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Dentro la Commissione: i membri del comitato ed il dibattito politico

La Commissione parlamentare sulla Loggia Propaganda Due: quando, chi, come e perché

3. Dentro la Commissione: i membri del comitato ed il dibattito politico

Il paragrafo che segue ha lo scopo di dimostrare come la Commissione si inserisse, a pieno titolo, in quel conflitto che caratterizzò l'equilibrio politico degli anni Ottanta italiani: le questioni trattate dal comitato avevano infatti la potenzialità di mettere in difficoltà le maggiori forze politiche rappresentate nella Commissione e dunque di riversarsi negativamente sull'assetto politico dell'Italia tutta. L'altisonante eco dei lavori della Commissione sull'opinione pubblica è dunque giustificato dall'intreccio che quest'ultima creò con l'assetto politico italiano, determinando un dibattito che andava ben oltre il circoscritto significato della Loggia massonica Propaganda Due; infatti, le varie espressioni politiche presenti all'interno della Commissione tesserono le proprie strategie in modo da salvaguardare l'interesse di questo o dell'altro partito, in maniera non difforme da quanto avrebbero fatto in campagna elettorale.

Nella sezione precedente, abbiamo accennato all'interesse mediatico scaturito dall'attività investigativa della Commissione Anselmi; il grande interesse dimostrato dall'opinione pubblica rispondeva alle volontà di taluni membri della Commissione stessa di esportare, fuori dal Parlamento, alcune notizie concernenti le tematiche affrontate, le fratture interne e le testimonianze dei sospetti. Tra tutti, a distinguersi maggiormente furono il Partito Radicale ed il Movimento Sociale Italiano: fin dall'inizio dei lavori i loro rappresentanti, membri della Commissione, si dimostrarono favorevoli alla fuga di notizie che attuarono, in special modo, attraverso rubriche radiofoniche settimanali. Il deputato radicale Massimo Teodori123 (che

avremo modo di rincontrare in merito alla sua relazione di minoranza) subentrato nella seconda metà dei lavori della Commissione, ad esempio, stabilì un filo conduttore con i cittadini, attraverso Radio Radicale: peccato però che, piuttosto che uno strumento di informazione costruttiva, la rubrica si rivelò, spesso e meramente, uno spazio di denuncia sulla fittizia onestà della Commissione e sulle omissioni calcolate di certi colleghi. Anziché accreditare il lavoro della Commissione, questo genere di denunce finirono per lacerare ulteriormente le istituzioni democratiche; presentate attraverso la lente del dietrologismo, esse perdevano credibilità agli occhi degli Italiani e più specificatamente, in un'ottica prettamente pessimista e disfattista, la Commissione veniva mostrata come mera espressione di complottismo e oscurantismo.

123 Massimo Teodori, (1938/-), fu fondatore del Partito Radicale nel 1956 e ri-fondatore dello stesso nel 1963. Fu membro delle Commissioni parlamentari d'inchiesta sul caso Sindona, sulla Loggia massonica P2 e sulle Stragi e terrorismo. Tra le molteplici sue opere, concernenti la nostra ricerca, ricordiamo: La bamda Sindona. Storia di un

ricatto: DC, Vaticano, Bankitalia, P2, Mafia, Servizi segreti, Gammalibri, Milano 1982; P2:la controstoria,

Sugarco, Milano 1986; Ladri di democrazia. Dalla P2 a tangentopoli. Il malaffare politico che ha portato ala fine

Le notizie, d'altra parte, non faticavano ad uscire anche per il nutrito numero di parlamentari che avevano avuto un passato nel mondo della stampa: il democristiano Calarco, già citato, prima di essere eletto senatore era stato direttore della Gazzetta del Sud; il missino Giorgio Pisanò aveva scritto per il settimanale Oggi e aveva poi fondato il Secolo XX; il comunista Alberto Cecchi, iscritto all'Ordine dei Giornalisti dal 1959, era stato giornalista de L'Unità; ed infine Adolfo Battaglia, editorialista de Il Mondo fino al 1963, aveva collaborato con varie testate giornalistiche come La Stampa ed il Corriere della Sera, prima di ottenere il seggio in Parlamento per il Partito Repubblicano.

I membri della Commissione furono, come abbiamo accennato, quaranta e rappresentarono equamente la forza elettorale dei singoli partiti. La loro scelta, diretta dalle segreterie dei singoli partiti, era dipesa dall'applicazione del principio di competenza: l'analisi dei nominativi, infatti, ci mostra come molti membri avessero già presentato interpellanze orali e scritte a proposito del fenomeno P2. In effetti, i partiti si erano più volte interrogati sull'argomento: i radicali soprattutto, che sul malcostume politico avevano costruito gran parte delle proprie arringhe, non avevano mancato di lamentarsene. Già alla fine del 1980, prima che lo scandalo scoppiasse, il futuro commissario Francesco De Cataldo aveva proposto l'istituzione di un'inchiesta parlamentare sulla P2 e sulle sue diverse articolazioni come la vicenda Eni-Petromin, le trame del Banco Ambrosiano e la situazione della Rizzoli, proprietaria della testata giornalistica Corriere della Sera. Sulla stessa linea, il deputato Cecchi, che nel settembre 1981 aveva richiesto al Parlamento di approfondire le indagini sugli iscritti alla P2, ed i senatori Giorgio Bondi e Franco Calamandrei i quali avevano richiesto spiegazioni sulla mancata punibilità di certi personaggi che avevano occupato i vertici delle istituzioni.

Non completamente soddisfatto fu, invece, il principio di imparzialità: in effetti, tra i membri della Commissione apparsero nomi come quello del democristiano Sergio Pezzati (che risultò presente nell'elenco P2) o del socialdemocratico Antonio Cariglia (il cui nominativo era appuntato nell'agenda di Gelli). A questi si aggiungeva il nome del commissario socialista Mauro Seppia, indicato come esponente di spicco del Grande Oriente d'Italia: di questa notizia fu subitamente messo a conoscenza il segretario del Partito Socialista, Bettino Craxi; per non intaccare la credibilità della Commissione, era necessario che ogni commissario fosse insospettato: non si poteva lasciare che l'opinione pubblica sospettasse che, a giudicare la P2, fosse la massoneria perché ciò avrebbe mostrato il progressivo decadimento delle sedi istituzionali. Ai sospetti accertati, si aggiungeva poi l'azione dei media che, per mesi, pubblicò nominativi di presunti affiliati alla Loggia P2: tale atteggiamento, lo ricordiamo, non

rispondeva unicamente al bisogno di ottenere risposte, ma anche e soprattutto a criminalizzare l'intero meccanismo delle istituzioni democratiche.

Dunque i commissari, direttamente o indirettamente, avevano avuto a che fare con la P2; la Presidentessa Anselmi, invece, a tale fenomeno era completamente estranea. La terzietà di Anselmi a queste faccende spiegava il motivo della sua designazione: la scelta di un Presidente super partes evitava che esso stesso potesse essere condotto ad ambienti massonici e che la sua impeccabilità fosse intaccata da condizionamenti politici; inoltre, le battaglie politiche, condotte dalla Anselmi sotto una forte passione civile, rassicuravano anche le espressioni di sinistra del Parlamento: per questo motivo, fu proprio la Presidentessa della Camera Nilde Jotti a proporla. Negli appunti di Tina Anselmi, raccolti da Anna Vinci, si legge:

Lunedì 30 ottobre 1981

Ore 17.15 sono convocata dall'onorevole Iotti. Mi propone di assumere la presidenza della Commissione inquirente sulla P2. [..] Mi parla della storia dei vari tentativi. Chiedo quindici minuti di riflessione. [..] Torno da Iotti alle 17.30 e accetto. Parliamo del problema. Mi assicura ogni supporto della Camera per il lavoro. [..] Nella Iotti ho trovato un atteggiamento di piena fiducia, amicizia e volontà di aiutarmi, perché il compito non fallisca124.

Un altro argomento che toccò la sensibilità degli equilibri interni alla Commissione d'inchiesta fu quello riguardante le carcerazioni provvisorie; ma andiamo per gradi.

Come già abbiamo accennato, sin dalle prime sedute della Commissione, la fase inquisitoria si dimostrò complessa: fra gli uomini interpellati, infatti, moltissimi preferirono rifugiarsi dietro un manto di silenzio che ostacolava, non di poco, l'efficacia dell'inchiesta. Benché non tutti i testimoni rinnegassero di essere a conoscenza del fenomeno P2 e del suo leader, nel corso delle audizioni, si contò un così gran numero di amnesie, di non so e di non ricordo che la pazienza dei commissari venne vistosamente messa a repentaglio: il comunista Achille Occhetto, per esempio, arrivò a domandarsi se questa P2 non fosse costituita da un insieme di fantasmi125. Del resto, era stato Gelli in persona ad invitare alla reticenza; il 20 maggio 1981,

in una intervista rilasciata al piduista Carlo De Risio, sul giornale Il Tempo, dichiarò:

[Se un giudice mi avesse interrogato su una mia eventuale appartenenza alla P2] prima di tutto 124A. Vinci (a cura di), La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi, Chiarelettere, Milano 2011, p. 15.

125 Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2, Resoconti stenografici, 17 giugno 1982, vol. IV, pp. 360 e ss. Consultato su http://www.senato.it, in data 17 novembre 2017.

avrei negato. Poi avrei chiesto che mi fossero mostrati documenti a riprova della mia appartenenza alla loggia. Infine avrei querelato, senza timore, il giornale che eventualmente avesse affermato il falso, nonché i responsabili della violazione del segreto istruttorio126.

Insomma, le audizioni proseguirono in questi termini fin quando non si decise di interrogare il citato generale Pietro Masumeci, precedentemente capo dell'Ufficio di Controllo e Sicurezza del SISMI e dimessosi nel giugno del 1981 dopo che erano stati diramati, nel maggio dello stesso anno, gli elenchi P2 in cui egli stesso figurava. La reticenza con la quale Masumeci affrontò l'audizione condusse la Presidentessa Anselmi a rimproverare il teste: «Non è pensabile che lei, aderendo alla massoneria, avesse una ignoranza totale di tutto quanto attiene alla vita di una loggia e ai doveri che sottendono ad essa127», ammonì. Impossibile che il

generale si fosse disinteressato dello Statuto, dei diritti e dei doveri che la sua affiliazione avrebbe comportato. La risposta della Presidentessa fu perentoria: avrebbe avanzato la proposta di arresto provvisorio, «significa tenerlo qui due ore128», al fine di ottenere risposte.

Similare fu poi il caso del comandante generale della Guardia di Finanza Orazio Giannini, anch'egli piduista, anch'egli già apparso nel nostro elaborato. Ricordiamo che Giannini, in occasione della perquisizione presso Castiglion Fibocchi, si preoccupò di allertare la Guardia di Finanza, incaricata di condurre il sequestro, della delicatezza di certi nominativi, che occupavano i vertici dello Stato italiano e che dovevano essere maneggiati con cura. Le incongruenze presenti nella sua dichiarazione, rilasciata davanti alla Commissione e al magistrato Pier Giorgio Gosso129, oltre alle sue ricorrenti falsità e reticenze spinsero la

Presidentessa Anselmi a riproporre la notifica di arresto provvisorio.

E bene, queste proposte furono approvate, ma con moltissime riserve: il democristiano Leandro Melandri, ad esempio, sostenne che la Commissione stesse offrendo uno spettacolo indecente che infangava il nome del comitato stesso130; della stessa opinione anche Edoardo

Speranza, anch'egli democristiano, che dichiarò: «Parliamoci chiaro, qui parliamo della pelle degli uomini. [..] Vorrei anche raccomandare alla Presidente [che] quando si debbono rivolgere domande a testimoni di questa portata, di non farlo con quell'incalzare continuo che assume qualche volta un sapore inquisitorio»131. Il dibattito lasciava emergere una discrepanza

126 S. Turone, Partiti e mafia dalla P2 alla droga, Laterza, cit., pp. 274-275.

127 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, Resoconti stenografici della Commissione, 2 marzo 1982, Audizione di Pietro Musumeci, Vol. 2, p. 691. Consultato su http://www.senato.it, in data 17 novembre 2017.

128 Ivi, pp. 676 e ss.

129 Deposizione di Orazio Giannini a Pier Giorgio Gosso, 8 luglio 1981; e Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2, 9 marzo 1982, Audizione di Orazio Giannini, Allegati, Vol. I, pp. 1044-1045 e p. 1050. Consultato su http://www.senato.it, in data 17 novembre 2017.

130 Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica Propaganda Due, Resoconti stenografici, seduta del 2 marzo 1982, p.738. Consultato su http://www.senato.it, in data 17 novembre 2017.

nella valutazione della dottrina giurisprudenziale della Commissione che sarebbe proseguito ancora per mesi.

A questo proposito, a fomentare il dibattito, fu la decisione di acquisire la totalità dei profili degli aderenti alla massoneria. La disposizione traeva le proprie origini da un incontro, avvenuto il 23 marzo 1982, fra il commissario missino Giorgio Pisanò ed il Gran Maestro di Palazzo Giustiniani, Ennio Battelli, giunto a fine mandato: egli aveva dichiarato al senatore di essere a conoscenza della completa lista P2 contenente circa duemilaseicento nomi, molti di più di quanti emersi dalle liste rinvenute a Castiglion Fibocchi. Battelli ammise che, a seguito della promulgazione degli elenchi, dopo tante pressioni ammessa dall'allora Presidente del Consiglio Forlani, circa un centinaio di coloro che pur facendo parte della loggia non erano apparsi negli elenchi venne da lui stesso re-inseriti nel Grande Oriente sotto il titolo di massoni in sonno. Ecco perché Pisanò ritenne utile, ai fini dell'indagine, ottenere la totalità dei nominativi iscritti alla massoneria: il giornale Panorama, il 19 aprile 1982, riportò le dichiarazioni di Pisanò in un articolo intitolato Scandalo P2, Svegliate quei fratelli, intervista

al senatore Pisanò dove il politico confermava la sua convinzione che esistessero affiliati

rimasti fino ad allora nell'ombra perché non riscontrabili nelle liste rinvenute e perché tempestivamente resi membri del più innocuo Grande Oriente.

Ma quali erano i confini dell'inchiesta? Fino a dove la Commissione avrebbe potuto spingersi? In sede di Commissione non mancarono le lamentele di chi riscontrava, nel lavoro del comitato, una ingerente nota emotiva tesa ad infangare l'intera classe politica. Tra tutti, a risentire maggiormente di questo allargamento delle indagini, sarebbero stati i socialisti che erano abbastanza presenti nelle liste massoniche e che, proprio in quegli anni stavano cominciando a raccogliere le simpatie dell'opinione pubblica.

La Commissione Anselmi, nonostante le criticità emerse, decise di sfruttare ancora i poteri giudiziari e di proseguire con il sequestro: a seguito dell'operazione, presso gli uffici di Presidenza, la massoneria presentò un'istanza intitolata Ricorso con richiesta di riesame al

Tribunale penale di Roma in cui si denunciava l'illegittima violazione, condotta dalla

Commissione parlamentare, dei diritti irrinunciabili della persona e delle libertà democratiche. Veniva richiesta l'immediata revoca del provvedimento in quanto esso suonava come «offesa al diritto di associazione e di espressione delle libertà di pensiero oltre che alla riservatezza dei singoli membri»132. Il Grande Oriente, inoltre, contestava l’utilità di procedere al

sequestro: negli obiettivi della Commissione erano specificati gli ambiti inerenti all'inchiesta 132 Lettera del Grande Oriente d’Italia alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2, Allegati

alla Commissione d’inchiesta parlamentare, Lettera indirizzata all’Ufficio di Presidenza, ricevuta il 3 ottobre 1982.

parlamentare e questi, si denunciava, vertevano esclusivamente sulla Loggia massonica P2; qualunque accertamento sul Grande Oriente d'Italia era dunque da ritenersi illegittimo.

Nell'agosto 1983, come già avevamo accennato, Bettino Craxi ottenne la nomina alla Presidenza del Consiglio: il passaggio di amministrazione da Spadolini a Craxi mutò lo scenario politico. Indubbiamente, potere esecutivo e Commissione non avevano più affinità di intenti: il lavoro della Commissione non sembrava più caratterizzare l'agenda politica del nuovo governo socialista. A confermarlo i seguenti episodi: in seguito all'arresto di Alberto Teardo, Presidente della Regione Liguria e piduista, il Presidente Craxi ci tenne a sottolineare come, a suo parere, l'iniziativa dei magistrati fosse stata una strumentalizzazione politica elettorale; la difesa di Teardo si affiancò poi all'iniziativa craxiana di eleggere il Segretario del Partito Socialdemocratico, Pietro Longo, anch'egli piduista, Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica.

Seppur affievolitosi il sostegno del Governo, la Commissione riuscì ad ottenere, nell'ottobre 1983, un'altra proroga giustificata soprattutto dalla fuga di Gelli dalla prigione ginevrina. Eppure il tempo a disposizione, in pochi mesi, si esaurì: la volontà di liquidare la questione P2 si faceva sentire sempre più insistentemente; del resto, la tensione che lo scandalo P2 aveva generato andava progressivamente assottigliandosi. La Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2 concluse i suoi lavori, lo ricordiamo, nel luglio 1984, approvando a larga maggioranza la relazione finale firmata Tina Anselmi; nonostante il rilievo politico e istituzionale che la relazione attribuì al fenomeno P2, le forze politiche non parvero sentire l'impulso irrefrenabile di occuparsi del documento. Passarono diciassette mesi prima che la relazione Anselmi venisse vagliata dalla Camera dei Deputati.

Quel 18 dicembre 1985, i Presidenti dei gruppi parlamentari ricevettero, senza indicazioni sul mittente133, una copia della lettera scritta da Licio Gelli e recapitata il 3 dicembre al Presidente

della Repubblica, Francesco Cossiga, in cui il Venerabile denunciava:

Signor Presidente, la prego innanzitutto di scusarmi se ho preso la libertà di inviarle questa documentazione asseverata dalla allegata dichiarazione dell'avvocato Massimo Della Campa grande oratore aggiunto in carica del Grande Oriente d' Italia per me non solo inoppugnabile ma direi anche vitale. Le confesso che avrei desiderato farle avere questa mia in tutt'altre circostanze ma lo stato di salute di mia moglie, l'aggravarsi delle mie condizioni fisiche e l' incertezza sul mio futuro, mi hanno indotto ad affidare a lei quale massimo esponente del potere giudiziario questo dossier per me importantissimo. Si tratta in sostanza della documentazione sulla legittimità della Loggia massonica Propaganda 2 e della verità circa la 133 Si veda R. Martinelli, Chi ha portato alla Camera il dossier di Gelli?, in La Stampa, 19 dicembre 1985. Consultato

sua obbedienza al Grande Oriente d' Italia. Sono documenti finora ignorati dato che fatti ed episodi non sono mai stati posti in chiaro dalla Commissione parlamentare di inchiesta, sia perché la stessa ha omesso di richiederli al Grande Oriente, perché molti documenti sono stati sottratti prima che venisse eseguita la perquisizione ordinata dalla stessa commissione. Certo, se la commissione avesse dato un ordine razionale ai propri lavori invitando il Gran Maestro a produrre tutti i documenti relativi alla natura, alla organizzazione ed al funzionamento della Loggia P2, documenti che all'epoca dovevano sicuramente trovarsi negli archivi della sede della comunità massonica, avrebbe potuto subito accertare, convincendosene, la legittimità e l' essenza della Loggia P2. Così operando la Commissione avrebbe potuto sì riconoscere il carattere di riservatezza della P2 ma non già quello di segretezza, a mio avviso avventatamente stabilito dal verdetto dei tre saggi che ebbe come infausta conseguenza la promulgazione della legge Spadolini sullo scioglimento forzato della loggia stessa. Nel rinnovare le mie scuse e nel farle presente che ho ritenuto mio dovere informarla in anteprima della esistenza di questa documentazione mi permetto comunicarle che è mia intenzione dare alle stampe questo dossier. Solo così una volta tanto la pubblica opinione potrà avere un quadro chiarissimo della situazione in luogo delle innumerevoli poco esatte e spesso fantasiose informazioni costruite da quattro anni a questa parte. La prego Signor Presidente di accogliere il mio più profondo ossequio134.

Le vacanze di fine anno sospesero il dibattito fino all’8 gennaio 1986. La cronista parlamentare Sandra Bonsanti, in un articolo pubblicato su La Repubblica il 9 gennaio 1985, descrisse l’aula semi-deserta; dodici i deputati del PCI, cinque i radicali che comunque rinunciarono ai loro interventi giornalieri: a mancare totalmente i missini, i democristiani, i socialisti, i liberali, i socialdemocratici ed i repubblicani. Il radicale Francesco Rutelli ironico disse che un solo:

[..] colpo d’occhio sull'aula [bastava a dimostrare] a cosa [fosse] ridotto il dibattito sulla Loggia P2: quante dichiarazioni abbiamo ascoltato nei mesi in cui esplose il caso P2 a commento delle conclusioni della Commissione parlamentare, nella polemica politica? E quale riscontro [..] dà oggi la nostra Camera?135

Una caduta di interesse sull’argomento, un affievolirsi dell’antica tensione concludevano la parentesi sulla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2; tutto lo scalpore che lo scandalo P2 aveva generato, e che in questa sezione abbiamo cercato di sintetizzare, si perse nelle nuove dinamiche di un'Italia nuova portatrice di rinnovate esigenze.

134 S. Bonsanti, Una lettera di Gelli a Cossiga: «Scusi il disturbo Presidente»,in La Repubblica, 18 dicembre 1985, consultato su http://www.ricerca.repubblica.it, in data 6 dicembre 2017.

135 Camera dei Deputati, Atti parlamentari, IX Governo, Discussioni, seduta dell'8 gennaio 1986, p. 35492. Consultato su http://legislature.camera.it in data 6 dicembre 2017.