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3.3 Il capro espiatorio

Nel documento I normali e gli altri. Gioco e filosofia (pagine 114-118)

Finora abbiamo parlato del desiderio mimetico, che si tratta solo del primo stadio della teoria girardiana. Questo primo passaggio concerne solo le relazioni interpersonali. In questo capitolo cercherò di spiegare come Girard applichi il meccanismo mimetico non solo ai singoli, ma anche ai gruppi sociali e come ciò influisca sulla società e sulla sua stessa organizzazione. Per poter fare ciò ripartirò dall'analisi della categoria del sacrificio, già fatta in precedenza nel gioco cultuale, ma allargandone la sfera d'azione, non solo al gioco cultuale, ma valida per la società.

Walter Burkert, nella sua opera Homo necans175, gioco di parole su homo sapiens, definisce la

specie umana essenzialmente come una specie che uccide. L'azione di uccidere, secondo Burkert, è sostanziale all'idea di uomo. Già nella prefazione del libro, lo scrittore chiarisce come la sua opera risenta degli avvenimenti storici degli anni in cui viene scritto, ovvero la guerra del Vietnam. Una guerra distruttiva che ha innescato delle dinamiche di contestazione verso la stessa dinamica della guerra. Lo studioso delle religioni scrive che il credente non sperimenta Dio tanto nella preghiera o nella condotta retta, quanto proprio con lo spargimento di sangue di animale, che ha luogo nell'atto sacrificale. È attraverso questo atto violento che le religioni antiche riuscivano ad adorare meglio Dio176. Questo tipo di atto sacrificale per

conquistare il favore della divinità, come abbiamo già visto, è comune a ogni tipo di cultura degli inizi dell'umanità. La tesi burkertiana è la stessa di Girard, ovvero la funzione del sacrificio serve a creare complicità tra i partecipanti, che vengono uniti in un vincolo saldo del fatto di essere contrapposto alla vittima che viene uccisa con un'operazione di violenza gratuita compiuta da tutti. La differenza tra i due pensatori sta nel fatto che l'obbiettivo di Girard è quello di voler formulare una regola che non valga solo per civiltà classica, ma che sia valida per tutte le civiltà, e dimostrare dunque che la realtà effettuale della violenza è la radice della coesione sociale177.

L'ipotesi girardiana è che all'origine del sacrificio si verifichi una sostituzione. La violenza, una volta scaturita, ha sempre bisogno di una valvola di sfogo. Difatti, sempre secondo Girard, alla base della cultura c'è la violenza. La vittima viene scelta e uccisa, perché questo atto libera la società dalla violenza. C'è un legame tra l'atto di violenza collettivo e il consolidamento dell'equilibrio collettivo. Le società devono celebrare questi rituali, che sono

175Homo necans: the Anthropolgy of Ancient Greek Sacrifical Ritual and Myth è uno scritto del 1972 sulla religione e mitologia greca dal classicista Walter Burkert. Ha vinto il Weaver Award per la letteratura accademica nel 1992.

176Burkert, W., Homo necans, University of California Press, p. 2.

una mascheratura dell'atto violento originario. Ma proprio perché si caratterizzano come una rimozione della violenza, la società dimentica le motivazioni e l'oggetto di questi rituali. La comunità opera un transfert, cerca perciò di spostare la violenza, che rischia di colpire la comunità stessa, verso un solo individuo definito “sacrificabile”: non importa, al fine di placare la violenza, se la vittima sia colpevole o innocente.

“Si può ingannare la violenza soltanto nella misura in cui non la si privi di ogni sfogo, e le si procuri qualcosa da mettere sotto i denti”178.

La caratteristica più importante che accomuna tutti gli individui sacrificabili è quella di non essere vendicabili: ossia tali individui non devono avere rapporti sociali che potrebbero portare a delle ripercussioni all'interno della stessa società da parte dei loro congiunti. Questo perché il sacrificio deve essere “una violenza senza rischio di vendetta”179. Infatti la vendetta

genera altra vendetta e porta ad un ciclo senza fine. Perciò questa caratteristica della vittima è così importante, per poter impedire l'escalation di violenza, che rischia di provocare la rovina della società stessa. La violenza viene usata nel sacrificio rituale per impedire alla crisi di scaturire. Questo rito ha come scopo quello di “purificare” la violenza stessa, ossia come d'ingannarla e di deviarla su vittime che non rischiano di essere vendicate a loro volta.

Se questa condizione non viene soddisfatta il sacrificio, come attenuatore di violenza, non funziona più, ma al contrario accade quello che Girard chiama “rovesciamento catastrofico”. Avviene dunque la “crisi del sacrificio”, che annulla le differenze tra violenza impura e violenza purificatrice. Molte comunità arcaiche, secondo Girard, non riescono a superare tale crisi e si trovano a dover affrontare l'autodistruzione. Altre invece trovano un modo per superare tale crisi: la mimesi stessa ha in sé la potenzialità per superare tale crisi. La rivalità mimetica porta alla divisione della comunità in gruppi antagonisti, ma allo stesso tempo ha in sé la capacità di riunire tali gruppi. Infatti, come accennavo prima, la violenza può essere trasformata: può diventare da hobbesiana tutti contro tutti a violenza rivolta contro uno soltanto. Si sceglie la vittima sacrificale che viene bandita dalla città o uccisa, la quale addossa su di sé le colpe di tutti. Istintivamente si cerca un rimedio immediato per esorcizzare il male e lo si trova nel capro espiatorio.

L'esempio, preso in esame da Girard, è la tragedia dell'Edipo re di Sofocle. Edipo è il capro espiatorio per eccellenza. In questo miti infatti si sostituisce la violenza, che rischia di colpire

178Girard, R., La violenza e il sacro, Adelphi, p. 17. 179Ivi, p. 29.

tutta la comunità, su di un unico colpevole. Per liberare la città dalla peste, scatenata a causa dell'uccisione di re Laio, è necessario attuare un transfert, ossia trasferire tutta la responsabilità su un solo individuo, che in questo caso è proprio Edipo. All'apice della crisi tutta la comunità disperata si riunisce sotto lo stesso odio verso Edipo. Una vittima si trova a sostituire tutte le potenziali vittime: basta un piccolo sospetto per far cadere la scelta su un individuo piuttosto che su un altro, in fine tale scelta si propagherà subito tramite contagio mimetico. La violenza crea una spirale, un circolo vizioso che va spezzato rivolgendola verso qualcun altro. Nel caso in cui gli uomini riescono a convincersi sulla colpevolezza di un solo individuo, allora il gioco è fatto e il circolo della violenza interrotto.

La vittima è il destinatario della violenza universale, ma ha anche una funzione risanatrice; per questo lo status di capro espiatorio è ambiguo e anche impuro, poiché deve ricostruire la purezza della comunità180. Il ritorno della pace, all'interno della comunità, permette di

riconfermare la colpevolezza della vittima. Quest'ultima ha una funzione catartica.

La vittima ha un identikit preciso: la selezione presuppone la membership categorization

analysis. Anche le categorie teorizzate da Sacks sono organizzate secondo categorie, le quali

si definiscono in opposizione a determinate categorie, definite boundary categories, costruite in maniera gerarchica prendendo le caratteristiche qualitativamente inferiori delle categorie primarie. Ad esempio la donna è la boundary category dell'uomo, perché è una categoria che viene pensata come il pieno della categoria originale, ossia l'uomo, a cui manca qualcosa. La donna ha una posizione inferiore rispetto all'uomo, così il bambino rispetto all'adulto. La vittima può essere selezionata non solo nella categorie inferiori, ma anche da quelle superiori in rari casi: ad esempio un re potrebbe benissimo ricoprire il ruolo di vittima, pur di purificare il gruppo, dato che il re gode di privilegi speciali in quanto è mediatore tra l'orizzonte umano e quello divino.

La vittima deve appartenere a una categoria marginale: i bambini non vanno bene perché non sono membri effettivi del gruppo, in quanto non hanno compiuto ancora il passaggio alla categoria di adulti. Deve essere presente almeno una differenza essenziale che distingua la vittima prescelta e vittima sostitutiva in maniera inconfutabile. Non deve appartenere pienamente alla comunità: come è il caso di prigionieri di guerra, schiavi, adolescenti ed

180La vittima può essere paragonata ad un pharmakon greco: infatti, come un pharmakon, essa ha una duplice caratterizzazione, che va dal maligno al benigno. La vittima dunque è quell'individuo che in un primo momento viene visto come spregevole e colpevole, in quanto portatore dei mali nella comunità, e in un secondo tempo viene quasi sacralizzato, poiché grazie al suo sacrificio viene ristabilita la pace. Infatti la parola pharmakon è utilizzata in una duplice accezione: significa sia veleno che antidoto, quindi il male e il rimedio.

emarginati. Ma la caratteristica più importante, che supera tutte le altre, che accomuna tutte le vittime, è quella, già citata, di non poter essere vendicabili. La vittima non deve poter rispondere alla violenza, quindi il soggetto non deve avere un sistema di rapporti sociali articolato.

Un altro parametro è il concetto di stigma181, elaborato da Goffman: è un termine greco che

individua l'azione del “marchiare a fuoco”, che si compiva nei confronti di schiavi fuggitivi per segnalare il loro carattere difettoso. Lo stigma è una condizione per cui il soggetto sociale non si dimostra all'altezza delle aspettative che gli altri individui hanno verso di lui e quindi si trova in una posizione di debolezza. Il sociologo canadese precisa che esistono tre categorie diverse di stigma: per deformazioni del corpo (come disabilità fisica, colore della pelle, calvizie), per imperfezioni caratteriali (come disturbi mentali, la carcerazione o la tossicodipendenza) e infine stigma tribale (prevede l'emarginazione sociale in base all'etnicità, religione, convinzioni ideologiche o per nazionalità). Goffman distingue due forme di identità stigmatizzate: le identità screditate e screditabili. Le prime esibiscono lo stigma perché non lo possono nascondere come una persona menomata, le seconde appartengono ad una categoria marginale non immediatamente riconoscibile come gli ebrei. Le dinamiche che regolano i rapporti tra le categorie centrali e marginali sono di tipo iniziatico. La dinamica espiatoria è una dinamica di esclusione dal novero di partecipanti di un certo gruppo, dove tutti potenzialmente corrono il rischio di essere esclusi. La paura più grande è quella di rivestire i panni della vittima, perché, visto che la normalità è un'azione continuativa e faticosa, l'appartenenza al gruppo e il ruolo non sono mai definitivi. Ecco perché ognuno di noi si vuole conformare al set di regole di un determinato gruppo. La desiderabilità, dunque, è un prodotto sociale.

Il capro espiatorio è un segno della riconciliazione, questo rito deriva dalla festività ebraica del Giorno dell'Espiazione, quando, oltre ai vari animali sacrificati, si faceva uscire dalla città un capro per farla andare nel deserto dal demone Azazel. La dinamica sacrificale è il rovesciamento di quella di iniziazione, perché non sappiamo se riusciremo ad entrare in una categoria o se rimarremmo fuori.

Un altro parametro è la “comunione fatica” di Malinowski, la quale ha la funzione pragmatica di comunicare la disponibilità di contatto. Questa è un potente strumento di trasmissione sociale ed è anche il luogo di costruzione del, già citato, “face-work”: parlando si fa un lavoro sociale e si trasmettono contenuti che sembrano essere neutri, riconfermando contenuti che si

presuppongono essere già condivisi. In questo scambio, inoltre, passano molti contenuti forieri di violenza: nel pettegolezzo l'individuo A e l'individuo B diventano complici contro la potenziale vittima espiatoria C, ma l'unica funzione del pettegolezzo in realtà è quella di rinforzare il legame tra i maldicenti.

Riassumendo i punti essenziali evinti dal concetto dal processo di omologazione:

ha la funzione di fornire delle identità intercambiabili: un mondo fatto di persone che sono tutte diverse non va bene, perché il tessuto sociale ha bisogno che le forze degli individui siano armonizzate verso fini omogenei. È qui che entra in gioco il desiderio mimetico, in termini girardiani, funzionale ai sistemi di produzione di massa e al nostro sistema socio-economico. Il vantaggio sociale che si acquista è quello di essere tutti soggetti di un desidero interscambiabile. Il desiderio mimetico ci spinge all'omologazione in quanto vogliamo cose volute da altri.

L'ordine sociale normale posa sull'idea di complicità: tutte le persone che si sono scagliate sulla vittima prestabilita sono complici del delitto e più si è vicini alla vittima, più se ne ha paura. Chi deride la vittima lancia il messaggio “Io non sono come te”. Quando il derisore ride della vittima, sta ridendo perché teme di possedere le stesse caratteristiche della vittima in quel momento, e allo stesso tempo crea un legame complice con gli altri membri del gruppo. Nel testo letterario si solidarizza sempre con gli emarginati e con le vittime espiatorie, perché il lettore sa di potersi trovare nella loro stessa condizione, ma se questa esperienza e questa identificazione rimane confinata nella lettura allora non diventa pericolosa e viene come sperimentata con un certo distacco senza conseguenze. In realtà però rimaniamo sempre complici. La dinamica espiatoria, al giorno d'oggi, solitamente ha luogo senza spargimento di sangue, perché ciò che determina il culmine della violenza è la risata aggressiva, che è la manifestazione del legame complice tra soggetti attivi, ossia quelli che esercitano la violenza espiatoria.

Nel documento I normali e gli altri. Gioco e filosofia (pagine 114-118)