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E-learning ed equità : l'uguaglianza delle opportunita' formative oggi e il ruolo delle nuove tecnologie

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Academic year: 2021

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Dottorato di ricerca in Pedagogia

XX ciclo

E-learning ed equità

L’uguaglianza delle opportunità formative oggi

e il ruolo delle nuove tecnologie

Dottoranda Docente guida

Anna Maria Ciraci Prof. Gaetano Domenici

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INDICE

INTRODUZIONE p. 5

PRESENTAZIONE DEL LAVORO 8

PARTE PRIMA

L’UGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ FORMATIVE OGGI

Capitolo primo 12 DALL’ UGUAGLIANZA ALL’EQUITÀ

Premessa

1.1 Eguaglianza di che cosa? 1.2 Il giudizio di equità oggi

1.3 La teoria dell’eguaglianza delle risorse. John Rawls

1.3.1 L’educazione nella Teoria della giustizia

1.4 La teoria delle pari possibilità o opportunità. Amartya Sen

Capitolo secondo 32 L’ APPROCCIO SOCIOLOGICO ALLE DISUGUAGLIANZE SCOLASTICHE

2.1 Le funzioni dei sistemi formativi moderni 2.2 La funzione sociale dei sistemi formativi

2.2.1 Il funzionalismo tecnico 2.2.2 La teoria della riproduzione

Capitolo terzo 41

FORMAZIONE, CRESCITA E SVILUPPO ECONOMICO

3.1 La funzione economica dei sistemi formativi

3.2 I principali modelli di connessione fra educazione e lavoro

3.2.1 Le critiche alla teoria del capitale umano

3.3 Il capitale umano oggi

3.4 L’Italia e gli obiettivi di Lisbona

3.4.1 Perché l’Italia è cresciuta e continua a crescere meno dei suoi competitor

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3.7 Il concetto di sviluppo umano

Capitolo quarto 65

IL CONTRIBUTO DELL’ISTRUZIONE AI PROCESSI DEMOCRATICI

4.1 La democrazia è anche un problema di istruzione 4.2 La democrazia nella società dell’informazione e della comunicazione

Capitolo quinto 70

L’AVVENTO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE

5.1 La Terza rivoluzione industriale 5.2 Il problema del digital divide

5.3 La scuola di fronte ad una società mass-mediatizzata

Capitolo sesto 81

NUOVE TECNOLOGIE E SISTEMA FORMATIVO

6.1 La nuova domanda di istruzione 6.2 La formazione a distanza

6.3 La rivoluzione dell’e-learning

6.4 Metodologia di impiego delle reti e tipologie dell’apprendimento a distanza

6.5 E-learning: il nodo dell’interazione

6.5.1 Computer Mediated Communication: punti critici e vantaggi 6.6 Per un efficace modello di e-learning

6.7 Formazione a distanza e formazione in presenza: i vantaggi dell’e-learning

Capitolo settimo 96

E-LEARNING E SISTEMA FORMATIVO UNIVERSITARIO. L’ESPERIENZA DI ROMA TRE.

7.1 L’e-learning nell’università: le ragioni e le linee del cambiamento

7.2 La formazione degli insegnanti. L’esperienza dell’Università di Roma Tre

7.2.1 Il Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione FAD

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PARTE SECONDA

L’ INDAGINE SUL CAMPO

Capitolo primo 106

IL PROBLEMA, L’IPOTESI, LO SCENARIO DI RIFERIMENTO,

LA METODOLOGIA

1.1 Il problema, l’ipotesi della ricerca e lo scenario di riferimento 1.3 La metodologia utilizzata

Capitolo secondo 110 L’ANALISI E L’ INTERPRETAZIONE DEI DATI

2.1 I dati statistici aggregati 2.2 I questionari strutturati

2.2.1 Il questionario auto compilato sul web da tutti gli studenti

del Corso SdE-FAD

2.2.2 Il questionario telefonico somministrato agli studenti del Corso SdE in presenza

2.3 Individuazione dei fattori di successo del CdL SdE-FAD

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 133 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 136 APPENDICE 171 1. Questionario CdL SdE-FAD

1.A Questionario CdL SdE-FAD. Rappresentazioni grafiche dei dati 1.B Questionario CdL SdE-FAD. Analisi delle correlazioni e della varianza sull’esito degli esami

2. Questionario CdL SdE in presenza

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INTRODUZIONE

Lo sviluppo della democrazia è sempre stato accompagnato dalla comparsa e dall’affermarsi di movimenti politici, in particolare quelli socialisti, che hanno posto l’eguaglianza al centro dei loro programmi, ma il rapporto tra democrazia e uguaglianza rimane comunque complesso. L’introduzione di meccanismi redistributivi e la formazione di sistemi di Welfare State hanno consentito di realizzare, in termini diversi da paese a paese e con esiti non sempre univoci, alcune parti dei progetti egualitari ma, malgrado l’importanza dei risultati raggiunti da queste esperienze, e in parte a causa di esse, è oggi prevalente un senso di delusione e il termine Welfare state suggerisce non tanto l’idea di una ambiziosa costruzione che deve essere completata e perfezionata quanto quella di un edificio disordinato e poco funzionale, di un sistema che spesso è di ostacolo alle forze più innovative, qualcosa che deve essere riformato e snellito (se non smantellato). Le critiche prendono di mira non solo la rigidità e la inefficienza delle istituzioni ma soprattutto i “fallimenti egualitari”, cioè il fatto che la rimozione di alcune disuguaglianze o l’eliminazione di alcuni privilegi hanno determinato altre disuguaglianze e altri privilegi (si pensi ad esempio alla contrapposizione tra insider, che godono della protezione dei sistemi di welfare e della rappresentanza sindacale, e outsider, che si muovono al di fuori della sfera d’azione di queste istituzioni e le cui condizioni diventano in alcuni casi peggiori proprio come conseguenza dei fattori che migliorano quelle degli insider).

Il colpo di grazia ai sistemi di Welfare State è poi arrivato dalla globalizzazione: un’economia globalizzata, infatti, il cui controllo è in gran parte sottratto alle autorità politiche nazionali, comporta inevitabilmente il declino di politiche economiche di stampo keynesiano. Se però il modello europeo di protezione sociale è entrato in crisi, ancora non appare definito un nuovo modello in grado di conciliare creazione di ricchezza, coesione sociale e libertà politica.1

Come già osservava il grande economista inglese del Settecento Adam Smith, il benessere, anche economico, di una società si collega alla coesione del corpo

1 Sulla necessità di ridefinire la funzione dello stato sociale di fronte ai nuovi rischi posti dalla

globalizzazione si vedano di U. Beck: La società globale del rischio, Asterios, Trieste 2001 e La

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sociale. Ed è proprio la differenza tra persone ricche di conoscenze e persone povere di conoscenze che determina le maggiori tensioni sul piano della coesione socioeconomica. Si ritiene infatti che “una società in cui il tasso di mobilità ascendente è elevato, o, si noti, è creduto dalla popolazione essere tale, sia soggetta a minori tensioni sociali. Il desiderio di promozione sociale differenziale, di migliorare le proprie iniziali condizioni di vita rispetto a un dato gruppo di riferimento, che ove fosse frustrato predisporrebbe gli individui a delegittimare l’ordine sociale esistente, trova nella mobilità oggettiva, non meno che nella speranza di mobilità, la sublimazione più efficace”2. Il nostro sistema formativo ha, invero, fallito proprio sul tema delle opportunità formative delle fasce più deboli della società, replicando la struttura sociale del Paese sia su base territoriale, il divario Nord-Sud, sia rispetto alle condizioni culturali ed economiche delle famiglie. In Italia, la mobilità sociale è più debole rispetto ad altri paesi perché i meno abbienti si allontanano dagli studi, anche se meno costosi che in altri paesi, proprio perché non redditizi, lontani dalle esigenze del mercato del lavoro e non in grado di soddisfare i bisogni di occupazione ad alta qualificazione propri di un’economia postindustriale.

Appare chiaro che, in questo contesto, i paradigmi che hanno ispirato decine di riforme scolastiche e formative non bastano più a giustificare politiche che non si prefiggano, oltre a favorire e promuovere lo sviluppo del capitale umano, anche di creare le condizioni di un’evoluzione sociale sostenibile nel tempo e di uno sviluppo democratico permanente. Ed è appunto in questo contesto che viene alla ribalta il tema dell’ “equità” come termine di riferimento e di giudizio per impostare politiche formative giuste, progressiste e in grado di resistere alla mercificazione dei comportamenti in atto nelle società contemporanee. Se per molto tempo si è parlato infatti unicamente di uguaglianza, è solo alla fine del ventesimo secolo che si è cominciato a porre il problema della distribuzione delle opportunità formative nei termini più comprensivi dell’equità. Un sistema formativo equo infatti non è solo un sistema che distribuisce il bene istruzione in

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maniera equa, ma anche un sistema che lo fa in modo da rendere più giusta la società. L’equità esterna è infatti una dimensione specifica dell’equità dei sistemi educativi poiché essi possono agire sulle disuguaglianze sociali in maniera differente rispetto alla loro giustizia. Occuparsi di opportunità formative oggi significa pertanto occuparsi anche degli effetti sociali, economici e politici che le disuguaglianze educative producono. Collegare equità a conoscenza obbliga a interrogarsi sulla natura della conoscenza stessa e sulle sue funzioni nella società. Che effetti producono dunque i sistemi educativi sulla giustizia della società? Qual è la loro “equità” esterna? Quali benefici trae la popolazione dal livello d’istruzione? Quali sono gli effetti dell’istruzione sulle disuguaglianze sociali? Come già avvertiva Ralf Dahrendorf, “il compito che incombe sul Primo Mondo nel decennio prossimo venturo è quello di far quadrare il cerchio fra creazione di ricchezza, coesione sociale e libertà politica. La quadratura del cerchio è impossibile; ma ci si può forse avvicinare, e un progetto realistico di promozione del benessere sociale probabilmente non può avere obiettivi più ambiziosi”3. E’ a questo il livello che si collocherà il dibattito.

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PRESENTAZIONE DEL LAVORO 1. L’obiettivo della ricerca

L’obiettivo della ricerca è stato quello di mettere in evidenza le relazioni che intercorrono tra sistema formativo e sistema economico, sociale e politico e tra formazione e tecnologia, per comprendere se, nell’ottica di un cambiamento strutturale del sistema formativo italiano in linea con gli obiettivi della società della conoscenza, la formazione, e in particolare la formazione a distanza

attraverso l’uso di reti telematiche, rispetto alle procedure tradizionali, possa, migliorando i risultati della formazione ed elevando il livello medio delle competenze, contribuire a far quadrare il cerchio fra creazione di ricchezza,

coesione sociale e libertà politica.

2. La scelta dell’argomento della ricerca

Nella scelta dell’argomento della ricerca hanno giocato un ruolo importante diversi fattori: una formazione di tipo giuridico-economico; gli studi pedagogici intrapresi in seguito all’esercizio dell’attività di insegnante nella SSS e alla collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Roma Tre; la partecipazione, a partire dall’anno accademico 2004-05, alla progettazione e realizzazione pratica del Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione a distanza

(FAD) su piattaforma e-learning per la formazione in servizio degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria. Partecipazione che ha permesso un controllo preliminare dell’ipotesi di lavoro e le prime osservazioni sul campo.

3. La metodologia di indagine

Nella ricerca sociale la scelta tra una procedura di tipo quantitativo o qualitativo dipende dall’obiettivo della ricerca, portando le due procedure a conoscenze diverse, ad un approccio differenziato alla realtà sociale, ad una diversa prospettiva. Il voler provare a verificare, sulla base di risultati concreti, se “la formazione a distanza attraverso l’uso di reti telematiche migliora i risultati della formazione rispetto alle procedure tradizionali, elevando il livello medio delle competenze”, ha determinato quindi la scelta, in una prima fase, dell’approccio

quantitativo. Le tecniche utilizzate sono state la raccolta e l’analisi dei dati forniti

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base empirica molto importante e produttiva di risultati assai convincenti. Il ricorso ai dati statistici appare pertanto indispensabile nel momento in cui si intende indagare e analizzare, come in questo caso, le differenze negli esiti degli studenti iscritti a corsi di laurea che utilizzano diverse modalità didattiche. Infatti solo la disponibilità di dati che hanno come ambito l’intera utenza possono permettere tali analisi. In primo luogo è stata fatta quindi una rilevazione

statistico-quantitativa della popolazione universitaria del CdL triennale in SdE in

presenza e del CdL triennale in SdE –FAD e-learning dell’Università di Roma Tre e sono stati analizzati e comparati i dati statistici aggregati relativi ad alcuni fattori di successo. Naturalmente il ricorso alle statistiche ufficiali non è privo di limiti. Uno di questi è rappresentato dal fatto che le statistiche ufficiali sono limitate a

variabili fattuali, cioè a dati oggettivi e comportamentali. Resta esclusa tutta la sfera soggettiva delle opinioni, motivazioni, atteggiamenti, difficoltà. Per avere quindi un’ illuminazione ad hoc anche su questo aspetto, per approfondire, dopo la raccolta dei dati attraverso tecniche quantitative, i temi emersi, la ricerca è stata integrata da un’analisi dei dati rilevati con due questionari standardizzati (cioè strutturati nelle domande e nelle risposte), somministrati a tutti gli studenti del Corso di laurea SdE-FAD e agli studenti del CdL SdE in presenza con le stesse caratteristiche degli studenti del corso FAD (di sesso femminile e con più di 35 anni). La FAD di Roma Tre infatti nasce per la formazione in servizio degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria del territorio della Regione Lazio e si configura come un Corso di Laurea rivolto ad una particolare utenza rappresentata da studenti adulti, lavoratori e insegnanti.

3. L’articolazione del lavoro

Il lavoro si sviluppa in due parti.

La prima parte è dedicata al quadro di riferimento teorico in cui sono resi espliciti gli assunti di fondo, ovvero i paradigmi interpretativi che sono alla base dell’impostazione e dello svolgimento della ricerca stessa: “l’equità sociale come

mission dei processi formativi e il ruolo che assumono in questa prospettiva le nuove Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione".

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Nel capitolo 1 viene analizzato il significato che assume oggi, in seguito alla generalizzazione dell’istruzione, il concetto di uguaglianza delle opportunità formative in riferimento ad alcune concezioni generali della giustizia così come appaiono nelle teorie della filosofia politica contemporanea, a partire dalla Teoria

della giustizia di John Rawls. Il contributo dei sociologi dell’educazione al concetto di uguaglianza delle opportunità formative, al fine di fertilizzare reciprocamente le due anime del dibattito, viene discusso nel capitolo 2. Il capitolo

3 affronta la questione, inevitabile nella attuale economia postindustriale, delle relazioni tra formazione, crescita e sviluppo economico, problematica molto ampia e complessa che si pone all’incrocio di differenti approcci disciplinari. Il contributo della formazione alla politica e ai processi democratici viene analizzato nel capitolo 4. Il capitolo 5 illustra i caratteri della Società dell’Informazione e della Comunicazione e la questione del divario digitale. Il capitolo 6 è dedicato alla questione cruciale della formazione a distanza attraverso l’uso di reti telematiche. Il capitolo 7 si sofferma sulle potenzialità delle TIC nella didattica universitaria e descrive il progetto SdE FAD e-learning dell’Università di Roma Tre, per la formazione in servizio degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, che ha rappresentato lo scenario di riferimento per l’indagine sul campo.

La seconda parte del lavoro dà conto dell’ indagine sul campo.

Nel capitolo 1 vengono descritti il problema, l’ipotesi della ricerca, lo scenario di riferimento e la metodologia scelta. Il capitolo 2 è dedicato all’analisi e all’interpretazione dei dati. Seguono le Considerazioni conclusive, una

Bibliografia essenziale e un’ Appendice in cui sono presenti i testi dei due questionari strutturati e le relative rappresentazioni grafiche dei dati.

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PARTE PRIMA

L’UGUAGLIANZA DELLE OPPORTUNITÀ

FORMATIVE OGGI E IL RUOLO DELLE NUOVE

TECNOLOGIE

“Tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”

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Capitolo primo

DALL’ UGUAGLIANZA ALL’EQUITÀ Premessa

Da alcuni anni nel dibattito sulle politiche sociali ed educative il termine equità tende a sostituire quello di uguaglianza e non si tratta, come alcuni credono, di un ripudio degli ideali egualitari degli anni Sessanta/Settanta sotto la spinta dei vari movimenti neo-conservatori. Anzi, i principali artefici dello slittamento semantico dall’eguaglianza all’equità sono stati proprio i filosofi della politica che, a partire dagli anni Settanta, si sono confrontati in modo sempre più vivace sul tema della giustizia sociale. Per questi filosofi l’eguaglianza non è da considerarsi un valore in sé, lo è solo se giustificata da una coerente teoria della giustizia e nei limiti di tale giustificazione, cioè l’uguaglianza rappresenta un valore solo se è considerata “giusta” o “equa”. Con il termine equità si è inteso dunque non già accantonare, ma problematizzare e relativizzare il concetto di uguaglianza.

Pertanto, prima di dirsi favorevoli o contrari all’ideale egualitario bisogna cercare di capire meglio di che cosa si stia parlando. Osservando che l’uguaglianza in un ambito comporta necessariamente disuguaglianze in altri, si pone il problema di scegliere, con il soccorso di una teoria della giustizia/equità, in quali ambiti legittimare l’uguaglianza e in quali invece legittimare, o tollerare, la disuguaglianza. Per usare le famose parole dell’economista indiano Amartya Sen, bisogna rispondere alla domanda: “eguaglianza di che cosa?”4 Questa domanda non può essere evitata.

1.1 Uguaglianza di che cosa?

Storicamente l’egualitarismo si presenta in due versioni teoriche fondamentali: una uguaglianza dei risultati (UDR) che considera le condizioni in cui i soggetti si trovano in un dato momento e mira a correggere le disuguaglianze, quale ne sia l’origine, che intercorrono tra essi, e una uguaglianza delle opportunità (UDO) che mira a mettere i soggetti in una condizione di parità nella situazione di partenza e

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considera legittime le disuguaglianze che emergono in conseguenza di scelte e azioni compiute autonomamente e di cui ognuno quindi è responsabile. L’idea di base, qui, è che non c’è nulla di male, dal punto di vista dell’ideale egualitario, nel fatto che ci siano una persona avvantaggiata e una svantaggiata se la condizione dello svantaggiato risulta da una scelta volontaria di cui la persona stessa può essere ragionevolmente ritenuta responsabile. Ciò che va egualizzato è dunque l’opportunità. L’UDO, che rappresenta la versione liberale dell’egualitarismo, si presenta, a sua volta, in quattro versioni. Una prima versione, che potremmo definire formale, che richiede semplicemente la libertà nella possibilità di accedere a determinate posizioni, quindi, nel caso dell’istruzione, la possibilità per tutti di intraprendere la carriera scolastica, la mancanza di situazioni di vantaggio e discriminazione e che identifica l’obiettivo egualitario solo nell’eliminazione di vantaggi particolari o trattamenti discriminanti, senza però richiedere che i soggetti vengano posti in condizione di avere realmente uguali probabilità di riuscita. Una seconda versione, che potremmo definire meritocratica, che aggiunge ai requisiti formali della prima, una serie di condizioni sostanziali, come l’eliminazione degli ostacoli sociali ed economici che rendono ineguali le possibilità di riuscita, ma non l’eliminazione o la compensazione delle disuguaglianze dovute alla diversità delle doti e dei talenti naturali. Una terza versione che richiede la eliminazione anche di queste ultime disuguaglianze. Infine una quarta versione che richiede interventi ex post per correggere gli effetti che sul risultato hanno avuto le ineguaglianze nelle condizioni di partenza quale ne sia stata l’origine (sociale o naturale).

Le critiche maggiori rivolte ai sostenitori dell’UDR consistono principalmente nel ritenere che, da un punto di vista etico, non sia accettabile l’idea di trascurare valori come la responsabilità, l’autonomia e la libertà, e, dal punto di vista dell’efficienza, che perseguire l’UDR comporterebbe costi troppo elevati in quanto si produrrebbe inevitabilmente un effetto disincentivante su una serie di comportamenti come l’impegno nel lavoro o la formazione del capitale umano. La critica principale, invece, che i sostenitori dell’UDR muovono all’UDO è data dal fatto che la nozione di responsabilità, su cui si fonda la teoria, non fornisca una sufficiente giustificazione alle disuguaglianze in quanto, in realtà, le scelte non

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sarebbero mai autonome, ma influenzate da fattori naturali o sociali dei quali i soggetti spesso non sono responsabili.

Indubbiamente, se è difficilmente discutibile la fondatezza dell’argomento secondo cui è moralmente corretto ritenere le persone responsabili delle prevedibili conseguenze delle loro scelte volontarie, è di tutta evidenza l’ingiustizia dell’UDO quando il criterio è quello di stabilire regole uguali ed astratte in nome di un’uguaglianza formale che invece può determinare discriminazioni indirette tra persone non uguali nei fatti. L’idea di eguaglianza deve confrontarsi con la molteplicità delle variabili in base alle quali l’eguaglianza può essere valutata e scendere a patti con l’esistenza di una diffusa diversità umana. La mancata considerazione delle diversità personali può infatti generare effetti profondamente anti-egualitari, poiché un trattamento uguale per tutti può comportare un trattamento molto diseguale per coloro che si trovano in una situazione di svantaggio.

Nel campo specifico dell’educazione il cambiamento delle condizioni del dibattito sulla giustizia trova origine, almeno in parte, proprio dalla stessa generalizzazione della scolarizzazione. Come sostieneFrançois Dubet5, proprio la generalizzazione della scolarizzazione ha evidenziato che un trattamento uniforme per tutti non ha condotto all’uguaglianza dei risultati. La selezione sociale, che in passato avveniva attraverso gli indirizzi di studio nettamente separati, interveniva anche in un sistema scolastico unificato e quindi, da qui, l’immagine di una scuola giusta inserita in una società ingiusta. In educazione dunque a quale uguaglianza aspiriamo? Qual è la “giusta” uguaglianza che possiamo assumere oggi come sinonimo di equità?

Quella dei risultati, cioè del bene finale prodotto dal processo di insegnamento/apprendimento o, semplicemente, quella del trattamento, in primo luogo dell’insegnamento e con esso degli altri beni strumentali erogati dai sistemi scolastici nel corso di tale processo?

5 F.Dubet, “Massification et justice scolaire. À propos d’un paradoxe”, in Justice sociale et

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E’ evidente che se si ritiene che equità in istruzione significhi uguaglianza di risultati, per ottenerla (sia espressa in termini di carriere scolastiche e/o di apprendimenti) può non essere sufficiente eliminare le disparità di trattamento, ovvero scuole migliori per studenti avvantaggiati, ma occorra adottare politiche di compensazione, cioè scuole migliori per gli studenti svantaggiati. Equità in questo caso significherebbe una “giusta uguaglianza” nella distribuzione del bene finale che si combina con una “giusta disuguaglianza” nella distribuzione di beni strumentali. Uguaglianza che richiederebbe trattamenti differenziati e modellati sulle specifiche culture, stili cognitivi e motivazioni di individui e gruppi. Quindi diversificazione dei mezzi in funzione dell’uguaglianza dei risultati. Al contrario se si ritiene che equità in istruzione significhi uguaglianza di trattamento si dovrebbe accettare come giusta l’eventuale e probabile disparità di risultati. Se, infine, si pretendesse di eguagliare non tanto i risultati quanto i benefici che i diversi soggetti sono in grado di trarre al di fuori del sistema educativo (per esempio, sul mercato del lavoro), allora la giusta disuguaglianza dovrebbe riguardare i risultati interni visti in funzione di equi risultati esterni.

Un altro modo per fissare degli standard di equità in materia di disuguaglianze individuali potrebbe essere quello di stabilire delle soglie minime di risultato, cioè dei livelli minimi espressi in termini di carriera scolastica formale e/o competenze di base, che si ritiene equo siano raggiunti da tutti gli studenti. Ma è evidente qui che si tratterebbe di un criterio di equità che mira a contrastare innanzitutto l’esclusione piuttosto che la disuguaglianza, anche se, fissando una soglia minima elevata, si potrebbe anche sortire l’effetto di ridurre la dispersione statistica dei risultati e dunque di contrastare le disparità interindividuali. Infine potrebbe essere una risposta anche considerare il merito come criterio di giustizia educativa, nel suo duplice significato di talento e sforzo. Ad esempioMichael Walzer6 identifica

6 M. Walzer, Sfere di giustizia, Feltrinelli, Milano 1987. Il criterio di equità adottato da Walzer,

stabilisce che le disuguaglianze in educazione debbano essere indipendenti dalle disuguaglianze osservabili in altre sfere (economica, politica, ecc.), il che implica da un lato che la ricchezza e l’origine sociale non debbano dare vantaggi in materia di educazione e dall’altro che l’educazione non ne debba dare in termini monetari. In altre parole si istruisce per il solo piacere e non perché l’educazione può essere redditizia.

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il merito come criterio appropriato di selezione e principio regolativo specifico per l’educazione, una volta assicurato il raggiungimento universale di una soglia minima. Sarebbe da considerare equa dunque una scuola capace di riconoscere, valorizzare e premiare i talenti anche se ciò dovesse comportare forti disuguaglianze nei trattamenti e nei risultati.

Indubbiamente, se la scuola funzionasse effettivamente secondo criteri strettamente meritocratici, sul presupposto che gli individui siano diversi dalla nascita, si potrebbero interpretare gli esiti selettivi dell’istruzione come il risultato della selezione progressiva dei più abili. In realtà, tutti i dati delle ricerche passate e recenti mostrano come il percorso e i risultati scolastici dipendano piuttosto dai redditi e dall’istruzione della famiglia di provenienza e che i risultati selettivi siano dovuti, più che all’operare della meritocrazia, ad ostacoli di tipo economico e sociale. Il dibattito che si è sviluppato negli Stati Uniti negli anni Sessanta, dopo i primi studi sul rendimento economico dell’istruzione e sulla validità delle misure del quoziente intellettuale come misura delle capacità naturali dell’individuo, aveva portato, da più parti, ad una forte critica di tale procedura perché escludeva variabili come il background familiare, il reddito dei genitori, la loro ricchezza, il prestigio sociale della famiglia. Non a caso l’inserimento di queste variabili giungeva a rendere insignificante statisticamente la variabile del quoziente intellettivo, dimostrando, al contrario, che le cause che determinavano il diverso grado di accesso all’istruzione e le disuguaglianze nel percorso scolastico erano legate agli effetti che l’ambiente culturale e sociale della famiglia di provenienza esercitava sulle capacità di base dei bambini. Visto che la disuguaglianza tendeva a riprodursi indipendentemente dal processo formativo, anzi, la scuola, attraverso meccanismi di tipo meritocratico, “trasformando il privilegio in merito”7, produceva l’effetto disincentivante alla prosecuzione per tutti coloro che ottenevano valutazioni inferiori alla media (in pratica di tutti quelli meno dotati di un pregresso bagaglio culturale), si dichiarava apertamente il fallimento dell’allargamento della scolarità in forma meritocratica come lotta alla disuguaglianza stessa. Venendo a cadere il carattere di naturalità delle capacità

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intellettive, infatti, veniva a cadere la legittimazione di un sistema meritocratico come meccanismo selettivo efficiente e si riapriva il dibattito sulle possibilità di intervento sul problema della disuguaglianza nella scolarizzazione.8

Nonostante recentemente vi sia stato un ritorno di queste discussioni, in particolare con riferimento alla questione razziale, la presunta ereditarietà dell’intelligenza appare come una proposizione ideologica che a tutt’oggi non possiede alcuna robusta verifica empirica. Anche se non mancano prove sia a favore che a sfavore del concetto di differenze genetiche, non vi sono metodi soddisfacenti per separare le influenze genetiche da quelle culturali. Il grado in cui le capacità naturali, ignote al momento della nascita, si sviluppano e raggiungono il compimento è influenzato da ogni genere di condizioni sociali e atteggiamenti culturali e si rivelano solo attraverso il processo di socializzazione, processo in cui la scuola esercita un ruolo centrale.

1.2 Il giudizio di equità oggi

In seguito ai movimenti sociali degli anni Settanta le condizioni politiche del dibattito sulla giustizia si sono evolute, altre forme di disuguaglianza sono state denunciate e sono emersi nuovi paradigmi per prendere in considerazione le disuguaglianze, sia che si tratti dell’oggetto (la qualità dell’esperienza scolastica), sia delle categorie pertinenti (italiani/immigrati, uomini/donne). Ma soprattutto è cambiato lo statuto sociale del sapere: le forme del sapere utile si sono notevolmente diversificate e non solo quelle richieste dalla vita professionale. Una delle principali ragioni infatti che spiegano l’attenzione rivolta oggi all’equità e alla giustizia dei sistemi scolastici e formativi è proprio quella del cambiamento dello statuto della conoscenza nelle società dell’informazione e della

comunicazione. La questione della giustizia acquista dunque una nuova importanza, il suo contenuto evolve e passano in primo piano problemi come

8 Il dibattito sui fattori determinanti della capacità cognitiva, che è stato di grande portata, spesso su

basi chiaramente ideologiche, si pone tra due estremi: ad un estremo si è sostenuto che la capacità è quasi interamente ereditaria (Jensen, 1969,1972,1974; Hernstein, 1971), all’altro estremo si è sostenuto che la capacità è fondamentalmente determinata dall’ambiente (Hunt, 1961; Halsey 1951). Fra questi due estremi si pongono i tentativi di separare l’influenza dei geni dall’influenza dell’ambiente (Williams, 1973).

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quelli della corrispondenza dei contenuti a quanto ciascuno avrà bisogno per tutta la durata della vita, della possibilità per tutti di accedere ad un’istruzione della medesima qualità e dell’acquisizione di un livello minimo di competenze, dell’esigenza di regolare in modo adeguato l’accesso al sapere e l’uso che se ne fa di fronte ai rischi di una sua confisca da parte del mercato. Attualmente quindi il sistema educativo, che in passato aveva quasi esclusivamente il compito di selezionare un’èlite, sembra essere all’inizio di un’evoluzione che dovrebbe condurre all’obiettivo di offrire egualmente a ciascuno le condizioni per una vita di buona qualità.

Oggi nei dibattiti pedagogici appare dunque chiara una cosa: l’educazione non riguarda più solo i problemi scolastici tradizionali. Oggi non è più eludibile l’analisi del rapporto tra educazione e sistema economico-sociale e tra educazione e politica, perché quello che si decide di fare oggi ha senso solo all’interno del contesto più ampio degli obiettivi che la società si propone di raggiungere attraverso l’investimento in istruzione e formazione. La questione della giustizia del sistema educativo si pone in maniera più ampia di quanto sia stata trattata tradizionalmente: interrogarsi sulla giustizia delle disuguaglianze, tener conto della responsabilità del sistema educativo nella genesi delle disuguaglianze sociali definisce un approccio politico alle disuguaglianze, perché oggi non ci troviamo tanto di fronte a disuguaglianze ancorate tanto profondamente a disuguaglianze sociali che solo una rivoluzione politica egualitaria potrebbe sopprimere, ma ci confrontiamo con disuguaglianze giustificabili contro le quali, per abolirle, occorre trovare valide argomentazioni. Ecco perché oggi la nozione di uguaglianza non basta più e occorre invece chiedersi quali disuguaglianze sono “ingiuste”. Si può infatti sostenere che alcune disuguaglianze tra gruppi sono giuste se testimoniano un’identità diversa o scelte differenti, proprie della singolarità di questi gruppi; denunciandole come ingiuste si rafforza il dominio di uno dei due gruppi, erigendo le proprie scelte a norma. Al contrario osservando tali scelte si può ignorare che le loro condizioni non erano giuste e legittimare, così, un’ingiustizia. Le disuguaglianze in educazione presentano infatti, a volte, evidenti ambivalenze, gli stessi fenomeni possono essere letti sia come espressione di differenze di gusti, di

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talenti, di motivazioni, che come il prodotto di condizioni sociali che impediscono ad alcuni di essere uguali ad altri (nelle disuguaglianze di genere il dilemma è più evidente, ma il discorso vale anche per le disuguaglianze sociali). Cambia, in base alla lettura che se ne vuole dare, e in modo radicale, il concetto di uguaglianza così come quello di opportunità. Nel primo caso è un’opportunità fare scelte coerenti con le proprie particolari caratteristiche e valori, nel secondo caso è un’opportunità la possibilità di acquisire caratteristiche e valori. Non dimentichiamo che il nuovo razzismo oggi si ripropone come un radicale culturalismo e differenzialismo. L’attuale contesto politico richiede quindi che si dimostri l’ingiustizia delle disuguaglianze che si intendono denunciare. Se per molto tempo si è parlato quindi unicamente di uguaglianza, oggi si comincia a porre il problema della distribuzione delle opportunità formative nei termini più comprensivi dell’equità. E a questo proposito Denis Meuret9, fa notare che chi parla oggi di equità non può essere sospettato di abbandonare una nozione chiara come quella di eguaglianza per un’altra mal definita e, da un punto di vista politico, di volere in realtà legittimare disuguaglianze ingiustificabili. L’ottica dell’equità è, in realtà, un’ottica diversa rispetto a quella egualitaria tradizionale, semplificativa, unilaterale e “massimalista”, che non tiene conto del fatto che massimizzare l’uguaglianza in un settore significa comprimerla in un altro settore oppure rendere vulnerabili altri valori importanti come la libertà o l’efficacia. Il concetto di equità non è sinonimo di uguaglianza ma non è nemmeno antitetico ad essa. Il giudizio di “equità”, a differenza di quello di uguaglianza, è un giudizio complesso di tipo pluralista. L’equità, come dice Salvatore Veca, “si sposa più spesso con una combinazione tra principi diversi, tra filosofie diverse, che non con una coerente e rigorosa applicazione di un solo principio, per suggestivo e convincente che esso possa apparire”10.

Occorre dunque un accordo sui principi di giustizia da applicare, non solo sulle concezioni che riguardano specificamente il campo formativo, ma soprattutto sulle

9 D. Meuret, “Valutare l’equità dei sistemi scolastici”, in N. Bottani e L. Benadusi, Uguaglianza e

equità nella scuola, Erickson, Gardolo (TN) 2006, pag. 41.

10

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teorie che concorrono a definire i criteri di giustizia in generale che però hanno ripercussioni sulle modalità di distribuzione dell’istruzione.

Essendoci quindi diverse concezioni dell’uguaglianza e dell’equità e diversi criteri di giustizia educativa, che differiscono tra loro sia per la natura delle disuguaglianze ritenute non eque, sia per il modo in cui si articolano fra loro equità, efficacia e libertà, e avendo, ognuno di essi, ripercussioni sull’architettura dell’intero impianto formativo e sulle aspettative degli attori sociali nei confronti delle istituzioni educative, si rende necessario il riferimento ad alcune concezioni generali della giustizia, che si possono applicare in modo significativo all’istruzione, così come appaiono nelle teorie della filosofia politica. Ci riferiamo in particolare alle teorie dell’equità dette di “post-welfare” molte delle quali apparse sulla scia della Teoria della giustizia di John Rawls.

Grosso modo nell’ottica post-welfare ((la denominazione post-welfare non deve essere interpretata in senso cronologico perché le teorie post-welfare sono state oggetto di importanti sviluppi contemporaneamente alle teorie che si ispirano allo stato sociale) esiste un approccio egemonico basato sulla compensazione delle differenze e delle disuguaglianze di certe caratteristiche individuali attraverso la redistribuzione di risorse esterne, all’interno di questo approccio si distinguono la

corrente dell’eguaglianza delle risorse (J. Rawls, 1971; Dworkin, 1981; Van Parijs, 1990), secondo cui si dovrebbe mirare a compensare la disuguaglianza di risorse interne (talenti e handicap) attraverso una redistribuzione di risorse esterne in denaro o in natura (es. ore di insegnamento) e la corrente delle pari possibilità o

opportunità (A.K. Sen, 1985, 1987; Arneson, 1989, 1990; Cohen, 1989, 1990; Roemer, 1993, 1995) che distingue tra variabili che l’individuo non controlla e variabili che controlla e di cui è considerato responsabile. Quest’ultimo approccio, sottolineando la questione del libero arbitrio e della responsabilità di ciascuno rispetto al proprio destino, ritiene che bisogna compensare soltanto quegli handicap che non sono dovuti ad un “cattivo” esercizio della responsabilità individuale.

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1.3 La Teoria dell’eguaglianza delle risorse. John Rawls

Il testo di John Rawls11, A theory of justice, uscito nel 1971, considerato un classico della filosofia morale e politica contemporanea, non è solo un libro per filosofi, esso interessa direttamente le scienze politiche e sociali e rappresenta una sfida intellettuale per chiunque ritenga rilevante la discussione sui principi che dovrebbero essere alla base di una società democratica.

L’aspetto più interessante del pensiero di Rawls, che rappresenta in qualche modo lo scenario della tesi che si vuole portare avanti, è lo sforzo di pensare insieme la questione della libertà, dell’uguaglianza e dell’efficacia, al fine di creare le condizioni di una cooperazione equa e a vantaggio di tutti gli individui.

Il punto di partenza nella situazione immaginata da Rawls è dato dalle scelte che gli individui farebbero se non conoscessero le proprie caratteristiche e la propria posizione sociale. Dietro questo “velo di ignoranza” gli individui, nel decidere sulle istituzioni e sulla struttura di base della società, non potrebbero non accordarsi sui seguenti principi:

1. Ogni persona ha un eguale diritto alla più estesa libertà fondamentale compatibilmente con una simile libertà per gli altri (principio di uguale libertà). 2. Le disuguaglianze sociali ed economiche devono

a) essere collegate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa uguaglianza delle opportunità (principio di equa uguaglianza delle

opportunità);

11John Rawls nasce nel 1921 a Baltimora. Finita la scuola, si iscrive all'Università di Princeton e in

seguito parte volontario per l'Estremo Oriente, dove l'esercito statunitense aveva inviato le proprie divisioni in seguito all'attacco da parte del Giappone. L'esperienza della guerra è essenziale nella sua formazione e la condanna dell'uso della bomba atomica da parte degli Stati Uniti sarà un elemento ricorrente nei testi della maturità. Tornato in America, Rawls consegue il dottorato e quindi insegna nelle Università di Princeton, Cornell e al MIT prima di ricevere una cattedra a Harvard. Dopo l'enorme successo che lo travolge in seguito alla pubblicazione di Una teoria della

giustizia nel 1971, Rawls rinuncia fermamente alla possibilità di diventare un personaggio pubblico, giungendo a chiedere di essere cancellato dalla rubrica Who's who, dedicata ai personaggi famosi. I suoi colleghi lo ricordano come una persona schiva e seriamente devota al rispetto della giustizia anche nella vita privata - si racconta che una volta, in sede di discussione di una tesi di dottorato, sia rimasto seduto per ore in una posizione notevolmente scomoda per far sì che i raggi di sole che entravano dalla finestra non dessero fastidio al candidato. John Rawls E' morto a Lexington il 24 novembre 2002.

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b) procurare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società (principio di differenza);

I principi sono posti in ordine di priorità

Prima regola di priorità: la priorità della libertà. La libertà può essere limitata solo in nome della libertà stessa.

Seconda regola di priorità: la priorità della giustizia rispetto all’efficienza e al benessere. L’equa opportunità precede il principio di differenza.

Rawls, sulla scia di Kant e Rousseau, accettando l’idea del contratto sociale, critica l’Utilitarismo, cioè l’idea che una società giusta è quella che procura ai suoi componenti il massimo del benessere possibile. In filosofia e in etica, l’Utilitarismo è la concezione che identifica il bene con l’utile e commisura il valore morale dell’agire individuale e collettivo all’utilità dei suoi effetti. Sebbene questa concezione si possa far risalire alla filosofia di Epicuro e in generale all’edonismo antico, l’utilitarismo acquista uno specifico rilievo nel pensiero etico, economico e politico inglese del Settecento e dell’Ottocento. Esso ha infatti attinenza con la diffusione del liberalismo in politica e del liberismo in economia. Avendo definito giusto ciò che massimizza l'utilità, ne deriva una visione di giustizia di tipo allocativo, dove la giustizia è definita come “la gestione efficiente dell'utilità sociale”. In campo educativo l’Utilitarismo valuta l’equità in riferimento al profitto massimo derivante dalla quantità globale di istruzione trasmessa. Secondo gli utilitaristi la società deve finanziare gli studi di ciascun allievo fino al momento in cui il rendimento che potrà ricavare da un anno aggiuntivo di formazione (per esempio, con l’aumento supplementare nel reddito individuale, con l’aumento del gettito fiscale che ne consegue) sarà inferiore al rendimento che si ritiene normale per l’insieme degli investimenti pubblici. La sola condizione di giustizia è che il criterio sia applicato a tutti nello stesso modo. Come si può comprendere questa concezione produce pesanti conseguenze per gli studenti più deboli. La teoria di Rawls si differenzia quindi dall’Uutilitarismo per diverse ragioni:

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a) l’utilitarismo assume come criterio la sorte dell’individuo medio, Rawls quello dei maggiormente svantaggiati in senso lato, prendendo come esempio a volte “gli operai non qualificati” altre “quanti hanno meno della metà del reddito medio”; b) non è sulle preferenze che Rawls valuta la sorte degli individui ma sulla base di “beni sociali primari” definiti in una lista12. Non si tratta di un indice di

soddisfazione, ma di un insieme di strumenti generali necessari per formarsi una concezione del bene e realizzarla;

c) Rawls si propone una giusta distribuzione dei beni primari in base all’osservanza delle priorità su indicate mentre l’utilitarismo non pone alcuna precondizione. Di conseguenza non si possono limitare né le libertà né le opportunità degli svantaggiati in nome del loro benessere.

La teoria di Rawls si distingue anche dal Libertarismo13di Nozick14, che considera ingiusto ogni attentato all’uso che ciascuno può fare dei propri diritti di proprietà, eccetto quello che lederebbe i diritti altrui. Il libertarismo in educazione si esprime nell’idea che ciascuno deve essere libero di sviluppare come vuole il suo capitale umano e che, per finanziare l’educazione, si deve fare affidamento al mercato. Ne deriva l’inesistenza di sistemi educativi pubblici. Nel libertarismo come teoria della giustizia l’idea centrale è che occorre rispettare i diritti degli individui, i diritti infatti esprimono la libertà negativa (= assenza di barriere, ostacoli, impedimenti) degli individui, e la libertà negativa è connessa al fatto che gli individui sono proprietari di se stessi (hanno un certo insieme di diritti, libertà e poteri sulla propria persona). E’ la proprietà di sé che dà conto della 'separatezza' delle persone e della loro pari dignità. Non conta la distribuzione, ma solo come si

12 I “beni sociali primari” sono, per Rawls, le libertà di base, la libertà di movimento e la libera

scelta della propria occupazione, i poteri e le prerogative delle funzioni e dei posti di responsabilità, il reddito e la ricchezza, le basi sociali del rispetto di se stesso. Le libertà di base sono a loro volta: libertà di pensiero e libertà di coscienza, libertà politiche e libertà di associazione, libertà incluse nella nozione di integrità della persona, i diritti e le libertà protette dalla legge. J. Rawls, Les

libertés de base et leur priorité, in J. Rawls, Justce et libertés, in “Critique”, n. 505-506, 1989.

13

Libertarismo è stato storicamente un sinonimo di anarchismo. Da alcuni decenni, soprattutto nei paesi anglosassoni, il termine è usato anche come sinonimo di anarcocapitalismo.

14 Robert Nozick (1939-2002), filosofo politico statunitense, dal 1969 ha insegnato filosofia presso

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è giunti a una determinata distribuzione. La teoria libertaria della giustizia non è considerata infatti una teoria della giustizia distributiva.

La teoria di Rawls si distingue, infine, anche dal Comunitarismo15, cioè dall’idea che i criteri di giustizia dipendono dai valori di una comunità particolare e che solo quei valori possono essere alla base del sentimento di giustizia. La riflessione di Rawls si pone invece non a livello di comunità definite dalla storia o dalla tradizione ma a livello di sistema di cooperazione sociale che è innanzi tutto uno spazio politico.

1.3.1 L’educazione nella Teoria della giustizia

L’educazione occupa un posto importante nella Teoria della giustizia e non si riduce solo alla questione dell’uguaglianza delle opportunità, anche se il suo posto non è direttamente definito. Nella lista dei beni sociali primari l’educazione infatti non risulta in modo esplicito ma tra questi beni non ve ne è nessuno al quale un’educazione dai risultati positivi non dia accesso16. Bisogna dunque tener presente il carattere globale della sua teoria e per comprendere le conseguenze della Teoria della giustizia sull’educazione è più agevole considerare le implicazioni di ciascuno dei principi nell’ordine indicato da Rawls.

15

Il comunitarismo, o comunitarismo identitario, è un termine nato negli USA alla fine del XX secolo per descrivere il funzionamento della società statunitense. Oggi identifica un insieme di filosofie distinte ma unite dall'opposizione all'individualismo. Non necessariamente ostile al Liberalismo sociale o alla Socialdemocrazia, ha piuttosto un'enfasi differente sulle sue componenti, spostando l'attenzione dal singolo individuo alla società ed alla comunità. La questione delle priorità, fra individuo e comunità, ha un grande impatto su molte questioni etiche, come la povertà, l'aborto, il multiculturalismo e libertà di parola. Questa corrente di pensiero, pur provenendo genericamente da settori di destra anche estremi, come alcuni legati a organizzazioni della destra rivoluzionaria, ripensa globalmente la propria identità politica, accogliendo anche istanze storicamente proprie della sinistra, anche rivoluzionaria, e la sviluppa, come spesso affermato, oltre i concetti di destra e sinistra. In generale si può dire che il comunitarismo si connota come attento alle idee nazionalitarie (focalizzandosi sulle identità comunitarie piuttosto che sulle nazionalità, si differenzierebbe così da quelle nazionaliste) ed a quelle comuniste, coniugandole in una politica attenta alle comunità di individui e, comunque, con un acceso antiamericanismo e antimperialismo.

http://it.wikipedia.org.

16 Secondo Rawls i beni primari sono quelli con cui “…gli uomini possono garantirsi un maggior

successo nel realizzare le proprie intenzioni e nel raggiungere i propri fini, quali che essi siano. I beni sociali principali, raggruppati per categorie, sono diritti e libertà, opportunità e poteri, reddito e ricchezza”. In Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, Milano 2002, pag. 91.

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• L’educazione e il principio di uguale libertà

In nome della libertà di associazione, che è una delle libertà di base, ogni comunità può rivendicare di educare i propri figli ai propri valori, ma Rawls non considera che la libertà di massimizzare il capitale umano del proprio figlio (o il proprio) faccia parte delle libertà di base17. Come spiega Denis Meuret18, la ragione di questa esclusione sta nel fatto che Rawls non ritiene che l’obiettivo ultimo della società sia la produzione massimale di beni che richiederebbe una massimizzazione del capitale umano e che, anzi, questa libertà potrebbe mettere in pericolo le altre. In effetti se noi permettiamo che le disuguaglianze in educazione e le ineguaglianze sociali diventino più profonde, le stesse libertà politiche si troveranno ad essere minacciate; le libertà di base di Rawls sono infatti essenzialmente di natura politica: le istituzioni che garantiscono l’uguaglianza delle opportunità “sono minacciate quando le disuguaglianze economiche superano un certo limite e, allo stesso modo, la libertà politica tende a perdere il suo valore e il governo rappresentativo a diventare un’apparenza illusoria”19. “Noi abbiamo diritto alle nostre capacità naturali e a tutto ciò di cui diventiamo proprietari partecipando ad un processo sociale equo”. I talenti sono quindi un dono individuale ma la loro ripartizione è un dono comune, poiché essa “rende possibile numerose complementarietà tra i talenti, quando questi sono organizzati in maniera da trarre profitto dalle differenze”20. Rawls ritiene dunque “che il diritto di volere per i nostri figli il meglio esiste ma non è assoluto. Esso si esercita in un quadro determinato rispetto a quanto richiede una cooperazione sociale equa,

17 Secondo Rawls le libertà di base sono: libertà di pensiero e libertà di coscienza, libertà politiche

e libertà di associazione, libertà incluse nella nozione di integrità della persona, i diritti e le libertà protette dalla legge. J. Rawls, Les libertés de base et leur priorité, in J. Rawls, Justce et libertés, in “Critique”, n. 505-506, 1989. (vedi nota 12)

18 D. Meuret, “Rawls, l’educazione e l’uguaglianza delle opportunità”, in Scuola democratica,

luglio/settembre 2000, n. 3.

19 J. Rawls, Una teoria della giustizia, op. cit., pag. 318.

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poiché l’umano che si tratterà di sviluppare potrà essere sviluppato solo nel quadro di questa cooperazione”21.

• L’educazione e il principio della “giusta” uguaglianza delle opportunità Rawls precisa così la sua concezione dell’uguaglianza delle opportunità: “Supponendo che ci sia una ripartizione dei doni naturali, quanti sono allo stesso livello in termini di talento e capacità e mostrano lo stesso desiderio di utilizzarli dovrebbero avere le medesime prospettive di successo, e ciò senza tener conto della loro posizione iniziale nel sistema sociale”. Ma un’applicazione perfetta di questo principio condurrebbe a garantire il successo scolastico e sociale unicamente sulla base della “distribuzione naturale delle capacità e dei talenti”. Ora, “questo risultato è arbitrario da un punto di vista morale. Non c’è ragione di permettere che la distribuzione delle ricchezze sia fissata dalla distribuzione dei doni naturali più di quanto possa esserlo, in maniera aleatoria, su base sociale e storica”. “La disuguaglianza di fronte all’eredità economica non è più intrinsecamente ingiusta della disuguaglianza di fronte all’eredità dell’intelligenza”. Ritiene invece che quella che chiama “lotteria naturale” della nascita, dovrebbe divenire il punto di partenza per una redistribuzione, attraverso interventi compensativi, a favore dei gruppi svantaggiati e che “il sistema scolastico dovrebbe essere concepito in modo da rendere meno forti le barriere fra le classi”. Tuttavia, siccome molte differenze derivano, da un lato da fattori naturali (per chi ritiene che esistano tali disuguaglianze22), per i quali le azioni correttive oltre certi limiti sono inefficaci e costose, dall’altro dal ruolo delle famiglie (il grado in cui le capacità naturali si sviluppano è infatti influenzato da ogni genere di condizioni sociali e atteggiamenti di classe, anche la disposizione all’impegno e a tentare di essere meritevole dipende da circostanze familiari), ruolo di cui nessuno vuole che siano private, data la impossibilità di distinguere completamente le disuguaglianze secondo la loro origine (naturale, sociale, individuale), se non si vuole a tutti i costi rincorrere il mito di una società di

21 D. Meuret, op. cit.

22 E’ noto che i sociologi, in particolare quelli francesi che hanno studiato la disuguaglianza delle

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uguali, bisogna accettare realisticamente il fatto di poter solo parzialmente correggere la disuguaglianza delle opportunità naturali e sociali.23 Dunque, si possono anche giustificare le disuguaglianze scolastiche oggettivamente ineliminabili, purché, se permangono nonostante un sistema scolastico che assicuri per quanto possibile uguali opportunità indipendentemente dalle origini sociali, queste disuguaglianze vadano a favore degli svantaggiati.

Discostandosi radicalmente dalla meritocrazia fine a se stessa, Rawls sostiene quindi che una “uguaglianza democratica delle opportunità” possa aversi attraverso la integrazione del “principio di equa uguaglianza di opportunità” (eguaglianza liberale) con il “principio di differenza”: correggere, per quanto possibile, e prioritariamente, le disuguaglianze sociali favorendo una distribuzione dei beni sociali primari (tra cui l’istruzione) a favore dei maggiormente svantaggiati e porre le disuguaglianze nelle attitudini e nell’impegno che dovessero permanere, a vantaggio dei meno favoriti.

• L’educazione e il principio di differenza

Secondo il principio di differenza24 le sole disuguaglianze in qualche modo ammissibili sono quelle che procurano i maggiori benefici ai membri più svantaggiati della società (per esempio generando maggiore produttività e occupazione). Rawls, in una sua versione del contratto sociale, sposta l’attenzione da un piano individuale ad uno sociale e ci porta a riflettere sul fatto che un sistema scolastico può essere equo non solo se tratta in modo equo gli allievi ma anche se favorisce lo sviluppo di una società equa in cui i beni primari siano distribuiti secondo precise regole di giustizia25.

23 J. Rawls, Una teoria della giustizia, op. cit., pag. 76.

24 Si veda, nell’edizione italiana di Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 2002, in

particolare il Capitolo secondo, I principi di giustizia, pagg. 61-110.

25 Come avverte S. Maffettone, curatore dell’edizione italiana di A theory of justice, mentre il

termine “equità” in italiano è adoperato dai giuristi per indicare una giustizia particolare e concreta contrapposta a quella generale ed astratta dell’ordinamento, in Rawls, il termine “fairness”, che si è scelto di tradurre con “equità”, indica la parità di trattamento ed esprime l’esigenza che persone simili siano trattate allo stesso modo in circostanze simili.

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La finalità ultima della sua teoria della giustizia è, dunque, non l’uguaglianza delle opportunità, ma l’equa cooperazione sociale tra le persone che hanno diverse concezioni del bene. La vita sociale, sostiene, non è una corsa nella quale ciascuno dovrebbe avere le stesse opportunità di vincere; è una cooperazione in vista di vantaggi comuni. Il principio della compensazione degli handicap, che Rawls chiama “principio di recupero”, non è un principio generale di giustizia: sarebbe aberrante, per esempio, spendere somme considerevoli per dare ad un handicappato motorio la stessa mobilità di chi non lo è. Nella misura in cui si differenzia dal principio di recupero, il principio di differenza può implicare che si “consacri maggiore attenzione ai più dotati”(…), se ciò deve “migliorare le attese a lungo termine dei maggiormente svantaggiati”. Non bisogna dimenticare, però, la priorità lessicale del principio della giusta uguaglianza delle opportunità. Il principio di differenza infatti, privato di questo correttore porta inevitabilmente al sistema dell’aristocrazia naturale (noblesse oblige) secondo cui i più dotati e i meglio nati devono mettere i loro privilegi al servizio degli svantaggiati. Per sfuggire al sistema dell’aristocrazia naturale e accedere al sistema dell’uguaglianza democratica, bisogna innanzi tutto tentare di ridurre le disuguaglianze in educazione attraverso un sistema scolastico che assicuri per quanto possibile uguali opportunità indipendentemente dalle origini sociali, ed usare le disuguaglianze che dovessero persistere a vantaggio di tutti.

La posizione di Rawls sulle disuguaglianze scolastiche si può così riassumere: Le disuguaglianze non sono necessariamente ingiuste. La loro giustizia è tuttavia sottomessa ad alcune severe condizioni. Prima di tutto devono risultare nell’ambito di un sistema scolastico tendente all’uguaglianza delle opportunità che assicuri, nei limiti del possibile, delle uguali opportunità indipendentemente dall’origine sociale. Le disuguaglianze che comunque dovessero permanere devono andare a favore degli svantaggiati. Il contributo di Rawls consiste dunque nell’articolazione che propone tra la giusta uguaglianza di opportunità e il principio di differenza: dare diritto al secondo, ma solo nella misura in cui è controllato dal primo; nella sostituzione del principio di differenza al principio-utilitaristico-di efficacia. Certamente il suo maggior merito sta nel fatto di aver

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cercato una strada per superare una concezione meritocratica dell’uguaglianza delle opportunità formative dandone una interpretazione politica diversa da quella che premia il merito individuale. Una società meritocratica dice “segue il principio delle carriere aperte agli individui dotati, e usa l’eguaglianza di opportunità come un mezzo per liberare le energie degli uomini nella ricerca della prosperità economica e del potere politico. Vi è una netta disparità fra le classi superiori e inferiori, sia per quanto riguarda i mezzi economici, sia per i diritti e i privilegi di autorità organizzativa. La cultura degli strati più poveri si degrada, mentre quella dell’élite governativa e tecnocratica è saldamente legata al servizio degli scopi di potere e ricchezza della nazione” 26.

La concezione di Rawls ha dunque delle precise implicazioni sulla concezione della giustizia del sistema educativo, essa porta a porre la questione della giustizia della scuola in modo ampio, tenendo conto dell’ampiezza delle disuguaglianze sociali preesistenti e dell’effetto delle disuguaglianze scolastiche sulla distribuzione delle attese sociali. Mentre quindi la posizione che ritiene ingiuste tutte le disuguaglianze sociali di fronte all’educazione critica un mito, quello di una scuola capace di rifondare la società ad ogni generazione, di prendere i bambini come se fossero allo stato naturale, la posizione di Rawls presenta il vantaggio di prendere in considerazione le disuguaglianze sociali preesistenti e di ricercare in questo spazio la situazione meno ingiusta possibile. Essa conduce ad un miglioramento dell’eguaglianza delle opportunità, alla crescita delle competenze disponibili per la cooperazione e al miglioramento della situazione scolastica dei più svantaggiati.

1.4 La Teoria delle pari possibilità o opportunità. Amartya Sen

L’istruzione, o meglio, ricevere un’istruzione adeguata, è considerato anche da Amartya Sen27, come da Rawls, facente parte della categoria dei “beni sociali primari”, cioè quei beni che permettono agli uomini di poter realizzare i propri

26 J. Rawls, Una teoria della giustizia, op. cit., p. 102.

27Amartya Kumar Sen (Santiniketan, 1933), economista indiano e Premio Nobel per l'economia nel

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fini, ma, a differenza di Rawls, Sen considera i beni primari in quanto tali non costitutivi della libertà ma solo “mezzi” per ottenerla e dunque pone l’accento non tanto sull’uguaglianza nel possesso di beni primari quanto sul grado di libertà di scelta, sulla concreta opportunità, che un individuo possiede, di perseguire i propri obiettivi, perché “l’uguaglianza nel possesso di beni primari o di risorse può coesistere con gravi disuguaglianze nella libertà effettivamente goduta dagli individui”. Sen fonda la sua concezione di bene primario sulla nozione di “capacità”, nel senso di una nozione di bene, come ad es. l’esigenza di un’istruzione adeguata, che si realizza non solo nel suo possesso ma nel grado di soddisfazione che se ne ricava. Non si può risolvere la questione, sostiene, “fissando a priori la configurazione distributiva dei beni primari”, “le situazioni individuali non devono essere giudicate sulla base delle risorse o dei beni primari che ciascuno possiede, ma sulla base della libertà effettivamente goduta di scegliere la vita che si ha motivo di apprezzare”28. Partendo da un esame critico dell'economia del benessere, che ha portato fra l'altro alla definizione di un indice

di povertà largamente usato in letteratura, negli ultimi due decenni, Sen ha sviluppato un approccio radicalmente nuovo alla teoria dell'eguaglianza e della libertà. In particolare, Sen ha proposto le due nuove nozioni di capacità (capabilities) e funzionamenti (functionings) come più adeguate a misurare la libertà e la qualità della vita degli individui. In estrema sintesi, Sen propone di studiare la qualità della vita e l'eguaglianza non solo attraverso i tradizionali indicatori della disponibilità di beni materiali (ricchezza, reddito o spesa per consumi) ma soprattutto analizzando la possibilità di vivere esperienze o situazioni cui l'individuo attribuisce un valore positivo. Non solo, quindi, la possibilità di nutrirsi e avere una casa adeguata, ma anche essere rispettati dai propri simili, partecipare alla vita della comunità ecc. Secondo Sen, i funzionamenti sono, in sostanza, le esperienze effettive che l'individuo ha deciso liberamente di vivere, ciò che ha scelto di fare o essere. Le capacità sono invece le alternative di scelta,

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ossia l'insieme dei funzionamenti che un individuo può scegliere. Bisogna quindi rendere uguali non le risorse ma le capabilities di accesso alle functionings.

Mentre dunque Rawls prescinde completamente dal considerare le preferenze o le attitudini individuali considerando rilevante, ai fini di una equa uguaglianza delle opportunità, il semplice possesso di beni o risorse, Sen ritiene che l’avere o il formarsi di certe preferenze e il prendere decisioni sulla base di esse è una condizione necessaria per garantire un’autentica libertà di scelta del proprio progetto di vita. “Una persona meno abile o meno dotata nell’utilizzare i beni primari per garantirsi le libertà (ad esempio perché disabile mentalmente o fisicamente, perché suscettibile alle malattie, perché vincolata sul piano sociale o biologico dal genere di appartenenza) è in posizione di svantaggio rispetto a un’altra che non soffre analoghe limitazioni, anche se entrambe posseggono lo stesso paniere di beni primari”29. Un buon governo non deve mirare a produrre gente che funziona in un certo modo ma deve renderla capace di farlo.

Dal punto di vista educativo quindi queste considerazioni portano a sostenere che le opportunità formative non andrebbero definite tanto sulla base di attitudini, talenti, gusti e motivazioni attuali ma anche su quelli che si potrebbero acquisire e che i processi formativi possono aiutare a sviluppare.

29

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Capitolo secondo

L’ APPROCCIO SOCIOLOGICO ALLE DISUGUAGLIANZE SCOLASTICHE.

2.1 Le funzioni dei sistemi formativi moderni

I sistemi formativi moderni sono prodotti dal progressivo organizzarsi di una istituzione educativa formalizzata rivolta, almeno in linea di principio, a tutta la popolazione e comprendente una gradazione di livelli di insegnamento in un rapporto di continuità. Si ritiene che i sistemi formativi svolgano funzioni fondamentali, che nella realtà coesistono e si intersecano, a seconda che ci si ponga dal punto di vista delle strutture economiche o dei rapporti sociali: dal primo punto di vista si può parlare di funzione economica, dal secondo di funzione

sociale. Occorre, per inciso, sottolineare che è proprio questa molteplicità funzionale che è all'origine spesso delle numerose contraddizioni di questi sistemi e che molto spesso è mancato uno scambio ed una interazione fra queste due diverse prospettive.

Per questa ragione qui di seguito ci occuperemo della funzione sociale dei sistemi formativi rimandando per l’analisi della funzione economica dei sistemi formativi al terzo capitolo, in cui vengono appunto analizzate le relazioni tra formazione e sviluppo economico.

2.2 La funzione sociale dei sistemi formativi

Uno dei temi maggiormente affrontati dalla sociologia dell’educazione è certamente rappresentato dalla funzione sociale dei sistemi formativi che evidenzia la relazione esistente fra sistema formativo e stratificazione sociale.

L’analisi sulla funzione sociale dei sistemi formativi ha visto il succedersi di due impostazioni, funzionalismo e conflittualismo, che hanno affrontato la spiegazione del ruolo del sistema formativo nella società in un’ottica rispettivamente positiva e negativa30. Negli anni Cinquanta e nella prima metà degli anni Sessanta predomina, infatti, una visione ottimistica: “… l’immagine positiva della scuola si pone nello stesso tempo come causa (concausa) ed effetto di un processo di

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