• Non ci sono risultati.

L'attività di recupero dei rifiuti tra diritto europeo e diritto interno

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'attività di recupero dei rifiuti tra diritto europeo e diritto interno"

Copied!
150
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

''L’attività di recupero dei rifiuti tra Diritto europeo e Diritto interno''

RELATORE CANDIDATO ANNO ACCADEMICO 2016/2017

Ch.ma prof. M. Passalacqua

(2)

II

INDICE

INTRODUZIONE

1. L’INCIDENZA DEI RIFIUTI NELLE SCELTE DI POLITICA

ECONOMICA ... IV

CAPITOLO PRIMO: LA DISCIPLINA GIURIDICA DEI RIFIUTI ... 1

1. PREMESSA: LO SVILUPPO SOSTENIBILE ... 1

2. DIRITTO EUROPEO E DISCIPLINA DEI RIFIUTI ... 4

3. LA SITUAZIONE ITALIANA: DAI PRINCIPI COSTITUZIONALI AL DECRETO RONCHI ... 8

4. L’AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE (ATO) ... 14

5. IL TESTO UNICO AMBIENTALE ... 17

6. L’IMPULSO EUROPEO: LA DIRETTIVA 06/12/CE E LA NUOVA DIRETTIVA RIFIUTI ... 21

7. GLI INTERVENTI COMUNITARI SUCCESSIVI ... 27

8. IL PROCESSO DI ADEGUAMENTO NAZIONALE ... 34

9. RECENTI INTERVENTI NAZIONALI E RIMEDI STRAORDINARI NEL SETTORE RIFIUTI. ... 41

CAPITOLO II:LA STRATEGIA COMUNITARIA NELLA GESTIONE DEL CICLO DEI RIFIUTI ... 47

1. PREMESSA ... 47

2. OBIETTIVI E PRIORITÀ ... 51

3. LA TRAVAGLIATA DEFINIZIONE DEL TERMINE “RIFIUTO” ... 54

4. CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI ED ATTRIBUZIONE DEL CODICE CER ... 65

5. L’END OF WASTE ... 69

6. ECONOMIA CIRCOLARE E GESTIONE DEI RIFIUTI ... 76

7. LA RACCOLTA DIFFERENZIATA ... 81

(3)

III

CAPITOLO III: LA FASE DELL’ATTIVITÀ DI RECUPERO NELLE

DINAMICHE OPERATIVE DEL DECRETO LEGISLATIVO 205/10 ... 96

1. DEFINIZIONE E NUOVI OBIETTIVI DEL RECUPERO ALLA LUCE DEL DECRETO LEGISLATIVO 205/10 ... 96

2. LA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE ... 104

3. L’AUTORIZZAZIONE AL RECUPERO ... 110

4. IL SISTEMA DI CONTROLLO SUGLI OPERATORI ... 114

5. LA CONCORRENZA TRA L’OPERATORE PRIVATO E L’OPERATORE PUBBLICO ... 121

6. LIMITI E CRITICHE AL SISTEMA ... 128

CONCLUSIONI ... 134

(4)

IV

INTRODUZIONE

1. L’INCIDENZA DEI RIFIUTI NELLE SCELTE DI POLITICA ECONOMICA

L’incessante sviluppo tecnologico, la ricerca dell’ottimizzazione nei metodi produttivi ed il repentino avanzamento industriale generale, avvenuti nel XX secolo, hanno inevitabilmente causato un livello sempre crescente di contaminazione ambientale ed un consistente incremento del livello di inquinamento.

Avendo tale dinamica incidenza diretta sulla qualità e durata della vita, si è passati dalla sua mera osservazione e monitorazione ad un’ottica decisamente più interventista. Dalla considerazione per lo sviluppo economico come obiettivo prioritario ad una attenzione e focalizzazione sul prodotto inevitabile dell’attività industriale: il rifiuto.

Le scelte politiche andranno quindi non solo orientate al progressivo smaltimento dell’enorme quantità prodotte ed accumulatesi, ma saranno certamente rivolte verso un’ottica di prevenzione durante tutto il ciclo produttivo.

Un obiettivo senza dubbio ambizioso quello di coniugare uno sviluppo equilibrato e rispettoso dell’ambiente, sostenibile, con le esigenze della produzione.

(5)

V Considerando la continua evoluzione delle nuove attività produttive in un mercato dinamicamente in espansione continua, i correlati effetti dannosi si materializzeranno solo anni dopo e ciò renderà molto difficile l’applicazione del principio di precauzione.

Le diverse politiche ambientali posso essere graduate in tre diversi stadi, caratterizzati da differenti modi di concepire il rapporto tra ambiente e sviluppo.

In una prima fase, di riparazione/previsione del danno ambientale, tipica degli inizi anni Settanta, il danno ambientale è concepito essenzialmente come inevitabile, poiché ci si basa sulla presunzione di potervi porre rimedio purchè circoscritto entro determinati limiti. Tale visione è evidentemente il frutto della realtà storica: ricostruzione post-bellica e ripresa economica costituiscono priorità cui la protezione ambientale sottraeva risorse. Le preoccupazioni si rivolgono a fenomeni inquinanti visibili, cause note o ben identificabili, e danni prodotti direttamente alla salute pubblica, estinzione di specie animali o inevitabili conseguenze dirette dell’urbanizzazione.

I rifiuti sono considerati quindi come prodotti indesiderati ed i processi destinati al loro smaltimento, pur se considerati necessari, non risultano essere determinanti al punto di rallentare o ostacolare le attività produttive.

In ultima analisi, si può concludere che il danno ambientale è etichettato come male necessario per lo sviluppo economico, i cui costi sono posti a carico della collettività. Nella successiva fase di prevenzione/previsione, inizia a

(6)

VI delinearsi l’idea che l’intervento debba avvenire in un momento precedente alla materializzazione del danno, esercitando un controllo preventivo al fine di scongiurare possibili situazioni di irreversibilità.

Dopo gli anni settanta infatti, con l’arricchimento delle conoscenze scientifiche ed un’opera di sensibilizzazione pubblica, l’approccio alla tematica ambientale muta sensibilmente. Importanti impulsi Internazionali, in

primis la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente del 1970 e

successivamente il Rapporto del MIT al Club Roma nel 1972 costituiscono segno evidente della mutata considerazione rispetto al tema dell’impoverimento delle risorse, giudicato più grave dell’inquinamento stesso.

Le politiche ambientali in questa fase sono così rivolte alla preservazione dell’ambiente naturale ed al mantenimento del relativo equilibrio, a cui viene ora attribuito un valore economico.

Essenzialmente si passa, quindi, da una logica di compromesso ambiente/sviluppo ad una logica di ecosviluppo, utilizzazione razionale, intelligente ed efficace delle risorse naturali, facendo gravare ora sul meccanismo dei prezzi, e non più sulla collettività, il costo ambientale.

Sul piano organizzativo queste dinamiche si traducono nell’interesse verso il recupero, il riciclaggio, la riduzione dei rifiuti e dei consumi in generale;

(7)

VII tuttavia, si registra anche un consistente rallentamento nelle procedure di ricerca e sviluppo delle nuove tecnologie.

La genesi dell’ultima fase, quella di gestione, viene fatta risalire ai primi anni Ottanta e si caratterizza per la presa di coscienza circa l’estrema complessità dei meccanismi di interazione uomo-ambiente e il diretto corollario secondo cui le decisioni inerenti la politica ambientale non possano fondarsi solo sulla conoscenza certa degli accadimenti futuri.

Diretta conseguenza di questa presa di coscienza è l’attribuzione all’inquinamento dei caratteri dell’inevitabilità ed onnipresenza, oltrepassando la precedente concezione del danno ambientale come immediato, diretto e percepibile.

Tenendo sin d’ora conto dell’impossibilità di circoscriverne in termini spaziali o temporali sia le cause che gli effetti, viene delineato ben presto il concetto di responsabilità verso le generazioni future.

Inoltre, aa ricerca scientifica in questa fase tenta di aumentare le proprie capacità di misurazione e di controllo dei fenomeni, poiché chiamata a rispondere a problemi caratterizzati da notevole incertezza.

Le politiche ambientali, dunque, tendono ad assumere un atteggiamento di

cautela nell’azione nei confronti di situazioni in cui non è possibile prevedere

(8)

VIII Le linee guida di questa fase passano innanzitutto per l’adozione di strategie su vasta scala ed a lungo termine, mettendo in correlazione lo sviluppo industriale con le attività di riutilizzo/smaltimento dei rifiuti prodotti.

Viene utilizzato un approccio tipicamente intersettoriale tra pianificazione e gestione del territorio: la soluzione ritenuta migliore per un determinato settore potrebbe infatti non garantire la sostenibilità dell’intero sistema territoriale.

Tipici sono gli incentivi alla collaborazione e coordinamento sia all’interno del settore pubblico che tra amministrazioni pubbliche e private, tenendo debito conto degli eventuali conflitti di interesse che potrebbero insorgere tra le due entità. Vengono stabiliti, infine, e resi cogenti determinati livelli di standard ambientali minimi, al fine di proteggere le azioni dei singoli o dei gruppi.

Si prende consapevolezza dell’impossibilità di un cambiamento repentino ed immediato, poiché riguardante un ambito delicato come il modus di produzione che resta intrinsecamente correlato a comportamenti sociali ed individuali ormai consolidati, seguendo scale di valori e priorità che per mutare richiedono comprensibilmente un tempo piuttosto esteso.

Nel primo capitolo si darà conto, alla luce dei principi costituzionali, delle tappe di riforma salienti del diritto nazionale, considerando gli impulsi del Diritto dell’Unione Europea e le relative disposizioni attuative al fine di

(9)

IX fornire un quadro sufficientemente completo sull’attività normativa inerente l’oggetto di tale elaborato: il rifiuto.

Il capitolo secondo andrà ad esaminare più in dettaglio il quadro strategico generale delineato dal diritto sopranazionale, sposando l’ottica dell’intero ciclo dei rifiuti, dalla produzione alle possibili soluzioni tanto pulite quanto parziali, quali la raccolta differenziata ed il riuso, sino a giungere al problema dello smaltimento.

Si fisseranno obiettivi e priorità dell’azione comunitaria e ci si focalizzerà in particolar modo sul momento essenziale della gestione del rifiuto, tenendo presenti i vari sistemi di controllo introdotti.

Nel terzo capitolo approfondiremo la trattazione del momento “recupero”, nei principali aspetti di evoluzione normativa tenendo conto dei diversi soggetti coinvolti, delle necessarie autorizzazioni per lo svolgimento di questa importante attività e dei controlli sui soggetti che la esercitano.

Ci soffermeremo, infine, sull’aspetto della concorrenza tra il soggetto pubblico e quello privato, cercando di evidenziare i limiti e muovendo delle critiche all’attuale sistema.

(10)

1

CAPITOLO PRIMO: LA DISCIPLINA GIURIDICA DEI

RIFIUTI

1. PREMESSA: LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Il crescente degrado ambientale1 e il peggioramento dello stato di salute generale del nostro pianeta registratosi in particolare negli ultimi trent’anni, uniti al materializzarsi di gravi disastri ecologici (basti pensare a Chernobyl, o al più recente disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater

Horizon) hanno posto il tema della protezione dell’ambiente come una delle

esigenze più sentite per tutta la comunità internazionale.

Essa, dopo aver progressivamente riconosciuto il valore dell’ambiente naturale, si è preoccupata di stabilirne le linee programmatiche per favorirne la salvaguardia.

I tentativi posti in essere da parte delle legislazioni nazionali di azioni preventive o l’attuazione di logiche di riduzione in pristino, si sono ben presto dimostrati strumenti insufficienti di protezione ambientale, considerati gli ingenti e spesso irreversibili danni egualmente manifestatosi.

Per tale motivazione a partire dagli anni Settanta, gli Stati sono stati indotti a stipulare una serie di convenzioni a tutti i livelli: multilaterali, internazionali, statali e regionali predisposte per proteggere l'ambiente in ogni sua forma.

1 Federico Antich, Origine ed evoluzione del diritto internazionale ambientale. Verso una

(11)

2 La conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano UNCHE (United

Nations Conference on Human Environment) del 1972 può essere considerata

infatti la prima vera e propria presa di coscienza globale ed istituzionale dei problemi legati all’ambiente. Nella relazione finale infatti si legge : "Siamo

arrivati ad un punto della storia in cui dobbiamo regolare le nostre azioni verso il mondo intero, tenendo conto innanzitutto delle loro ripercussioni sull'ambiente".

A partire da tale momento quindi, la problematica ambientale è divenuta per le Nazioni Unite di capitale importanza, presupposto generale del benessere di tutti i popoli e costante essenziale del progresso del mondo intero mediante la concettualizzazione di un insito principio di autoresponsabilità che impegna tutti, singoli individui e collettività, imprese ed istituzioni nella salvaguardia dell’ambiente.

Nei due decenni successivi numerosi studi e differenti ricerche scientifiche si sono susseguite, anche grazie all’istituzione di tre organismi fondamentali: l’UNEP, (United Nations Environment Programme) l’UNDP (United Nations

Development Programme) e l’IUCN (International Union for Conservation of Nature); sono inoltre da segnalare i preziosi contributi apportati in materia

dalla FAO, dall’UNESCO e dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate

(12)

3 A partire dagli anni Ottanta invece2, l’attenzione viene gradualmente rivolta agli aspetti sociali della questione, allontanandosi irreversibilmente e sempre più da quell’ottica di sviluppo prevalentemente incentrata sulle implicazioni economiche.

Con l’UNCED3

, considerato vero e proprio emblema di questo mutato approccio, si passa infatti da una tutela di tipo settoriale e riparatorio, nel solco di una politica ambientale mai preventiva, ad una sensibilità sociale decisamente più accentuata, grazie alla creazione di nuovi strumenti, capaci di risolvere il dualismo sviluppo-ambiente con la formula dello sviluppo sostenibile4 tramite cooperazione a livello globale tra Nord e Sud del mondo, al fine di raggiungere un equilibrio tra sfruttamento delle risorse naturali e tutela delle stesse.

Il successivo protocollo di Kyoto5 costituisce il primo esempio di trattato mondiale legalmente vincolante mirato ad un’azione preventiva verso minacce ambientali anche potenziali; la comunità mondiale in tale sede si impegna a realizzare alcuni obiettivi di interesse generale di cui sono responsabili i Paesi più sviluppati (ad esempio, la riduzione dell’effetto serra) ed a mantenere quelli precedentemente assunti con Rio.

2 Federico Antich, opera di cui alla pagina precedente

3

UNCED (United Nations Conference on Environment and Development, Conferenza sull’ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite) tenutosi a Rio de Janeiro dal 3 al 14 Giugno del 1992 con 172 governi, 108 Capi di Stato, 2400 rappresentanti di ONG e 17000 persone aderenti al NGO forum.

4 Laura Buffoni, “La dottrina dello sviluppo sostenibile e della solidarietà generazionale.

Il giusto procedimento di normazione ambientale”, 18 Aprile 2007, federalismi.it

5 Trattato internazionale redatto l’11 Dicembre 1997 da più di 180 Paesi in occasione della

(13)

4 Doveroso poi ricordare anche il summit mondiale di Johannesburg6 del 2002, che è stata un’importante tappa per lo sviluppo delle linee guida dell’azione di tutti gli Stati7 del mondo nei confronti del tema ambiente. Pur essendo (secondo quanto dichiarato dall’Assemblea ONU) prevalentemente incentrato sulla verifica dello stato di attuazione degli impegni internazionali precedentemente assunti, in tale sede si è cercato di trovare un equilibrio umano sostenibile tra crescita economica, sviluppo sociale e protezione dell’ambiente partendo dall’applicazione dell’Agenda 218

. Nonostante il clima di scetticismo generale sono emersi in tale sede i “global commons”, ma soprattutto si è riusciti ad individuare il vero elemento ostativo a risposte concrete per il problema ambientale, individuando come strumento essenziale nella politica ambientale un’azione di governance planetaria, che dia più peso al multilateralismo, coinvolgendo tutta la comunità nell’attuazione dello sviluppo sostenibile.

2. DIRITTO EUROPEO E DISCIPLINA DEI RIFIUTI

Le fonti sovranazionali hanno avuto ingente peso costituendo una vera e propria spinta propulsiva fondamentale per l’evoluzione del diritto degli Stati in tema di diritto dei rifiuti.

6Documento di intenti ed obiettivi programmatici di ambiente, economia e società,

sottoscritto da oltre 170 Paesi di tutto il mondo durante l’UNCED

7Francesco Tajani, Lo sviluppo sostenibile nel diritto comunitario e la necessità di

cooperazione con i paesi extra-UE, 8 Aprile 2009, federalismi.it

8Documento di intenti ed obiettivi programmatici di ambiente, economia e società,

(14)

5 La situazione di partenza infatti, vedeva gli ordinamenti statali generalmente carenti e poco organici, essenzialmente privi di un corpus normativo di riferimento chiaro, coeso e completo.

Prendendo in esame il caso italiano, ad esempio, la prima legge che trattava specificatamente i rifiuti9 fu la l.n. 366/41, che concerneva in maniera molto specifica i rifiuti prodotti dalle aree urbane, tralasciando i numerosi ambiti restanti e demandando quindi agli strumenti normativi secondari e amministrativi previsti per la tutela dell’igiene pubblica il compito di provvedervi.

La presente e diffusa generale situazione di vuoto normativo può dirsi protratta fino a quando la (allora) Comunità Economica Europea pur non avendo espressamente 10 una competenza ad hoc, inizialmente animata dallo

9

A. Montagna, Rifiuti ( gestione dei ), in Enc. Giur. Treccani, 2003, scrive: “La prima fonte normativa per la gestione dei rifiuti risale ad epoca antecedente alla nascita della Repubblica e può essere individuata nella legge 20 marzo 1941 n. 366, avente ad oggetto la “Raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”, che limitava quindi il proprio ambito di applicazione ai rifiuti di origine urbana, mettendo in primo piano l’aspetto squisitamente economico della gestione dei rifiuti e non certo quello di protezione dell’ambiente.

10

Il trattato istitutivo della Comunità Europea ( cd. Trattato di Roma, 1957) non conteneva alcun riferimento espresso all’ambiente e al tema dei rifiuti. Ciò si spiega essenzialmente con la considerazione che la Comunità nasce al fine di agevolare interessi prettamente economici (G. Tesauro, Diritto dell’unione Europea, Cedam, Padova, 2010) e constatando anche la mancanza in capo alla stessa di qualsiasi competenza in materia ambientale. Quando in un periodo successivo, individuato intorno agli anni Settanta del ‘900, emersero le prime problematiche inerenti la protezione dell’ambiente, venne individuato il fondamento sostanziale e il titolo formale negli originari artt. 100 e 235 del Trattato CEE, rispettivamente riguardanti il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri e ai cd. Poteri impliciti della Comunità. Proprio sulla base di questo fondamento normativo le Istituzioni giustificarono i loro interventi in materia ambientale dichiarando che fossero mirati all’armonizzazione degli ordinamenti e alla creazione di un mercato comune. Il vero cambiamento ( M. Renna, Ambiente e Territorio nell’ordinamento Europeo, in Riv. Ita. dir. pubbl. comunit., 2009, p. 649) tuttavia risale al 1986, con L’Atto Unico Europeo, che ha introdotto nel Trattato CEE un titolo ad hoc

(15)

6 scopo di perseguire interessi economici, si è gradualmente accostata al tema in esame.

Tale evoluzione, seppur a livello embrionale, può registrarsi già a partire dal Trattato di Roma, visto che la creazione ed il mantenimento di un mercato comune inevitabilmente comportava anche la necessità di meccanismi comunitari in grado di tutelare direttamente l’uomo e l’ambiente.

Le prime direttive in tema di rifiuti vengono emanate attorno agli anni Settanta, avendo come interesse solo mediato la preservazione dell’ambiente poiché evidentemente dirette ad un interesse di tipo economico, ovvero la creazione del mercato interno.

La pietra miliare della normazione ambientale comunitaria può essere considerata la Direttiva 75/442/CE del Consiglio, il quale, facendo leva sugli articoli 100 e 235 del Trattato Cee, ha manifestato la necessità di un’azione organica e completa per la protezione dell’ambiente e della salute dell’uomo tramite l’esortazione degli Stati membri ad un ravvicinamento delle loro legislazioni in tema di gestione dei rifiuti al fine di evitare delle in materia ambientale. Da tale momento, con l’attribuzione esplicita di un fondamento normativo, si registra un’esponenziale crescita quantitativa e qualitativa della legislazione, che ha innalzato l’ambiente a settore assolutamente privilegiato del diritto amministrativo europeo. Il successivo Trattato di Maastricht del 1992 e Trattato di Amsterdam del 1997 (in particolare con la riformulazione dell’art. 2 Trattato CE, che espressamente fissa l’obiettivo di “promuovere un elevato livello e migliorare la qualità dell’ambiente”) hanno continuato ed amplificato tale opera di espansione normativa in questo settore. Infine con l’adozione della Carta di Nizza e poi con il Trattato di Lisbona si è giunti ad assumere la protezione ambientale come valore indipendente, assoluto e supremo, tutelabile direttamente e non più mediatamente tramite la salvaguardia degli interessi economici dell’Unione Europea (F. De Leonardis, La disciplina dell’ambiente tra Unione europea e WTO, in Dir. Amm., 2004, 3, p. 513; R. Ferrara, I principi comunitari di diritto dell’ambiente in Dir. Amm., 2005, 3, 509).

(16)

7 disomogeneità che avrebbero potuto falsare il regime di concorrenza nel mercato comunitario.

Il recepimento di tale direttiva all’interno del nostro ordinamento nazionale è avvenuto con il D.P.R. n. 915 del 1982, il quale si prefiggeva il compito di attuare in maniera più rigorosa possibile le prime norme comunitarie emanate nel settore dei rifiuti, ponendo al centro della disciplina i principi generali dello smaltimento e della classificazione dei rifiuti11, ed affrontando la spinosa questione della ripartizione di competenze nazionali tra i diversi livelli istituzionali di Governo.

Tale intervento normativo costituisce la prima vera forma di dialogo nel settore tra il Legislatore europeo e quello nazionale, che non potrà che migliorare grazie alle modifiche apportate dall’Atto Unico Europeo al Trattato Cee12.

Quest’ultimo infatti ha espressamente attributo fra le competenze dell’Unione quella ambientale, permettendo alle Istituzioni comunitarie di intervenire in maniera molto più incisiva sulla materia e segnando nel contempo l’inizio di quel processo che ha consentito ai rifiuti e alla protezione ambientale in genere di acquisire tutela pienamente indipendente dagli interessi economici.

11 Così F. Gianpietro-P. Gianpietro, Lo smaltimento dei rifiuti: commento al d.p.r. n.

915/1982, Rimini, Maggioli, 1987.

12 Art. 130 R, Trattato Cee : “l’azione della Comunità in materia ambientale ha l’obiettivo

di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente, contribuire alla protezione della vita umana e garantire un’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali”.

(17)

8 3. LA SITUAZIONE ITALIANA: DAI PRINCIPI COSTITUZIONALI AL DECRETO RONCHI

Nell’ordinamento italiano non esiste, ad oggi, una definizione di ambiente, né il nostro Testo Costituzionale contiene alcun riferimento esplicito in tema di Diritto Ambientale. Gli unici parametri possono essere rinvenuti negli art. 913, 3214 e 11715.

Per ovviare a tale lacuna, è stato necessario ricorrere alla dottrina e agli strumenti ermeneutici della Giurisprudenza: i passi maggiormente significativi sono stati percorsi grazie alla Corte Costituzionale con la sentenza 641\8716e dalla Corte di Cassazione sezione penale (con due differenti ed importanti pronunce)17 e civile18.

13 Art. 9 Cost. “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della

Nazione”.

14

Art. 32 Cost. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”.

15 Art. 117 Cost. “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: [...] tutela

dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”.

16 Corte Costituzionale, sentenza n. 641 del 30 dicembre 1987: «nel nostro ordinamento

giuridico la protezione dell'ambiente è imposta da precetti costituzionali (artt. 9 e 32) ed assurge a valore primario e assoluto».

17 Cass. Pen., 1984, 1685, “in tema di tutela dell'ambiente, la Costituzione con l'art. 9

collega aspetti naturalistici (paesaggio) e culturali (promozione dello sviluppo della cultura e tutela del patrimonio storico-artistico) in una visione [...] di protezione integrata e complessiva dei valori naturali insieme con quelli consolidati dalle testimonianze di civiltà; allo stesso modo con l'art. 32 [...] assicura al diritto all'ambiente [...] una adeguata protezione”.Cass. Pen., sez. III, 28 ottobre 1993, n. 9727 “[ambiente è] il contesto delle risorse naturali e delle stesse opere più significative dell'uomo [...]”.

18 Cass. civ., sez. I, 9 aprile 1991, n. 4362 “ si è distinto tra ambiente quale risulta dalla

disciplina relativa al paesaggio [...], ambiente preso in considerazione dalle norme poste a protezione contro fattori aggressivi (difesa del suolo, dell'aria, dell'acqua etc.), ed ancora, ambiente quale oggetto di disciplina urbanistica e di tutela del territorio [...]. L'elemento unificante di tutte queste elaborazioni è, comunque, dato dal fatto che l'ambiente in senso giuridico va considerato come un insieme che [...] si distingue

(18)

9 La produzione normativa italiana in materia ambientale è stata praticamente assente fino agli anni Settanta-Ottanta: per molti anni si è infatti ricorso ad alcune norme codicistiche, precisamente nell’art. 844 c.c.19

e 674 c.p20 per tentare di arginare il problema, mentre la prima embrionale forma di regolamentazione specifica in tema è rinvenibile nelle cosidette ''Leggi Speciali'' 21 degli anni Novanta, ben presto abrogate e sostituite dalle successiva attività normativa22.

Le peculiarità e le differenze fra i due tipi di tutela sono nette : le prime infatti sono applicabili solo nel caso in cui venga dimostrata la lesione all'interesse tutelato, e il risultato è, generalmente, un'azione risarcitoria o inibitoria.

ontologicamente da questi in quanto si identifica in una realtà priva di consistenza materiale [...]”.

19 Art. 844 c.c. “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di

calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.”

20 Art. 674 c.p. “Chiunque getta o versa , in un luogo di pubblico transito o in un luogo

privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro.”

21 Le ‘’Leggi Speciali” degli anni Novanta sono state scritte con lo specifico scopo di

tutelare una risorsa specifica (come ad esempio l'acqua, l'aria, il suolo, o altre componenti dell'ambiente); da segnalare in materia di ambiente la Legge 13 luglio 1966, n. 615, sull'inquinamento atmosferico. Art. 1 “ […] che diano luogo ad emissione in atmosfera di fumi, polveri, gas e odori di qualunque tipo atti ad alterare le normali condizioni di salubrità dell’aria e di costituire pertanto pregiudizio diretto o indiretto alla salute dei cittadini […]”.

22 Ed in particolare i più importanti interventi successivi in materia ambientale quali il

(19)

10 Invece le seconde, aventi natura formale, sono applicabili quando il comportamento di un soggetto non rispetta la forma prevista dalla leggi ed il risultato consisterà generalmente in una sanzione pecuniaria o in una limitazione della libertà personale.

Il primo tentativo organico di riforma del settore è individuabile senza dubbio nel Decreto Legislativo 22 del 5 Febbraio 199723 (cd. decreto Ronchi), grazie al quale l’ordinamento italiano ha operato una completa riformulazione dell’intera legislazione ambientale, in attuazione degli impegni comunitari (16-91\156 CEE sui rifiuti pericolosi e 94\62 CEE sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio) che imponevano, come specificato in precedenza, obblighi di prevenzione e sviluppo sostenibile a carico degli Stati membri.

Tale decreto ha rappresentato una vera e propria legge quadro del settore e, a causa dell'intervento di successivi provvedimenti, la natura di un sistema normativo complesso e articolato, la cui finalità principale era quella di ridurre la produzione di rifiuti e di incentivarne il recupero ed il riciclaggio, garantendo un elevato grado di protezione della salute dell'uomo e dell'ambiente.

Il testo risulta comprensibilmente articolato e complesso e si divide in cinque titoli, completati da un allegato (Allegato A, contenente nella prima parte un’elencazione di categorie di rifiuti e nella seconda parte il catalogo completo europeo).

(20)

11 I primi tre titoli si occupano di regolare la fase della gestione dei rifiuti, dedicando particolare attenzione a quella dei rifiuti da imballaggio e particolari categorie per i quali il legislatore ritiene opportuno soffermarsi in maniera specifica (es. rifiuti sanitari); nel titolo quarto è disciplinato l’aspetto economico della gestione, trattando principalmente della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani; infine l’ultimo capo, il quinto, il Legislatore si sofferma sul sistema sanzionatorio.

Il titolo primo, dopo aver fissato i principi generali e ripartito le competenze in materia, si occupa della fase della gestione prevedendo i piani di gestione dei rifiuti regolando inoltre le procedure per l’ottenimento delle autorizzazioni e iscrizioni necessarie.

L’aspetto gestionale dei rifiuti viene ripartito nei tre momenti fondamentali della prevenzione, recupero e smaltimento; si individuano come soggetti responsabili i produttori ed i detentori, prevedendo inoltre per particolari categorie di soggetti24 (art.11 co. 3,capo I) l’obbligo di tenuta dei registri di

24

Decreto Legislativo n. 22 del 5 Febbraio 1997, art. 11, co. 3, capo I : “Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonchè le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi e le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali ed artigianali di cui all'articolo 7, comma 3, lettere c) e d) , sono tenuti a comunicare annualmente con le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70 le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti prodotti, recuperati e smaltiti. Sono esonerati da tale obbligo, limitatamente alla produzione di rifiuti non pericolosi, i piccoli imprenditori artigiani; di cui all'articolo 2083 del codice civile che non hanno più di tre dipendenti. Nel caso in cui i produttori di rifiuti conferiscano i medesimi al Servizio pubblico di raccolta, la comunicazione è effettuata dal gestore del servizio”.

(21)

12 carico e scarico, al fine di monitorare ogni fase di questa attività ed agevolare così eventuali controlli.

La ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni, Province e Comuni agevola notevolmente l’attuazione dei relativi piani di gestione, accordi e contratti di programma, così come l’attribuzione di contributi ed incentivi, mentre viene istituito, presso il ministero dell'ambiente, l'Osservatorio nazionale sui rifiuti al fine di vigilare sulla corretta attuazione delle norme di cui al presente decreto legislativo.

Il capo IV, titolo I, è interamente dedicato al tema delle autorizzazioni ed iscrizioni necessarie per la realizzazione di un impianto di recupero o smaltimento o all’esercizio di tali operazioni da parte di un soggetto professionale.

Il titolo I infine si chiude con la previsione di alcune procedure semplificate e procedure di autosmaltimento.

Il testo dedica poi un’ampia parte (tutto il titolo II) al tema della gestione di una particolare categoria di rifiuti, gli imballaggi, enucleandone la definizione, prevedendo gli obiettivi del recupero e del riciclaggio, principalmente tramite lo strumento della raccolta differenziata attuata mediante il meccanismo dei Consorzi ed istituendo inoltre il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi). Nella gestione di quelli che il legislatore considera rifiuti appartenenti a categorie “particolari” (quali ad esempio beni durevoli, sanitari, veicoli a

(22)

13 motore) viene dettata una disciplina speciale, significativamente differente25 rispetto a quella ordinaria.

Il titolo IV si occupa di regolare l’aspetto tributario e fissa tutti i principi per il calcolo, eventuali riduzioni ed agevolazioni nonché il meccanismo di riscossione della tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani.

Il decreto si chiude con un articolato sistema sanzionatorio, le cui fattispecie delittuose spaziano dall’abbandono dei rifiuti alla mancata osservanza di tutte quelle prescrizioni fissate dal presente decreto (ad esempio gli obblighi di autorizzazione o tenuta dei registri) per finire con le fattispecie punite più severamente, quali il traffico di rifiuti o le attività organizzate per il traffico illecito dei medesimi.

In ultima analisi, possiamo concludere che l’obiettivo principe di questo intervento legislativo fosse anzitutto una riduzione sulla quantità di rifiuti immessi, incentivandone il recupero ed il riciclaggio grazie ad alcuni meccanismi (sanzionatori e premiali) e prestando contemporaneamente particolare attenzione al mantenimento di un elevato standard di protezione nei confronti sia della salute dell’uomo che dell’ambiente.

25 Decreto Legislativo 22/97, art. 44, co. 1 : “I beni durevoli per uso domestico che hanno

esaurito la loro durata operativa devono essere consegnati ad un rivenditore contestualmente all'acquisto di un bene durevole di tipologia equivalente ovvero devono essere conferiti alle imprese pubbliche o private che gestiscono la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani o agli appositi centri di raccolta individuati ai sensi del comma 2, a cura del detentore”.

(23)

14 4. L’AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE (ATO)

La dottrina riconduce la scelta del legislatore di avvalersi del concetto di “ambito territoriale ottimale” a due interventi legislativi differenti: la legge Galli26 ed il Decreto Ronchi; in realtà queste leggi vanno inserite in un più ampio quadro di privatizzazioni avviate in Italia proprio in quegli anni.

L’ATO consiste in un organismo istituzionale preordinato e diretto allo scopo di creare un sistema integrato ed unitario di gestione del servizio di igiene urbana rispettando criteri di efficienza, efficacia ed economicità, distinguendosi e superando nettamente la precedente visione, caratterizzata invece da una generalizzata frammentazione gestionale per singoli ambiti comunali.

La nozione di “ambito” invece ha origini più remote, precisamente negli anni Settanta, in riferimento al settore socio-sanitario.

Nel periodo immediatamente successivo all’istituzione delle Regioni, infatti, si registrarono forti criticità e mancanze nella gestione di servizi sociali e funzioni amministrative in generale.

Per ovviare alla necessità di garantire unitarietà nella gestione e amministrazione dei servizi, alcune regioni si resero precorritrici del D. P. R.

(24)

15 616/77 27 costituendo con legge gli ambiti territoriali delle Unità locali dei servizi, in cui da quell’epoca venne ripartito il loro territorio.

Esaminando28 questa normativa regionale, appare chiaro che questi “Ambiti” non sono altro che una dimensione territoriale sulla quale si articola il complesso integrato di tutti i servizi di base che costituiscono, nel loro insieme, l’Unità Locale dei Servizi, la cui gestione é unica, ma decentrata in capo a comuni e comunità montane.

Successivamente, la formula del decentramento in cooperazione attraverso gli ambiti viene ripresa dalla legge sull’ordinamento delle autonomie locali 29

(artt. 9, 11, 19), dove già si riconosceva alla regione la possibilità di definire ambiti sovracomunali per l’esercizio associato di funzioni in materia di servizi a rete (art. 19, lett. b), «raccolta, distribuzione e depurazione delle acque» (art. 19, lett. f) e «smaltimento dei rifiuti» (art. 19, lett. g).

Tali disposizioni sono poi confluite nel Testo unico degli enti locali (TUEL). Il Decreto Ronchi individua gli ambiti territoriali ottimali nelle Province30, le quali possono autorizzare anche una gestione sub-provinciale, in un’ottica di decentramento, purché sia rispettata e garantita una soglia dimensionale

27 D. P. R. 24 Luglio 1977, “Trasferimento delle funzioni amministrative alle regioni”.

All’art. 25 si prevede che “La regione determina con legge, sentiti i comuni interessati, gli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di cooperazione fra gli enti locali territoriali, e, se necessario, promuovendo ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 117 della Costituzione forme anche obbligatorie di associazione fra gli stessi. Gli ambiti territoriali di cui sopra devono concernere contestualmente la gestione dei servizi sociali e sanitari”.

28 Su www.atogensaag.it.

29 Legge 8 Giugno 1990, n. 142, “Ordinamento delle autonomie locali”. 30 Salvo diversa disposizione di legge.

(25)

16 ugualmente idonea all’ottimizzazione dei servizi, avendo riguardo sia del punto di vista tecnico-ambientale che ambientale.

Viene sancito sia l’obbligo per i Comuni appartenenti al territorio provinciale di organizzarsi in apposite società d’ambito o Consorzi, al fine di assicurare la gestione integrata del ciclo dei rifiuti, sia per le Province stabilire le forme ed i modi di collaborazione per gli Enti Locali appartenenti all’ambito territoriale. Dovranno poi essere anche stabilite le procedure per l’assegnazione del servizio di gestione dei rifiuti e le relative forme di vigilanza e di controllo. Per quanto riguarda il profilo delle competenze l’Autorità d’ambito svolge le funzioni di organizzazione, coordinamento e controllo sulla gestione dei rifiuti.

Tali competenze si sostanziano in primis nel compito di redigere ed approvare il programma pluriennale degli interventi e successivamente quello di perseguirli personalmente o tramite l’individuazione di un soggetto terzo. Si occupa poi anche del riconoscimento degli altri soggetti ai quali potrà affidare i compiti operatici di gestioni, quali la fase della raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, coordinando inoltre i criteri per la determinazione delle tariffe applicabili in ogni singolo Comune, provvedendo alla riscossione anche tramite terzi.

Dopo aver adottato il regolamento tipo relativo alla gestione dei rifiuti urbani, provvede anche alla relativa verifica, fissando inoltre gli obiettivi di raccolta

(26)

17 differenziata per singolo Comune al fine di raggiungimento per l’intero ambito delle percentuali previste.

5. IL TESTO UNICO AMBIENTALE

Con legge 15 Dicembre 2004, n. 308, è stata fatta delega al Governo al fine di riordinare ed integrare la legislazione in materia ambientale; con questo obiettivo è stato concepito il D. lgs. 3 Aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”.

Il codice ambientale31 è strutturato in 318 articoli, 45 allegati, una decina di appendici e suddiviso in sei parti principali.

La finalità principale di questo intervento normativo è prevista dall’art. 2 : “la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali”.

La prima parte del Codice contiene l’elencazione degli obiettivi da raggiungere, l’ambito di applicazione ed i criteri32

che i provvedimenti dovranno rispettare.

31

Su www.bosettiegatti.eu.

32Decreto Legislativo n. 152 del 3 Aprile 2006, art. 3, co. 3 : “Per la modifica e

l'integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione in materia ambientale, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare acquisisce, entro 30 giorni dalla richiesta, il parere delle rappresentanze qualificate degli interessi economici e

(27)

18 Nella seconda parte vengono disciplinate la Valutazione ambientale strategica (V.A.S.), la Valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) e l’Autorizzazione ambientale integrata (I.P.P.C.) al fine di regolarizzare la posizione italiana33 in funzione degli impegni comunitari34 cui da tempo risultava inadempiente. Terza e quinta parte si occupano direttamente della difesa dell’ambiente, tutelando rispettivamente i beni immateriali suolo e aria, regolamentandone lo sfruttamento e prevedendone i rispettivi sistemi sanzionatori e i connessi compiti di vigilanza assegnati agli organi di controllo.

Nella parte quarta sono contenute invece le disposizioni in materia di gestione di rifiuti ed imballaggi, ma anche disciplinata la procedura per bonifica di siti inquinati35.

Il testo si chiude con la sesta parte, disciplinante l’aspetto della tutela risarcitoria contro i danni ambientali, in particolare considerando il momento preventivo della produzione dei rifiuti e finendo con i meccanismi di riduzione in pristino36 e risarcimento.

sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA), senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

33

Su eur-lex.europa.eu .

34 Gli stati membri avrebbero dovuto recepire la Direttiva 2001/42/CE del Parlamento

Europeo e del Consiglio, del 27 Giugno 2001, entro il 21 luglio del 2004. L’Italia non ha rispettato tale termine ed ha recepito la Direttiva con la parte seconda del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 entrata in vigore il 31 luglio 2007. Tale norma è stata sostanzialmente modificata ed integrata dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, entrato in vigore il 13/02/2008 e nuovamente modificata dal D. Lgs. 29 giugno 2010, n. 128 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2010, n. 186.

35 Federico Vanetti, Testo Unico Ambientale: La disciplina transitoria sulla bonifica dei siti

contaminati. Diverse interpretazioni possibili, www.giuristiambientali.it.

36 Decreto Legislativo n. 152 del 3 Aprile 2006, art. 306, co. 1 : “Gli operatori individuano

(28)

19 Di interesse fondamentale risulta poi la parte definitoria di tale testo normativo, circa le novità introdotte per i concetti di “sottoprodotto” e “materia prima secondaria”.

Queste ultime sono considerate di particolare importanza proprio perché restano ora concettualmente distinte e separate dal comune rifiuto e quindi elevate a vera e propria risorsa.

Per “sottoprodotti” si intendono i prodotti dell’impresa che, pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o consumo sia direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo.

La “materia prima secondaria” invece, è il termine che indica la sostanza o la materia avente le caratteristiche di MPS (materia prima secondaria) di cui al D.M. 5 febbraio 98 (“Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero”), i prodotti derivanti da specifiche operazioni di recupero espressamente autorizzate dalla regione o quelli parte sesta del presente decreto e le presentano per l'approvazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare senza indugio e comunque non oltre trenta giorni dall'evento dannoso, a meno che questi non abbia già adottato misure urgenti, a norma articolo 305, commi 2 e 3”. Il successivo co. 2 aggiunge: “Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare decide quali misure di ripristino attuare, in modo da garantire, ove possibile, il conseguimento del completo ripristino ambientale, e valuta l'opportunità di addivenire ad un accordo con l'operatore interessato nel rispetto della procedura di cui all'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

(29)

20 individuati negli accordi di programma definiti con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

E’ stata inoltre modificata la definizione di “deposito temporaneo di rifiuti” che ora indica “il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti”, che deve essere disposto secondo categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle norme tecniche e delle disposizioni che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi con durata mai superiore a un anno.

Un’altra novità di rilievo concerne i termini per le registrazioni di carico e scarico dei rifiuti che devono essere effettuati dai soggetti individuati.

I produttori, i soggetti che effettuano la raccolta ed il trasporto e i commercianti, intermediari e consorzi vi dovranno provvedere entro dieci giorni lavorativi, che decorreranno rispettivamente dalla produzione del rifiuto (o per lo scarico del medesimo), dalla effettuazione del trasporto o transazione relativa.

Un termine ridotto invece (due giorni lavorativi) è previsto per i soggetti che effettuano le operazioni di recupero e di smaltimento, dalla presa in carico dei rifiuti.

I registri di carico e scarico devono essere tenuti presso ogni impianto di produzione, di stoccaggio, di recupero e di smaltimento dei rifiuti nonché presso la sede delle imprese che effettuano attività di raccolta, trasporto,

(30)

21 commercio e intermediazione di rifiuti e devono essere resi disponibili in qualunque momento all’autorità di controllo che ne faccia richiesta.

Altra novità molto importante riguarda la nuova definizione di “bonifica”, che ai sensi dell’articolo 240, indica l’insieme degli interventi atti a eliminare in modo definitivo le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori di concentrazione soglia di rischio. Vengono inoltre disciplinate le procedure specifiche per gli interventi nei siti, con attività in esercizio, per cui è possibile effettuare una messa in sicurezza operativa in attesa dell’intervento di bonifica che sarà effettuato al momento della cessazione dell’attività.

Infine al Decreto Legislativo 152/06 sono riconducibili la creazione di un Albo nazionale per i gestori ambientali e quello delle Autorità d’Ambito (strutture dotate di personalità giuridica che organizzano, affidano e controllano la gestione del servizio integrato).

6. L’IMPULSO EUROPEO: LA DIRETTIVA 06/12/CE E LA NUOVA DIRETTIVA RIFIUTI

La normazione dell’Unione Europea in materia di rifiuti è organizzata in diversi livelli, che da differenti punti di vista affrontano e disciplinano il tema.

(31)

22 Un primo gruppo di interventi è rappresentato dalla legislazione orizzontale, che ha il compito di stabilire il quadro di riferimento generale per la gestione dei rifiuti fornendo le definizioni fondamentali in materia, i principi a cui ispirarsi, e le finalità da raggiungere.

In questo quadro appena delineato, rientra senza dubbio la “Direttiva rifiuti”37, le cui misure si applicano a qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o su cui verta l’obbligo di disfarsi secondo quanto previsto dalla normativa nazionale.

Restano invece esclusi effluenti gassosi, rifiuti radioattivi, minerali, agricoli, materiali esplosivi in disuso, carcasse di animali o acque di scarico, poiché oggetti di regolamentazione specifica comunitaria38

La direttiva si occupa in primo luogo di definire concetti basilari come le nozioni di rifiuto, recupero, smaltimento, fissando inoltre gli obblighi per una corretta gestione.

Sarà onere degli Stati membri predisporre ed elaborare veri e propri piani gestionali ed organizzativi, mentre gli operatori del settore (principalmente enti o imprese) dovranno ottemperare alle procedure di registrazione e autorizzazione previste.

37 Direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 Aprile 2006, che ha

sostituito la Direttiva 1975/442/CEE.

38 Ad esempio, Direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 Maggio 1999, concernente il

trattamento delle acque reflue urbane o la Direttiva 2000/76/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 Dicembre del 2000, sull’incenerimento dei rifiuti e in particolare delle carcasse di animali.

(32)

23 La direttiva si preoccupa poi di fissare i principi fondamentali quali l’obbligo di trattamento dei rifiuti evitando danni per l’ambiente o la salute umana ed il corollario “chi inquina paga”, ovvero che i costi dello smaltimento si riversino sul detentore attuale, su quello precedente o infine sul produttore del prodotto-causa.

Gli Stati appartenenti alla Comunità dovranno informare la Commissione delle misure che intendono adottare per il raggiungimento degli obiettivi prefissati nella direttiva, la quale a sua volta coinvolgerà gli altri Stati membri ed il Comitato così come previsto dalla decisione 1999/468/CE 39.

La Direttiva 12/0640 sottolinea inoltre che una disparità nella legislazione degli Stati membri può incidere sulla protezione dell’ambiente e ha ricadute dirette sul funzionamento del mercato interno; pertanto ogni regolamentazione del settore deve sempre assicurare adeguata tutela della salute umana e dell’ambiente in ogni fase che potenzialmente potrebbe recare nocumento (raccolta, trasporto, trattamento, ammasso e deposito dei rifiuti). Alla legislazione nazionale sarà quindi richiesto prima di tutto di adottare misure che permettano di compiere un’efficace azione di prevenzione o

39 Decisione 1999/468/CE, Art.3, rubricato “Procedura consultiva”, “La commissione è assistita da un Comitato consultivo composto dai rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione. Il rappresentante della Commissione sottopone al comitato un progetto delle misure da adottare. Il comitato esprime il parere sul progetto entro un termine che il presidente può stabilire in funzione dell'urgenza della questione in esame, procedendo eventualmente a votazione. Il parere è messo a verbale; inoltre, ciascuno Stato membro ha il diritto di chiedere che la sua posizione sia messa a verbale. La Commissione tiene in massima considerazione il parere del comitato. Essa lo informa del modo in cui ha tenuto conto del parere”.

(33)

24 riduzione della quantità di rifiuti prodotti, l’impiego o lo sviluppo di tecnologie pulite che generino un risparmio di risorse naturali e che permettano l’eliminazione delle sostanze pericolose discriminandole da quelle che possono essere oggetto di recupero.

Di incentivare inoltre in tutte le fasi di progettazione, fabbricazione, uso o smaltimento di qualsiasi tipo di prodotto, la tecnica che assicuri la minor produzione di rifiuti possibile o in alternativa la minore pericolosità dello stesso.

Rivestono poi particolare importanza le metodiche di riciclo, reimpiego e riutilizzo, da doversi attuare rigorosamente senza rischi per la salute umana o per l’ambiente, che permettono la creazione di materie prime secondarie o la produzione di energia.

Per la fase di smaltimento invece, è necessaria la creazione di una rete di impianti che utilizzino le tecnologie più progredite, considerando anche l’aspetto economico.

Resta assolutamente vietata qualsiasi condotta di abbandono, scarico o smaltimento incontrollato dei rifiuti.

Ulteriori ed importanti sviluppi per la normativa comunitaria si sono avuti nel mese di giugno 2008, con la cd. “Nuova Direttiva Rifiuti”41

.

(34)

25 Il Parlamento Europeo, infatti, ha ritenuto necessario provvedere ad una revisione della Direttiva 2006/12/CE al fine di delineare con chiarezza alcuni concetti basilari della disciplina circoscrivendo in particolare le definizioni di rifiuto, di recupero e di smaltimento.

In tale intervento viene fortemente enfatizzato l’aspetto della prevenzione del rifiuto, grazie ad un mutato approccio che tiene in considerazione l’intero ciclo di vita del rifiuto e non una sola fase dello stesso; viene inoltre razionalizzata ed aumentata la tutela del territorio mediante la riduzione dell’impatto ambientale globale di tutte le fasi di produzione e gestione.

Restano esclusi i medesimi ambiti della normazione precedente, ai quali vanno aggiunti il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale, escavato durante l’attività di estrazione.

Cambia sostanzialmente, con la Direttiva 2008/98/CE, la politica ambientale, che ora viene rivolta verso le opzioni migliori (perché maggiormente ecologiche): la priorità assoluta consiste in primis nel risparmio di risorse, nel favorire la prevenzione dei rifiuti rispetto a qualsiasi forma di trattamento ma anche nel potenziamento del concetto di riuso e di riciclaggio piuttosto che in quello di valorizzazione energetica.

Questa serie di considerazioni vanno a comporre una vero e proprio criterio gerarchico rispetto alle varie opzioni dal punto di vista della politica ambientale e della politica dei rifiuti.

(35)

26 Al primo posto troviamo quindi la prevenzione, seguita dal riutilizzo e dal riciclaggio e non dal recupero, che invece si riferisce al recupero di energia, mediante qualsiasi altra operazione che consenta la sostituzione utile del rifiuto ad altro materiale (infatti in tema di incenerimento rifiuti solidi urbani la Direttiva precisa che la relativa attività potrà essere considerata attività di recupero soltanto qualora rispetti un criterio di efficienza energetica e gli Stati non dovrebbero promuovere comunque questo tipo di azione).

Particolare disvalore viene attribuito invece dalla Direttiva allo smaltimento, poiché tra tutte le opzioni possibili, questa risulta essere senza dubbio quella ecologicamente meno vantaggiosa.

Nell’attuare la soluzione che implichi il “miglior risultato ambientale complessivo”, si dovranno tenere in debito conto il principio di precauzione42

e di sostenibilità ambientale, oltre che i requisiti di fattibilità tecnica e l’aspetto economico complessivo (praticabilità economica e l’insieme degli impatti sociali, economici, sanitari e ambientali).

Sono fissati termini finali per il raggiungimento degli obiettivi fissati: gli Stati membri entro il 2020 dovranno adottare le misure necessarie affinché la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di carta, metallo, plastica e vetro aumenti per lo meno del 50% in termini di peso mentre per altri materiali

42 Emerso durante la Conferenza dell’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite (Earth

Summit), fu definito: “Al fine di proteggere l'ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”.

(36)

27 (come rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi) tale aumento dovrà essere del 70%. Spetterà poi alla Commissione Europea stabilire le norme di dettaglio per l’attuazione e il calcolo del raggiungimento di tali obiettivi con un riesame operato al fine di verificarne l’andamento ed eventualmente prevederne un rafforzamento.

Gli Stati membri dovranno ottemperare a un obbligo di documentazione, inviando ogni tre anni una relazione in merito ai risultati conseguiti o qualora questi non fossero stati raggiunti, a esplicare le ragioni e le soluzioni per porvi rimedio.

A tutta questa serie di disposizioni generali, si affiancano una serie di norme che trattano invece di temi specifici: si considerano isolatamente o flussi di materiali, o specifiche operazioni di trattamento.

Esempi del primo tipo possono essere le norme riguardanti lo smaltimento del oli usati o quella dei veicoli fuori uso, mentre regolamentazione delle discariche dei rifiuti o sull’incenerimento esempi del secondo.

7. GLI INTERVENTI COMUNITARI SUCCESSIVI

L’evoluzione del diritto comunitario in materia di gestione dei rifiuti è stata certamente segnata il giorno 18 Dicembre 2014.

(37)

28 La Commissione Europea infatti in tale data, ha emanato due importanti provvedimenti, che hanno apportato modifiche rilevanti alla precedente normativa nell’ambito della classificazione dei rifiuti; è inoltre da segnalare il fatto che essi siano entrati in vigore a partire solo dal 01 Giugno 2015 tramite gli strumenti del regolamento e della direttiva, risultando quindi direttamente applicabili all’interno degli ordinamenti degli Stati Membri.

Il primo degli interventi normativi, ovvero il regolamento UE n. 1357/2014 contiene i criteri per l’attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti. Più nello specifico si consideri che l’allegato a questo regolamento ha sostituito l’Allegato III alla Direttiva 2008/98/CE.

Il secondo intervento normativo, invece, è costituito dalla decisione 2014/955/UE, che contiene l’elenco dei codici CER43

che ha sostituito la Decisione 2000/532/CE e ha modificato l’Allegato D alla Parte IV del D.Lgs. 152/06.

Queste modificazioni normative si sono rese necessarie con l’abrogazione44 della precedente base normativa di attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti, compiuta dal regolamento CLP45 .

Dopo un lungo periodo di convivenza quindi, i metodi di attribuzione delle caratteristiche di pericolo sono stati adeguati a quanto previsto dal

43 Codice CER (catalogo identificativo dei rifiuti) è la classificazione dei tipi di rifiuti

secondo la direttiva 75/442/CE.

44 Direttive 67/548/UE e 1999/45/CE che sono state abrogate a decorrere dal 1 giugno 2015. 45 Regolamento CE n. 1272/2008.

(38)

29

regolamento, passando da essere basati su criteri di rischio “R” a indicazioni di pericolo “H”.

Gli elementi di novità apportati dalla decisione 955/2014/CE consistono in primo luogo nell’ampliamento del catalogo precedente, con l’introduzione di nuovi codici CER (fanghi rossi derivanti dalla produzione allumina di sostanze pericolose, mercurio metallico, mercurio parzialmente modificato). Sono inoltre presenti modifiche alla parte introduttiva dell’elenco di rifiuti di cui all’articolo 7 della Direttiva 2008/98/CE, per adeguarla ai nuovi criteri di individuazione e valutazione delle sostanze pericolose (richiami alle nuove caratteristiche di pericolosità HP ed ai relativi valori soglia e concetto di sostanze pericolose pertinenti)

Si registra inoltre una variazione nella descrizione di alcune tipologie di rifiuti. Sebbene le novità introdotte dalla decisione possano essere considerate di minor rilievo rispetto a quelle introdotte con il regolamento, è grazie alle prima che riescono ad apprezzarsi i cambiamenti apportati dalle seconde. La decisione 955/2014/CE identifica e divide i rifiuti classificandoli come pericolosi (contrassegnati con un asterisco) ai sensi della direttiva 2008/98/CE e previa applicazione dell’art. 2046

, mentre i rifiuti non contrassegnati saranno quindi etichettati come non pericolosi.

46

Direttiva 98/08/CE, Articolo 20, Rifiuti pericolosi prodotti da nuclei domestici “Gli

articoli 17, 18, 19 e 35 non si applicano ai rifiuti non differenziati prodotti da nuclei domestici. Gli articoli 19 e 35 non si applicano alle frazioni separate di rifiuti pericolosi

(39)

30

Nel caso in cui al rifiuto possano essere attribuiti contemporaneamente codici pericolosi e codici non pericolosi (cd. codice specchio) si terrà conto delle sostanze pericolose pertinenti in esso contenute (Allegato 3 Direttiva 98/08/CE) e delle caratteristiche del pericolo47, eseguendo una prova48 o utilizzando linee guida riconosciute in ambito internazionale.

Si potranno in seguito ulteriormente discriminare i rifiuti aventi codice CER pericoloso senza codice “speculare”; in tal caso quest’ultimo sarà considerato rifiuto pericoloso assoluto e si dovrà attribuire il corretto codice di attribuzione di pericolo49 (codice HP).

I rifiuti aventi codice CER non pericoloso e senza codice “speculare” verranno semplicemente considerati non pericolosi, senza ulteriore specificazione.

Se invece il rifiuto è identificato con codici CER speculari (uno pericoloso ed uno non pericoloso) dovranno tenersi in tal caso in considerazione le proprietà di pericolo, mediante corretta attribuzione dei codici HP.

prodotti da nuclei domestici fino a che siano accettate per la raccolta, lo smaltimento o il recupero da un ente o un’impresa che abbiano ottenuto l’autorizzazione o siano registrati in conformità degli articoli 23 o 26.”

47 Valutate secondo i criteri dettati dal Regolamento CE 1272, del 16 Dicembre 2008, del

Parlamento e del Consiglio.

48 Le metodologie di prova sono previste dal Regolamento CE della Commissione n. 440

del 30 Maggio 2008.

49 Secondo quanto disposto dal Regolamento UE della Commissione n. 1357 del 18

(40)

31

Risulta quindi essenziale, qualora sia previsto, una corretta attribuzione del codice HP.

Il soggetto su cui verte tale obbligo è il produttore del rifiuto, il quale potrebbe già essere in grado di compiere tale operazione semplicemente considerando i composti presenti nel rifiuto attraverso la conoscenza dei cicli produttivi che lo hanno generato.

Qualora al contrario, non fosse possibile la corretta attribuzione del codice HP in tal modo, il produttore dovrà in primis compilare una scheda produttiva dettagliata (alla quale vanno inoltre allegate le Schede di Sicurezza) contenente l’indicazione di tutti i cicli produttivi e le materie prime di partenza che hanno generato il rifiuto, operando un campionamento significativo del rifiuto completata da un’analisi successiva.

In tal modo si avrà l’effetto di circoscrivere i pericoli associati ai singoli componenti del rifiuto, considerati “pertinenti” sulla base delle informazioni raccolte.

In ultimo dovrà operare un confronto tra le concentrazioni ottenute dal campionamento del rifiuto con quelle di soglia previste dal Regolamento UE 1357/14.

(41)

32

Il Decreto Legislativo n. 91 del 201450 introduce il principio di precauzione nel caso di difficoltà o impossibilità di determinare con certezza la classe di pericolo del rifiuto.

Nel caso in cui le sostanze presenti in un rifiuto non siano note, determinate o determinabili oppure le analisi chimiche non siano riuscite ad individuare in modo specifico i componenti, nel primo caso il rifiuto dovrà essere classificato come “pericoloso”, e nel secondo caso per individuare le caratteristiche di pericolo si dovrà far riferimento ai componenti peggiori, in osservanza del principio di precauzione.

Come emerge chiaramente da questo quadro diventa determinante, al fine di una corretta classificazione del rifiuto, fare riferimento ai contenuti del Regolamento UE 1357/14, poiché fissa in modo specifico i criteri per la relativa operazione.

I principali elementi di novità apportati da quest’ultimo consistono prima di tutto nella sostituzione delle nuove caratteristiche di pericolo (da HP1 a HP15 rispetto alle vecchie H1 a H15), e nella rielaborazione di alcune classi precedenti (ad esempio gli infiammabili), con contestuale variazione delle relative concentrazioni limite.

Vengono fissate specifici limiti al di sopra dei quali la presenza di una sostanza pericolosa deve essere considerata per partecipare alla definizione della classificazione complessiva del rifiuto.

(42)

33

Da segnalare inoltre un recente intervento51 della Commissione che sostituisce l’Allegato II della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti.

Il tema affrontato in questa sede è essenzialmente apportare delle modifiche alla disciplina del trattamento dei rifiuti mediante combustione.

In particolare sarà possibile il trattamento dei rifiuti solidi urbani per gli impianti di incenerimento solo se la loro efficienza energetica raggiungerà la soglia indicata applicando la formula di efficienza energetica (R1) di cui all’Allegato II della direttiva 2008/98/CE.

Inoltre da prove tecniche è emerso che le condizioni climatiche locali nell’Unione influenzano i quantitativi di energia che possono essere tecnicamente usati o prodotti sotto forma di energia elettrica, riscaldamento, raffreddamento o vapore industriale da inceneritori destinanti al trattamento di RSU.

Il Centro comune di ricerca della Commissione europea ha dimostrato che al fine di raggiungere la parità di condizioni nell’Unione è ragionevole prevedere una compensazione per quegli impianti di incenerimento che risentono dell’impatto delle condizioni climatiche locali con un fattore di correzione climatico CCF (Climate Correction Factor, basato sul documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili per l’incenerimento dei rifiuti) applicabile alla formula R1.

51 Direttiva UE n. 1127 del 10 Luglio 2015 del Parlamento Europeo e del Consiglio

Riferimenti

Documenti correlati

I rifiuti in materie plastiche che non siano imballaggi, non fanno parte della raccolta urbana che si realizza tramite cassonetti, ma sono conferiti dai cittadini alle

Per esempio un costruttore di automobili può reperire i rifiuti che produce sia nel capitolo 12 (rifiuti dalla lavorazione e dal trattamento superficiale di

1) Le prestazioni contemplate nel presente Capitolato sono definite “servizi locali indispensabili del Comune” dal D.M. e sono sottoposti alla normativa dettata

[r]

1.0 Ausiliari RSU e trattamento fumi Combustore Caldaia a recupero Ciclo termodinamico Impianto. Flussi di

10 11 17* fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento dei fumi, contenenti sostanze pericolose 10 11 18 fanghi e residui di filtrazione prodotti dal trattamento

▪ Gli incendi che hanno riguardato impianti che trattano solo rifiuti plastici sono circa il 20%, più spesso ci si trova in presenza di impianti che trattano imballaggi misti

Il percorso espositivo si snoda attraverso pannelli illustrativi, foto d’epoca, macchinari industriali e ricostru- zioni di ambienti di vita, che sono state rese possibili grazie