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3.2 I principali modelli di connessione fra educazione e lavoro

3.2.1 Le critiche alla teoria del capitale umano

Il postulato di partenza della teoria del capitale umano, l’individuo più istruito è

più produttivo, entra in crisi all’inizio degli anni Settanta, tanto che negli USA uscirono libri dal titolo emblematico50 i quali affermavano che il proseguimento degli studi si rivelava una truffa, in quanto vi era addirittura un eccesso di istruzione. In particolare due impostazioni conflittualiste si contrappongono

49 Dopo aver parzialmente anticipato il suo progetto in un saggio pubblicato nel 1962 sul

supplemento del Journal of Political Economy, Becker presenta la sua ricerca completa nella monografia “Human Capital: A Theoretical and Empyrical Analysis, with Special Reference to Education”, in National Bureau of Economic Research, New York 1975.

50 I.Berg, Education and jobs: the great training robbery, Beacon Press, Boston, 1971; B. Freeman,

all’ottimismo funzionalista della teoria del capitale umano: la teoria della

corrispondenza e quella credenzialista. Secondo queste impostazioni sono le scelte dei gruppi dominanti e non i bisogni della società industriale a spiegare il tipo di scolarizzazione, per cui il sistema scolastico tende semplicemente ad adeguarsi a queste necessità delle élites svolgendo una funzione di controllo della massa della popolazione.

La teoria della corrispondenza51 sostiene che esiste una rigida corrispondenza fra il tipo di relazioni sociali presenti nella scuola e quelle del mondo economico, per cui il sistema educativo avrebbe la funzione non già di trasmettere le conoscenze e le capacità da utilizzare nell’attività lavorativa, ma di formare modelli di comportamento adeguati all’organizzazione capitalistica del lavoro. Questa corrispondenza è però di tipo differenziato: ai livelli bassi dell’educazione la formazione è volta alla sottomissione, nei livelli intermedi si stimola la serietà di comportamento ed in quelli superiori vengono premiate la creatività e l’autonomia; prevale dunque nella scuola una funzione di socializzazione che si attua attraverso il suo “curriculum nascosto”. Ma forse è proprio questo l’errore fondamentale di questa impostazione: “cercare significati più profondi e nascosti dell’educazione quando questi di fatto non esistono”52. Del resto questo approccio mantiene lo stesso presupposto della teoria del capitale umano, secondo la quale l’istruzione è connessa ai bisogni dell’economia capitalista, solo che invece di fornire abilità cognitive trasmette abiti comportamentali. In sostanza gli stessi sostenitori di questa teoria si sono resi conto che la tesi della corrispondenza, ponendo un rapporto fondamentalmente armonico fra scuola e mondo del lavoro, impediva di vedere le contraddizioni che si producono nell’articolarsi del sistema educativo all’interno della totalità sociale, ammettendo così che la loro primitiva impostazione finiva per essere “radicalmente funzionalista”.

51

S. Bowles e H. Gintis, L’istruzione nel capitalismo maturo, Zanichelli, Bologna 1979.

52 M. Hickox-R. Moore, “Education and post Fordisme: a new Correspondance?”, in P. Brown-H.

Lauder, Education for Economic Survival. From fordism to post-fordism?, Routledge, London and New York 1992, p. 5.

La teoria credenzialista53 afferma che i titoli accademici sono solo “credenziali” per presentarsi sul mercato del lavoro: l’imprenditore si aspetta, da chi ha tali titoli, maggiori capacità sul lavoro. Il sistema educativo serve dunque come meccanismo di filtro, che etichetta gli individui in base al numero di prove che sono riusciti a superare. In opposizione alla teoria del capitale umano, ma anche, seppure in modo diverso, a quella della corrispondenza, l’impostazione

credenzialista non considera l’educazione come elemento di trasformazione positiva delle capacità produttive degli individui. Per Randall Collins54 la scuola non ha il compito di fornire conoscenze tecniche, ma di insegnare un linguaggio, degli stili di vita, dei gusti estetici, dei valori e le buone maniere, con una netta sottovalutazione dei contenuti dell’insegnamento scolastico, ritenuti inutili ai fini lavorativi, in quanto la preparazione per lo svolgimento di una determinata occupazione si realizza sul luogo stesso di lavoro (on the job). Secondo questo autore è sbagliato pensare che il sistema industriale moderno abbia necessità di numerose posizioni lavorative altamente qualificate: i livelli di qualificazione richiesti per i diversi tipi di occupazione non sono altro che il risultato dei rapporti di forza che esistono all’interno del sistema sociale. Per quanto riguarda invece le moderne burocrazie, le credenziali educative permettono di raggiungere quei lavori amministrativi (estranei alla produzione diretta) che costituirebbero una vera e propria “sinecura”. Qui emerge una interessante distinzione fra il lavoro produttivo (che non necessiterebbe di credenziali educative) ed il lavoro politico, che si può conquistare solo grazie alla moneta scolastica. Siamo in presenza di un vero e proprio capovolgimento della teoria del capitale umano: l’individuo più istruito, lungi dall’essere più produttivo, riesce ad accedere al lavoro politico, appunto non produttivo. Nella interpretazione forte di questa teoria, riesce difficile spiegare perché gli imprenditori debbano continuare a pagare di più i lavoratori maggiormente istruiti, o non abbiano trovato metodi di cernita meno costosi; nella

53

M. Spence, “Job market signalling”, in Quaterly Journal of Economics, n. 87, 1973, pp. 355-379; J. Stiglitz, “The theory of «screening», education and the distribution of income”, in American

Economic Review, n. 64, vol. 3, 1975, pp. 283-300.

54

interpretazione debole, invece, questa impostazione risulta pienamente inglobabile nelle versioni rinnovate della teoria del capitale umano.

Un’altra delle critiche alla teoria del capitale umano è quella che vede l’istruzione come “vantaggio concorrenziale”55: nei periodi di recessione con disoccupazione, poiché aumenta l’offerta di mano d’opera, l’educazione diventa uno strumento di difesa, utile per non retrocedere nella coda per il posto di lavoro, come dimostrerebbe il fatto che nei paesi sottosviluppati, fra il 1950 ed il 1970, nonostante un innalzamento del livello di istruzione, si sia registrato un aumento della povertà relativa.

Ma la più significativa sfida all’ortodossia neoclassica è venuta dagli economisti istituzionalisti U.S.A. che hanno sviluppato le teorie sulla segmentazione del

mercato del lavoro56. La Teoria dualistica del mercato del lavoro57, sostiene l’esistenza di una frammentazione del mercato del lavoro in sottomercati e segmenti, in particolare, opera una distinzione tra segmento primario e segmento secondario, il primo caratterizzato da redditi alti, buone condizioni di lavoro, occupazione stabile e sicurezza, con chiare regole per assunzioni e promozioni, il secondo, al contrario, caratterizzato da basso reddito, condizioni di lavoro non buone, instabilità dell’occupazione e scarse opportunità di avanzamento o formazione. Nel segmento primario l’istruzione rappresenterebbe soltanto uno strumento di selezione attraverso il quale l’impresa individua particolari lavoratori con determinate caratteristiche attitudinali e comportamentali (affidabilità e stabilità), per cui non rappresenterebbe un mezzo per aumentare la produttività ma soltanto per permettere ai lavoratori di accedere a determinati tipi di lavoro. Nel segmento secondario, invece, l’istruzione non avrebbe nessuna influenza in quanto i datori di lavoro sarebbero insensibili alle caratteristiche dei lavoratori e i salari dipenderebbero soltanto dall’equilibrio di domanda ed offerta nel settore, di conseguenza alti livelli di istruzione non si tradurrebbero automaticamente in alti

55 L. Thurow, Generating Inequality, Basic Books, New York 1975. 56

P.B. Doeringer, M.J. Piore, Interned Labor Markets and Manpower Analysis, Lexington Books, Lexington 1971.

guadagni. Inoltre, data la poca mobilità tra i segmenti, l’impiego nell’ambito di ogni segmento non sarebbe legato al grado di istruzione ma al tipo di lavoro svolto all’inizio della carriera lavorativa e a forme di discriminazione sociale. Questi economisti insistono anche sul modo con cui l’ambiente sociale in cui vive l’individuo determini il successo in campo educativo e la impossibilità per determinate categorie sociali che vivono in aree a basso reddito, di scegliere, sulla base dell’analisi costi-benefici, tra i vari investimenti nel capitale umano.

La Teoria Radicale della segmentazione58, frutto dell’analisi marxista del capitalismo moderno, infine considera la segmentazione del mercato del lavoro un modo per i datori di lavoro di mantenere il controllo sulla produzione. L’istruzione servirebbe a giustificare e mantenere l’ordine sociale attraverso lo sviluppo di atteggiamenti e personalità in sintonia con quelli richiesti dalle grandi imprese e dunque a rafforzare le differenze di classe tra i lavoratori.

Le critiche sviluppate negli anni Settanta, relative all’istruzione come segnale delle capacità degli individui e alla segmentazione del mercato del lavoro, conducono quindi ad una revisione complessiva dell’impostazione originaria della teoria del capitale umano e negli anni Ottanta, anche Mark Blaug, uno dei principali esponenti inglesi di questo approccio, affermava che La ‘nuova’ economia dell’istruzione “... semplicemente si pone ad anni luce dall’antica credenza secondo la quale l’educazione fa sì che i lavoratori siano più produttivi e che gli imprenditori li paghino meglio perché sono più produttivi ... È certo che l’educazione contribuisce alla crescita economica, però non come un input indispensabile per il processo di crescita, che è quanto gli economisti dell’educazione della prima generazione solevano argomentare, ma semplicemente come una infrastruttura che ... facilita il processo di crescita” 59 (…) “La teoria del capitale umano ... possiede un potere esplicativo notevole quando è applicata ai gruppi sociali che, per diverse ragioni, si vedono riconosciuta una grande libertà di scelta da parte della società. Essa non può, pena la frode, pretendere che tutti gli

58 Si veda in particolare M. Reich (1973).

59 M. Blaug, “Where Are We Now in the Economics of Education?”, in Economics of Education

individui siano in tale situazione e dunque che essa si applichi in modo universale”60.

I diversi modelli connettivi fra educazione e lavoro, che abbiamo rapidamente analizzato, soprattutto nelle loro versioni ‘forti’, sembrano incompatibili: se la teoria del capitale umano punta tutto sulla qualificazione in rapporto al processo lavorativo, dimenticando la specificità storica del processo di valorizzazione capitalistica, certamente le teorie radicali svalutano eccessivamente la funzione economica del sistema educativo che si realizza nel formare capacità concrete per l’attività lavorativa.

In realtà, per riferirci in particolare alla situazione italiana, anche se negli ultimi anni vi è stato un allentamento della relazione tra istruzione ed occupazione, nel senso che sono cresciuti i livelli di sottoccupazione rispetto al titolo, non si può fare a meno di registrare che i laureati sono meno disoccupati degli altri e nelle fasi più dinamiche del mercato del lavoro la loro occupabilità risulta costantemente più favorita e che, nonostante il fatto che per alti livelli d’istruzione, ai fini della mobilità sociale, la domanda del mercato risulti decisiva, le differenze nella quantità e qualità dell’istruzione ricevuta spiegano ancora molte delle differenze osservate riguardo al reddito. E’ ampiamente dimostrato infatti che, a studi di lunga durata e a alti livelli di qualificazione, ossia a titoli di studio elevati, corrispondono mediamente alti redditi 61.

Del resto, anche in funzione del ruolo che si ritiene di assegnare all’istruzione come strumento non solo di sviluppo economico ma anche di sviluppo della persona umana e della democrazia, non si può non prediligere, nelle politiche scolastiche e formative, l’approccio proposto dalla teoria del capitale umano (soprattutto nella richiesta di maggiori opportunità di accesso alla formazione) rispetto ad approcci che, considerando la remunerazione dell’istruzione solo un segnale indiretto della capacità individuale, ritengono un ampliamento della

60 J.C. Eicher, « Education et réussite professionnelle », in J.C. Eicher, L. Levy-Garboua,

Economique de l’éducation, Economica, Paris 1979, p. 26.

61

scolarizzazione negativo ed inutile. Se pure il titolo di studio non dovesse essere più in grado di garantire l’accesso alle fasce alte di status, certamente una cultura di base ad ampio raggio permetterà, indirettamente, ulteriori vantaggi a prescindere dalla retribuzione e la possibilità di maggiori autorealizzazioni anche a chi svolge lavori considerati di bassa qualifica.

La fruizione dell’istruzione, infatti, fa molto di più che impartire conoscenze ed abilità, essa contribuisce anche a produrre una serie di benefici e di ritorni non monetari, quelle che Sen chiama capacità per “star bene”62. Per citarne solo alcuni: migliorare il proprio stato di salute63, poter godere dell’arte, della musica e della letteratura, avere modelli di spesa più consapevoli64, acquisire in generale quell’

“abilità di fronteggiare gli squilibri” necessaria per adattarsi più rapidamente ai cambiamenti non solo lavorativi65.