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Storia della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione pp. 3 – 8 Capitolo I :

Cronaca e storiografia, tentati golpe e piani eversivi: i decenni '60-'80 in Italia pp. 9 – 48 I.1 L'esperimento politico dell'apertura a sinistra pp. 9 – 12 I.2 Uno Stato parallelo: prime avvisaglie pp. 12 – 20 I.3 Dalla contestazione studentesca all'autunno caldo pp. 20 – 26 I.4 Strategia della tensione e prime dimostrazioni di guerriglia urbana pp. 26 – 32 I.5 Politica ed economia negli anni Settanta pp. 32 – 36 I.6 Mutamenti nella strategia della tensione pp. 36 – 40 I.7 La sinistra radicale non resta a guardare.. pp. 40 – 42 I.8 Agli albori degli anni Ottanta pp. 42 – 45 I.9 L'Italia negli anni Ottanta pp. 46 – 48

Capitolo II:

La Commissione parlamentare sulla Loggia Propaganda Due: quando, chi, come e perché pp.

49 – 77

II.1 Il preambolo dell'inchiesta: gli affari di Michele Sindona pp. 49 –55 II.2 Verso una Commissione parlamentare d'inchiesta pp. 55 – 66 II.3 Dentro la Commissione: i membri del comitato ed il dibattito politico pp. 67 – 73 II.4 La longa manus di Licio Gelli pp. 74 – 77

Capitolo III:

La relazione finale di maggioranza della Commissione parlamentare sulla Loggia P2: resoconto di un documento pp. 78 – 105

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III.2 L'origine della P2 pp. 78 – 84 III.3 La P2 nella fase di massima espansione pp. 84 – 85 III.4 La crisi di fine anni Settanta pp. 85 – 90 III.5 Gelli, Servizi segreti e movimenti eversivi pp. 90 – 103 III.6 Considerazioni conclusive pp. 103 – 105

Capitolo IV:

Altre precisazioni: peculiarità di una massoneria anomala e del suo mentore pp. 106 - 114 IV.1 La P2 nella sua documentazione pp. 106 – 111 IV.2 La relazione tra mafia e massoneria pp. 112 - 114

Capitolo V:

Le relazioni di minoranza: motivazioni di un dissenso pp. 115 - 159 V.1 Relazione di minoranza: parla Attilio Bastianini pp. 115 – 120 V.2 Relazione di minoranza: parla Alessandro Ghinami pp. 120 – 124 V.3 Relazione di minoranza: parla Altero Matteoli pp. 124 – 129 V.4 Relazione di minoranza: parla Giorgio Pisanò pp. 129 – 141 V.5 Relazione di minoranza: parla Massimo Teodori pp. 142 – 158 Conclusione: un approccio critico pp. 159 – 162 Bibliografia pp. 163 – 166

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Introduzione

Gelli e la P2 rimangono in una sorta di limbo. Attendono di passare dalla cronaca alla storiografia. Il cammino verso la verità su Gelli e la P2 ricorda il gioco dell'oca. Chi se ne occupa in prospettiva storica procede, ora lento ora spedito, sempre tra molte difficoltà1. La Loggia Propaganda Due è l'oggetto del seguente elaborato. Più precisamente, tratteremo i meccanismi che la vicenda P2 mise in moto nell'insolito contesto della prima Repubblica d'Italia. Insolito, perché lo scandalo P2 si palesò agli Italiani a conclusione, o quasi, di un periodo violento certamente non prevedibile in una Nazione dotata di fresche istituzioni democratico-repubblicane. Non è un caso che questo periodo, cominciato a termine degli anni Sessanta e conclusosi ai primordi degli anni Ottanta, ricordato dalla storiografia con i tristi titoli di strategia della tensione prima e anni di piombo dopo, costituisca il limite cronologico della presente ricerca.

Il 17 marzo 1981, su mandato dei giudici istruttori di Milano, Giuliano Turone e Gherardo Colombo, nell'ufficio del Venerabile Licio Gelli, a Castiglion Fibocchi, fu rinvenuto un ammasso cartaceo contenente rilevanti informative sulla vita, politica ed economica, dello Stato. A queste, si aggiunse la documentazione riguardante una loggia massonica coperta, la Propaganda Due. Organigramma, elenco degli iscritti, ricevute delle quote associative, originali delle richieste di affiliazione: una documentazione eterogenea che lasciò immediatamente intuire la sua pregnanza. In diciassette gruppi distinti erano stati distribuiti tre ministri, sessantasette uomini politici, cinquantadue dirigenti amministrativi, duecentotto ufficiali delle forze armate, diciotto alti magistrati, quarantanove banchieri e ventisette giornalisti per un totale di novecentosessantadue iscritti che sembravano disegnare lo scheletro di un vero Stato nello Stato2.

La scoperta della lista collimava perfettamente con la necessità di individuare il deus ex

machina, il responsabile delle congiunture che avevano gravato sull'Italia fino a quel

1 A. Mola, Gelli e la P2. Fra cronaca e storia, Bastogi, Foggia 2009, p. 13.

2 Il concetto di Stato nello Stato emergeva a chiare lettere dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2. Questo concetto fu oggetto di studio dello storico Franco De Felice, il quale ne dette una definizione nel libro Doppia lealtà, doppio Stato. (F. De Felice, Doppia lealtà, doppio Stato, in Studi Storici, rivista trimestrale dell'Istituto Antonio Gramsci, n. 3, luglio-settembre 1989). Negli anni Ottanta, Norberto Bobbio, attraverso la definizione dei «segreti del potere», Arcana Imperii, trattava su La Stampa dell'esistenza di un potere invisibile (N. Bobbio, Sottobosco del potere, L'Italia che non cambia mai, La Stampa, 15 novembre 1980). Egli sottolineò come la fenomenologia del potere occulto in Italia si manifestasse attraverso il nascondersi ed il

nascondere ovvero non mostrarsi all'opinione pubblica oppure mostrarsi attraverso una maschera e ricorrendo

sistematicamente alla menzogna (G. De Lutiis (a cura di), La strage, L'atto di accusa dei giudici di Bologna, Editori riuniti, Roma 1986, Prefazione di N. Bobbio, p. XIV). Infine, Ferdinando Di Giulio, sulla rivista Politica ed

economia, lamentò come dietro ai poteri legislativo ed esecutivo legittimi, operassero altri poteri in modo occulto ed

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momento.

L’esigenza politica di superare l’allarme che la P2 aveva generato, ma anche di concentrare in questa ogni responsabilità criminosa o politica, assolvendo di fatto i partiti e le istituzioni, condusse alla sbrigativa decisione di istituire, con una inattesa sinergia di intenti da parte delle varie espressioni politiche, una Commissione parlamentare d'inchiesta.

La Commissione principiò i lavori nel dicembre 1981, durante l'VIII Legislatura, all'indomani dell'elezione del repubblicano Giovanni Spadolini, come Presidente del Consiglio, nel cosiddetto primo governo laico della storia repubblicana e li concluse nel luglio 1984, durante la IX Legislatura, all'indomani dell'elezione del socialista Bettino Craxi. Presieduta dalla deputata democristiana, Tina Anselmi, la Commissione parlamentare, fu chiamata ad affrontare un fenomeno frastagliato come quello piduista, suscitando tra l'altro non poche polemiche.

Secondo quanto premesso, la perquisizione a Castiglion Fibocchi e l'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2, ai fini della nostra trattazione, furono significativi momenti di svolta. Essi sono tuttavia insufficienti per una omogenea ricostruzione dei fatti. Per questo motivo, la prima parte dell'elaborato svolge la funzione di contestualizzare il fenomeno P2 attraverso un excursus dei decenni Sessanta-Ottanta, con focus sugli episodi che li resero tristemente noti. Negli anni Sessanta, il miracolo economico non riuscì ad evitare alcune catastrofi: il Bel Paese pretendeva di tenere il passo con le altre realtà occidentali ma, nonostante le indubbie migliorie portate dall'incremento economico, l'Italia mostrava una struttura ancora obsoleta. Poco dopo, le prime contestazioni studentesche affiancate poi dalle manifestazioni operaie iniziarono ad indicare un processo di progressiva estremizzazione della dialettica politica che, a breve, si sarebbe risolta in violenze di piazza, atti terroristici e lotta armata. Dall'altra parte, la classe politica si dimostrava pigra, provocando un vuoto presto colmato da espressioni eversive. É proprio in questi anni che, si è supposto, Gelli cominciò a condizionare dinamiche e ad allestire vicende nell'Italia repubblicana; la sua presenza aleggiava nelle ricostruzioni dei tentati golpe, nelle stragi di carattere neofascista così come nei sequestri pianificati dall'estrema sinistra.

Quindi, in un secondo momento, si è posto il problema di comprendere come si fosse giunti a Gelli; perché si ritenesse che, dalle mani di questo unico uomo, potessero dipendere tutte le disgrazie della Nazione. La risposta risiedeva nelle vicende che facevano capo ad un altro ambiguo uomo d'affari, un faccendiere e banchiere spregiudicato, Michele Sindona. Negli anni Settanta, Sindona passò dall'essere un guru della finanza internazionale all'essere, a

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seguito del cosiddetto Crac Sindona, un criminale di notevole caratura. Le indagini che lo videro implicato furono il pretesto per la perquisizione a Castiglion Fibocchi: infatti, le testate giornalistiche di allora, si parla dei primi anni Ottanta, immaginavano di poter affiancare al ritrovamento delle liste P2 un altro documento, il Tabulato dei Cinquecento che avrebbe reso noti i clienti privilegiati del banchiere, rimborsati quando la Banca Privata Italiana, di proprietà del Sindona, era già sull'orlo del fallimento. É dunque dalle vicende facenti capo a Sindona che abbiamo ritenuto utile iniziare quel percorso che ci ha condotto a ricostruire il processo di istituzione della suddetta Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2.

Fra gli articoli della legge istitutiva del settembre 1981 n. 527, era presente una clausola nella quale si prevedeva che la conclusione delle indagini condotte dalla Commissione fosse sancita dalla redazione di una relazione, sulla quale verte il terzo capitolo della nostra ricerca. La

Relazione finale di maggioranza, stilata da Tina Anselmi ed approvata quasi all'unanimità dai

commissari, si poneva l'intento di argomentare le conclusioni tratte dal risultato dell'attività investigativa. La lettura della P2 che la maggioranza della Commissione consegnò al Parlamento e al Paese fu spesso sottoposta alla denuncia di aver proposto un approccio parziale, tutt'altro che oggettivo; nel riferire su questa relazione, dunque, abbiamo cercato di evidenziare l'accezione esclusivamente ipotetica di certe asserzioni, pur senza negare al documento la credibilità che, indipendentemente dalle supposizioni che contiene, merita. Il capitolo quarto è, per così dire, una sezione di delucidazione ed approfondimento. In questa sezione, ci allontaneremo momentaneamente dagli esiti della Commissione per consegnare al lettore alcune nozioni utili alla comprensione del fenomeno P2, quale anomala loggia massonica, e del suo mentore Gelli, quale atipico massone. Per farlo, abbiamo costruito il profilo di Gelli a partire dalle testimonianze che i suoi contemporanei dettero di lui, abbiamo esaminato la documentazione prodotta in ambienti piduisti, dallo Schema R, al Piano di

rinascita democratica fino alle Norme di affiliazione e abbiamo concluso stabilendo le

relazioni intercorse fra massoneria piduista ed ambienti mafiosi.

Un ultimo capitolo riferirà invece delle relazioni di minoranza, scritte da Attilio Bastianini, Alessandro Ghinami, Altero Matteoli, Giorgio Pisanò e Massimo Teodori, quali testimonianze di dissenso alle considerazioni tratte dalla Anselmi nella relazione maggioritaria. Ascolteremo, dunque, altre campane, nel tentativo comprendere meglio il valore, il significato, l'essenza della Loggia Propaganda Due.

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determinate, in primis, delle implicite peculiarità dell'oggetto analizzato. Esso, infatti, presenta ramificazioni che concorrono a renderlo proteiforme, composito, a tratti inesauribile: tali diramazioni dipendono dalla molteplicità dei settori che, qualora si intenda parlare integralmente della questione P2, vengono immediatamente coinvolti. Tutti gli ambiti prossimi alla gestione dello Stato (dalle dinamiche politiche, allo sviluppo del contesto sociale fino ai processi economici) sono inevitabilmente implicati nella vicenda; per questo motivo, si è dovuto ricorrere ad una trattazione che permettesse una ricostruzione del fenomeno a partire da più angolazioni; i vari punti di vista, una volta incrociati fra loro, hanno permesso di ottenere un quadro d'insieme più omogeneo.

Un'altra difficoltà riscontrata nel corso della ricerca, implicava l'esigenza di stabilire limiti temporali. Delineare i confini di una argomentazione è, ai fini esplicativi, sostanziale; dal punto di vista metodologico, decidere l'origine e la meta di un percorso trattativo, fa guadagnare alla relazione una certa chiarezza espositiva di cui siamo coscienti. Tuttavia, circoscrivere un fatto così capillare e multiforme poteva determinare il sacrificio di alcuni episodi, comunque attinenti e significativi. Dunque, selezionare gli aspetti di primaria importanza nel corpus ingente degli eventi e scartare gli aspetti secondari ai fini della nostra indagine, non è stato un processo semplice ed immediato.

Le motivazioni sopra elencate sottostanno, però, ad un'altra questione: quella della indeterminatezza stessa del fenomeno P2. La loggia di Gelli e il significato che essa ricoprì nella storia del Bel Paese, sono temi difficili da espletare anche perché sono ancora parzialmente indeterminati. Una storia condivisa e senza preconcetti, precisa e ineluttabile della Loggia Propaganda Due non è ancora stata scritta. Per quanto sia desiderabile, una storia esaustiva di Gelli e della P2 non è ancora possibile dato che molti archivi pubblici e privati rimangono inaccessibili. Queste condizioni ci hanno fatto addirittura interrogare sulla efficacia di questa trattazione che, date le premesse, pareva storicamente prematura e sterile. È stato l'incontro con l'opinione di Aldo Mola a legittimare, per così dire, la nostra ricerca: Lo studioso di storia ha [..] validi motivi per occuparsi di [Gelli] e della P2 e verificare se le valutazioni che ne sono state date siano esaustive (e non lo sono affatto) o se occorra andare oltre le interpretazioni proposte nel corso de tempo3.

Attenersi alla verità storica prima che a quella giudiziaria o politica così come avvalersi esclusivamente del si sa evitando di incedere nel si dice, o comunque riconoscendone la natura prettamente ipotetica è stato, ai fini dell'oggettività dell'elaborato, imprescindibile, ma 3 A. Mola, Gelli e la P2, cit., p.10

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tutt'altro che banale data la facilità con cui certe supposizioni vengono spacciate per vere. Infatti, le interpretazioni date, spesso poco più che opinioni, hanno riportato nella concezione collettiva un'immagine parzialmente erronea della questione. Esse, infatti, lascerebbero concludere che negli annali, le pagine relative a Gelli e alla P2 non riporteranno ciò che effettivamente accadde, bensì ciò che se ne è detto: saranno quindi le accuse, i processi, le sentenze a prevalere e non le attività effettive; saranno i verdetti giudiziari, le leggende e non certe comprovate valutazioni storiografiche a fare la storia della P2 e del suo Maestro. Il

Grande Vecchio e la sua istituzione sono stati frequentemente dipinti come l'origine di tutte le

tristi vicissitudini che hanno generato l'agonia della prima Repubblica, individuati come l'impedimento per l'avvento di un'Italia nuova. Gelli e la P2 riecheggiano nelle vicende del finanziere Sindona, nel sequestro (e poi assassinio) di Aldo Moro, nel crollo del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, nei maneggi dello IOR (Istituto per le Opere di Religione), nei rapimenti, nei delitti e negli attentati. Ma fu davvero così? Oppure la verità sta nelle parole di Francesco Cossiga che, interrogato sulla presenza di Gelli relativamente alle indagini sul sequestro Moro, disse:

Sono tutte fantasie complottarde [..] Il complottismo è l'incapacità di accettare le verità semplici. [Si] pensi al grande complotto della massoneria che vuole insidiare l'Italia. O alle BR inventate da Gelli. Il complottismo è la fuga dal coraggio storico di ammettere che le BR erano le BR, che la mafia è la mafia e nient'altro4[?]

I n La venerabile trama: la vera storia di Licio Gelli e della P25, anche Giorgio Galli concludeva la sua analisi mettendo in guardia dalla dietrologia permanente. Ma d'altra parte, se si trattò solo di complottismo, se gran parte della letteratura al riguardo è composta unicamente da personali considerazioni, se le interpretazioni sul significato della Loggia P2 sono solo talentuosi esercizi di dietrologia, come si giustificano gli incontestabili depistaggi? Possibile che la responsabilità di questi eventi debba essere attribuita ad un soggetto esterno o complementare alla P2, reo di aver manovrato la macchina della prima Repubblica d'Italia6?

4 P. Chessa (a cura di), Per carità di patria. Dodici anni di storia e politica italiana, 1992-2003, Mondadori, Milano 2003, p. 126.

5 G. Galli, La venerabile trama: la vera storia di Licio Gelli, Lindau, Torino 2004.

6 Si è formulato l'ipotesi (vedi p. 109) secondo la quale Licio Gelli, vertice della struttura piramidale piduista, sarebbe anche il vertice inferiore di una sovrapposta piramide rovesciata, che rappresenterebbe la volontà di uomini o ambienti ignoti (italiani e non) attuabile attraverso il progetto piduista. In questa tesi, Gelli è il punto di snodo: egli è il costruttore dell'associazione massonica segreta P2, ma a sua volta è lo strumento di chi alla fine degli anni Sessanta, ritenne necessario controllare la vita pubblica italiana. Si è addirittura ipotizzato che la piramide

rovesciata trovasse in Giulio Andreotti un personaggio chiave. A questo proposito, in una intervista rilasciata al

settimanale Oggi nel 2001, Gelli avrebbe rivelato: «Giulio Andreotti sarebbe stato il vero padrone della Loggia P2? Per carità.. io avevo la P2, Cossiga la Gladio e Andreotti l'Anello». «Con poche parole, Gelli individuava in Andreotti il referente di un'organizzazione quasi sconosciuta, una sorta di Servizio segreto parallelo, possibile anello

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Esiste davvero un burattinaio7? Oppure dovremmo, come consigliava Cossiga, arrenderci alla realtà dei fatti secondo la quale le cose non sono altro che quello che sembrano? E se invece la classe dirigente avesse individuato in Gelli e nella P2 i capri espiatori, la soluzione da somministrare all'opinione pubblica, bisognosa di identificare un colpevole delle stragi che l'avevano dilaniata? Gli interrogativi si moltiplicano, senza trovare una risposta condivisa che, con ampia probabilità, sta nel mezzo alle ipotesi colpevolista e apologetica; quando scoppiò lo scandalo, l'opinione pubblica si divise a metà tra chi considerava la P2 il cancro golpista della società italiana e chi la giudicava soltanto un covo di gente desiderosa di trovare scorciatoie per fare carriera: se la seconda tesi trova maggiore riscontro, la prima non può però essere ignorata. Del resto, le relazioni intrattenute con i vertici del potere (politico, militare ed economico) non possono passare inosservate: Gelli probabilmente individuò in questa situazione, la possibilità di designare un'Italia diversa, tendenzialmente più autoritaria, ma nessuna inchiesta riuscì mai a dimostrare che quel tintinnio di sciabole8, quell'autoritarismo

professato che investì l'Italia del secondo dopoguerra proveniva esclusivamente dal genio di Gelli.

Quanto detto rivela che l'intento di esaurire la vicenda e di individuare l'incontestabile natura della Loggia P2 è quanto meno pretenzioso. Per questo, l'elaborato si pone principalmente l'obiettivo di riferire le posizioni che si determinarono attorno al caso Gelli e alla sua loggia: dalle opinioni che la videro responsabile degli eventi eversivi, a quelle che riconobbero la sua completa estraneità ai fatti, fino a quelle interpretazioni che la considerarono un soggetto fortemente politicizzato.

di congiunzione tra i servizi segreti (usati in funzione anticomunista) e la società civile» (M. Crocoli, Loggia P2.

Una storia unica, ACAR Edizioni, Milano 2016, p. 139)

7 Vedi pp. 80-81.

8 Espressione di P. Nenni, usata in occasione della crisi estiva del 1964, quando Giovanni De Lorenzo tentò il colpo di Stato con il cosiddetto Piano Solo.

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Cronaca e storiografia, tentati golpe e piani eversivi: i decenni '60-'80 in Italia

Si ha l'impressione che sinora non siano state generalmente percepite e comprese la gravità, l'estensione, la frequenza dei ricorrenti tentativi di sovvertimento delle nostre libere istituzioni, tanto più preoccupanti in quanto nessun altro Paese democratico ha subito, sofferto, tollerato e, quel che è peggio, protetto in egual misura [..] una paragonabile situazione permanente di violenza eversiva, indirizzata insolentemente e spregiudicatamente all'instaurazione di un ordinamento autoritario9.

1. L'esperimento politico dell'apertura a sinistra

La notte del 10 ottobre 1963 Longarone, paese nel bellunese, e le sue frazioni venivano seppelliti da una coltre di roccia e fango. Responsabile dell'accaduto fu un intero costone del monte Tocc che, franando nel bacino della diga, causava l'espulsione di milioni di litri d'acqua. La catastrofe del Vajont combinò la forza avversa della natura con l'imperizia e con le sconsiderate (oltre che interessate) valutazioni degli uomini, causando oltre duemila morti. La disgrazia sembrava sancire l'inizio di una brusca inversione di tendenza: il Vajont svelava le controindicazioni del miracolo economico e rivelava la fugacità dell'ottimismo che, fino ad allora, aveva nutrito le speranze degli Italiani.

Il dopoguerra era stato un periodo di cruciali cambiamenti: l'incremento degli indici economici e il diffondersi del benessere a strati sempre più vasti della popolazione avevano comportato un sensibile miglioramento delle condizioni di vita individuali. A ciò conseguì il presentarsi di richieste da parte di chi non poteva più accettare posizioni passive e remissive nei confronti del tradizionale potere politico ed economico. Reclamate a gran voce, certe nuove esigenze gettavano nella difficoltà gli uomini di politica e le istituzioni repubblicane che, a fatica, rispondevano alle volontà dei cittadini: ammodernamento del sistema politico, maggior partecipazione democratica, diffusione delle libertà civili, realizzazione di una vera giustizia sociale cui si aggiungeva il sempre maggiore rifiuto delle gerarchie dei partiti e dei sindacati, queste erano le principali richieste.

I primi anni Sessanta si aprivano con l'ipotesi da tempo vagheggiata che l'incontro fra Democrazia cristiana e Partito socialista italiano fosse realizzabile; infatti, le elezioni amministrative del 1960 denunciarono una consistente avanzata delle sinistre. Addirittura l'opinione pubblica statunitense aveva individuato nella cosiddetta apertura a sinistra una strada piacevolmente percorribile: se moderate, le sinistre avrebbero emarginato i comunisti dalla scena politica. Per questo il PSI, scagliatosi sin dal primissimo dopoguerra contro le 9 N. Bobbio, commento alla sentenza di rinvio a giudizio per la strage alla stazione di Bologna, 1986, in G. Flamini,

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radicali posizioni comuniste, faceva al caso loro:

[..] la dirigenza democristiana voleva [..] dividere la sinistra. Su questa linea era d'accordo anche John Kennedy, e Moro, Fanfani e i dorotei seppero efficacemente richiamarsi ad essa per convincere la destra del loro stesso partito. Se si fosse riusciti a tagliare i legami che univano i socialisti ai loro compagni comunisti, il PCI si sarebbe trovato in completo isolamento politico [..]10.

L'alleanza con il PSI rispondeva all'esigenza di creare maggiore stabilità dentro e fuori dal Parlamento. Nel fulgido periodo del miracolo si era lasciato che il mercato si autoregolasse; adesso, non poche basi teoriche suggerivano che gli spontanei meccanismi del mercato venissero sostituiti da interventi di pianificazione economica. Ciò avrebbe garantito un equilibrato sviluppo economico volto ad appianare i dislivelli del Paese e un più cospicuo consenso da parte della società civile.

Nella Nota aggiuntiva che Ugo La Malfa fece seguire alla Relazione generale sulla situazione

economica del Paese datata 26 maggio 1962, egli metteva in rilievo l'esigenza di risolvere

squilibri territoriali (in primis tra Nord e Sud) per certi versi aggravati dalla «congestione di alcuni centri urbani [..] e dallo spopolamento di altre aree». Per quanto molte situazioni fossero state alleviate in termini assoluti, urgeva che lo Stato intervenisse per correggere le distorsioni dello sviluppo. L'obiettivo della programmazione economica procurò rivalità nei confronti di La Malfa, provenienti dai settori imprenditoriali e dalla stampa conservatrice. La tormentata preparazione della collaborazione governativa tra DC e PSI si era positivamente risolta nel 1962: con la formazione del Governo Fanfani, il Partito socialista promise appoggio ai singoli provvedimenti concordati con il partito di maggioranza, pur astenendosi in sede di voto di fiducia. Gli impegni previsti riguardavano, tra l'altro, la nazionalizzazione dell'energia elettrica, la riforma urbanistica, quella scolastica e il piano

verde, ovvero una pianificazione di interventi a vantaggio dell'agricoltura.

Tuttavia, il percorso tracciato subì un arresto. Il dinamismo di Fanfani, infervorato dal supporto socialista, doveva fermarsi: l'inflazione stava minacciando piccoli e medi risparmiatori e gli industriali mal accettavano il riformismo imposto. La DC rischiava di perdere gran parte del suo elettorato, proprio ora che le votazioni si avvicinavano: per questa ragione, Aldo Moro decise di congelare due importanti riforme riguardanti l'istituzione della regioni e la pianificazione urbanistica. Con la bocciatura in sede di Consiglio dei ministri

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della lungimirante legge correttiva di Fiorentino Sullo11, naufragarono gli obiettivi di porre un

freno alla crescita incontrollata delle città, alla base di gravi disordini sociali, e di arrestare quel processo speculativo, divenuto tipico del mercato immobiliare italiano.

Nello stesso 1963, i risultati delle elezioni non apparvero favorevoli per il centro-sinistra e il già delicato esperimento organico (si trattava di un governo che poteva finalmente contare sulla presenza di ministri socialisti) guidato da Aldo Moro, ne subì i contraccolpi. Le prospettive si arenarono nelle contrapposizioni partitiche e ben presto, la debolezza dei governi di centro-sinistra si rivelò in stridente contrasto con le aspettative che avevano accompagnato la loro nascita: la collaborazione governativa DC-PSI fu una chimera che finì per accentuare l'inadeguatezza delle istituzioni politiche nazionali.

Più precisamente: i risultati elettorali del '63 avevano mostrato una DC penalizzata dall'apertura a sinistra, che scendeva per la prima volta sotto il 40%, tuttavia l'esperimento doveva pur continuare: il Presidente della Repubblica Antonio Segni incaricò Moro di formare il nuovo governo in cui includere i socialisti, maldisposti a continuare con la formula dell'appoggio esterno.

Il programma di Moro era così vasto da meritare l'appellativo di «brevi cenni sull'Universo», assegnatogli da Sennato Marzagora, Presidente del Senato. Dall'istituzione delle regioni alla riforma della scuola, dall'equilibrio Nord-Sud alla legge sull'edilizia, dall'agricoltura alle legge anti-monopolio: tutte queste problematiche erano considerate, dal nuovo governo, compiti prioritari. Un progetto senza dubbio ambizioso che tuttavia, concluse Moro: «se il Parlamento ci concederà la fiducia, noi realizzeremo interamente»12. Eppure, il primo governo

a partecipazione socialista fu un flop: nato «a stento sotto le spesse ombre di un compromesso mal congegnato e suscettibile di equivoci e contrasti13» l'esperimento cadde clamorosamente

sotto i colpi delle divisioni partitiche.

Inoltre, fra il 1963 e il 1964, l'Italia del boom lasciava spazio alla più sfiduciata Italia della

congiuntura ovvero una crisi temporanea che rischiava di intaccare non solo l'economia, ma

anche la democrazia. In questa situazione, la premura di Moro per le riforme non tardò, come già in precedenza, ad essere rinviata. Nel 1964, Moro dette le proprie dimissioni: in sei mesi, il governo che aveva sposato la politica del rinvio dovette ammettere il fallimento. Seguirono altri due governi Moro in cui l'obiettivo principale era evidentemente la sopravvivenza del 11 Fiorentino Sullo, (1921/2000), politico democristiano, ricopriva nel 1962 il ruolo di Ministro dei lavori pubblici.

Propose la legge urbanistica n. 167 nell'aprile 1962.

12 G. Tamburrano, Storia e cronaca del centro-sinistra, Feltrinelli, Milano 1971, p. 289.

13 L. Bianchi, Moro ha fatto il governo. L'evento nuovo: i socialisti partecipano al potere, Corriere della Sera, Milano 5 dicembre 1963. Consultato su A. Varni (a cura di), La Storia nelle prime pagine del Corriere della Sera, Rizzoli, Milano 2016 p. 335.

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centro-sinistra. La forma aveva superato la sostanza e l'immobilismo, imperterrito, non abbandonava la politica italiana. C'era uno scarto enorme tra le programmazioni degli svariati governi di centro-sinistra e le realizzazioni concrete: l'industria elettrica era stata nazionalizzata, ma in un modo tale che gli ex monopoli potessero mantenere un ampio potere finanziario; la scuola media dell'obbligo si era estesa ai quattordici anni di età, ma la programmazione delle scuole superiori e delle università rimaneva arcaica; la riforma fiscale non era stata introdotta e il sistema sanitario nazionale rimaneva un miraggio.

2. Uno Stato parallelo: prime avvisaglie

Il '64 non aveva ancora finito con i colpi di scena: per la prima volta (e non certo ultima) nella storia della prima Repubblica, si tentò di sovvertire l'ordinamento democratico. Per saperne di più, si dovette attendere il 14 maggio 1967 quando Lino Jannuzzi pubblicò sul giornale l'Espresso un articolo dal titolo eloquente: Finalmente la verità sul Sifar. 14 luglio 1964.

Complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato14. Nel 1969, poi, una veemente campagna stampa costrinse il governo a nominare una Commissione d'inchiesta sugli eventi dell'estate 196415.

Le relazione di maggioranza e quella di minoranza (presentata da esponenti delle sinistre come Umberto Terracini e Carlo Galante Garrone) concordarono nel ricostruire le misure predisposte da De Lorenzo, tuttavia il giudizio su di esse divergeva completamente. Per la relazione di maggioranza certe misure erano state concepite in chiave prettamente difensiva: seppur inammissibili, certe disposizioni non corrispondevano alla volontà di costituire una minaccia per lo status quo né sarebbero state finalizzate a un colpo di Stato. La Commissione di maggioranza concludeva riconducendo la «deplorevole iniziativa [..] alla responsabilità primaria del generale De Lorenzo»16; il Piano Solo, dunque, sarebbe stato l'assurdo capriccio

di un singolo.

Per la relazione di minoranza, invece, De Lorenzo avrebbe agito per «colpire profondamente le istituzioni, al di là della loro sopravvivenza formale, e la Costituzione»17. Ma che cosa era

14 L'articolo di Jannuzzi è consultabile su http://temi.repubblica.it

15 L a Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 venne istituita con la legge del 31 marzo 1969 n. 93 e chiuse i propri lavori il 15 dicembre 1970 con la presentazione di una relazione di maggioranza e di quattro relazioni di minoranza. L'archivio della Commissione fu poi versato in un unico fondo segreto.Le relazioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, V Legislatura, sono consultabili su http://www.senato.it.

16 Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, G. Alessi, Relazione di maggioranza, volume I, p. 1316. Consultato su http://www.senato.it , in data 17 novembre 2017.

17 Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, U. Terracini, U. Spagnoli, N. D'Ippolito, A. Galante Garrone e F. Lami, Relazione di minoranza, volume II, pp. 301-302. Consultato su http://www.senato.it, in data 17 novembre 2017.

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veramente accaduto in quel luglio del '64?

L'allora Presidente della Repubblica, Antonio Segni, aveva appena incaricato Moro di formare un nuovo governo. L'avversione di Segni verso l'ipotesi di una ennesima coalizione con i socialisti era nota, tant'è che egli non tardò a mostrare i primi segni di impazienza dovuti al prolungarsi dei negoziati fra i partiti. Il 15 luglio, Segni prese l'anomala iniziativa di convocare al Quirinale il generale Giovanni De Lorenzo. Nominato comandante del Servizio segreto dell'esercito italiano (SIFAR) nel 1955, De Lorenzo dal '59 aveva cominciato a collezionare esaurienti fascicoli riguardanti i principali politici italiani «che possono assurgere ad alte cariche o comunque inserirsi o essere interessati alle principali attività della vita nazionale, in qualsiasi campo18», sotto esplicita richiesta degli Stati Uniti. Nel 1962, venne

nominato comandante dei carabinieri e, per merito della sua abilità, fu in grado di costituire un reparto personale dell'esercito, una piccola milizia superiore per disciplina ed efficienza al resto delle forze armate. Nello stesso '64, De Lorenzo aveva provveduto alla stesura del cosiddetto Piano Solo: un piano anti-insurrezionale, con metodiche tuttavia sovversive. Il piano prevedeva, in prima battuta, la redazione di liste contenenti i nominativi delle persone pericolose per la sicurezza pubblica. Complici gli omissis statali, il documento non fu mai rinvenuto, tuttavia è largamente probabile che tra di loro emergessero leader comunisti, socialisti e sindacali. All'arresto di questi ultimi, avrebbe conseguito l'occupazione delle prefetture, delle radio-televisive, delle centrali telefoniche e delle direzioni di alcuni partiti politici.

Sorprende come le disposizioni del piano di De Lorenzo somiglino a quelle contenute nel piano Prometeo del colonnello Papadopoulos, promotore dell'instaurazione di un governo militare in Grecia, nell'aprile 1967: ciò lascia sorpresi soprattutto alla luce delle dichiarazioni della Commissione di maggioranza la quale, lo ricordiamo, riconobbe soltanto la natura difensiva del fenomeno Solo.

Ad oggi, il ruolo di Segni in questa vicenda rimane irrisolto: certamente il Presidente non era interessato al colpo di Stato, né possiamo affermare che fosse a totale conoscenza delle intenzioni eversive di De Lorenzo. Tuttavia, è probabile che Segni intravedesse nel generale la possibilità di porre fine all'esperienza del centro-sinistra, di istituire un governo tecnico e, forse, un accrescimento del potere presidenziale, in pieno stile gollista.

La minaccia del golpe tuttavia bastò per evitarne l'attuazione: la mancata organizzazione, ma soprattutto l'accelerazione dei negoziati politici scongiurarono il pericolo. Pietro Nenni (vice 18 A. Silj, Malpaese. Criminalità, corruzione e politica nell'Italia della prima Repubblica 1943-1994, Donzelli, Roma 1994, p. 55.

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Presidente del precedente Governo Moro) e i socialisti cercarono di evitare ogni obiezione. Nenni parlò in questi termini della crisi appena passata:

Improvvisamente i partiti e il Parlamento hanno avvertito che potevano essere scavalcati. La sola alternativa... è stata quella d'un governo di emergenza, affidato a personalità cosiddette eminenti, a tecnici, a servitori disinteressati dello Stato, che nella realtà del Paese qual è, sarebbe stato il governo delle destre, con un contenuto fascistico-agrario-industriale, nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito19.

Il SIFAR (accusato di aver travalicato i propri limiti, arrogandosi il diritto di compilare le liste) cessò di esistere formalmente nel novembre del 1965, sostituito dal nuovo Servizio informazioni della Difesa (SID), sebbene struttura e strategia restassero immutate. Inoltre, l'indifferenza nutrita nei confronti dei responsabili del Piano Solo lasciava irrisolte alcune questioni: perché le reti eversive non erano state punite? Perché si lasciò che il piano di De Lorenzo fosse il primo passo di un cammino che condusse alla strategia della tensione? Su quali culture e quali complici si poté contare?

Il periodo della tensione fu una parentesi complicata: per una cognizione del fenomeno che rifiuti semplicistiche interpretazioni, è bene rivelare le dinamiche che ne furono all'origine, così da comprendere le ragioni che hanno reso difficile l'individuazione delle relative responsabilità e la punibilità di queste ultime.

Bisogna dunque risalire ai primordi della Repubblica per delineare il contesto in cui, un quarto di secolo più tardi, conflagreranno le ondate del terrorismo e dello stragismo. Le tristi vicende che avrebbero intasato la storia della prima Repubblica non troverebbero comprensibile collocazione se il Bel Paese non fosse prima inserito in un più ampio contesto: [Bisogna] ricordare quale fosse la nostra collocazione geopolitica durante la guerra fredda. Noi eravamo un Paese doppiamente di confine: c’era un limes esterno, con i Paesi dell’Est, ma allo stesso tempo esisteva un limes interno, giacché la cortina di ferro attraversava l’Italia e la spaccava in due, occidentali amici dell’America e orientali amici dell’Unione Sovietica. 19 Pietro Nenni, Avanti!, 26 luglio 1964. Facendo appello agli eventi del 1960, Pietro Nenni vuol ricordare il periodo

della coalizione di centro-destra che comprese gli anni dal 1957 al 1960. L'esperimento di centro-destra raggiunse il suo apice quando Fernando Tambroni, incaricato dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, decise di costituire un governo di soli democristiani, avvalendosi dei voti dei parlamentari del Movimento sociale italiano al momento del voto di fiducia. L'appello rivolto agli esponenti del MSI destò reazioni negative sia tra i partiti centristi che fra i partiti di sinistra; essi considerarono la manovra politica di Tambroni un tradimento degli ideali su cui era stata costruita la Repubblica. Ad aggravare i malumori, si aggiunse il permesso concesso al MSI da parte di Tambroni, di tenere il suo congresso a Genova, città che, tra le altre cose, aveva ricevuto la medaglia d'oro per la partecipazione alla Resistenza. Le rivolte scoppiarono nel capoluogo ligure come in altre città d'Italia; il congresso venne rinviato e Tambroni fu costretto alle dimissioni. Il luglio del 1960 viene ricordato per le violenze verificatesi durante le contestazioni.

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L’Italia era segnata da una contrapposizione ideologica e di civiltà. Gli equilibri politici nazionali erano condizionati dalla costellazione geopolitica mondiale. [..] È chiaro che in questa condizione l’Italia era più un oggetto che un soggetto della politica internazionale20.

L'anticomunismo accomunò molti attori politici, dal fronte più moderato a quello più estremo delle forze neofasciste. Certo, l'apertura a sinistra avallata, tra gli altri, anche da John Kennedy, aveva suggerito una certa distensione anche a livello internazionale, tuttavia non si fatica a credere che già nel primissimo dopoguerra si fosse lavorato alla preparazione della forze armate in funzione di una lotta anticomunista, alla formazione di un soldato forgiato per fronteggiare la minaccia del pericolo rosso.

Fra le strutture di questo tipo, Gladio merita specifica menzione: nato nei primi anni Cinquanta, divenne noto all'opinione pubblica solo nel 1990. L'ottobre di quell'anno, Giulio Andreotti, allora Presidente del Consiglio, inviò una relazione alla Commissione stragi21,

incaricata di investigare sullo stragismo e sulla mancata punizione dei responsabili, in cui svelava una collaborazione tra i servizi segreti dell'esercito italiano e la CIA. Questa collaborazione si chiamava Gladio.

Agli albori della Guerra fredda, si temette che la frontiera Nord-Est della Penisola potesse cadere sotto l'invasione comunista; certe preoccupazioni tracciarono il sentiero per l'organizzazione di strutture con vertice militare e base operativa composta da civili. Nell'eventualità di un'invasione o, addirittura, di una sovversione comunista interna al Paese, tali strutture sarebbero state chiamate ad intervenire. Progressivamente queste squadre anti-insurrezionali tesero ad istituzionalizzarsi, finendo coinvolte nelle cosiddette organizzazioni

Stay-Behind. Si trattava di operazioni realizzate in funzione anticomunista e coordinate dalla

NATO che, in Italia, trovavano espressione nei gruppi paramilitari di Gladio. Possiamo affermare che:

E' certo che nell'immediato dopoguerra furono costituite strutture paramilitari segrete soprattutto nella parte nord-orientale del paese;

E' certo che nel medesimo arco temporale sorsero nel paese organizzazioni di natura privata in funzione anticomunista;

E' probabile che il sorgere di tali organizzazioni sia stato favorito anche con aiuti finanziari da parte degli Stati Uniti;

E' altamente probabile che all'interno del Ministero dell'Interno siano state costituite strutture 20 F. Cossiga, intervista di L. Caracciolo, Perché contiamo poco, in Limes. Una rivista politica, 3 giugno 1995.

Consultato su http://www.limes.espresso.repubblica.it in data 6 novembre 2017.

21 La Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei

responsabili delle stragi venne costituita, per la prima volta, durante la X Legislatura della Repubblica italiana.

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che, al di là dei compiti istituzionali apparentemente loro affidati, perseguissero analoghe finalità;

E' probabile un accentuato parallelismo tra le anzidette strutture pubbliche e private;

E' indubbio che tali certezze e tali elevate probabilità obbedissero ad un unico [..] disegno strategico22.

Quanto detto lascia intuire che Gladio fu una presenza importante nella progettazione della battaglia anticomunista, ma il suo ruolo non deve essere sopravvalutato: Gladio non esaurisce certo la tela di organizzazioni che si mossero in quegli anni. É errato individuare in Gladio l'unica responsabile delle vicende della strategia della tensione, così come è errato darne per scontata la natura neofascista. A questo proposito, è bene ricordare quanto testimoniato da Francesco Cossiga (ritenuto fra i padri di Gladio) nel vicino 2008: «gli uomini di Gladio erano ex partigiani. Era vietato arruolare monarchici o fascisti o anche solo parenti di fascisti: un ufficiale di complemento fu cacciato dopo il suo matrimonio con la figlia di un dirigente MSI»23. Un altro sostenitore della legalità di Gladio fu il giornalista Indro Montanelli che non

esitò nel confermare che, se avesse saputo della sua esistenza, avrebbe dato la propria adesione alla struttura con grande entusiasmo.

Rimane da chiarire quale ruolo avrebbe avuto Gladio se il Piano Solo avesse avuto seguito. C'è da sottolineare che spesso i vertici di certe strutture clandestine coincidevano con i vertici degli apparati istituzionali: così, come pare impossibile che l'Arma fosse ignara dei progetti cui si occupava il Servizio segreto militare (costituito prevalentemente da carabinieri), alla stessa maniera pare difficile che in una situazione d'emergenza, Gladio non venisse inclusa nelle operazioni. Come si legge nella relazione della Commissione stragi: «è evidente [..] che il Piano Solo non è riconducibile a Gladio, anche se l'esistenza della struttura clandestina era dal piano indubbiamente presupposta nel senso che il primo della seconda prevedeva una precisa utilizzazione»24.

Anche la fazione comunista si dotò, a sua volta, di strutture paramilitari in grado di attivarsi qualora, ad esempio, il PCI fosse stato dichiarato fuori legge. Anche in questo caso, i finanziamenti esteri non mancarono: il PCUS e il KGB furono i finanziatori di quella che oggi 22 G. Pellegrino, proposta di relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle

cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, XII Legislatura, dicembre 1995. Consultata su P. Cucchiarelli, A. Giannuli, Lo Stato parallelo. L'Italia «oscura» nei documenti e nelle relazioni della Commissione

stragi, Gamberetti Editrice, Roma 1997, p. 63.

23 A. Cazzullo, Cossiga compie 80 anni: «Moro? Sapevo di averlo condannato a morte», Corriere della sera, 8 luglio 2008. Consultato su http://www.corriere.it, in data 6 novembre 2017.

24 G. Pellegrino, proposta di relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, XII Legislatura, dicembre 1995. Consultata su P. Cucchiarelli, A. Giannuli, Lo Stato parallelo. L'Italia «oscura» nei documenti e nelle relazioni della Commissione

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chiamiamo la Gladio rossa.

Le due organizzazioni Gladio riproposero, in piccolo e sullo scenario italiano, il confronto di potenziale operatività tipico della Guerra fredda: le due organizzazioni, per lungo tempo, si studiarono a vicenda mantenendo, paradossalmente, un certo equilibrio.

Gladio e Gladio rossa furono presto affiancate da altre organizzazioni che integrarono gli

ambienti del terrorismo nero e di quello rosso. Durante i famigerati anni di piombo, anche i due terrorismi non si fronteggiarono direttamente: perché? Interpretazione interessante del fenomeno è quella di Guido Panvini, contenuta nel saggio Lo scontro mancato tra terrorismo

nero e terrorismo rosso nell'Italia degli anni di piombo:

La memoria storica della guerra civile, i contrasti portati dalla Guerra fredda e l'endemica conflittualità che aveva visto contrapporsi [..] i militanti di destra e di sinistra, furono elementi di forte divisione che perdurarono per tutti gli anni Settanta. Il conflitto ideologico tra gli estremismi può nascondere, però, analogie [..]. L'antagonismo espresso nei confronti del sistema, infatti, esploso con la contestazione studentesca [..], travalicò le tradizionali divisioni politiche [..]. Il nemico mortale per entrambi i terrorismi fu incarnato da una modernità, rappresentato dalla sintesi tra democrazia e capitalismo, che sembrò togliere ogni speranza di rivoluzioni, tanto comunista quanto conservatrice [..]25.

Come riferì Norberto Bobbio: «ideologie opposte possono trovare punti di convergenza e di accordo [..] pur restando ben distinte rispetto ai programmi [..] da cui dipende la loro collocazione»26. Le differenze fra terrorismo neofascista e terrorismo di sinistra tesero così ad

assottigliarsi: antifascismo e anticomunismo si ridimensionarono non appena lo scontro con lo Stato si accentuò, in un processo che condusse le ideologie a svuotarsi di significato, fino a determinare la totale dispersione delle loro identità.

Ma torniamo agli anni Sessanta; abbiamo visto come, quando la mutata situazione sociale ed economica creò le condizioni per un'apertura a sinistra, la reazione delle forze neofasciste non avesse tardato a manifestarsi: il tentato golpe di De Lorenzo ne fu un eloquente esempio, ma a questa vicenda si deve aggiungere un altro episodio significativo: il convegno organizzato dall'Istituto Alberto Pollio per gli affari strategici, nel maggio del 1965. Dal 3 al 5 maggio, presso l'hotel Parco dei Principi a Roma, si tenne un incontro che prendeva il titolo di

La guerra rivoluzionaria. Costituito nel 1964, l'Istituto Pollio era un organismo privato nato

negli ambienti vicini allo Stato Maggiore della Difesa (SMD) per iniziativa di due giornalisti 25 G. Panvini, Lo scontro mancato tra terrorismo nero e terrorismo rosso nell'Italia degli anni di piombo,in M. Lazar

(a cura di), M. A Matard-Bonucci, Il libro degli anni di piombo. Storia e memoria del terrorismo italiano, Rizzoli, Bologna 2010, p. 64.

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di estrema destra, Enrico De Boccard e Gianfranco Finaldi, prontamente affiancati da Edgardo Beltramenti, stretto collaboratore del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Giuseppe Aloja. Il convegno rappresentò l'occasione per sottolineare l'ossessione per il pericolo comunista e la fobia per la distensione, percepita come strumento di indebolimento dell'occidentalismo a favore del comunismo. I partecipanti non si limitarono a programmare g l i step di un possibile conflitto armato proveniente dall'Est, gli interventi di carattere strutturale dovevano essere ben più ampi: la relazione di Pio Alessandro Carlo Fulvio Filippani-Ronconi ne è la prova. Il professore di sanscrito, abitualmente contattato dagli apparati dell'intelligence per decriptare messaggi in codice, descriveva la formazione di uno schieramento di uomini, divisi in tre piani distinti:

L'errore fondamentale compiuto dalle cosiddette controrivoluzioni [..] consiste nell’avere costantemente schierato su una sola linea ideale e pratica [..] e, in base a un criterio omogeneo, tutte le forze disponibili, attribuendo implicitamente eguali compiti e quindi eguali rischi a uomini atti, invece, a impieghi totalmente diversi: in caso di sconfitta, parziale o totale, si è avuta di conseguenza la distruzione totale delle forze impegnate senza possibilità di ripresa. [..] durante l’azione, gli uomini meno qualificati hanno notevolmente intralciato l’opera di coloro che avrebbero dovuto eseguire compiti ad un livello tecnico più specializzato. [Dovremmo preparare] uno schieramento differenziato, su scala nazionale ed europea, delle forze disponibili per la difesa e per l'offesa.

Questo schieramento differenziato obbedisce al criterio di fare agire su tre piani complementari [..] le tre categorie di persone sulle quali si può in diversa misura contare, assegnando ad ogni categoria compiti commisurati alle sue reali possibilità [..]. Schematicamente si tratta di ciò:

A. su un piano più elementare disponiamo di individui i quali, seppure bene orientati e ben disposti nei riguardi di un’ipotetica controrivoluzione, sono capaci di compiere un'azione puramente passiva che non li impegni in modo da affrontare immediatamente situazioni rischiose [..];

B. il secondo livello potrà essere costituito da quelle altre persone naturalmente inclini o adatte a compiti che impegnino azioni di pressione, come manifestazioni sul piano ufficiale, nell'ambito della legalità, anzi, in difesa dello Stato e della legge conculcati dagli avversari. Queste persone che, suppongo, potrebbero provenire da Associazioni di Arma, nazionalistiche, irredentistiche, ginnastiche, di militari in congedo, ecc.., dovrebbero essere pronte ad affiancare, come difesa civile [..] le forze dell'ordine (esercito, carabinieri, pubblica sicurezza, ecc...) nel caso che fossero costrette ad intervenire per stroncare una rivolta di piazza [..];

C. a un terzo livello, molto più qualificato e professionalmente specializzato, dovrebbero costituirsi (in pieno anonimato sin d'adesso) nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di contro-terrore [..];

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le attività in funzione di una guerra totale contro l’apparato sovversivo comunista e dei suoi alleati, che rappresenta l’incubo che sovrasta il mondo moderno e ne impedisce il naturale sviluppo27.

Sempre in quell'occasione, il citato Beltramenti descrisse la guerra rivoluzionaria, intesa come l'opposizione all'avanzata comunista, come un compito espressamente richiesto dall'Alleanza Atlantica28: questa dichiarazione mostrava, ancora una volta, l'interesse

statunitense al mantenimento dello status quo in Italia. A quell'incontro, parteciparono alti ufficiali dell'esercito come Guido Giannettini, Pino Rauti e studenti universitari come Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino: i nomi di questi personaggi sarebbero comparsi, pochi anni dopo, nelle cronache delle indagini sui più gravi fatti eversivi.

Nella seconda metà degli anni Sessanta, la nascita di realtà paramilitari non si esaurì, anzi subì un certo incremento: secondo quanto emerso dalle indagini della Commissione Stragi di Giovanni Pellegrino, nel 1966, i noti estremisti neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura29

inviarono una lettera anonima a circa duemila uomini in divisa dove si annunciava la creazione di una struttura, l'ennesima, anticomunista. Le forze armate erano invitate a parteciparvi. I Nuclei di difesa dello Stato (era questo il nome prescelto) avrebbero fermato l'infezione comunista prima che essa divenisse mortale e avrebbero svolto una importante opera di copertura nei confronti di organizzazioni della destra estrema come Ordine Nuovo e

Avanguardia nazionale. A dover essere occultato, il probabile link fra queste strutture e la

NATO, per negare la possibilità che l'apparato difensivo della NATO facesse appello ai gruppi clandestini di estrema destra. In una testimonianza fornita alla Commissione di Pellegrino si leggeva:

Tale struttura si chiamava Nuclei di difesa dello Stato. La finalità della struttura era certamente quella di fare un colpo di Stato all'interno di una situazione che prevedeva attentati dimostrativi, preferibilmente senza vittime, al fine di spingere la popolazione a richiedere o ad accettare un governo forte. Ovviamente in un attentato potevano esserci vittime casuali, ma questo, secondo chi dirigeva la struttura, era un prezzo che, in uno scontro così grosso per il nostro Paese, si poteva pagare [..]. La struttura si è sciolta nel 1973, mi sembra in ottobre. [..] Mi fu detto che si temevano indagini giudiziarie che potessero portare all'individuazione della struttura grazie all'impegno di qualche magistrato più deciso. [..] Erano previsti anch 27 P. F. Ronconi, intervento tenuto al convegno La guerra rivoluzionaria, 3-5 maggio 1965. Consultato su P.

Cucchiarelli, A. Giannuli, Lo Stato parallelo, cit., p. 109.

28 P. Willan, I burattinai. Stragi e complotti in Italia, Edizioni Tullio Pironti, 1993.

29 I due neofascisti furono ispirati dal pamphlet di Guido Giannettini e Pino Rauti, in Le mani rosse sulle forze armate

e altri scritti miliari di Henke, Liuzzi, Beltramenti e delle Scuole di guerra. Come fascisti, generali e golpisti teorizzarono l'uso delle FF.AA nella guerra civile, Savelli, Roma 1975.

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addestramenti in Sardegna [..]. La struttura[..] era certamente diversa da Gladio, ritengo però probabile che dopo lo scioglimento della nostra struttura, si sia cercato di riciclare un certo numero di suoi componenti nella struttura Gladio30.

Non esistono prove sufficienti a corroborare l'esistenza di una collaborazione fra i neofascisti e gli Americani anzi, alcuni documenti ci lasciano credere che la Casa Bianca avesse, per l'Italia, progetti davvero diversi da quelli verificatisi seguitamente in Grecia. Che l'Italia fosse avamposto della Guerra fredda non c'era alcun dubbio, tuttavia, attesta un rapporto del Dipartimento di Stato già nel 1962:

sebbene un regime di destra extralegale sarebbe, a breve termine, molto meno pericoloso per gli interessi americani di un regime che include i comunisti [..] sarebbe sicuramente contrario ai nostri interessi a lungo termine in Italia. E a meno che non risulti la sola alternativa a una situazione di caos totale che rischia di aprire la strada a a una possibile presa del potere del PCI, dobbiamo usare la nostra influenza politica per prevenire un simile sviluppo politico31.

La questione, come si vede, è controversa. Rimane aperta la possibilità che i Servizi segreti italiani e la CIA avessero collaborato clandestinamente, alle spalle di Washington.

Secondo quanto emerge dai risultati investigativi della suddetta Commissione parlamentare d'inchiesta, diretta da Pellegrino, si può comunque accertare la veridicità dell'Operazione

Chaos: progettata nel 1967, l'operazione prevedeva l'infiltrazione di una serie di gruppi di

estrema sinistra in più Stati così da ottenere un innalzamento del livello di scontro. Il timore degli attentati avrebbe indotto l'opinione pubblica ad accettare disposizioni di ordine interno. Alla solita maniera era impostata l'operazione Delfino. Il progetto si rivelò essere una prova generale per la strategia della tensione: nel Nord-Est d'Italia, si sarebbero provocati attentati la cui responsabilità sarebbe stata attribuita ai settori sinistroidi della società. L'opinione pubblica avrebbe, così, prediletto la fazione moderata, centrista e tendenzialmente conservatrice del governo, rifuggendo l'ipotesi comunista.

3. Dalla contestazione studentesca all'autunno caldo

Nel 1966, un'altra catastrofe toccò l'animo degli Italiani, dimostrando l'assoluta impreparazione dello Stato di fronte ad un'emergenza. Nella notte fra il 5 e il 6 novembre, Firenze si ritrovò invasa dall'acqua, isolata e dunque incapace di coordinare un piano 30E. Ferro, deposizione al Gi di Milano, 28 aprile 1984, in Archivio di Commissione Stragi. Consultato su P. Cucchiarelli, A. Giannuli, Lo Stato parallelo. L'Italia «oscura» nei documenti e nelle relazioni della Commissione

Stragi, Gamberetti Editrice, Roma 1997, p. 115.

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d'emergenza. La causa dell'alluvione, sostennero i tecnici, era ascrivibile, oltre che alle piogge che caddero abbondanti per tre giorni consecutivi, alla cattiva condizione delle fogne.

L'Italia si rivelò incapace di difendersi: eppure, la previsione di fatti simili, con descrizione delle cause e proposte per ovviare al problema, era già ampiamente presente nelle relazioni di esperti universitari e tecnici del genio civile. Il parlamento, nel 1962, aveva approvato la

Legge dei fiumi che tuttavia ebbe limitata applicazione, lasciando le cose più o meno al punto

dov'erano. La deficienza del sistema idraulico difensivo non danneggiò solo Firenze; il maltempo fece danni anche nel Veneto e nel Polesine a dimostrazione che, anche quando si sarebbe potuto intervenire con un processo di ammodernamento del Bel Paese durante il

boom economico, si preferì rimandare relegando l'Italia allo stato di obsoleta macchina in

rovina. Frane, ponti crollati, abitazioni devastate e poi morti, in tutto una settantina.

L'alluvione di Firenze interruppe le prime mobilitazioni studentesche. A Trento, la facoltà di sociologia era stata occupata sin da gennaio e, l'ottobre dello stesso anno, l'episodio si verificò di nuovo: gli studenti protestavano contro il piano di studi e lo statuto, proponendo alternative a quanto fosse in elaborazione. Tuttavia, l'alluvione che colpì l'Italia centro-settentrionale spinse molti studenti ad abbandonare, momentaneamente, la protesta per portare aiuto nelle aree colpite: i volontari, gli angeli del fango, salvarono dalla melma le opere d'arte e i patrimoni che, altrimenti, sarebbero andati perduti:

chi viene anche il più cinico, anche il più torpido, capisce subito [..] che d'ora innanzi non sarà più permesso a nessuno fare dei sarcasmi sui giovani beats. Perché questa stessa gioventù [..] oggi ha dato [..] un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo per la salvezza di un bene comune. Onore ai beats, onore agli angeli del fango32.

Questo incontro spontaneo di giovani che, da tutta Italia (ma anche dall'estero) accorrevano in aiuto, contribuì a far sorgere in loro lo spirito di appartenenza ad una classe studentesca con necessità e volontà comuni.

É proprio dagli studenti che scaturì un movimento allargatosi poi ai più vari settori della società: la difficile situazione politica derivata dal fallimento delle speranze riformatrici del centro-sinistra si ripercosse nei luoghi di aggregazione dove, nuovi attori sociali iniziarono a reclamare la propria partecipazione alle scelte del governo. L'immobilismo dei vertici venne compensato dal forte attivismo alla base della società; università e fabbriche divennero gli 32 G. Grazzini, Si calano nel buio della melma, Corriere della Sera, 10 novembre 1966. Consultato su A. Varni (a cura

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scenari di un'azione collettiva che mise in discussione l'assetto socio-politico italiano, a quasi tutti i livelli. In Italia, il movimento di protesta fu profondo e duraturo: sebbene, il Sessantotto italiano non possa essere paragonato, per potenzialità rivoluzionaria, al maggio francese del '68, le peculiarità del contesto italiano attribuirono al fenomeno un significato pregnante. Questa considerazione è tanto vera al momento che consideriamo il Sessantotto l'antefatto alla

strategia della tensione, ma procediamo per gradi.

L'Università, come l'Italia tutta, aveva bisogno di rinnovamento. Gli studenti, grazie anche all'estensione della scuola obbligatoria e al miglioramento generale delle condizioni di vita, erano aumentati notevolmente: l'Università, fino a quel momento d'élite, era divenuta di massa. In ambiente accademico, grande importanza era stata acquisita dai cosiddetti baroni, docenti che si limitavano a sostenere lezioni frontali evitando in toto il rapporto umano con gli studenti. Non c'erano né seminari, né esercitazioni, l'esperienza utile ad un possibile inserimento nel mondo lavorativo era totalmente assente e la severissima valutazione degli esami (quasi sempre orali) era spesso soggettiva e non controllata. Per un sistema già così fortemente precario, la decisione di liberalizzare l'accesso fu deleteria. I meno abbienti erano costretti a lavorare durante il percorso universitario impedendo loro di frequentare assiduamente le lezioni. Un contesto simile finiva per incidere notevolmente sulle capacità di conseguimento del titolo di laurea; in pratica, pur affermando il concetto di libero accesso agli studi, l'Università operava, silenziosamente, una selezione di tipo classista.

A questi limiti, si aggiungeva una componente di tipo ideologico che le due ortodossie dominanti, quella cattolica e quella comunista, finirono per condividere. Così, nel 1967, don Lorenzo Milani33, prete cattolico del dissenso, ben interpretò il sentire di quei giovani:

Guai a chi vi tocca l'Individuo. Il libero sviluppo della personalità è il vostro credo supremo. Della società e dei suoi bisogni non ve ne importa nulla [..]. L'ascensore è una macchina per ignorare i coinquilini. La macchina per ignorare la gente che va in tram. Il telefono per non vedere in faccia e non entrare in casa34.

In linea con le parole contrariate di Milani, molti studenti condividevano assai poco i valori dominanti nell'Italia trasformata dal miracolo economico fra i quali l'individualismo, la sempre più incisiva presenza della tecnologia, l'esaltazione della famiglia tradizionale e la corsa ai consumi. Questi erano gli elementi di critica al sistema e alla generazione che li aveva formulati; andava insidiandosi il dissenso generalizzato verso la figura dei genitori, il 33 Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparett, (1923-1967), fu presbitero, scrittore e docente; la sua figura è legata

all'esperienza didattica che egli svolse nella scuola di Barbiana.

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sentore di un gap generazionale difficile colmare. I valori di solidarietà, azione collettiva e lotta per la giustizia sociale costituivano, invece, il retroterra ideologico alternativo proposto dai giovani. Un altro modello teorico fu costituito dal filosofo Herbert Marcuse, che in una intervista rilasciata al giornalista Gastone Favero, affermava:

Quello che io rifiuto nel senso più completo è il modo in cui questa società [..] sperpera e abusa delle proprie risorse, accresce la ricchezza unicamente di una certa parte della popolazione e [..] non si preoccupa di fare praticamente niente contro l'abietta povertà35.

In breve, possiamo affermare che il movimento studentesco fu molto più di una critica all'obsoleto sistema universitario: si trattò di una rivolta per impedire l'interiorizzazione dei contenuti del consumismo, per ostacolare la radicalizzazione del capitalismo, per sfidare direttamente il modello di modernità che era apparso in Italia negli anni precedenti.

Come spesso è avvenuto nella storia del nostro Paese, l'esperienza del Sessantotto dipese (e al contempo fece da cassa di risonanza) da certe congiunture internazionali come la guerra in Vietnam, espressione della dissoluzione della avanguardista società democratica d'oltreoceano, incarnazione del sogno americano; la Rivoluzione culturale in Cina, che pareva proporre una valida alternativa al modello sovietico; e la morte di Ernesto Guevara, el Che, che munì gli studenti di un mito cui ispirarsi.

La svolta della protesta studentesca fu la battaglia di Valle Giulia: nel febbraio del '68, le facoltà dell'Università di Roma, occupate dai giovani, vennero sgomberate dalla polizia. Gli occupanti si ritrovarono in Piazza Spagna dove decisero di riconquistare la facoltà di architettura, che sorgeva isolata dentro il parco di Villa Borghese. La polizia caricò la folla e gli studenti accettarono lo scontro: quarantasei poliziotti finirono in ospedale, un numero imprecisato di giovani rimase ferito.

Il giornalista Pier Paolo Pasolini, sagace interprete del suo tempo, parlò in questi termini degli universitari coinvolti:

Avete facce di figli di papà. Vi odio, come odio i vostri papà: buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo, siete pavidi, incerti, disperati. Benissimo; ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari. [..] A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento di lotta di classe: e voi, amici [..] eravate i ricchi 35 G. Favero, rubrica di approfondimento del TG, intervista a Herbert Marcuse, 31 maggio 1968. H. Marcuse

(1898-1979), fu filosofo autore del testo L'uomo a una dimensione del 1964. Egli riscosse notevole apprezzamento fra i giovani protestanti, tanto che si parlò di loro come dei mamamaoisti, riferendosi alla vocazione di questi ultimi per Karl Marx, Mao Tse-tung e Herber Marcuse.

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[..]36.

Se fino a quel momento il movimento studentesco era stato relativamente pacifico, da allora la guerriglia fu ritenuta inevitabile e con poca fatica inserita fra gli ideali del movimento. In linea con la logica di Frantz Fanon: «la violenza che ha [..] demolito senza restrizioni i sistemi di riferimento dell'economia, i modi di presentarsi, di vestire, sarà rivendicata e assunta dal colonizzato37»; inoltre, già nel 1963, il mito dei giovani Ernesto Che Guevara, aveva

presentato La guerra di guerriglia: un metodo, testo in cui si invitava all'uso della guerriglia (e non della guerra perché espressione esclusiva dei padroni) per svelare «il vero volto della dittatura violenta delle classi reazionarie [..] e mostrarne al popolo la sua vera natura»38.

Ricollegandosi alle parole di Pasolini, gli studenti non erano privi di difetti: essi non abbandonarono mai il maschilismo della cultura dominante, le loro assemblee spesso soprassederono le regole democratiche e la loro protesta, radicale quanto utopistica, non favorì mai l'applicazione di un piano di riforme. Del resto, il fine da perseguire andava ben oltre le riforme: ciò che si auspicava era il ribaltamento del sistema, non certo una modifica di quest'ultimo.

Se il '68 era stato l'anno degli studenti, il '69 fu l'anno delle tute blu: in pochi mesi, infatti, la contestazione uscì dalle università investendo le fabbriche. Marco Boato, leader della protesta a Trento, indicò queste prospettive:

Ci sarà una prima fase in cui si accentuerà l'impegno sui problemi universitari per allargare la base sociale e recuperare a livello di massa il movimento studentesco. Ci sarà poi una seconda fase sul piano politico, logica conseguenza del discorso sulla contestazione globale e sulla strategia rivoluzionaria del movimento: un allargamento al di fuori dell'università, che porrà anche il problema del collegamento con le altre forze sociali e politiche, principalmente con il movimento operaio39.

Quanto indicato da Boato non tardò a verificarsi. Così come nell'ambito universitario, nel mondo operaio non si era provveduto alla programmazione di soluzioni per le complicanze indotte dallo sviluppo non controllato: l'emigrazione dal Sud verso il Centro-Nord non si era arrestata, anzi; gli esodi rendevano il processo di integrazione piuttosto difficile e, nonostante la ripresa economica post '66, i posti di lavoro non erano sufficienti a soddisfare la richiesta 36 P. Paolo Pasolini, Vi odio, cari studenti (Il PCI ai giovani!), L'Espresso, n. 24, 16 giugno 1968. Consultato su

http://www.repubblica.espresso.it in data 16 novembre 2017.

37 F. Fanon, I dannati della Terra, Torino 1962, p. 8.

38 E. Che Guevara, La guerra di guerriglia: un metodo, in Opere scelte, 1, L'azione armata, Milano 1996, pp. 147-164.

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