che porta con sé il serio compito di estirpare più velocemente
possibile il nemico e nel modo più diretto. Torture e crudeltà belliche gratuite che ne derivano sono spiegabili come tentativi di prevaricare l'onore del nemico tramite sopraffazione.
questi l'accoltellò91. Per vincere la sfida, quindi l'onore i due egiziani arrivano a mettere in
gioco tutto quello che posseggono.
Questa interconnessione tra onore e prevaricazione è molto evidente nelle sfide rituali presenti in tutte le tradizioni nelle quali gli sfidanti sacrificano e distruggono tutti i loro averi per ostentare ricchezza per uscirne vincitori, spesso rovinandosi e indebitandosi pur di superare l'avversario. Tipico è l'esempio del potlach che è una cerimonia dei nativi americani nella quale vengono distrutte grosse quantità di beni preziosi e si scambiano grandi entità di doni con il solo scopo di dimostrare la superiorità di un gruppo sull'altro. L'altro partito è sempre obbligato a restituire la festa entro un certo limite di tempo, possibilmente superandola. Questa festa donatoria è occasione di festa e domina la vita sociale delle tribù in ogni evento (matrimonio, nascita, morte, iniziazione dei giovani).
Dice Huizinga: “Il fatto essenziale è però sempre la distribuzione dei doni. Il
donatore della festa dissipa allora i beni di tutto il suo clan. Tuttavia, accettando la festa, l'altro clan è debitore di un potlach su scala ancor più vasta. Se il debitore restasse in debito perderebbe la sua nomea, il suo blasone, i suoi totem, il suo onore, e i suoi diritti civili e religiosi. Così avviene un avventuroso scambio di beni fra le case aristocratiche della tribù”92.
La superiorità è mostrata sia tramite il dono sia annullando ciò che si possiede ostentando e accompagnando tutto da riti drammatici. Tutto ciò prende la forma di una gara. Nella cultura arabica pre-islamitica abbiamo un'usanza chiamata mu'āquara, che significa “rivaleggiare in gloria tagliando i piedi dei cammelli”. Questi riti donatori si verificano nel mondo intero. Malinowski nel suo libro Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana
nella società primitiva (1922), descrisse il sistema della kula: è una navigazione cerimoniale
che in date fisse parte, in direzioni opposte, da uno dei gruppi delle isole della Nuova Guinea. Le diverse tribù si scambiano fra loro ornamenti preziosi (collane di conchiglie rosse e bracciali di conchiglie bianche) che passano temporaneamente in possesso dell'altro gruppo. Questo poi avrà l'obbligo di dare a sua volta, entro un limite di tempo, gli oggetti al gruppo seguente nella catena del kula. Questi oggetti sono privi di valore economico, ma posseggono una forza magica e hanno valore sacro. Anche qui l'azione si svolge entro i termini della festa e del rito.
91 Ivi, p. 72. 92 Ivi, p. 69.
Tutti questi, sebbene siano rituali gravi e seri, sono carichi di conseguenze nella vita pratica e rispettano tutte le dinamiche del gioco: si riscontrano la struttura simbolica spazio-temporale illustrata nei capitoli precedenti, presuppongono le caratteristiche gerarchiche stabilite da Agon e Alea in un mondo continuo (proprie anche dell'onore), si ha a che fare con il dominio della maschera93 (ostentazione, esibizione, esagerazione e spettacolo), è presente l'elemento
della vertigine nell'emozione di commettere una follia. La vertigine permette all'onore di essere reale, di non essere solo vuota apparenza, evita di ridurlo ad una falsa esibizione finalizzata al mantenimento del decoro sociale. Giocare o combattere con onore, anche se sembra paradossale, rende la vittoria più completa e la sconfitta meno amara perché in questo caso anche l'ultimo può sentirsi vincitore “morale”. Sia Agon-Alea sia Mimicry-Ilinx di mescolano e si confondono in modo inestricabile, dimostrando l'unità concettuale del gioco: possiamo dire difatti che il gioco agonistico ha un termine, ma il gioco dell'onore non ha mai fine e trascende ogni gioco particolare perché più importante e pervasivo. Tutto ciò avviene forse anche perché più della vittoria in sé, per il giocatore è più importante l'immagine (a se stesso e agli altri) che riesce a dare di sé alla fine della partita?
Non si tratta di vanità quindi, ma di essere riconosciuto dai suoi simili in quanto uomo. Questo riconoscimento avviene quasi sempre attraverso la competizione. Dice Bataille:
“Il gioco per eccellenza è distruzione o dono sovrano, ma ogni uso improduttivo che ne facciamo delle nostre risorse – dilapidarle, distruggerle, con il solo fine di piacere – è un'occasione per i rivali di gareggiare con noi per mettere alla prova la loro superiorità. […] Gli uomini possono gareggiare per la superiorità in ogni modo, purché vi si impegnino per generosità e non per interesse”94.
Bataille continua dicendo che si tratti di letteratura o di poesia, canto o danza, football o di scacchi, che si tratti di un torneo, di un potlach o di guerra la cosa per cui gli uomini lottano apertamente è la gloria e per rendere sensibile un certo stato di sovranità. La consacrazione delle loro risorse è a fini non lucrativi, i giocatori non si curano della buona gestione del loro interesse e del patrimonio.
93 “L'atmosfera mentale in cui ha luogo [il potlatch] è quella dell'onore, dello sfoggio, della millanteria, della
sfida. Si vive nel mondo dell'orgoglio cavalleresco, del sogno eroico, mondo in cui valgono bei nomi e blasoni, e schiere di antenati”. Huizinga, J., Homo Ludens, Einaudi, p. 71.
“Un giocatore stonerebbe se avesse i modi avari di sua madre; e certo è penoso pagarlo, perché lo si costringe così a smentire la sua iniziale generosità; ma se non avesse denaro, la sua generosità potrebbe esaurirsi!”95
Il gioco quindi resta tale a condizione di poter disporre sempre di un quantitativo di risorse e di energia. Un solo caso è chiaramente distinto: quando cioè si mette in gioco la propria vita. Qui il gioco non finisce, ma definisce solo un tipo di giocatore: quello per il quale la minaccia di morte toglie immediatamente ogni attrattiva per il gioco. Si gioca sul filo del rasoio, dove la realtà e la vertigine si mescolano prepotentemente. Allo stesso modo, una corrida tanto meglio risponde al principio del gioco quanto più pericoloso è il toro o quanto più pericolosamente viene affrontato dal matador. Anche lo spettatore spende energia nel senso che è partecipe perché s'identifica con il matador96. Non appena il gioco eccede l'energia dello
spettatore o del giocatore stesso, cioè se a vincere è la paura, il gioco cessa di essere tale e perde ogni attrattiva. Il desiderio di conservare si oppone a quello di donare. Bataille a questo proposito parla della nozione di dépence (dispendio):
“Il lusso, i lutti, le guerre, i culti, le costruzioni di monumenti suntuari, i giochi, gli spettacoli, le arti, l'attività sessuale perversa (cioè deviata dalla finalità genitale) rappresentano altrettante attività che, almeno nelle condizioni primitive, hanno il loro fine in se stesse. Orbene, è necessario riservare il nome di dépense a queste, […] in ciascun caso, l'accento vien posto sulla perdita”97.
A seguire porta vari esempi di dispendio collegato alla perdita: i gioielli non sono resi splendidi dalla loro bellezza, perché sarebbe possibile sostituirli con altri falsi, ma sono resi tali dal “sacrificio di una fortuna” con la quale si è comprata la collana di diamanti; il già citato culto, che esige uno spreco di uomini e animali da sacrificare98; diversi giochi
competitivi i quali esigono uno sperpero di energie e di soldi.
Il Saggio sul dono di Marcel Mauss99 è il punto di partenza della riflessione che porterà
Bataille ad elaborare la nozione di dépence, perché questo saggio tratta non tanto della pratica
95 Ivi, p 334.
96 Lo spettatore può immedesimarsi anche nel toro, ma in questo caso ha bisogno di un quantitativo di energia superiore per poter sopportare l'uccisione dell'animale, per far si che il gioco non ne venga rovinato.
97 Bataille, G., La nozione di dépense in, La parte maledetta preceduto da La notione di dépense, Bollati Boringhieri, p. 44.
98 “Fin dall'inizio appare come le cose sacre siano costituite da un'operazione di perdita: in particolare, il
successo del cristianesimo dev'essere spiegato attraverso il valore del tema della crocifissione infamante del figlio di Dio che porta l'angoscia umana a una rappresentazione della perdita e del decadimento senza limiti”. Ivi, p. 45.
99 Il titolo completo è Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, pubblicato da Marcel Mauss tra il 1923 e il 1924 su L'Année Sociologique, testo al quale Bataille giunge grazie all'amico etnologo Alfred Metraux.
di donare in generale quanto quella specifica forma che prende il nome del sopracitato
potlach. Questo fenomeno anche se non può essere identificato in toto con la dépence ma ne
costituisce una manifestazione significativa100. Infatti non è un caso che il potlach sia sempre
collegato alla festa, dove in essa si attuano una serie di pratiche di spreco improduttivo, dove vengono consumati e dissipati sia i beni materiali sia le energie dei partecipanti in una frenesia di danze e canti101. In questa pratica, a differenza del baratto, la relazione non è più tra
gli oggetti scambiati bensì è un rapporto soggettivo tra esseri umani che si costituiscono nella relazione stessa. A partire da questo Bataille individua nella dépense una funzione sociale, contrapposta e complementare a quelle di produzione e acquisizione102.
Esiste un limite nel “gioco dell'onore”: quando l'avversario non viene considerato al pari del giocatore stesso. Finché si ha a che fare con avversari di pari livello, i contendenti partono da uno stesso senso d'onore a cui si unisce lo spirito di scommessa e l'esigenza di un certo tipo di moderazione. Non appena le dispute, le guerre o i giochi sono diretti contro giocatori considerati inferiori viene meno ogni ritegno. A quest'ultimi non si assegnano diritti umani perché non vengono riconosciuti con lo status di uomini, sia che vengano chiamati “diavoli”, “barbari”, “pagani” o “eretici”. Per restare entro certi limiti di civiltà è necessario che un gruppo, forse in virtù del proprio onore, si imponga delle restrizioni. Su queste si fonda il diritto internazionale, il quale esprimeva l'aspirazione di certi uomini a mantenere le contese nella sfera della civiltà. Viene fondato dunque nell'ambito agonale.
100Questo anche grazie allo studio di Mauss che permette di collocarla al centro della vita sociale dei popoli arcaici. Mauss infatti con il termine potlach indica una prestazione tipica di molti popoli che consiste in una forma di dono come spreco di ricchezze e distruzione di beni nelle forme più estreme.
“In un certo numero di casi, non si tratta neppure di dare e di ricambiare, bensì di distruggere, per non dare neanche l'impressione di desiderare qualcosa in cambio”. Mauss, M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, pp. 213-214.
101Di festa sacra caratterizzata dall'eccesso trasgressivo delle norme che regolano la vita profana e dal dispendio di quello che si è accumulato con il lavoro ne abbiamo già parlato nel paragrafo della mia tesi dove approfondivo l'analisi che Roger Caillois fa della festa. Caillois esamina molto da vicino questo tema nel libro L'uomo e il sacro, che fu il tema della conferenza da lui tenuta al College de Sociologie il 2 maggio 1939.
“Il dispendio e la distruzione, forme dell'eccesso, appartengono di diritto all'essenza della festa”. Caillois,
R., L'uomo e il sacro, Bompiani, p. 90.
Qui è evidente come Caillois avesse in mente l'insegnamento del maestro Mauss, reso esplicito dal momento in cui vede nella festa il “fenomeno totale”, ma anche la riflessione batalleiana sulla dépences.
102Questo implica che non si può dare “spreco” senza che prima non avvenga un processo di accumulazione. Il tema della dépense in Bataille è spesso letto come una negazione del processo volto alla produzione dei beni. Bataille invece non nega mai l'importanza imprescindibile della produzione e acquisizione verso un utile futuro. Ciò che lui contesta è però l'estensione totalizzante di questo principio il cui risultato è una civiltà inumana, dove l'esistenza è asservita ad un utile rimandato nel tempo.
1.9 Agon
Il gioco non coincide né si sovrappone all'agonismo. Quest'ultimo possiede due facce: quando perde quella positiva e prevale solo quella negativa, l'agonismo come tale è morto poiché