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Il preambolo dell'inchiesta: gli affari di Michele Sindona

La Commissione parlamentare sulla Loggia Propaganda Due: quando, chi, come e perché

1. Il preambolo dell'inchiesta: gli affari di Michele Sindona

Nella parte introduttiva dell'elaborato, abbiamo espresso l'esigenza di delimitare la nostra ricerca. Considerate le ramificazioni che il fenomeno oggetto d'esame presenta, soddisfare questa necessità, metodologica oltre che espositiva, è stato tutt'altro che banale; tuttavia siamo giunti ad individuare un evento scatenante e dunque valido punto di partenza della trattazione, nelle vicende che fecero capo all'imprenditore Michele Sindona., già citato en passant nel nostro elaborato. Questa scelta ci è parsa adeguata perché furono proprio le indagini che coinvolsero Sindona a far sospettare gli inquirenti del ruolo che la P2 poteva aver ricoperto nei meccanismi dell'Italia repubblicana. Poco dopo, infatti, nel settembre dello stesso anno, il governo italiano avrebbe promulgato la legge n. 527, in cui si approvava la costituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica Propaganda Due.

Ma quindi, chi fu Michele Sindona? Perché le sue vicissitudini ci interessano tanto? Procediamo con ordine.

Michele Sindona nasceva a Patti, in provincia di Messina, l'8 maggio 1920. Sindona aveva umili origini: il padre era un fiorista napoletano e Sindona, per permettersi gli studi, dovette alternarli a vari lavori: dapprima dattilografo, poi aiuto contabile, fino all'impiego presso l'ufficio imposte di Messina. Con il conseguimento della laurea in Giurisprudenza, Sindona fu assunto in uno studio di avvocatura di Messina: da quel momento, la sua carriera fu costantemente in ascesa. Dapprima commercialista ambìto negli ambienti del milanese, Sindona cominciò a specializzarsi nella pianificazione fiscale, acquisendo nozioni utili per l'esportazione di capitali all'estero. Estro e spregiudicatezza fecero il resto: grazie alle speculazioni in borsa riuscì ad accumulare notevoli somme per la futura attività di banchiere. Mafioso e massone, criminale e piduista (tessera n. 0501), egli amava presentarsi come un 83 Proposta di Legge, Costituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia P2, d'iniziativa dei

deputati Fracchia, Cecchi, Chiovini, Pochetti, 2 giugno 1981. Consultato su http://www.legislature.camera.it, in data 31 ottobre 2017.

innovatore nel campo finanziario: il sistema Sindona fondava la propria efficacia sul rapporto fra aziende, società finanziarie e banche. Le aziende fungevano da mera merce di scambio: Sindona le acquistava quando erano prossime al fallimento per rivenderle una volta garantito il loro risanamento. Il guadagno della vendita veniva versato all'estero, in paradisi fiscali o comunque in Stati con legislazioni bancarie tali da rendere difficile la ricostruzione di attività illecite. Le banche, ultime attrici del sistema sindoniano, fungevano da motore trainante, fornendo risorse agli altri due settori e allargando la cerchia degli investitori. Le banche italiane di Sindona ricorrevano abitualmente ai depositi fiduciari collocati presso altre banche estere collegate al medesimo gruppo finanziario: qui veniva prodotta una documentazione parallela che occultava le operazioni illegali dei clienti e consentiva loro di sfuggire ai controlli. Le banche straniere, inoltre, fungevano da intermediarie: qui, le banche di Sindona depositavano il loro denaro all'occorrenza riversato segretamente nei conti delle società sindoniane:

L’avvocato Sindona, personaggio assai discusso del mondo finanziario per i riflessi della sua complessa e ponderosa attività sulla finanza internazionale, viene definito dalla stampa [..] spericolato, il bau bau delle borse, un avventuriero, l’enfant terrible della finanza italiana, il personaggio centrale del mondo finanziario italiano. In effetti, le citate definizioni traggono origine dalle operazioni finora realizzate o tentate, anche se quelle conosciute non esauriscono la vasta gamma dell’attività svolta dal Sindona, assai abile nell’occultare certe operazioni servendosi di interposte persone o Enti di copertura [..].

Sul conto di Michele Sindona si è interessata più volte, anche a richiesta del Ministro delle Finanze, la Guardia di Finanza, a cui sono note le sue attività, anche per far luce sul contenuto di certe segnalazioni anonime84 che lo indicavano implicato in traffici di stupefacenti o illeciti

trasferimenti all’estero di capitali. [..] Il Sindona si può definire affarista pronto a servirsi di chiunque, esponenti politici di destra o di sinistra, gruppi, banche, sindacati di ogni Paese e di ogni colore, pur di riuscire a comprare una società che gli interessa, per poi rivenderla con il massimo profitto85.

Nel cruciale 1974, alcuni episodi segnavano la fine della buona sorte per alcuni dei più emergenti personaggi legati alla figura di Gelli, fra i quali lo stesso Sindona:

84 La segnalazione indicata come anonima ha, in realtà, un preciso mittente; risale infatti al primo novembre 1967 la missiva di Fred J. Douglas, capo della Criminal Police Organization di Washington, indirizzata alla Criminal

Police di Roma. Il documento indica l'internazionalità degli affari di Sindona sottolineando il plausibile

coinvolgimento del finanziere nei traffici di stupefacenti: «I seguenti individui sono implicati nell’illecito traffico di sedativi, stimolanti e allucinogeni tra l’Italia e gli Stati Uniti e forse altre regioni d’Europa [..]: Michele Sindona, nato a Patti (Messina) l’8 maggio 1920, professione procuratore, residente a Milano in Via Turati [..]» Documento consultabile interamente su: Lombard, Soldi Truccati. I segreti del sistema Sindona, Feltrinelli, Milano, 1980, pp.15-16.

85 Commissione parlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2, Allegati alla Relazione, Doc. XXIII n.2- quater/7/IX, Roma, 1987, pp. 529-552. Nello specifico, si riporta parte di un documento SISMI, indicato come

[..] Vengono alla luce alcuni gravi scandali che hanno per protagonisti affiliati alla P2, come il procuratore Carmelo Spagnuolo e il banchiere Michele Sindona. Il capo del SID generale Vito Miceli viene arrestato nell'ambito dell'inchiesta sul SID parallelo e sull'organizzazione eversiva Rosa dei Venti86.

Le relazioni fra Sindona e il generale Vito Miceli sono state accertate: all'ormai ex capo del SID, furono fatti recapitare undici milioni di dollari affinché fossero ridistribuiti, quale sostegno morale, a ventuno uomini politici italiani di fede e appartenenza anticomunista. Un così ingente spostamento di capitale fu gestito dal nostro Sindona, allora già migrato in territorio americano. Alla vigilia degli anni Ottanta, come affermò Ugo la Malfa87, mezza

Italia (quella delle azioni occulte ed illecite) era dalla parte di Sindona.

Sindona gestiva le proprie attività da oltreoceano e Giulio Andreotti lo aveva appena definito i l salvatore della Lira88, quando un crollo del mercato azionario causò il cosiddetto Crac

Sindona. I profitti della Franklin National Bank, che Sindona aveva acquisito nel 1972,

diminuirono drasticamente rispetto all'anno precedente, fino alla dichiarazione, l'8 ottobre 1974, di insolvenza per frode e per cattiva gestione. Ciò che emerse dalle investigazioni, indusse la Banca d'Italia a ordinare un commissario liquidatore: l'incaricato Giorgio Ambrosoli, avvocato di professione, assunse la direzione della Banca Privata Italiana di Sindona89. Nelle articolatissime trame tessute dal finanziere, Ambrosoli individuò gravissime

irregolarità, un profondo squilibrio fra le attività palesi e quelle occulte del gruppo oltre che colossali buchi finanziari. Durante le operazioni di controllo, Ambrosoli fu oggetto di numerosi tentativi di corruzione e minacce che tuttavia non lo traviarono. Egli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale di Sindona; così facendo confermava, però, anche la sua condanna a morte annunciata nell'ultima telefonata anonima di cui Ambrosoli fu vittima. Queste le parole con cui il picciotto, così soprannominato per il suo accento siculo, si rivolse all'avvocato alla vigilia dell'omicidio: [..] L'altro giorno lei ha voluto fare il furbo, ha voluto registrare tutta la telefonata?

[..] Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più perché si merita solo di 86 S. Flamigni, Trame atlantiche. Storia della loggia massonica segreta, KAOS, Milano, 1996.

87 Ugo La Malfa, 1903/1979, è stato un politico italiano. Nel 1973 assumeva l'incarico di ministro del Tesoro, si deve a La Malfa il blocco della richiesta di aumento del capitale della Finambro, società finanziaria di Sindona, che determinò l'inizio del crollo dell'impero affaristico sindoniano.

88 Nel 1974, Michele Sindona aveva informato l'allora Presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, di una operazione speculativa in corso a Manhattan contro la moneta italiana, motivo per il quale si guadagnò il titolo di salvatore

della Lira.In realtà tale episodio si è rivelato essere un bluff. Sarebbe stato proprio Sindona, in quella occasione, a

operare contro la Lira: l'ennesimo doppio gioco sindoniano testimoniato dalle dichiarazioni del suo braccio destro, Carlo Bordoni.

morire come un cornuto. Perché lei è un cornuto e bastardo!90

L'11 luglio 1979, alla vigilia di due importanti deposizioni che si accingeva a rilasciare a Milano e a New York, il professionista venne raggiunto da quattro colpi di pistola inferti dal malavitoso americano William Joseph Aricò. Ad accompagnare il killer di fronte alla dimora milanese del liquidatore Ambrosoli, fu il massone e mafioso Giacomo Vitale, autore delle telefonate anonime. Il piano di salvataggio delle attività di Sindona non doveva essere intralciato: si ipotizza che, quando Roberto Calvi, l'altrettanto ambiguo banchiere citato nel precedente capitolo, si rifiutò di accogliere la richiesta di denaro da parte di Michele Sindona, al quale era stato confiscato ogni possedimento, il faccendiere avesse iniziato la sua indiretta attività di ricatti attraverso gli articoli denigratori del giornalista Luigi Cavallo. Così Sindona avrebbe reso pubbliche le attività illecite del Calvi, direttore del Banco Ambrosiano dal 1975. Nonostante questo, Sindona non mancò di indicare in Calvi l'amico che, nel momento del bisogno, lo sostenne considerevolmente.

Venerdì 3 agosto 1979, la segretaria di Sindona a New York riceveva una telefonata anonima: una voce maschile dallo spiccato accento italiano informava la donna del rapimento del suo principale. Era questo l'inizio di un simulato sequestro di persona, pianificato nei dettagli, che si sarebbe protratto per oltre due mesi.

In quello stesso momento, Sindona si trovava a Vienna, dove era appena atterrato con un volo proveniente da New York. Niente di imposto, Sindona quel volo lo aveva preso liberamente. Camuffatosi con barba e parrucchino e spalleggiato da Anthony Caruso, esponente della famiglia mafiosa siculo-americana dei Gambino, il faccendiere alloggiò sotto falsa identità presso l'Hotel Intercontinental di Vienna. Mentre nella capitale austriaca il Sindona era impegnato nell'organizzazione del suo ingresso clandestino in Italia, l'avvocato Rodolfo Guzzi arrivava a New York, dove veniva informato del rapimento del suo assistito. La mattina del 4 agosto, Guzzi veniva interrogato dalla FBI; l'avvocato rivelava agli inquirenti che il suo assistito, in Italia, veniva regolarmente attaccato per ragioni politiche: per via del suo atteggiamento liberale in politica economica, era oggetto di pressioni da parte della stampa ormai sotto crescente influenza di socialisti e comunisti. Tali dichiarazioni lasciarono supporre gli inquirenti che il sequestro Sindona potesse avere ragione politica.

Lunedì 6 agosto 1979, Sindona volava ad Atene dove, in suo aiuto, accorsero Giuseppe Miceli Crimi e Giacomo Vitale. Via mare poi, si sarebbero recati a Palermo. Miceli Crimi era un 90 Trascrizione dell'ultima telefonata di Giacomo Vitale a Giorgio Ambrosoli, consultabile interamente in Enzo Biagi,

C'era una volta Michele Sindona, regia di Sarah Nicora, montaggio e musiche di Andrea Menchicchi, documentario

medico massone ben inserito negli ambienti mafiosi; egli vantava rapporti con Licio Gelli e John Gambino: affiliato, così come il Sindona, alla Loggia Propaganda Due egli stabiliva contatti frequenti con la famiglia malavitosa siculo-americana più volte menzionata. Così il Miceli esponeva le ragioni delle sue conoscenze:

[..] Conobbi [Michele Sindona] a New York, dove vivo da vent’anni facendo la spola con Palermo. Fui io a telefonargli e a chiedergli un incontro. [..] Sui giornali italiani era apparso un articolo nel quale si sosteneva che io ero amico di Michele Sindona e di Licio Gelli, e che, essendo un trentatreesimo della massoneria, mi stavo adoperando, addirittura per conto del ministro del Tesoro americano dell’epoca, John Connally, per unificare le logge massoniche italiane. È vero che, da un anno, lavoravo a un progetto di riunificazione della massoneria, ma lo facevo per conto mio. Pensai che Sindona potesse darmi una mano. [..] Fui molto colpito dalla sua intelligenza e dalla sua cultura. [..] Pensai che erano state dette e scritte menzogne sul suo conto: mi parve una persona straordinaria.

[Sindona] mi indicò una persona che avrebbe potuto aiutarmi. Era Licio Gelli. Gli telefonò personalmente annunciandogli la mia visita. Fu così che conobbi il Gran Maestro della Loggia P2. L’appuntamento venne fissato all’hotel Excelsior di Roma, sempre nel 1977. [..] Sapevo che Gelli era molto potente. Non ignoravo che alla sua Loggia facevano capo le persone più importanti del Paese. Non era nemmeno un mistero che Gelli [fosse] l’unico a poter entrare nello studio di Giulio Andreotti, a Palazzo Chigi, senza farsi preannunciare e senza bussare. [..] Se dovessi fare un paragone fra Gelli e Sindona, potrei dire che il primo è un politico tra i più abili e scaltri, ma che Sindona lo batte due a zero sul piano culturale. Michele diceva di lui: «Se soltanto avesse un po’ più di cultura, Licio potrebbe diventare un capo di Stato»91.

Ai primi di luglio, Sindona aveva accennato al medico Miceli la sua intenzione di mettere in scena il rapimento: l'operazione gli avrebbe permesso di recuperare alcune carte significative ai fini del processo americano cui era sottoposto e di organizzare la separazione della Sicilia dall'Italia con l'intento di sottrarre l'isola dall'ingerenza del comunismo dilagante.

Michele Sindona, Miceli Crimi e Giacomo Vitale si imbarcarono da Patrasso e raggiunsero Palermo. In terra sicula, Sindona dette sfogo alla sua penna. In una lettera indirizzata all'avvocato Rodolfo Guzzi, il faccendiere affermava che i giusitizieri proletari, ovvero gli inventati responsabili del sequestro aderenti al gruppo terroristico Comitato Proletario

Eversivo per una Vita Migliore:

Evidentemente [mi hanno] sopravvalutato e credono che io sappia tutto su tutti e che abbia elementi o documenti di tanta importanza da creare importanti coinvolgimenti. Ho già chiarito che [..] posso dare qualche documento di cui posso venire in possesso solo se liberato [..]. 91 M. Andreoli, Miceli Crimi racconta il finto sequestro di Sindona, L'Europeo 1981 n. 34. Consultato su

D'altra parte le persone implicate non hanno mai sollevato un dito per difendermi e non mi sento in alcun modo, sul piano morale, di proteggerli [..]. Elenco dei 500. Ho fatto presente che tale elenco non esiste se ci si intende riferire a nomi di persone che hanno depositato all'estero nelle banche da me controllate [..]92.

Il ritrovamento del Tabulato dei 500 avrebbe reso possibile risalire ai soggetti che avevano esportato capitali dall'Italia attraverso la Finabank di Ginevra e che erano stati illegalmente rimborsati, prima della dichiarazione dello stato di insolvenza della Banca Privata Italiana, nonostante il blocco imposto dalla Banca d'Italia. In questa lista si è supposto che figurassero i nomi di Licio Gelli e di persone collegate a partiti politici, tra cui la Democrazia cristiana e, specificatamente, alla corrente andreottiana del partito. Il possesso di tale documentazione e l'ipotesi della sua pubblicazione costituiva un importante strumento di ricatto nei confronti dei diretti interessati e degli ambienti politici di riferimento, per indurli a corrispondere denaro e favoritismi al Sindona.

Il sequestro Sindona è stato un sopraffino esercizio di astuzia: ad avvalorare questa tesi è l'episodio del ferimento, testimoniato anche dalle parole di Miceli:

[..] Michele Sindona aveva bisogno di un alibi per rendere credibile il sequestro. «Mi devi sparare alle gambe» mi diceva in continuazione. Io non ero d'accordo, non me la sentivo di sparargli. Lui insisteva finché mi fece giurare che l'avrei fatto. [..] Ci pensai e preparai i ferri chirurgici. [..] Io sono un professore di chirurgia estetica. Solo in Italia ho compiuto dodicimila interventi e chissà quanti negli Stati Uniti. Ebbene, pensai a una sparatoria simulata. Se c'era stato un sequestro simulato, perché non simulare una sparatoria? Così operai Sindona per far credere che fosse stato vittima di un colpo di pistola. Ciò accadde nell'ottobre 197993.

Nel 1980, Sindona venne condannato negli Stati Uniti per un totale di sessantacinque accuse, tra cui frode, spergiuro e appropriazione indebita di fondi bancari. L'azione difensiva affidata a Ivan Fisher non dette i risultati sperati: ottenuti venticinque anni di pena detentiva, Sindona fu inoltre costretto al pagamento di oltre duecentomila dollari. Durante il suo soggiorno nelle carceri federali statunitensi, il governo italiano presentò domanda di estradizione affinché Sindona potesse presenziare al processo contro di lui indetto. La domanda fu accolta: il 25 settembre 1984, Sindona rientrò in Italia. A pochi giorni dal rimpatrio, un articolo di Alberto Mazzuca, pubblicato sul Sole 24 Ore si domandava se fosse pensabile una confessione del 92 G. Simoni, G. Turone, Il caffè Sindona. Un finanziere d'avventura tra politica, Vaticano e mafia, Garzanti, Milano,

2009.

faccendiere volta a porre in difficoltà alcuni dei suoi più vecchi e altolocati amici, proprio adesso che temeva di ricevere un caffè avvelenato. Ebbene, l'articolo di Mazzuca si rivelerà tristemente profetico.

Il 16 marzo 1985, Sindona venne condannato anche dallo Stato italiano: ai dodici anni di prigione per frode si aggiungeva il pagamento di due miliardi di lire per il risarcimento dei liquidatori della Banca Privata Finanziaria e dei piccoli azionisti, costituitisi parte civile. L'anno successivo, Sindona fu condannato all'ergastolo per esser stato accertato quale il mandante dell'omicidio Ambrosoli.

Pochi giorni dopo la condanna all'ergastolo, fra le sbarre del carcere di Voghera, Michele Sindona ingerì un caffè al cianuro di potassio; morì all'ospedale di Voghera dopo due giorni di coma. Archiviata come suicidio, la morte di Sindona rimane costernata di dubbi. C'è comunque da confermare che l'ingestione di cianuro di potassio difficilmente può essere involontaria a causa del forte odore che la sostanza rilascia. Senza contare che un auto- avvelenamento avrebbe indotto le autorità statunitensi a riscattare Sindona: il faccendiere per essere rimpatriato, era infatti stato oggetto di un accordo Italia-Usa, nel quale gli Statunitensi accettavano il rimpatrio a patto che fossero garantiti, dallo Stato italiano, custodia, sicurezza e incolumità del bancarottiere. Un auto-avvelenamento avrebbe, in questi termini, permesso a Sindona di tornare oltreoceano.

Eppure c'è chi, come Sergio Turone, ha tenuto a confermare la natura assassina dell'accaduto. I n Partiti e mafia: dalla P2 alla droga94, il docente universitario ha sottolineato come, alla base della morte di Sindona ci fossero gli interrotti rapporti fra quest'ultimo e Giulio Andreotti. Secondo Turone, fino al 1986 Sindona aveva sperato che il potente Andreotti potesse trovare un escamotage per liberarlo dall'ergastolo; una volta stabilita la sentenza, il faccendiere non aveva più niente da perdere, avrebbe dunque confessato ciò che fino a quel momento aveva taciuto. Sarebbe stato Andreotti, intento a difendere i propri affari e quelli del suo partito, a fargli pervenire la bustina di zucchero contenente il cianuro fatale a Sindona. La tesi Turone, però, resta priva di prove certe.