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Popolazione tra 25-64 anni per livello di istruzione completata

5.2 Il problema del digital divide

Il significato generalmente attribuito al digital divide è quello della disuguaglianza nell’accesso a Internet. Come vedremo, però, da solo l’accesso non risolve il problema, anche se è un prerequisito indispensabile per superare le disuguaglianze in una società le cui funzioni sono sempre più organizzate intorno alla rete.

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• Le dimensioni del digital divide

La National Telecommunications and Information Administration (NTIA) del Dipartimento del Commercio Americano ha cominciato ad analizzato l’accesso differenziato a Internet a partire dal 1995, attraverso indagini svolte su campioni rappresentativi della popolazione statunitense86. Basandosi sui dati americani, a partire dal 1995 e fino al 2000 risultano ancora sostanziali differenze nell’accesso a Internet per i vari gruppi sociali in termini di: reddito (tra le persone che guadagnavano dai 75.000 dollari in su avevano l’accesso il 70,1 per cento, la percentuale scendeva al 18,4 per coloro che guadagnavano tra i 15.000 e 24,999 dollari); istruzione (tra le persone con un diploma universitario o superiore, il 74,5 per cento aveva accesso, la percentuale scendeva al 30,6 tra quelli con un diploma di scuola superiore e al 21, 7 tra quelli senza diploma); età ( solo il 29,6 per cento delle persone sopra i 50 anni aveva accesso a Internet rispetto al 55,4 del gruppo di età 25-49 e al 56,8 del gruppo 18-24 e al 53, 4 del gruppo 9-17); forza lavoro (il 56, 7 per cento contro il 29 per cento di coloro che non avevano un impiego);

differenze etniche (il 50,3 per cento dei bianchi e il 49,4 degli asiatico-americani contro il 29,3 per cento degli afro-americani e il 23,7 degli ispanici); geografia ((nel 2000 aveva accesso il 38,9 per cento dei nuclei domestici rurali: 2,6 per cento in meno rispetto alla media nazionale); presenza di handicap (nel 1999 non aveva accesso a Internet il 43,3 percento degli individui senza svantaggi mentre la proporzione saliva al 71,6 per gli individui svantaggiati, al 78,9 per quelli con problemi alla vista e al 81,5 per quelli con problemi di deambulazione).

Per comprendere però le dinamiche degli accessi differenziati è necessario osservarli in una prospettiva temporale che riguarda l’accesso nel corso del tempo per gruppi differenziati. Il rapporto del NTIA del 2000 si concentra sui mutamenti che si sono verificati tra dicembre 1998 e agosto 2000, periodo cruciale nella diffusione dell’utilizzo di Internet. Da questo rapporto risulta che la maggior parte dei divari tende a ridursi, compreso quello generazionale. La tendenza generale, dunque, sembrerebbe essere quella di una chiusura del divario nell’accesso a

86La NTIA, dal 1995 al 2004, ha prodotto ben sei rapporti sulle disparità di accesso alle

Internet con una significativa eccezione: l’allargamento del divario etnico. In sintesi, per quanto concerne l’esperienza americana, il grande digital divide nell’accesso Internet da cui è partita tende a restringersi e i tassi di diffusione hanno raggiunto la maggioranza della popolazione. Resta escluso solo il segmento più povero, più discriminato, dove invece contribuisce ad incrementarne la marginalità. Ma, non appena una fonte di disuguaglianza tecnologica sembra attenuarsi, ne emerge subito un’altra: si tratta ora dell’accesso differenziato al servizio ad alta velocità a banda larga, che utilizza tecnologie come ISDN (Integrated Services Digital Network), DSL (Digital Subscriber Line), modem via cavo, WAP (Wireless Based Internet Access). Come sostiene Manuel Castells “se la tecnologia dell’accesso diventa più complessa e le tecnologie più complicate (per es. l’interfaccia grafica) può essere rallentato il tasso di adozione tra i gruppi meno istruiti”87, quindi potrebbe accadere che quando le masse avranno finalmente accesso a Internet mediante linea telefonica, le élite globali saranno già in un girone più alto del cyberspazio. Infatti più la tecnologia della distribuzione diventa flessibile, nel senso di assegnare velocità differenziate per diversi usi e utenti, più è possibile implementare la differenziazione basata sul prezzo. Di conseguenza il fatto che una minoranza di ricchi nuclei familiari stia godendo negli usi e nei servizi forniti da Internet può diventare in futuro una fonte importante di disuguaglianze sociali e culturali, dato che i bambini della prima generazione di Internet cresceranno in ambienti tecnologici estremamente diversi.

• Il digital divide globale

La rapida diffusione di Internet procede in maniera irregolare in tutto il pianeta. Mentre il mondo, l’economia globale e i network di comunicazione stanno per essere trasformati con e intorno a Internet, viene ignorata la stragrande maggioranza della popolazione del pianeta. Nel corso degli anni Novanta, proprio in coincidenza con l’esplodere della rivoluzione digitale, il mondo si è trovato a fare i conti con un sostanziale incremento delle disuguaglianze di reddito, polarizzazione, povertà ed esclusione sociale.

Alla svolta del millennio poco meno del 50 per cento della popolazione mondiale cercava di tirare avanti con meno di due dollari al giorno mentre il 20 per cento della popolazione disponeva dell’86 per cento della ricchezza globale. E la disuguaglianza è ancora più accentuata per le giovani generazioni visto che quattro quinti degli individui sotto i vent’anni vive nei paesi in via di sviluppo. Il nuovo sistema tecno-economico sembra produrre quindi uno sviluppo irregolare, incrementando nel contempo ricchezza e povertà, produttività ed esclusione sociale, con effetti distribuiti in maniera differenziata in varie aree del mondo e in vari gruppi sociali. E dato che Internet è il cuore del nuovo modello socio- tecnologico di organizzazione, questo processo globale di sviluppo irregolare, dice Castells88 è forse l’espressione più drammatica del digital divide perché:

1. L’estrema irregolarità del processo di sviluppo è legata alla logica di connessione di rete e alla portata globale della new economy. Se tutti e tutto ciò che può essere fonte di valore può essere facilmente connesso (e altrettanto facilmente sconnesso nel momento in cui cessa di avere valore), allora il sistema di produzione globale è composto contemporaneamente da individui e luoghi altamente produttivi, e da quelli che non lo sono o non lo sono più. La mobilità delle risorse e la flessibilità del sistema di gestione permettono al sistema globale di essere largamente indipendente dalle specifiche realtà locali, dove vive la gente. 2. Nell’economia basata su Internet, istruzione, informazione, scienza e tecnologia diventano le fonti della creazione di valore. Ma le risorse formative, informazionali e tecnologiche sono caratterizzate da una distribuzione estremamente irregolare in tutto il mondo89. Il sistema formativo nella

maggioranza dei paesi è tecnologicamente arretrato e istituzionalmente burocratizzato. Anche se recentemente i sistemi di telecomunicazione sono migliorati in gran parte del mondo, permane un gap sostanziale tra paesi e tra regioni all’interno dei paesi, sia nella qualità delle infrastrutture sia nella teledensità.

88

M. Castells, Galassia Internet, op. cit., pagg. 248 e ss.

3. Lo sviluppo all’economia globale è sempre più esposto ai vortici dei flussi finanziari globali da cui dipendono le divise nazionali e la valutazione dei mercati azionari nazionali. Ogni crisi finanziaria distrugge risorse di manodopera, svalutando gli individui che difficilmente riescono a rimettersi in carreggiata e finiscono di solito nel sottobosco dell’economia informale.

4. Le nuove tecnologie, i nuovi sistemi produttivi, i nuovi mercati globali e la nuova struttura del commercio mondiale eliminano l’agricoltura tradizionale (dove trova impiego ancora circa la metà della manodopera mondiale), producendo un esodo rurale di dimensioni enormi, con centinaia di milioni di migranti destinati ad essere assorbiti nell’economia della sopravvivenza delle aree metropolitane. 5. Il fatto che i governi sono sempre più vincolati dai flussi globali di capitale e informazioni e dalle decisioni delle istituzioni sovranazionali (come il Fondo

monetario internazionale), porta ad una crisi della governance, alla rottura dei contratti sociali tra i vari gruppi, il lavoro diventa individualizzato e il vecchio sistema di relazioni industriali, costruito sulla contrattazione collettiva, cerca rifugio nel settore pubblico, creando una nuova spaccatura sociale tra i pochi lavoratori protetti e la massa di lavoratori disorganizzati, spesso impiegati nell’economia informale. Se la società industriale infatti collegava il modo di produzione a un sistema di protezione e di welfare in cui la questione economica si intrecciava a quella sociale, con fortissime implicazioni politiche, la società postindustriale, mettendo in atto uno smembramento massiccio dell’azienda industriale, tende invece a separare queste due sfere, segnando, con ciò, l’inizio di una nuova era dove il dominio assoluto del mercato non crea più, tra chi vi partecipa, una evidente comunità di destini e interessi, un orizzonte sociale condiviso.

6. Con ampi segmenti della popolazione non in grado di far parte dei settori competitivi e produttivi dell’economia alcuni tentano una nuova forma di globalizzazione: l’economia criminale globale, costituita da reti transnazionali impegnate in ogni genere di traffico illecito che possa garantire un profitto, spesso con l’aiuto di Internet. E con il riciclaggio elettronico del denaro all’interno dei mercati finanziari l’economia criminale globale entra nella politica e nelle

istituzioni destabilizzando le società e corrompendo le strutture amministrative di numerosi paesi.

7. L’indebolimento delle istituzioni politiche diminuisce la capacità delle società di correggere e aggiustare gli shock negativi prodotti dalla transizione verso il nuovo sistema tecno-economico. Sottoposti a pressioni straordinarie quindi i governi soffrono di una crisi diffusa di legittimità.

8. Nei casi estremi di crisi di legittimità e disintegrazione politica si sviluppano guerre civili e banditismo su larga scala che a volte conducono a massacri di massa, all’esodo di centinaia di migliaia di individui, a fame ed epidemie.

Potrebbe sembrare che tutto ciò non abbia a che fare con il digital divide e con Internet. In realtà il digital divide fondamentale non si misura con il numero di connessioni a Internet, ma con le conseguenze sia della connessione che della mancata connessione. Vale a dire del divario creato tra gli individui, le imprese, le istituzioni, le regioni e le società che hanno le condizioni materiali e culturali per operare nel mondo digitale, e quelli che non le hanno, o non sono in grado di adattarsi alla velocità del cambiamento. Perché Internet non è soltanto una tecnologia. Senza un’economia e un sistema di gestione basati su Internet infatti oggi qualunque paese ha poche possibilità di generare le risorse necessarie a soddisfare i suoi bisogni legati allo sviluppo.

Di fronte ad un integrazione economica e tecnologica globale, sostiene Castells, è oramai forse troppo tardi per pensare ad un modello alternativo di sviluppo, a minore intensità tecnologica, con minore produttività ma più vicino alla storia alla cultura e alle condizioni naturali di ciascuna nazione e forse più soddisfacente per la maggioranza delle popolazioni. Oramai l’economia e il sistema informazionale basato su Internet hanno bloccato le traiettorie dello sviluppo in un raggio corto90. E’ vero che questi processi, alla fine, dipendono dall’azione umana, che possono essere sempre modificati o invertiti. Ma non è solo una questione di volontà politica. Dipende dall’estensione del divario digitale in ciascun paese, dalla capacità di generare un processo di apprendimento sociale, dalla presenza di

infrastrutture tecnologiche, dalla capacità manageriale dell’economia, dalla qualità della forza lavoro, dall’esistenza di un consenso sociale fondato sulla redistribuzione, dall’emergere di istituzioni politiche radicate nelle realtà locali ma in grado di gestire il globale. In sintesi il nuovo modello di sviluppo richiede un’economia basata su Internet ma potenziata dalla capacità di apprendimento e di generazione del sapere, in grado di operare all’interno di reti globali e supportata da istituzioni politiche efficienti e legittimate91.

5.3 La scuola di fronte ad una "società mass-mediatizzata"

La società attuale è talmente permeata dai "mass-media", che si è cominciato a parlare di "società mass-mediatizzata": “prima la televisione e poi il computer, questi ‘elettrodomestici gentili’ come vuole la loro iniziale reputazione, oggi hanno gettato la maschera rivelandosi per quel che sono: i più formidabili condizionatori di pensiero, non nel senso che ci dicono cosa dobbiamo pensare, ma nel senso che modificano in modo radicale il nostro modo di pensare, trasformandolo da analitico, strutturato, sequenziale e referenziale, in generico, vago, globale, olistico.”92 Potremmo dire con Raffaele Simone che stiamo entrando in una Terza fase della storia93. La Prima fase coincise con l'invenzione della scrittura, che permise di dare stabilità alle conoscenze, la Seconda fase si aprì venti secoli dopo con l'invenzione della stampa che fece del libro un bene a basso costo e alla portata di tutti e che consentì a milioni di persone di attingere a cose pensate da altri a immense distanze di tempo e di spazio. Negli ultimi trent'anni, dice Simone, “siamo traghettati nella Terza fase, dove le cose che sappiamo, dalle più elementari alle più complesse, non le dobbiamo necessariamente al fatto di averle lette da qualche parte, come accadeva fino a trent'anni fa, ma semplicemente al fatto di averle viste in televisione, al cinema, sullo schermo di un computer, oppure sentite dalla viva voce di qualcuno, dalla radio, o da un amplificatore inserito nelle nostre orecchie e collegato a un walkman”. Con

91

M. Castells, Galassia Internet, op. cit., pagg. 252.

92 U. Galimberti, “Le rivoluzioni dell'"homo videns", in La Repubblica, 21 Febbraio 2000. 93

l'avvento della scrittura il vedere acquistò un primato rispetto all'udire, ma cambiò anche la vista che dovette imparare a tradurre in significati una sequenza lineare di simboli visivi. “Se leggo la parola ‘cane’, la forma grafica della parola e quella fonica non hanno niente a che fare con il cane, e allora la visione dei codici alfabetici comporta un esercizio della mente che la visione per immagini non richiede”. Ciò ha comportato un passaggio da un tipo di intelligenza simultanea a un altro tipo di intelligenza considerata più evoluta che è quella sequenziale. L'intelligenza simultanea è quella caratterizzata dalla capacità di trattare nello stesso tempo più informazioni, senza però essere in grado di stabilire una successione, una gerarchia e quindi un ordine. L'intelligenza sequenziale, invece, quella che usiamo per leggere, necessita di una successione rigorosa e rigida che articola e analizza i codici grafici disposti in linea. Sull'intelligenza sequenziale poggia quasi tutto il patrimonio di conoscenze dell'uomo occidentale. E’ questo tipo di intelligenza che oggi sembra entrare in crisi ad opera di un ritorno dell'intelligenza simultanea, più consona all'immagine che all'alfabeto. L' homo

sapiens, capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti è sul punto di essere soppiantato dall' homo videns che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di immagini con conseguente "impoverimento del capire" dovuto, secondo Giovanni Sartori 94 all'incremento del consumo di televisione. E come è noto, una moltitudine che "non capisce" è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le folle.

Non sono pochi infatti quelli che pensano che oggi i mezzi di comunicazione di massa possano essere considerati il principale strumento di riproduzione sociale, vero e proprio apparato ideologico di Stato dominante. Si parla addirittura di una industria omogeneizzatrice, di una cultura degradata, di una massificazione alienante, che viene considerata la causa principale dei mali della nostra epoca. All'estremo opposto figurano però coloro i quali considerano la televisione e soprattutto Internet come un’ opportunità di democratizzazione del sapere e della cultura, di amplificazione dei sentimenti, di potenziamento dell'apprendimento.

L'atteggiamento più corretto probabilmente è costituito dall’ accettazione critica, dall'equilibrio tra ottimismo ingenuo e catastrofismo sterile, un equilibrio che accetti l'ambivalenza dei mezzi di comunicazione di massa, le loro possibilità e i loro limiti, come pure le loro contraddizioni interne95. Oggi la scuola probabilmente va perdendo terreno ogni giorno di più perché, invece di interagire con l'espansione esponenziale delle informazioni, superficiali finché si vuole, ma comunque elementi di conoscenza messi a disposizione dai media, sembra un rifugio in cui ci si rinchiude per essere protetti dal fluire della conoscenza e dal suo accrescersi. Si limita a trasmettere un pacchetto delimitato e statico di conoscenze selezionate e ha difficoltà ad accedere a luoghi di cultura che non sono solo le enciclopedie e i vocabolari, ma le banche dati e i repertori. Oggi la scuola purtroppo non è più il luogo della movimentazione del sapere, ma quello in cui le conoscenze, dopo essere state trasmesse e classificate, si sedentarizzano e si staticizzano. Se l’esistenza della comunicazione mediale è oramai irreversibile, occorre fare i conti con essa e cercare di utilizzarne le potenzialità, naturalmente tenendo anche presenti i possibili effetti negativi, che dipendono soprattutto dal suo cattivo uso. Rispetto a tutto questo la scuola ha il dovere di aiutare le nuove generazioni ad integrarsi in modo riflessivo nella società e a fornire loro gli strumenti per uscire dall'analfabetismo dell'immagine. Il nostro sistema formativo appare oggi ancora inadeguato all’utilizzo delle nuove tecnologie in funzione dell’apprendimento: c’è la tecnologia ma mancano gli insegnanti in grado di farla utilizzare in modo efficace. E in assenza di un’adeguata formazione degli insegnanti e di riforme scolastiche, dovranno essere le famiglie ad accollarsi la responsabilità di istruire i propri figli e aiutarli nel nuovo mondo tecnologico. E qui la presenza dell’accesso a Internet da casa e la presenza di genitori relativamente istruiti farà la differenza sostanziale: i bambini delle famiglie svantaggiate rimarranno indietro rispetto ai loro compagni, dotati di maggiori capacità di trattare le informazioni. Visto che oggi la televisione e Internet sono diventati gli strumenti privilegiati di penetrazione culturale e di trasmissione di valori ed ideologie, la scuola non può assistere impassibile a questo processo di

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penetrazione senza offrire alle nuove generazioni strumenti di analisi critica e modelli interpretativi96. I digital divide, infatti, non sono solo quelli immediatamente visibili dal dato sulla dotazione, ma emergono da una analisi più profonda della fruizione, da cui si desume la necessità di distinguere tra accesso (materiale) e accessibilità (cognitiva). Nel primo caso si tratta della possibilità materiale di poter utilizzare le nuove tecnologie (capacità economiche e abilità fisiche); nel secondo, di saperle usare (capacità motivazionali e cognitive), di essere cioè in grado di attingere e mobilitare risorse adeguate per fare un uso articolato e consapevole di tali mezzi. Come è stato dimostrato in un documentato studio sull’argomento97, l’uso della tecnologia educativa in generale non può

prescindere dalla buona qualità degli insegnanti, perché l’apprendimento basato su di essa non è soltanto una questione di competenza tecnologica: cambia il genere di istruzione richiesta sia per lavorare in rete sia per sviluppare la capacità di apprendimento in un’economia e in una società basate su Internet. Dal momento che oramai la gran parte delle informazioni è online, è richiesta la capacità di cercare, rintracciare, trattare e usare le informazioni per lo scopo specifico che muove la ricerca stessa. I giovani non possono essere lasciati in balia di questa presunta libertà di scelta; per imparare a selezionare nel mare delle informazioni occorre una guida che solo la scuola può fornire. Infatti per la scuola oggi “si delinea un ruolo di intermediazione, volto soprattutto all’acquisizione di criteri di filtro e analisi dei codici, dei messaggi, nel tentativo di trovare e dare senso a un’esperienza comunicativa, che invece potrebbe risolversi nell’insignificanza e nell’indeterminatezza se governata solo dal potere dei media”98.

96 J. Ferrès, Television y educación, Paidós, Barcelona 1994, pp. 14-16.

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D. Bolt, R. Crawford, Digital Divide: computer and our Children’s Future, TV Books, New York 2000.

Capitolo sesto

NUOVE TECNOLOGIE E SISTEMA FORMATIVO