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2.4.2 Illusione e inganno

Nel documento I normali e gli altri. Gioco e filosofia (pagine 94-102)

I prigionieri della caverna rifiutano quello che gli viene detto dal prigioniero liberato. Dunque una domanda sorge spontanea: siamo sicuri che sia veramente quest'ultimo il detentore della verità e che i prigionieri incatenati vivano invece nell'apparenza e nell'inganno? Chi si sta ingannando?

Forse prima di rispondere bisogna partire distinguendo i concetti di “inganno” e “illusione”. Innanzi tutto hanno due significati diversi, per certi versi antitetici: se consideriamo l'inganno

135Bateson, G., Una teoria del gioco e della fantasia, Adelphi, pp. 225-226 136È il momento più rischioso, quello che può dare origine alla naturalizzazione.

come non-verità, allora l'illusione è invece parte della verità. Si può dire che l'illusione stia nel mezzo, tra verità ed inganno. Kant nell'Antropologia pragmatica (1798), al §13 “Del gioco artificiale con l'apparenza sensibile”, distingue il termine latino fraus (da cui frode) da illusio, illusione che è in stretta relazione con ludo, gioco. Per Kant137, chi s'inganna scambia

l'immaginario per il reale; mentre l'illusione ci permette di entrare consapevolmente nell'immaginario. L'esempio tipico è il cosiddetto trompe-l'œil138, che letteralmente significa

“inganna l'occhio”: è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell'osservatore l'impressione di guardare oggetti reali e tridimensionali, ma che in realtà sono dipinti su una parete bidimensionale. Si può credere di essere davanti ad una vera finestra, quindi ingannandosi, fino a che avvicinandosi non si dissipa l'inganno. Il trucco decade appena viene svelato l'artificio, ma permane l'illusione. Dunque l'illusione non è un inganno, poiché siamo consapevoli della natura finta di quel mondo che abbiamo davanti.

Platone critica e condanna le arti, quando si presentano senza virgolette, quando cioè non offrono la possibilità di distinguere tra verità e non verità139. Magritte scrive “Ceci n'est pas

une pipe”, ossia “Questo (quadro) non è una pipa”. Si tratta di un discorso ovviamente surreale perché nessuno scambierebbe una pipa dipinta per una pipa vera, ma corrisponde alla richiesta platonica dell'avvertenza della cornice.

Nel 1777, all'Università di Konigsberg, Kant discusse con Kreutzfeld riguardo alla dissertazione che quest'ultimo dovette presentare per l'ottenimento della cattedra di arte poetica. La domanda a cui si doveva cercare di dare risposta era. “Su quale principio si basano le invenzioni dei poeti?”. Secondo Kreutzfeld illusione e inganno s'identificano, mentre Kant introduce un altro tipo di apparenza:

“se in tali apparenze vi è qualcosa che, come si dice comunemente, inganna, dovrà piuttosto essere chiamata illusione”140.

137La distinzione kantiana è basata sul piano cognitivo e sullo spettatore, a differenza per esempio di Rousseau che invece è sul piano morale e su chi compie tali azioni.

138L'antichità ci offre alcuni esempi celebri di trompe-l'œil. Plinio racconta di una gara di pittura tra Zeusi e Parrasio: il primo dipinse dei grappoli d'uva così ben fatti che anche gli uccelli volarono a beccarli, il secondo sembrava ormai sconfitto, ma quando Zeusi fece per scostare il drappo della tenda disposta sul dipinto del rivale, si accorse che proprio quel drappo era il disegno. O ancora nel XVI secolo, Vasari racconta dell'episodio di Giotto, capace addirittura di ingannare il maestro Cimabue con una mosca dipinta sul naso di un ritratto.

139Nella Repubblica si trova la critica nel III e X Libro: imitando allontanano dal vero in quanto copie. Platone tende a confondere illusione e inganno e addirittura a volte li identifica. Le emozioni cancellano la differenza tra mondo della copia e l'originale, dunque annullano il sé dell'altro.

Questa distinzione è basata sul concetto di permanenza: l'inganno, qual ora scoperto svanisce, mentre l'illusione permane nonostante si possa avvertire la sua natura illusoria, poiché basata sulla verità ossia sulla consapevolezza141 che da piacere. L'ironia per esempio fa parte

dell'illusione di cui Kant parla e che dopo di lui Huizinga, Winnicott e Bateson avevano incluso nel gioco e nell'arte. Nell'ironia142 non c'è l'intento di ingannare, infatti ha senso solo

se almeno un'altra persona oltre a colui che parla conosce la verità dietro a ciò che si è detto. Implica un “fare come se” o un “far finta” di Bateson e la già citata fede poetica di Coleridge. Iacono nel libro Illusione e sostituto parla dell'hobby horse143, riferendosi ad un esempio che

aveva preso in esame lo storico dell'arte austriaco Ernst Gombrich, con cui il bambino può giocare “facendo finta” di cavalcare come se fosse un vero e proprio cavallo. Il gioco del bambino diventa dunque un caso di studio esemplare per approfondire come l'illusione, quindi il “fare come se” e il sostituire cose assenti, costituisca la base dell'esperienza cognitiva ed emotiva umana fin da piccoli. D'altronde non è così scontato definire il rapporto che intercorre tra il manico di scopa e il cavallo che è il referente. Iacono osserva inoltre che, prendendo il bastone per un cavallo, il bambino che impara a “fare finta” entra in un mondo intermedio:

“È così che sorgono i mondi intermedi, mondi che imitano quelli già esistenti, che imitandoli li sostituiscono e che sostituendoli continuano a farvi riferimento”144.

Il gioco, il cinema e il teatro sono casi esemplari dell'esperienza cognitiva ed emotiva dell'illusione, che nasce dall'unione del credere e non credere. Questo è esplicitato per esempio nel Prologo dell'Enrico V, dove Shakespeare stesso invita gli spettatori ad integrare con l'immaginazione ciò che non è possibile inscenare:

“Ma voi, signori tutti, perdonate

Gli spiriti pedestri e piatti che hanno osato

portare su questo indegno palco un tema così grande. Può questa misera arena contenere i vasti

campi di Francia? E possiamo, questa O di legno,

141Kant annovera la superstizione non come un inganno, ma come un errore della ragione. Dunque l'illusione ci aiuta, attraverso l'entrata in gioco (in-lusio) consapevole dei sensi, ad evitare gli sbagli della ragione, ossia le credenze che Kant definisce come superstizione.

142Furono Cicerone e Quintiliano a tradurre il termine greco “eironéia” anche con “illusio”, ma ciò era strettamente connesso alla volontà d'ingannare. Secondo Vlastos, fu invece Socrate ad allontanare i due termini, poiché l'ironia socratica non ha nulla a che vedere con l'inganno.

143L'hobby horse è un giocattolo formato da un bastone con una testa di cavallo o più semplicemente un manico di scopa.

inzepparla qui dei soli cimieri che atterrirono l'aria ad Agincourt? Oh, perdonate! Come una cifra sbilenza può contenere in breve spazio un milione, permettete a noi, zeri di questa grande somma, di lavorare sulla forza della vostra immaginazione”145.

Al giorno d'oggi chiedersi dove si situa il confine tra realtà e spettacolo è una domanda ancora più pressante. Siamo così forzatamente e continuamente bombardati di notizie da non riuscire più a scremarle e a dargli un'ordine d'importanza. Quando guardiamo un film o leggiamo un romanzo, sappiamo fin dall'inizio che è un'opera di fantasia, ma ci commuoviamo. Mentre vere tragedie come la morte di migliaia di persone non provocano sofferenza sia perché dopo averle viste o sentite innumerevoli volte siamo come anestetizzati, sia perché quelle morti si presentano a noi come emotivamente invisibili. Paradossalmente crea più commozione l'immagine falsa del cormorano coperto di petrolio nella prima guerra in Iraq rispetto ad altre innumerevoli tragedie. Accettare il male attorno a noi e comportarci come se questo fosse normale146, ci rende simili ai prigionieri.

Distinguere l'inganno dall'illusione significa capire che la verità si può declinare in molti modi: il prigioniero liberato dice ai suoi compagni che la loro è una realtà tra tante e che non è l'unica, a discapito di quello che pensano i prigionieri incatenati. Dunque sta affermando che la loro verità non è sbagliata, ma semplicemente “non assoluta”. Quando si guarda un'opera di fantasia si entra in un mondo tra le virgolette, che funziona in modo diverso rispetto a quello che dei moderni mass media: quest'ultimi non ti mettono nelle condizioni di poter distinguere il vero dal falso, l'illusione dall'inganno, siamo arrivati al punto in cui la critica di Platone è tornata attuale. “L'Isola dei famosi”, il “Grande fratello” e spettacoli simili sono il perfetto esempio di questa tendenza147: sentimenti finti in programmi che vorrebbero essere veri, i

protagonisti sono attori che ingannano gli spettatori. Si realizza l'opposto del film citato prima, The Truman show dove ci sono emozioni vere in un programma televisivo falso e costruito ad hoc. Truman è una sorta di prigioniero liberato alla rovescia, scopre solo alla fine di essere stato ingannato per tutta la sua vita ed essendo dunque l'unico a non riuscire a distinguere l'inganno dalla verità.

145Shakespeare, Enrico V, in Tutto il teatro, Newton Compton, vol. I.

146Questo è il senso che Hanna Arendt dava alla frase “banalità del male”: come se il male facesse così parte della quotidianità che si finisce per accettarlo e abituarsi a tal punto da non vederlo più nemmeno. Si potrebbe quasi dire che avviene la “naturalizzazione del male”.

147Possiamo accettare l'inganno in programmi di questo genere. Ma, considerando i programmi che si occupano di attualità o i telegiornali o i talk show politici, che al giorno d'oggi possiamo certamente annoverare tra gli spettacoli, possiamo anche di essi dire veramente che non ingannano? Penso che nessuno riuscirebbe a dare una risposta netta, quanto meno è impossibile non dubitare di certi fatti, nonostante vengano presentati come se fossero reali.

L'illusione fa sia parte della verità e ci consente sia di passare tra i mondi, di stare sul confine senza perderci. Questo perché è inoltre un passo decisivo per l'apprendimento: è un passaggio necessario per lo sviluppo dell'autonomia del bambino. Questo è quello che afferma il già citato Donald Winnicott, l'illusione è un modo indiretto di interpretare l'incapacità dei prigionieri della caverna di credere o capire il racconto del prigioniero liberato. Winnicott non solo difende il concetto di illusione fin'ora esposto, ma problematizza la condivisione o meno dell'illusione:

“Sto studiando la sostanza dell'illusione, quella che viene concessa al bambino e che, nella vita adulta, è parte intrinseca dell'arte e della religione, e che tuttavia diventa il marchio della follia allorché un adulto pone un eccesso di richieste alla credulità degli altri costringendoli a condividere un'illusione che non è quella loro”148.

Detto in altre parole, la realtà è qualcosa che dipende e consiste anche nelle illusioni e credenze condivise. Il bambino si deve illudere di essere autonomo, prima di poterlo diventare veramente. L'autonomia viene costruita sul passaggio e sul confine: il bambino mentre agisce si illude d'essere solo, ma sa che vicino a lui vi è la madre che vede con la coda dell'occhio. L'indipendenza si crea dentro la relazione. Per Winnicott il gioco diventa quel momento in cui il bambino è qualcosa di diverso dalla sua realtà esterna e interna. Il gioco si situa dunque nel terreno comune tra madre e figlio, in un contesto dove unione e separazione sono entrambi presenti, in una “separazione che non è una separazione ma una forma di unione” come afferma Donald. È in questo spazio che acquista significato l'oggetto transizionale: è una sorta di mondo intermedio che lo psicologo inglese chiama terza area.

Sia nella teoria del gioco di Bateson sia in quella di Winnicott sono centrali la relazione, il contesto e il riconoscimento, dove identità e alterità coesistono nello spazio e nel tempo. Bateson ha mostrato come non solo i bambini come gli adulti imparano dal gioco ad attraversare le cornici, ma anche i cuccioli come i mammiferi adulti lo facciano: la sua idea si basi su un concetto di mimesi particolare149, per cui tutti questi creano mondi intermedi che

imitano altri mondi che, allo stesso tempo, diventano creativamente autonomi. Bateson indica tre tipo di messaggi animali: in quanto segni d'umore, quelli che simulano segni d'umore (come il gioco, l'istrionismo e la minaccia) ed infine i messaggi che consentono di distinguere tra i primi due. La frase “questo è un gioco” è del terzo tipo. Questo tipo di messaggio

148Winnicott, D., Gioco e realtà, Armando, p. 39.

149Imitare la guerra per gioco significa fare la non-guerra. Difatti questo tipo di imitazione è come una copia che non vuole confondersi con il modello, ma anzi vuole distinguersene per differenza.

permette dunque di comunicare, continuando a vedere con la coda dell'occhio la cornice. Similmente a quando afferma Magritte sul suo quadro, “Condition Humaine”:

“La Condizione Umana fu la soluzione al problema della finestra. Misi di fronte a una finestra, vista dall'interno di una stanza, un quadro rappresentante esattamente la parte di paesaggio nascosta alla vista dal quadro. Quindi l'albero raffigurato nel quadro nascondeva alla vista l'albero vero dietro di esso, fuori dalla stanza. Esso esisteva per lo spettatore, per così dire, simultaneamente nella sua mente, come dentro la stanza nel quadro. E fuori nel paesaggio reale. Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d'una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi. Allo stesso modo a volte situiamo nel passato una cosa che accade nel presente. Il tempo e lo spazio perdono così il loro significato grossolano, l'unico di cui l'esperienza quotidiana tenga conto”150.

Bisogna dire che Magritte vuole mettere in evidenza le ambiguità della rappresentazione, mettendo in primo piano il contrasto tra spazio tridimensionale e tela piatta, tra modello e copia. Qui siamo davanti alla possibilità di distinguere sia concettualmente sia epistemologicamente tra illusione e inganno, distinzione che abbiamo già trovato in Kant. Il gioco dunque, in quanto mimesi, può essere considerato un'illusione, ma non un inganno. Questo anche per Bateson perché nell'illusione vi è presupposta la percezione consapevole del contesto quindi della cornice, viceversa nell'inganno. Winnicott ci porta a ripensare al ruolo della madre come colei che ha il compito d'insegnare al bambino la differenza tra illusione e inganno come primo passo per l'autonomia di quest'ultimo. Grazie a queste conoscenze il bambino da adulto saprà entrare ed uscire opportunamente dalle illusioni condivise. Se così non fosse o se il bambino crescendo creasse solo illusioni non condivise diventerebbe un emarginato sociale, come i “cretini” del film La cena dei cretini151 di Weber, oppure ancora

peggio verrebbe etichettato come un folle, un pazzo.

Mettendo in relazione la terza area di Winnicott e il terzo tipo di messaggi di Bateson però si riscontrano delle differenze: i fenomeni transizionali rappresentano la prima fase di apprendimento del bambino all'uso dell'illusione, mentre nel gioco nel senso di Bateson la conoscenza della meta-comunicazione è in uno stadio più avanzato dell'apprendimento. Questo perché presuppone già un'autonomia dei partecipanti che non si dà ancora nella

150Gablik, S., Magritte, Rusconi, p.42.

151La cena dei cretini è un film del 1998 scritto e diretto da Francis Weber. Il film narra che ogni mercoledì sera un gruppo di professionisti dell'alta borghesia parigina si riunisce per una cena con scommessa dove ogni invitato deve presentarsi accompagnato da una personaggio definito: “un perfetto cretino”. Sono considerati tali poiché non rispettano la misura dello scambio conversazionale e hanno passioni idiosincratiche (uno di essi è un patito della tecnica del lancio del boomerang australiano), ma sopratutto non sono in grado di riconoscere e adeguarsi ai vari contesti e ai frame.

relazione madre-figlio secondo Winnicott. Tenendo conto di questa diversità è possibile però che la frase “questo è un gioco” possa dare il via al coinvolgimento emotivo consapevole, dove il confine è percepito e non percepito, che a sua volta potrebbe avere origine dalla capacità del bambino di stare solo in compagnia della madre. Dunque nella terza area dove grazie all'illusione il bambino impara e sviluppa quella facoltà che gli permetterà di creare e effettuare il passaggio tra i mondi intermedi. Difatti l'unione-separazione di Winnicott è epistemologicamente analoga alla presenza-non presenza della cornice di Bateson.

Facendo un passo indietro e tornando al discorso iniziato poco fa delle “illusioni condivise”, quello che abbiamo detto in un certo senso è valido anche per il prigioniero liberato: nella caverna i prigionieri reagiscono collettivamente alla verità offertagli dal prigioniero liberato, il quale diventa per loro pazzo in quanto non condivide la loro illusione. Diventa pericoloso per l'unità della comunità stessa, quindi va allontanato152.

“Non sarebbe allora egli oggetto di riso? E non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pensa di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l'ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo?”153

Diventa dunque il “cretino” del film La cena dei cretini, qualcuno di cui si possa ridere; colui che non è preso sul serio, anzi potrebbe essere addirittura minacciato fisicamente. Da una parte ci sono i prigionieri incatenati dentro la caverna e dentro il confine, in opposizione dall'altra c'è il prigioniero liberato che invece che è stato fuori dalla caverna e ha varcato il confine. Quest'ultimo è lo straniero, il diverso, magari anche cattivo; è colui contro il quale si sta uniti. È il “barbaro154” dei greci. Pertanto si capisce la strenua opposizione che riceve

quando prova a dire la verità ai compagni ancora prigionieri: questi non accettano quella che potrebbe essere da loro avvertita anche come colonizzazione, ossia il tentativo del prigioniero liberato di “esportare la verità”.

Se non si sta al gioco si diventa guastafeste, se si mette in discussione il mondo del gioco allora il rischio è quello di venire immediatamente isolati ed esclusi dalla comunità dei giocatori perché si viene percepiti o come un possibili distruttori o come un estranei (nel

152Lo scontro che avviene nella grotta dopo la katabasi è anche uno scontro tra il senso comune della collettività e l'alterità rispetto ad esso. Se invece ragioniamo in termini etici e politici, il tema che ne scaturisce è quello del consenso, al quale il prigioniero liberato non potrà mai arrivare in quanto l'assenso può realizzarsi solo su valori condivisi.

153Platone, La repubblica, in Opere Complete, Laterza, 516a.

154Barbaro è la parola onomatopeica con cui gli antichi greci indicavano gli stranieri: letteralmente balbuzienti, dunque coloro che non parlavano greco e che non condividevano gli usi, i costumi e la cultura greca.

senso esplicitato poco fa con la parola “barbaro”). Come Socrate, il quale viene condannato poiché mette in discussione le regole della comunità e così facendo minaccia l'unità della comunità stessa. Il baro viola ed elude le regole, ma il guastafeste le nega per questo è così pericoloso. Allo stesso modo il prigioniero liberato è un guastafeste altrettanto dannoso, in quanto distrugge il mondo della caverna mettendone in dubbio la veridicità. I prigionieri di contro, non sanno dell'esistenza di un altrove e quindi finiscono per scagliarsi contro il guastafeste.

Nel documento I normali e gli altri. Gioco e filosofia (pagine 94-102)