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Il capitale intellettuale risulta essere così la risorsa del futuro! Ma come si forma il capitale intellettuale? Come si misurano la sua consistenza e la sua evoluzione? Non basta, infatti, affermare che è l'asset più importante di ogni organizzazione se non si è in grado di tradurre questa constatazione in piani e strategie che conducano al miglioramento delle performance dell'organizzazione. Se si vuole

70 G. Mourre, 2007, in corso di pubblicazione.

71 Si vedano a questo proposito: P. Sestito, “Mercato del lavoro e capitale umano”, in Le condizioni

per crescere. Diagnosi e proposte per il sistema produttivo, Il Sole24Ore-IPI, 2007; OCSE, OECD

che le "conoscenze scolastiche" si trasformino in capitale intellettuale si deve disporre di metodi e strumenti per identificarle, misurarle e gestirle. E questa rischia di essere la partita più difficile: si scrive, si parla, si teorizza di investimento necessario ed ineludibile sul capitale umano quale fattore di competitività indiscusso e prioritario ma nel concreto cosa accade veramente? A questo riguardo il Consiglio Europeo di Lisbona nel marzo del 2000, avendo riconosciuto il ruolo strategico dell’istruzione per la competitività dell’Europa e in funzione del traguardo di divenire, entro il 2010, l’economia “basata sulla conoscenza” più competitiva e dinamica del mondo, ha elaborato una serie di parametri ed indicatori che consentono di definire il traguardo da raggiungere e di monitorare i progressi compiuti.

I cinque obiettivi da raggiungere entro il 2010, previsti dalla strategia di Lisbona per l’istruzione, sono:

1. riduzione della percentuale di abbandoni scolastici almeno al 10%;

2. incremento (dal 2000) del numero complessivo di laureati in matematica, scienze e tecnologie (MST) di almeno il 15%;

3. innalzamento della quota di ventiduenni che arrivano a completare l’istruzione secondaria superiore all’85%;

4. riduzione della percentuale di quindicenni con scarse capacità di lettura almeno del 20% all’anno (dal 2000);

5. aumento di almeno il 12,5% della quota di adulti in età lavorativa (25-64 anni) partecipanti ad attività di formazione permanente (lifelong learning).

Purtroppo i rapporti annuali pubblicati finora dalla Commissione sullo stato di avanzamento del processo di riforma nella materia72 mettono in luce i ritardi degli stati membri rispetto agli obiettivi fissati, al tempo stesso, una situazione disomogenea tra essi.

72 L’ultimo rapporto è stato pubblicato a ottobre 2007: Commission Staff Working Document,

Progress Towards the Lisbon Objectives in Education and Training 2007, SEC (2007) 1284.

In particolare, riferendosi all’analisi di questi cinque parametri, risultano evidenti i ritardi italiani. Dalla Tabella 1 che segue risulta che:

• è troppo elevato il tasso di abbandono scolastico precoce;

• è troppo bassa la quota di giovani tra i 20 e 24 anni in possesso di diploma (l’obiettivo sarà difficilmente raggiunto visto che, se il trend di crescita è in media del 14% all’anno, saranno necessari all’incirca altri 10 anni);

• è ancora insufficiente la partecipazione degli adulti alle attività di apprendimento permanente e il gap rispetto al 2000 si è ridotto di poco.

L’unico target superato dall’Italia è relativo all’incremento del numero dei laureati in MTS. Tuttavia al riguardo occorre tener presente che il numero dei laureati in MTS nel 2000 era molto più basso rispetto agli altri paesi europei. Da notare, invece, che va in questa direzione l’aumento di un anno della scuola dell’obbligo previsto dal Regolamento sul nuovo obbligo di istruzione del 22 agosto 2007 che, conformando l’Italia al resto d’Europa, innalza il tetto dell’obbligo a 16 anni di età. L’Italia, infatti, era l’unico paese (assieme alla Turchia) in tutta Europa a prevedere solo otto anni di istruzione obbligatoria (dai sei ai quattordici anni), mentre nella maggior parte sono dieci.

Tabella 1 I ritardi italiani rispetto ai parametri di Lisbona

Parametri 2000 2006 Distanze assolute rispetto al target

Best performer, 2006

Quota % di popolazione tra 18-24 anni che ha

completato l’istruzione secondaria inferiore

e ha abbandonato gli studi UE-15* Italia 17,5 25,3 16,1 20,8 Obiettivo: 10% 6,1 10,8 Finlandia (8,3%); Danimarca (10,9%)

Quota % di popolazione tra 20-24 anni che ha completato almeno l’istruzione secondaria UE-15* Italia 75,6 69,4 76,4 75,5 Obiettivo: 85% 8,6 9,5 Svezia (86,5%); Austria (85,8%); Irlanda (85,4%)

Quota % di studenti di 15 anni d’età

con risultati insoddisfacenti in lettura** UE-15* Italia 17,9 18,9 17,9 26,4 Obiettivo: 15,5% 2,4 8,4 Finlandia (5,7%); Irlanda e Paesi Bassi (11-11,5%); Svezia (13,3%)

Variazione % del numero di laureati

nel settore scientifico e tecnologico dal 2000 UE-15 Italia - - 19,7 49,1 Obiettivo:+ 15% target superato target superato Portogallo (+ 85,1%); Paesi Bassi (+ 5,2%)

Quota % di popolazione tra 25-64 anni d’età

partecipanti alle attività di apprendimento permanente UE-15* Italia 9,7 4,8 12,0 6,1 Obiettivo:12,5% 0,5 6,4 Danimarca (29,2%); Regno Unito (26,6%); Paesi Bassi (15,6%)

* UE-14: per il 2000, per il primo e il terzo parametro, non sono disponibili i dati per l’Irlanda; per il secondo, i dati per il Regno Unito. Per l’ultimo parametro non sono disponibili i dati sulla Svezia per il 2006.

** I dati si basano sull’indagine PISA compiuta dall’OCSE. Per il 2006, il dato indica la quota di studenti al di sotto del livello 2 di profitto (proficiency level ).

3.4.1 Perché l’Italia è cresciuta e continua a crescere meno di suoi competitor

Considerando l’accumulazione di capitale immateriale come il fattore principalmente responsabile della sostenuta crescita delle economie avanzate, il capitale umano e il progresso tecnologico cui esso conduce rappresentano quindi possibili spiegazioni delle divergenze riscontrabili nei tassi di crescita e nei livelli di benessere delle diverse economie: “Se si guarda agli andamenti del PIL pro

capite, indicatore sia del tenore di vita medio in un’economia, sia del progresso materiale di un paese, risulta che dalla prima metà degli anni Novanta l’economia europea cresce meno di quella americana e l’economia italiana meno di quella europea. A partire da quegli anni, la dinamica del PIL conferma la performance sfavorevole del nostro sistema economico: tra il 1995 e il 2006 il prodotto per abitante dell’Italia è aumentato di 0,6 punti percentuali all’anno meno di quello europeo e di 0,8 punti meno di quello degli Stati Uniti. Il livello di reddito per abitante raggiunto in Italia è nel 2006 inferiore di circa il 14% rispetto a quello ottenuto da un cittadino dell’UE a 15, di oltre il 27% rispetto a quello di un cittadino americano”73. Infatti nel confronto internazionale l’Italia nel 2006 si colloca agli ultimi posti per livello di istruzione formale mediamente raggiunto dalla popolazione (vedi Tabella 2) e per numero medio di anni di istruzione (vedi

Tabella 3).

73 Centro Studi Confindustria, Conoscere per crescere. Istruzione e sviluppo economico in Italia,

Tabella 2