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Viaggio nella videoarte italiana: elementi per una ricognizione

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Academic year: 2021

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Sommario

1 INTRODUZIONE...5

2 LA VIDEOARTE...8

2.1 Un'entropia artistica...8

2.2 Le videoinstallazioni...12

2.3 I problemi del mezzo...21

3 UNA BREVE STORIA DELLA VIDEOARTE DAL VIDEO MONOCANALE ALL'INTERATTIVITA'...25

3.1 Discussioni sulla storia della videoarte...25

3.2 Influenze del cinema sul video...29

3.3 Le prime sperimentazioni...31

3.4 La videoarte arriva in Italia...33

3.5 L'impiego del video...35

3.6 Gli anni '80...39

3.6.1 I contributi del settore ricerca e sperimentazione Rai...41

3.6.2 Il videoteatro...42

3.7 La svolta del 2000...44

3.8 Il panorama attuale della videoarte in Italia...45

4 PER UNA “GEOGRAFIA” VIDEOARTISTICA ITALIANA: RAPPORTI TRA IL TERRITORIO E LA NUOVA CULTURA ARTISTICA EMERGENTE..49

(2)

4.1.1 44 anni di videoarte alla Biennale di Venezia...49

4.1.2 Non solo Biennale...60

4.2 Emilia Romagna...62

4.2.1 Tutto iniziò con Gennaio 70...62

4.2.2 Studi di videoarte al Palazzo dei Diamanti...64

4.2.3 Dal Link in poi...66

4.3 Lazio …...69

4.3.1 Dalla Galleria VideoObelisco al Maxxi...69

4.3.2 Studi di videoarte …...75

4.4 Lombardia...78

4.4.1 970/2...78

4.4.2 Milano a spasso con l'avanguardia: Invideo -Techne...79

4.5 Toscana...84

4.5.1 Da Art/Tapes/22 a Ondavideo...84

4.5.2 I centri espositivi toscani aprono le porte alla videoarte...91

4.5.3 Festival di videoinstallazioni in Toscana...96

4.6 Campania...100

4.6.1 Videoarte sotto il Vesuvio...100

4.7 Piemonte...102

4.7.1 Torino incontra la videoarte...102

4.7.2 I centri piemontesi della videoarte...104

4.8 Marche …...107

4.8.1 Gli eventi video marchigiani...107

(3)

4.9.1 Da “Circuito chiuso-aperto”a “Monumenta”...110

4.10 Calabria...112

4.10.1 “Invasion one”& “Corpo elettronico”...112

4.11 Puglia …...115

4.11.1 La terra di “Offmedia”...115

4.12 Umbria...117

4.12.1 Narni e il videoteatro...117

4.12.2 “Agorazein”: un incontro in “agorà” con la videoarte...117

4.13 Liguria...118

4.13.1 Leonardi V-Idea & Villa Croce …...118

4.14 Sardegna...121

4.14.1 “Interazioni” & “V-ART”...121

4.14.2 Videoarte per migliorare il comportamento sociale...122

4.15 Trentino Alto Adige...123

4.15.1 Museion di Bolzano & Boccanera di Trento...123

4.15.2 “Transart”...124

4.16 Friuli Venezia Giulia...125

4.16.1 Studi di videoarte dalle mostre all'Università...125

4.17 Abruzzo, Molise, Basilicata, Valle D'Aosta...127

4.17.1 Quattro regioni povere di videoarte...127

5 VIDEOARTISTI ITALIANI...129

(4)

5.2 Piero Gilardi...140 5.3 Mario Sasso...144 5.4 Studio Azzurro...150 5.5 Alessandro Amaducci...162 5.6 Giacomo Verde...166 5.7 AuroraMeccanica...174 5.8 Bianco-Valente...180

5.9 Giuseppe De Marco: Mediavox...185

5.10 Nanof...190 5.11 WPS...194 6 CONCLUSIONI...199 7 BIBLIOGRAFIA...202 8 RIVISTE...217 9 SITOGRAFIA...219

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1 – Introduzione

Per la mia tesi di laurea ho scelto di parlare dell'utilizzo del video nella costruzione di nuove forme d'arte in Italia. Molti studiosi come Alessandro Amaducci, Andrea Lissoni, Marco Gazzano, Vittorio Fagone, Silvia Bordini, Alessandra Lischi, Simonetta Cargioli, Bruno Di Marino, Valentina Valentini e altri, hanno lasciato il loro contributo storico/critico in numerosi cataloghi di mostre e in libri specialistici, ma per rintracciare una storia, un'evoluzione, un'identità italiana bisogna intraprendere un'estesa ricerca che possa permettere di unire i tasselli di un mosaico che si trova disseminato in molti libri.

Questo testo si propone di raccogliere quegli studi, cercando di rispondere alle domande che spesso nascono spontanee di fronte ad un fenomeno poco conosciuto.

La storia della videoarte si fa comunemente risalire alla prima mostra realizzata da Nam June Paik “13 Distorted Tv Sets” allestita presso la galleria Parnass di Wuppertal nel 1963.1

Ma cosa accadeva nel nostro paese? Quando i centri d'arte italiani cominciarono a rivolgere le loro attenzioni alla videoarte e in particolar modo alle videoinstallazioni? Chi furono i primi? Quali sono gli artisti che sono riusciti ad emergere nel panorama nazionale e internazionale?

Negli ultimi decenni numerosi centri, dal nord al sud Italia, si sono interessati a questo tipo d'arte, quindi ho ritenuto importante trattare, sotto forma di capitoli, le più interessanti istituzioni nazionali che hanno adottato nelle loro mostre e festival la videoarte ospitando artisti di livello internazionale.

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Chi ha studiato un po' di videoarte sa che questa si articola in molteplici forme espressive, che vanno dalla registrazione di azioni e performance a strutture complesse multimediali come le videoinstallazioni e le installazioni interattive.

In questo testo mi soffermerò in particolar modo sulle videoinstallazioni/videosculture, e sulla loro evoluzione fino a diventare interattive, veri e propri “video ambienti”.

Come si vedrà, il video ha avuto non poche difficoltà ad essere accettato, perché la sua identità si trova in una linea di confine con cinema, televisione e teatro, in un costante sconfinamento da un linguaggio all'altro e quindi per entrare nelle mostre di arti visive si è dovuto porre all'interno di sculture o di installazioni ambientali nate con lo scopo di emozionare, educare e sensibilizzare il pubblico su profonde tematiche. Numerosi artisti italiani si confrontarono con questa nuova forma d'arte e realizzarono molte opere di diversa complessità, tra cui alcune documentate nelle prossime pagine.

Aspiro a realizzare un testo che possa servire come primo strumento di studi per chi si affaccia al mondo della videoarte, poiché raccoglie i pensieri e le ricerche dei maggiori critici italiani, sviluppa una prima “geografia videoartistica” e riunisce le biografie e le opere degli artisti nazionali che si occupano di videoinstallazioni. Con questo lavoro non pretendo di realizzare un elenco strettamente aggiornato (che potrebbe risultare persino pesante) su tutti gli enti che si sono occupati di videoarte in Italia e su tutti gli artisti e i critici che ne hanno studiato l'estetica e i linguaggi, ma vorrei solo fornire un panorama generale da cui possono emergere i nodi per affrontare successivi singoli approfondimenti. Come una cartina geografica mostra dall'alto le strade, le sezioni e i nomi delle città per avvicinare il viaggiatore ai luoghi da visitare questo testo cerca di fornire le informazioni principali per una prima conoscenza della

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videoarte per poi entrare negli atelier degli autori italiani di videoinstallazioni. Detto questo mi sembra corretto informare i lettori che per motivi di limiti economici e temporali ogni capitolo è stato realizzato sulla base di studi affrontati su libri e cataloghi di settore e non direttamente sul campo.

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2- La Videoarte

2.1 Una entropia artistica

Videoarte è il neologismo più comune con cui si identificano genericamente le attività e le operazioni artistiche realizzate con i mezzi del dispositivo televisivo.

Iolanda Ratti nel saggio La specificità della videoinstallazione considera adeguato

l'uso del termine videoarte quando si indica le sperimentazioni degli anni '60 e '70: “quando cioè l'utilizzo del nuovo mezzo accomunava gli artisti in un movimento con presupposti ideali oltre che estetici”.2

Ma lo considera riduttivo a partire dagli anni '80,

quando il video diventa per gli artisti “una precisa scelta di medium, al pari di pittura e scultura”.3

In proposito, Silvia Bordini nel capitolo Un linguaggio meticcio, all'interno del saggio

Le molte dimore, ritiene che il neologismo “ è spesso rifiutato dagli artisti come

riduttivo e ghettizzante, ed è comunque ormai avvertito come una restrizione rispetto alla molteplicità di esperienze, nel segno di sempre più sofisticate ibridazioni in cui appaiono oggi determinanti le potenzialità espressive portate dal computer, i cui vari programmi di elaborazione delle immagini diventano ulteriori strumenti degli artisti”.4 Si ritrovano così, nella storia della videoarte, vari termini ed aggettivazioni che connotano un'attività in continua trasformazione ed ibridazione in rapporto con arti e

2 Iolanda Ratti, “La specificità della videoinstallazione” in Barbara Ferriani e Marina Pugliesi (a cura di), Monumenti effimeri, storia e conservazione delle installazioni (Milano: Mondadori Electa,2009), 131.

3 Ibidem,131.

4 Silvia Bordini, “Le molte dimore. La videoarte in Italia Negli anni Settanta” in Paola Sega Serra Zanetti e Maria Grazia Tolomeo (a cura di) La coscienza luccicante dalla videoarte all'arte interattiva (Roma: Gangemi,1998), 28.

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società: videodocumentazione, videopoesia, video-registrazione, videoperformance, videoinstallazione, videoscultura, videodanza, videoteatro, videomusica, videocritica, videodidattica, videosociale, artevideo, video d'autore, video d'arte, arte elettronica, arte multimediale, arte intermediale, arte interattiva, arte virtuale.

Bordini, inoltre, spiega che questa pluralità lessicale è data da diversi fattori: “corrisponde all'attenzione vivace ma smagliata della critica e alla curiosità e al disorientamento del pubblico, alla scarsa propensione delle istituzioni e in generale degli apparati del sistema culturale a farsi carico pienamente di questo orientamento dell'arte e delle sue opere irregolari, a volte ingombranti (fisicamente e mentalmente), rispetto ad una casistica consolidata quanto eterogenea di rapporti e di fruizione. Ma è la stessa natura del nuovo linguaggio visivo e audiovisivo – le sue caratteristiche formali stilistiche e tecniche- a rendere transitorie tutte le sue denominazioni”.5

Fin dalle prime esperienze di videoarte gli artisti hanno condotto una varietà di sperimentazioni incentrate fondamentalmente sulla manipolazione delle sue trasmissioni o sul dispositivo stesso. Solo dopo l'arrivo della telecamera portatile si sono aperte ulteriori possibilità di intervento.

Sempre Bordini ci racconta che: “questi diversi modi d'uso dello strumento elettronico da parte degli artisti si sono immediatamente intrecciati, integrandosi con molteplici altri mezzi e motivazioni nella multiforme attività di artisti provenienti da campi diversi, la musica, la fotografia, il cinema, la pittura, la scultura, il teatro, la danza, e con varie forme di azioni, ambientazioni, modalità espressive e sperimentazioni che sono state ibridate, reinventate, alimentandosi reciprocamente nella creazione di un linguaggio

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meticcio”.6

Il lavoro artistico in questo campo è stato caratterizzato dallo scambio di modelli operativi, contribuendo a ridefinire la nozione stessa di arte in un territorio intermedio.

Bordini trova che nella pluralità delle forme della videoarte si pone sempre un rapporto strutturale con la tecnologia che ha modificato i tradizionali parametri del fare artistico: “non esistono più nella videoarte supporti, pennelli, pigmenti, gesti, materia, ma solo un flusso di luci capaci di prendere qualsiasi forma e colore, in continua mutazione, interconnessi con lo spazio e con il tempo, con oggetti e situazioni; eliminato il rapporto tra la mano e il fare, e anche il rapporto tra mano e macchina, subentra – data la complessità, la versatilità e anche la carica simbolica e sociale degli strumenti utilizzati – una relazione mente-macchina che condensa ed è l'opera stessa, in una inesauribile ricerca che trasmuta e reinterpreta ogni acquisita procedura di espressione e di percezione”.7

Mentre Maria Grazia Tolomei, nel saggio Sconfinamenti, riconosce che tale tecnologia “ha accresciuto la possibilità di evidenziare le contraddizioni attuali e si è messa al servizio dell'arte nei tanti e differenti sconfinamenti”.8

Il sistema ottico elettronico è stato utilizzato in molteplici modi dando vita ad una varia produzione di opere, dai videotapes alle registrazioni, dalla costruzione di videoinstallazioni e videosculture, fino alle realtà virtuali, all'interattività con il pubblico, all'inserimento in rete, considerati da Bordini “gli ultimi anelli di una catena di relazioni che compongono un caleidoscopico intreccio tra arte e tecnologia, tra

6 Ibidem, 29. 7 Ibidem,29-30.

8 Maria Grazia Tolomei “Sconfinamenti” in Sega Serra Zanetti (a cura di), La coscienza luccicante, cit., 22.

(11)

informazione e interpretazione, tra programma e aleatorietà, tra condizionamento e sperimentazione, tra memoria e invenzione, in cui l'osservatore è invitato ad essere un interlocutore attivo, coinvolto nel funzionamento dell'apparato visivo ed espositivo”.9 La studiosa sottolinea anche la grande differenza che corre tra gli anni '60 / '70 e oggi: <<la videoarte condivideva con il clima culturale degli anni Sessanta e Settanta anche l'intento di una critica radicale - ideologica e formale - dei modelli culturali dominanti, in opposizione sia all'uso massificante dei mezzi di informazione e comunicazione, sia ai poli istituzionali del “sistema” dell'arte, il triangolo opera galleria mercato. Oggi questo desiderio di una dimensione alternativa è in generale messo in sordina; la videoarte, sia pure in quantità ancora limitata, è entrata nei musei, è oggetto di mostre e di una ampia quanto discontinua saggistica (che tuttavia poco tocca una ricostruzione storico-filologica appropriata). Ma, ancora ai giorni nostri, l'arte elettronica per le sue specifiche caratteristiche tende a sfuggire dai canali tradizionali di fruizione. Richiede un genere di esposizione e un tipo di musealizzazione diversi e specifici; non ha un mercato e un collezionismo paragonabile a quello dei quadri e delle sculture>>.10

La divulgazione e il rapporto con il pubblico avvengono ancora prevalentemente nell'ambito di festival e rassegne, per confluire poi, ma solo in parte, nella selezione delle mostre e nei musei, in cui si espongono videoinstallazioni e si allestiscono videoteche.

In conclusione Bordini riconosce che per questi e altri motivi le arti elettroniche e multimediali costituiscono un tema particolare e critico: “stimolano la riflessione non solo sul modificarsi del concetto di arte e di pubblico, sull'immagine e sull'immaginario

9 Bordini, “Le molte dimore” in Sega Serra Zanetti (a cura di) La coscienza luccicante, cit., 30. 10 Ibidem, 30.

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tecnologico (tra l'altro in continuo mutamento), sull'interazione creativa tra diverse forme d'arte, tra uomo, macchina e pensiero, sulle relazioni tra artista e opera e tra opera e spettatore, ma anche sulle metodologie di analisi e interpretazione”.11

2.2 Le videoinstallazioni

Per quanto concerne questo capitolo farò, in particolar modo, riferimento agli studi sull'argomento già avanzati da Simonetta Cargioli, Sandra Lischi, Iolanda Ratti, Vittorio Fagone, Valentina Valentini.

“Le videoinstallazioni sono la forma d'arte più adatta per rendere i movimenti e i

cambiamenti del mondo nel quale viviamo contribuendo a farci riflettere sul nostro tempo , sulla società, sull'uomo, sulla vita, sulla natura”12

, con questa frase Simonetta

Cargioli, nel libro Sensi che vedono, riassume l'essenza della nuova arte.

Iolanda Ratti, però, ci avverte di avere cautela sul trattare le videoinstallazioni come

una categoria a sé, poiché potrebbe rivelarsi un procedimento fuorviante: “nel caso di opere complesse, delle quali un aspetto peculiare è proprio l'utilizzo di più tecniche e media, una determinazione tanto rigida può sembrare addirittura paradossale. E' tuttavia da considerare come l'utilizzo di monitor e immagini elettroniche in ambienti e installazioni a partire dall'inizio degli anni Settanta abbia contribuito in maniera sostanziale all'affermarsi di un immaginario nuovo, connesso non solo alle arti visive, in primis alla scultura, ma anche al teatro, alla musica, al cinema e alla fotografia”.13

11 Ibidem,31.

12 Simonetta Cargioli, Sensi che vedono. Introduzione all'arte della videoinstallazione,(Pisa: Nistri -Lischi, 2002), 10.

(13)

Come suggerito da Cargioli la prima definizione tecnica del termine “installazione” nel vocabolario artistico risale agli anni '60 del Novecento e descrive “un tipo di creazione artistica che rifiuta l'attenzione su un oggetto esclusivo per considerare invece le relazioni tra più elementi o l'interazione tra le cose e i loro contesti.[...] L'istallazione è quindi un' opera artistica che occupa uno spazio specifico e che ha senso in quanto azione, evento, situazione”.14

Molto bella è la descrizione che ne fa Mario Perniola nel libro Il sex appeal

dell'inorganico che riesce a far risaltare la portata rivoluzionaria di questa forma d'arte:

“Le installazioni non devono essere considerate come l'oggetto della valutazione di un visitatore; il rapporto con quest'ultimo è completamente rovesciato rispetto alla tradizionale visita dei musei e delle gallerie. E' l'installazione che sente il visitatore, lo accoglie, lo tasta, lo palpa, si protende verso di lui, lo fa entrare in se stessa, lo penetra, lo possiede, lo inonda. Non si va più alle mostre per vedere e godere dell'arte, ma per essere veduti e goduti dall'arte”.15

Cargioli rintraccia alcuni tra i precursori di questa pratica d'arte in vari movimenti come: << gli assemblages futuristi; i collages cubisti; i ready-made di Duchamp; il dadaismo; il costruttivismo; lo “spazialismo” di Lucio Fontana; gli

happening; Yves Klein e Piero Manzoni; i combine paintings di Robert Rauschenberg;

Fluxus; il minimalismo; la Land Art; l'Arte Povera; il concettuale>>.16

Infatti, le origini di queste forme d'arte sono comunemente fatte risalire alla fine degli anni '50 anche se il riconoscimento a livello internazionale arrivò, secondo Cargioli, negli anni '80 con : “ la retrospettiva Nam June Paik (Whitney Museum di New York

14 Cargioli, Sensi che vedono, cit., 7.

15 Mario Perniola, Il sex appeal dell'inorganico (Torino: Enaudi,1994), 135. 16 Cargioli, Sensi che vedono, cit., 8.

(14)

nel 1982); Art Vidéo: Retrospective et perspective (Palais de Beaux-Arts di Charleroi nel 1982); The luminous Image (Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1984), Video

Skulptur. Retrospektive und Aktuell 1963-1989 (Kolnisher Kunstverein a Colonia,

1989)”.17

Tuttavia soltanto negli anni '90 le videoinstallazioni sono entrate di fatto nella cultura artistica occidentale.

Sandra Lischi, nel libro Il linguaggio del video, descrive precisamente il

contesto in cui si muovevano i primi passi verso le videoinstallazioni: << In un periodo in cui nel campo dell'arte contemporanea si cominciavano ad usare materiali non convenzionali come l'elettricità e il neon, la luminosità percepibile anche in ambienti non oscurati emessa da una “scatola” facile da trasportare e collocare stimolava a trovare soluzioni artistiche originali. Tutte queste “ambientazioni” del televisore in un contesto artistico risalgono ad un periodo precedente all'avvento del videoregistratore portatile (messo in commercio dagli anni sessanta): in altre parole, ciò che si vede nei televisori di queste ed altre opere è la normale programmazione quotidiana della tv, ed è questo susseguirsi di immagini a essere usato creativamente dagli artisti. […] Con l'avvento dei sistemi di videoregistrazione “leggera”, i videomaker cominciarono a fabbricare da sé le immagini che volevano veder passare sul teleschermo, e le loro “costruzioni multimediali” con il televisore potranno quindi contenere creazioni di immagini inedite, svincolate dal palinsesto televisivo >>.18

Inoltre Lischi evidenzia la differenza formale e terminologica di questa pratica artistica:

<<A questa collocazione di oggetti in uno spazio - talvolta arricchita da emissioni

17 Ibidem, 9.

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sonore - si dà il nome di “installazioni”; quando in esse interviene anche lo schermo (sotto forma di uno o più monitor, o sotto forma di una o più proiezioni), si definiscono invece “videoinstallazioni”. Certe volte, quando il monitor è inserito in vere e proprie opere scultoree o che si rifanno in vario modo a quest'arte, si usa anche il termine “videosculture” (uno dei primi a mettere in mostra un televisore è stato il francese César nel 1962: il monitor diventa uno dei materiali da inserire in altri o da esporre come modulo di una costruzione semplice o complessa, confrontato con vere e proprie sculture in pietra, metallo, legno (come in molte opere di Fabrizio Plessi) oppure assemblato, a formare, ad esempio i “robot” di monitor (e apparecchi radio) di varie epoche e varie fogge realizzati da Nam June Paik.>>.19

Ratti ci suggerisce che in ambito italiano è stato fondamentale il contributo di

Vittorio Fagone, che per primo ha specificato le differenze tra video scultura,

video-environment e videoinstallazione nel suo libro L'immagine video. Arti visuali e nuovi

media elettronici20

, e ci rimanda alle parole di Simonetta Cargioli che ha condiviso tali definizioni: “Le videosculture sono unità minimali che non richiedono al visitatore di oltrepassare un immaginario schermo frontale: sono costituite da uno o più monitor e propongono principalmente una percezione delle immagini messe in relazione con lo spazio e con altre materie e/o oggetti. Le videoinstallazioni sono dispositivi che lavorano sulle complesse relazioni spazio-temporali, integrando spesso la diretta; giocando sugli scambi e le relazioni tra esterno e interno avvolgono il visitatore. Nelle videoinstallazioni e nei videoambienti il visitatore è invitato a evolvere con il corpo in movimento, è chiamato a fare la sintesi dei diversi elementi che compongono l'opera.

19 Ibidem, 80.

20 Vedi Vittorio Fagone, L'immagine video. Arti visuali e nuovi media elettronici (Milano: Feltrinelli, 1990), 37-38.

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L'esperienza è sinestetica, coinvolge più sensi. Nei videoambienti in particolar modo, frequenti in quest'ultimi anni grazie anche alle possibilità tecniche di proiezioni e diffusioni, il dispositivo è lo spazio stesso, reso sensibile, nel quale il visitatore penetra e dove è chiamato ad agire sensorialmente”.21

Si può dunque notare che nelle videosculture troviamo il monitor come elemento strutturale, che al contempo, dialoga con lo spazio soprattutto per la luce emessa, mentre nelle videoinstallazioni si rivela una relazione più intima con lo spettatore.

Ratti ricorda, però, che si tratta di riferimenti generali dato che spesso le definizioni sono incongruenti rispetto a quelle date dagli artisti stessi: <<Nell'opera di Fabrizio Plessi, sopratutto per quanto riguarda la produzione degli anni settanta e ottanta, sono chiamate videosculture quelle opere che prevedono l'utilizzo di monitor all'interno di strutture scultoree appositamente realizzate, mentre il termine videoinstallazione identifica i lavori che utilizzano anche oggetti nei quali il visitatore è maggiormente coinvolto dal punto di vista ambientale. Studio Azzurro definisce invece i videoambienti come “macchine narrative basate su uno scenario fortemente connotato […] con una posizione di monitor che favorisce la dissoluzione dei limiti della schermo”;22

mentre le

opere successive al 1992 sono chiamate ambienti sensibili, poiché in esse l'accento è posto sulla presenza attiva dello spettatore, tanto che in altri contesti sarebbero definite installazioni interattive>>.23

Quindi le videoinstallazioni, le videosculture e i videoambienti derivano le loro denominazioni dal modo in cui viene spazializzata l'immagine video o meglio dal tipo

21 Cargioli, Sensi che vedono, cit., 57-58.

22 Iolanda Ratti riprende le parole di Paolo Rosa in Bruno Di Marino (a cura di), Tracce, sguardi e altri

pensieri. Contenuto nel cofanetto Studio Azzurro: videoambienti, ambienti sensibili, libro + 2 DVD.

(Milano: Feltrinelli, 2007), 44.

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di relazione che viene così proposta al visitatore con lo spazio. Possono avere molteplici manifestazioni e proporre esperienze ogni volta diverse (rendendo difficile una classificazione): alcune utilizzano nastri registrati, altre invece sono a circuito chiuso, alle volte formano una scultura altre volte un ambiente, proponendo un percorso o definendo punti di vista precisi (scegliendo se integrare o meno l'immagine del visitatore), talvolta possono essere focalizzate sulle immagini dei monitor o degli schermi, ma altre prediligono lo spazio che diventa sensibile, capace di reagire agli stimoli dei visitatori, aprendo possibilità di dialogo soprattutto nelle installazioni interattive.

Sandra Lischi nel testo Arti elettroniche, ubique e fragili afferma che: “I primi artisti che hanno esposto televisori in gallerie e spazi museali, con una rivisitazione giocosa o impegnata del ready-made duchampiano, avevano approfittato dell'estrema versatilità del piccolo schermo rispetto alle proiezioni cinematografiche: nessuna pellicola che si rompe o si infiamma, nessuna necessità di spazi oscurati, nessun proiettore rumoroso. [...]Dagli anni '50 agli anni '80 inoltrati, il monitor è stato l'unico supporto di presentazione delle opere d'arte elettronica (installazioni o lavori monobanda)”.24

Parallelamente all'uscita sul mercato di attrezzature sempre più sofisticate per la videoproiezione si sono sviluppati (nella seconda metà degli anni '80) vari dibattiti sulla modalità migliore di presentazione delle opere video.

Tra le prime tipologie di videoinstallazioni Lischi ci segnala quelle a circuito chiuso: “gli artisti avevano scoperto che collegando la telecamera ad un monitor potevano rivedersi immediatamente, come in uno specchio, e usarono questa possibilità

24 Sandra Lischi, “Arti elettroniche,ubique e fragili” <<Predella>> n.16 (dicembre 2005). E' possibile consultare l'articolo all'indirizzo on-line http://predella.arte.unipi.it/predella16/LISCHI.htm (accesso 12 giugno 2012).

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(spesso combinata con l'immagine differita) per creare rapporti sorprendenti con lo spettatore e la sua immagine sullo schermo. Oggi tutti noi siamo abituati all'effetto diretta: per fare solo un esempio, possiamo vederci rappresentati nelle immagini delle telecamere di sorveglianza montate in bar, banche, autogrill, o cercare la nostra immagine sui megaschermi di stadi e luoghi di concerti o manifestazioni pubbliche che trasmettono in diretta le riprese sulla folla di cui facciamo parte. Ma a metà degli anni sessanta potersi vedere in diretta su uno schermo era un fatto nuovo e straordinario, che gli artisti usarono per creare effetti di vertigine e spaesamento, giochi visivi e spaziali destabilizzanti”.25

A proposito, Cargioli ne ricava che lo spettatore viene attratto dal carattere ibrido, trasgressivo e polisensoriale delle videoinstallazioni e ci suggerisce che il tratto ludico è uno tra gli elementi che fondano l'esperienza della videoinstallazione: “Le videoinstallazioni si propongono come uno spazio critico e trasgressivo ma sensoriale e ludico che coinvolge noi visitatori in un gioco di ruoli […] si situano nel crocevia di diverse pratiche artistiche e teorie: cinema, videoarte, arti visive, performance, teatro scenografia, architettura”.26

Lischi invece le descrive come “esperienze caratterizzate da sinestesia (combinazione simultanea di più percezioni sensoriali) o da transensorialità (attraversamento di vari tipi di percezione)”27

e ricorda che questi modi di fare arte

erano stati progettati e sognati da autori e correnti artistiche prima dell'avvento del video che ha esteso le possibilità di queste utopie.

Gli artisti cercavano una spazialità complessa, vivificata dall’intervento dello spettatore,

25 Lischi, Il linguaggio del video, cit., 81. 26 Cargioli, Sensi che vedono, cit., 10. 27 Lischi, Il linguaggio del video, cit., 82.

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spinto a un comportamento inedito. Così, le videoinstallazioni più complesse realizzavano una dimensione spazio-tempo che metteva in evidenza una fra le dimensioni fondamentali dell’immagine video: la capacità di costringere lo spettatore a identificare costantemente il suo proprio punto di vista.

Vittorio Fagone nel libro L'immagine video ci suggerisce che dobbiamo a Frank

Popper, studioso del nuovo spazio ambientale, l'indicazione di tre forze attive in questo

campo: “Una forza di socialità, legata alla messa in evidenza degli elementi della comunicazione; una forza di realtà, in quanto la spazialità degli elementi non è mai illusoria; una umanizzazione dello spazio, esaltata dalla polisensorialità che viene messa in campo”.28

A tutti questi fattori Fagone aggiunge che nelle nuove disposizioni spaziali si ha una forte messa in evidenza del tempo : “tempo di costituzione dell'immagine, tempo del suo bilanciamento generale, tempo di riferimento dello sguardo”.29

Detto questo non si deve pensare che le videoinstallazioni siano sempre costruzioni tecnicamente complesse, possono infatti essere volutamente povere. Talvolta, sono costituite solo da una proiezione accompagnata da un particolare suono in modo da trasmettere al visitatore emozioni e sensazioni precedentemente definite. Altre installazioni funzionano come sculture animate dall'immagine in movimento che passa nei monitor, ma non prevedono alcuna inclusione fisica dello spettatore . Altre volte, invece, possono essere imponenti, diventando strutture architettoniche composte da decine di monitor.

A seconda dei tipi di videoinstallazione Valentina Valentini ha classificato alcune tra le

28 Fagone, L'immagine video, cit., 20-21. Neretto mio. 29 Ibidem, 21.

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differenti modalità di rapporto e funzione dello spettatore: lo spettatore voyeur (colui che si guarda - l'oggettivazione del proprio io diviso), lo spettature flaner (colui che vaga senza una direzione precisa), lo spettatore performer (colui che permette la realizzazione dell'opera con la sua presenza), lo spettatore devoto (colui che è implicato in uno spazio denso di percorsi percettivi il cui fine è quello di risvegliare il corpo mediante immagini forti capaci di produrre cariche emozionali), la messa in gioco dello

spettatore (nelle installazioni interattive).30

Lischi mette in luce che nei primi dispositivi a circuito chiuso era già presente “l'interattività” che si trova adesso, maggiormente sviluppata, nelle nuove tecnologie che permettono la messa in gioco dello spettatore: << Con l'avvento della tecnologia informatica e dell'immagine digitale, le installazioni possono trasformare quella “interattività” che avevano i dispositivi a circuito chiuso (lo spettatore di fatto interagiva con l'opera perché ne veniva catturato o ne diventava parte essenziale) in un rapporto diretto, gestuale, tra fruitore e immagine: con l'aiuto di sensori, caschi, guanti, il visitatore può trasformare la rappresentazione, collocarsi nel suo spazio, modificarla, rendere ancora più esplicita la relazione attiva con l'opera. Si apre così negli ultimi anni il vasto settore delle installazioni interattive o basate sulla realtà virtuale, che spesso sono combinate ancora con oggetti “reali” e con dispositivi tradizionali, si basano insomma sul dialogo tra vecchie e nuove tecnologie. >>.31

30 Vedi Valentina Valentini, “ Conservare l'inconservabile il ruolo dello spettatore nelle installazioni multimedia” in Valentina Valentini (a cura di), Catalogo Dirottamenti (Milano: Comune di Milano, 1997), 10-11.

(21)

2.3 I problemi del mezzo

Gli artisti nella creazione e nella conservazione delle opere hanno trovato diverse difficoltà pratiche da superare. Dei problemi dovuti all'allestimento ci parla

Sandra Lischi nell'articolo Arti elettroniche, ubique e fragili pubblicato nella rivista

d'arte “Predella”:

“L'iniziale e in parte giustificata euforia espositiva dei primi anni si è dovuta confrontare presto con una serie di difficoltà, in particolare per le videoinstallazioni: quanto più, infatti, queste costruzioni (o videoambienti) si facevano complessi e tecnologicamente sofisticati, tanto più la fragilità di dispositivi, sensori, collegamenti, emergeva disastrosamente. Prendiamo anche solo una semplice presentazione su monitor: il riflesso di una qualunque luce esterna mal piazzata può renderne invisibile l'immagine. Per non parlare dell'inquinamento acustico: sia nelle installazioni minimali che in quelle complesse e articolate spazialmente, il suono rischia continuamente di interferire sia con il sottofondo dell'ambiente che con il suono di opere audiovisive contigue. Ne risulta, come ha spesso sottolineato il critico e autore francese Michel Chion, un impasto indifferenziato che toglie all'opera la sua specificità e il suo potenziale espressivo. […] Non è un caso che i più importanti autori video abbiano sviluppato un'attenzione estrema alla questione degli allestimenti: è vero che le videoinstallazioni sono estremamente “versatili” e concepite per adattarsi di volta in volta agli spazi più diversi (una galleria, un museo, una chiesa, talvolta una piazza, l'atrio di un festival...) – e quindi non vanno considerate come opere immutabili e

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statiche – ma è anche vero che un allestimento frettoloso e approssimativo può completamente svuotarle di senso ”.32

Un altro problema riscontrato spesso dagli artisti è l'alto costo delle video-installazioni. Lischi spiega che: “Questo sistema talvolta elastico, talvolta estremamente complesso, di istruzioni tecniche ed esigenze pressanti da parte degli autori scoraggia spesso gli organizzatori culturali: accade infatti che il noleggio o anche l'acquisizione di un'opera video abbia costi non elevatissimi; ma i costi diventano proibitivi – almeno in Italia – quando si verificano le necessità tecniche. […] In Italia, inoltre, spazi estremamente suggestivi per l'allestimento di mostre di arte elettronica (chiese sconsacrate, antichi giardini, parchi – come nel caso delle installazioni del festival video di Taormina, alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta – chiostri, vicoli, piazzette) comportano un sovrappiù di impiantistica e di sistemi di sicurezza a cui non sempre il personale di enti locali e istituzioni culturali è preparato. Ne risultano infinite dispute con gli autori, difficoltà di ogni tipo, continui inceppamenti dei dispositivi, monitor o schermi abbuiati o disturbati. L'arte elettronica necessita, anche dove sia esposta in permanenza – e questo accade in molti musei, soprattutto all'estero – di continua, attenta e specializzata assistenza tecnica. ”.33

Iolanda Ratti, invece, si è interessata alle difficoltà riscontrate dai conservatori,

a suo parere “derivanti dalla necessità di confrontarsi con tecnologie non create per l'ambito artistico e in costante evoluzione, per le quali le competenze tradizionali dei conservatori e dei restauratori non sono sufficienti”.34

32 Lischi, “Arti elettroniche, ubique e fragili” in << Predella>>, cit.. 33 Ibidem.

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Per scongiurare la perdita degli elementi delle videoinstallazioni più complesse considera efficace la strategia conservativa ispirata da Gabi Wijers nel suo libro

Preservations and/or documentation. The conservation of media art 35

: “Semplicemente non esistono standard. Non c'è alcuna certezza sul processo di invecchiamento, non ci sono criteri di conservazione, e le relazioni tecniche sulla composizione del medium sono scarsamente accessibili. Questo causa problemi conservativi maggiori. I codici tradizionali per le arti visive come l'unicità e l'autenticità della manifestazione fisica, non sono applicabili all'arte video. L'opera d'arte è certamente unica e autentica, ma la sua forma tangibile in quanto tale non lo è. […] Come sappiamo la documentazione è al centro di ogni strategia conservativa per i nuovi media. Sforzarsi di conservare opere che prevedono l'uso di nuovi media è insufficiente senza il supporto di una documentazione strutturata che riguardi sia l'opera, sia il suo contesto. Come nel teatro, la documentazione potrebbe rimanere l'unica traccia del lavoro”.36

Sempre Ratti ci suggerisce che il primo atto conservativo è la catalogazione che rispecchia le difficoltà terminologiche precedentemente analizzate: <<Nella scheda OAC (opera d'arte contemporanea), per esempio, redatta in Italia nel 2005 dall'ICCD (istituto centrale per il catalogo e la documentazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) con il contributo di diversi specialisti del settore, il campo “definizione dell'oggetto” propone per i nuovi media un vocabolario di controllo, che, per quanto sia ampliabile e modificabile, può essere piuttosto difficoltoso nell'uso.[...]Le installazioni sono sistemi complessi, che prevedono relazioni orizzontali, degli elementi tra di loro, e verticali, con lo spazio e lo spettatore. Deve pertanto essere documentato

35 Vedi Wijers Gabi, Preservations and/or documentation. The conservation of media art, trad. Giovanni Fiesoli (2005).

36 Wijers Gabi citato da Iolanda Ratti, “La specificità della videoinstallazione” in Ferriani (a cura di),

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tutto quanto concerne i parametri spaziali, ovvero le dimensioni, i colori delle pareti, il livello di luminosità e dell'audio, l'accesso del pubblico ecc. oltre ad ogni singolo oggetto. Ogni elemento per la diffusione di immagini e suono avrà inoltre a sua volta: un supporto (il nastro il CD, il DVD ecc.), l'attrezzatura per la riproduzione del segnale audiovisivo (un lettore DVD o CD, per esempio) e quella per la visualizzazione delle immagini o la diffusione del suono (un proiettore, un monitor, delle casse). Di ciascun elemento è necessario indicare la valenza estetica o meramente funzionale e bisogna prevedere la durata, l'obsolescenza, l'eventuale sostituibilità e la presenza in commercio. Tutte queste questioni vanno trattate immediatamente dopo l'acquisto, poiché a differenza per quanto accade per un dipinto o una scultura, nel caso delle videoinstallazioni la mancanza di documentazione dettagliata e di una conservazione programmata potrebbe comportare la perdita irrimediabile dell'opera in tempi brevi”.37

Da queste testimonianze si apprende quanto sia difficile la realizzazione delle videoinstallazioni da parte degli artisti, non concentrati solo all'uso dell'immaginazione e alla ricerca di un senso, ma continuamente posti di fronte a problemi tecnici di varia natura. Ne emergono anche le difficoltà degli organizzatori sempre alle prese con nuovi problemi e costi di manutenzione. Infine, è reso difficile anche il lavoro dei conservatori, posti difronte ad un futuro indefinibile, dov'è probabile che non sarà possibile conservare all'infinito l'originalità dell'opera che trova le sue basi in una tecnologia in continua evoluzione.

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3- Una breve storia della videoarte italiana dal

video monocanale all'interattività.

3.1 Discussioni sulla storia

Non si può tracciare una storia delle videoinstallazioni se prima non si sorvola in maniera seppur superficiale la nascita della videoarte in Italia e i primi istituti che si interessarono al caso. In questo capitolo cercherò di riunire le ricerche e le testimonianze di diversi storici e critici d'arte che cercarono di stenderne una storia italiana e una critica essenziale. Molti di questi però hanno avanzato versioni spesso discordi.

Maurizio Calvesi nel saggio Documenti di un percorso afferma che: << La video-art,

nata nel 1969, è figlia dei “film d'artista” che avevano cominciato a circolare dalla metà degli anni Sessanta>>.38

Così, Calvesi ricorda la nascita della videoarte e, rispetto agli altri storici, sostiene che << i futuristi furono i primi ad introdurre la tecnologia nell'arte (con le “fotodinamiche” di Bragaglia) e a interessarsi ai film come forma espressiva “al di là” della pittura>>.39 Come testimone del proliferare delle nuove idee, oggi rimane Il manifesto della

cinematografia futurista del 191640

di Filippo Marinetti: “Il cinematografo essendo essenzialmente visivo, deve compiere anzitutto l'evoluzione della pittura: distaccarsi dalla realtà, dalla fotografia, dal grazioso e dal solenne. Diventare antigrazioso,

38 Maurizio Calvesi “Documenti di un percorso” in Sega Serra Zanetti (a cura di) La coscienza

luccicante , cit.,55.

39 Ibidem,55. Per un approfondimento rinvio a Angela Madesani, Le icone fluttuanti. Storia del cinema

d'artista e della videoarte in Italia (Milano: Bruno Mondadori, 2002),3.

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deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero. Occorre liberare il cinematografo, come mezzo di espressione per farne lo strumento ideale di una nuova arte immensamente più vasta e più agile di tutte quelle esistenti. […] Nel film futurista entreranno come mezzi di espressione gli elementi più svariati: dal bravo di vita reale alla chiazza di colore, dalla linea alle parole in libertà, dalla musica cromatica e plastica alla musica di oggetti. Esso sarà insomma pittura, architettura, scultura, parole in libertà, musica di colori, linee e forme, accozzo di oggetti e realtà caotizzata. Offriamo nuove ispirazioni alle ricerche dei pittori i quali tendono a sforzare i limiti del quadro”.41

Inoltre, Calvesi evidenzia che alcuni anni dopo lo stesso Marinetti nel Manifesto del

teatro radiofonico del 1933 annunciava in netto anticipo sull'affermazione del nuovo

mezzo televisivo: “ Possediamo ormai una televisione da cinquanta punti per ogni immagine grande su schermo grande”.42

Iolanda Ratti appoggiando l'affermazione di Calvesi ricorda, inoltre, il Manifesto del movimento spaziale per la televisione del 1952 (in occasione della trasmissione

sperimentale per la RaiTV di Milano) di Lucio Fontana, firmato da Burri, Criappa, Dova, Milani, Jappolo, che auspicava l'utilizzo privilegiato del nuovo mezzo in un'arte sempre più svincolata dalla materia: “Noi spaziali trasmettiamo, per la prima volta nel mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove forme d'arte, basate sui concetti dello spazio […]. Le nostre espressioni artistiche moltiplicano all'infinito, in infinite dimensioni, le linee d'orizzonte; esse ricercano un'estetica per cui il quadro non è più quadro, la scultura non è più scultura, la pagina scritta esce dalla sua forma tipografica. Noi spaziali ci sentiamo gli artisti di oggi, poiché le conquiste della tecnica sono ormai a

41 Filippo Marinetti citato da Maurizio Calvesi, “Documenti di un percorso” in Sega Serra Zanetti (a cura di), La coscienza luccicante, cit., 55.

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servizio dell'arte che noi professiamo”.43

Silvia Bordini non considera il movimento Futurista affermando che l'ambito in cui si è

formata la videoarte è quello degli “orientamenti culturali delle neoavanguardie che non consideravano più le opere d'arte come oggetti in senso tradizionale, ma come situazioni, azioni, ricerche di nuovi e diversi processi della comunicazione estetica, dal Fluxus al postmoderno, passando per l'happening, la performance, la pop art, la body art, la land art, l'arte povera, il minimalismo. Per sfruttare poi una propria via, in alcuni casi occasionale, in altri più approfondita e continuativa, acquisendo identità, finezza, narratività, articolazioni specifiche, a seconda del relazionarsi più selettivo con il cinema, con la musica, con la scultura o la pittura o l'ambientazione”.44

Come Bordini, Maria Grazia Tolomei nel saggio Sconfinamenti individua le prime esperienze di videoarte in particolar modo all'interno del Fluxus, in cui identifica come i veri sperimentatori del linguaggio video Vostell, Nam June Paik e Beuys.

“Vostell con la sua precisa ma utopica volontà di ribellarsi alle convenzioni affermava l'unicità e la libertà dell'artista e dell'individuo in un momento di allineamento di tutti i linguaggi alle esigenze della società di massa, Nam June Paik portava avanti un'identica esigenza di ribellione attuata attraverso il gioco e l'ironia. A Paik si deve la prima esposizione di arte video nel marzo del 1963, che sanciva le qualità del mezzo elettronico con proprie caratteristiche di creatività che lo apriranno alle più diverse sperimentazioni, ai linguaggi della musica, delle arti figurative, del cinema, della storia, della memoria, dello spazio e del tempo”.45

43 Lucio Fontana citato da Ratti,“La specificità della videoinstallazione” in Ferriani (a cura di),

Monumenti effimeri, cit., 134.

44 Bordini, “Le molte dimore” in Sega Serra Zanetti (a cura di) La coscienza luccicante, cit., 29. 45 Tolomeo, “Sconfinamenti” in Sega Serra Zanetti (a cura di) La coscienza luccicante, cit., 23.

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Anche Valentina Valentini sembra appoggiare questa ricostruzione storica e nel saggio

Il video: un non-luogo46

considera un antecedente dell'esperienza videografica il

movimento Fluxus “con la sua enfasi sulla processualità e dematerializzazione dell'oggetto artistico”.47

A queste affermazioni non prende parte Angela Madesani che nel libro Le icone

fluttuanti, al capitolo Gli anni Sessanta e Settanta: la grande euforia, illustra alcune

versioni discordi sulla nascita della videoarte. “C'è chi vede la sua nascita con Lucio Fontana, fra la fine degli anni quaranta e gli anni cinquanta, chi in Germania nel 1963, quando Wolf Vostell e Nam June Paik fanno la prima azione tramite il mezzo televisivo alla galleria Parnass di Wuppertal. Altri la vogliono fissare al 1959, quando lo stesso Vostell a Colonia dà vita al primo Tv Décollage. C'è anche chi si sposta in America, a Boston nel 1964, quando una rete della città, la Wgbh, manda in onda immagini astratte ottenute con mezzi elettronici ad accompagnamento della serie Jazz Images all'interno del programma Broadcast Jazz”.48

Molto estremista è invece la considerazione di “non esistenza” della videoarte come categoria della storia dell'arte, espressa da David A. Ross : “L'espressione videoarte si riferisce ad un insieme di strumenti anziché ad un particolare orientamento estetico. In altre parole dato che la videoarte comprende una vastissima gamma di artisti, a loro volta impegnati in una vastissima gamma di attività, la sua definizione rimane sfuggente, e la sua storia rimarrà controversa. La videoarte non affonda le proprie radici in un'oscura, incerta preistoria, ma nella confluenza di diverse storie contemporanee:

46 Vedi Valentina Valentini, “Il video: un non-luogo” in Cosetta G. Saba (a cura di) Arte in videotape:

art/tapes/22, collezione ASAC- La Biennale. Conservazione restauro valorizzazione. (Milano: Silvana

Editoriale, 2007), 88. 47 Ibidem.

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artista, sociale e tecnologia. In effetti, il suo sviluppo rivela la profonda dipendenza della storia dell'arte dal contesto dei cambiamenti sociali, politici e tecnologici ad essa collegati. Per rendere giustizia alla storia della videoarte, bisognerebbe far convergere: la storia dell'arte del XX secolo, la storia del cinema, l'evoluzione della tecnologia video, gli sviluppi del giornalismo, l'evoluzione delle problematiche filosofiche derivante dall'influsso dello strutturalismo. Ma il problema centrale è l'idea stessa di videoarte. In poche parole la videoarte non esiste come categoria della storia dell'arte. E' una categoria provvisoria, di pura convenienza”.49

3.2 Influenze del cinema sul video

Non c'è dubbio che la videoarte sia stata influenzata da tanti fattori e che i film d'arte abbiano ispirato i linguaggi dei primi video, ma rimane la differenza del mezzo da non trascurare se non si vuole cadere in inganno.

A questo proposito Angela Madesani offre delle indicazioni molto importanti: “Spesso siamo portati alla confusione fra video e cinema d'artista. Il problema è alle radici, bisogna andare alla genesi dell'operazione. E' un problema concettuale, filosofico di grande importanza. Lo scarto fondamentale fra video e cinema d'artista è la possibilità di modificarsi durante la ripresa. Con il video si ha la possibilità di vedere la registrazione in tempo reale”.50

Inoltre, Sandra Lischi ha dedicato a questo tema un saggio Il calcolo imperfetto:

percorsi di cinema nella videoarte in cui conferma e approfondisce il legame tra cinema

49 David A. Ross, “La storia rimane provvisoria” in Ida Giannelli (a cura di) Collezione video al Castello

di Rivoli Museo d'arte contemporanea ( Torino, Skira, 2005), 3.

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e videoarte.

<<Il cinema è stato presente nella videoarte da subito: come antecedente (nelle avanguardie e negli sperimentali e underground) di certe tecnologie e di figure di scrittura; ma anche come materia prima, infanzia, memoria, ricordo. La videoarte ha saputo concretizzare i sogni di Vertov, di Ejzenstejn, le polivisioni di Abel Gance, il cinema totale di Barjavel, la mobilità della macchina da presa e la sua relativa autonomia, le previsioni di Astruc, il rifiuto della narratività a ogni costo e la libertà di durate, i vagabondaggi tematici e di linguaggio, le scorribande fra (e oltre) i generi. Ha riscoperto il documentario poetico di Ivens e Flaherty, la cine-saggistica di Marker e i montaggi di Peleschian, ha accompagnato le proiezioni sovrapposte e le narrazioni esplose dell'underground, i diari visivi, i flussi di coscienza, i pedinamenti neorealistici dei personaggi, ripescato l'indisciplina dadaista, le parolibere futuriste, le deformazioni espressive e i deliri surrealisti, gli asincronismi del manifesto di Ejzenstejn, Pudovkin e Alexandrov e i rumori ambientali, i disturbi e i balbettamenti godardiani. Ma il film è stato anche oggetto di “cinefagia” da parte del video: riletto, citato, re-impaginato, esplorato, ingrandito, rallentato, scomposto e ricomposto, ripetuto e frammentato, commentato e ricreato.>>.51

Anche Gianni Sirch nel saggio Tra cinema e videotape. I contesti di formazione della

video arte tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta definisce la storia della videoarte

“un ambito in posizione di equidistanza rispetto alla storia del cinema e l'arte contemporanea”52

. In aggiunta suggerisce che gli studi di videoarte trovarono

51 Sandra Lischi, “Il calcolo imperfetto: percorsi di cinema nella videoarte” in Luciano De Giusti (a cura di), Immagini migranti. Forme intermediali del cinema nell'era digitale (Venezia: Marsilio, 2008), 130.

52 Gianni Sirch, “Tra cinema e videotape. I contesti di formazione della videoarte tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta” in Saba (a cura di), Arte in videotape, cit.,108.

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inserimento sia fra le cronologie dei movimenti artistici che all'interno del cinema sperimentale per via delle “teorie che predicavano lo sconfinamento tra i generi, nell'ipotesi vagheggiata di una Gesamtkunstwerk finalmente alle porte”.53

3.3 Le prime sperimentazioni

Pur non avendo una data certa e essendo molto influenzato dal cinema e da altre arti si può scendere ad un compromesso e affermare, in via generale, che il video prende piede tra la fine degli anni '50 e nel corso del decennio degli anni '60, in un momento di grandi cambiamenti politici, culturali e sociali a livello mondiale. In aggiunta Angela Madesani sostiene che “sin da subito il video è stato investito da un aura particolare che lo ha trasformato quasi immediatamente in videoarte”.54

Per avere una sintetica e dettagliata descrizione delle azioni degli artisti riporto le parole di da Iolanda Ratti. 55

<<Tra la fine degli anni '50 e l'inizio del decennio successivo il televisore viene manipolato dagli artisti, spesso in termini polemici per esempio distorcendone le immagini tramite magneti, come fa Nam June Paik nella storica “Esposition of Music-Electronic Television”di Wuppertal del 1963, oppure viene sotterrato, nascosto e legato, come in alcuni Décollages di Wolf Vostel. Nelle prime installazioni l'accento è posto quindi decisamente sull'oggetto monitor, che occupa lo spazio in termini sculturali o che lo modifica tramite la luce e il suono. Solo dal 1965, con la diffusione delle prime

53 Ibidem,108.

54 Madesani, Le icone fluttuanti, cit., 87.

55 Per un approfondimento sulle origini della videoarte nel contesto delle arti visive italiane degli anni '50 rinvio al libro di Silvia Bordini, Videoarte & Arte. Tracce per una storia (Roma: Lithos, 1995), 67-68.

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videocamere portatili, gli artisti sono in grado di creare le immagini, di modificarle e riproporle anche in diretta. Dall'inizio degli anni settanta poi, con l'affermarsi di tecniche quali feedback e il circuito chiuso, il video viene utilizzato per creare veri e propri ambienti>>.56

Vittorio Fagone nel saggio Videoinstallazioni ambienti e eventi multimediali

parlando della situazione della ricerca video in Europa negli anni '60-'70 ne ricorda l'importanza: “Negli anni Sessanta fino alla metà degli anni Settanta il campo maggiormente disponibile, se non d'elezione, delle diverse sperimentazioni d'avanguardia risulta quello delle arti visuali che accettano e in molti casi promuovono un attivo scambio tra espressioni mediali dei nuovi linguaggi della comunicazione, arti visuali convenzionali e arti performative. [...]Nel rapido giro di pochi anni la ricerca video sposta comunque il suo baricentro dall'Europa agli Stati Uniti […] Mentre il radicamento della ricerca video in Europa è infatti affidato al pionierismo generoso di galleristi promotori come Gerry Schum che prima a Berlino e poi a Dusseldorf e quindi all'interno del museo di Essen propone un originale modello di Videogallerie in grado di produrre, presentare e archiviare video d' artisti, negli Stati Uniti si aprono, anche se solo per un breve periodo, prospettive di ben altra portata”.57

56 Ratti, “La specificità della videoinstallazione” in Ferriani (a cura di), Monumenti effimeri, cit., 135. 57 Vittorio Fagone, “Videoinstallazioni, ambienti e eventi multimediali. Il contributo di Cannubio al

VideoArt Festival di Locarno- Lago Maggiore ” in Vittorio Fagone (a cura di )Videoinstallazioni,

ambienti e eventi multimediali. Il contributo di Cannubio al VideoArt Festival di Locarno- Lago Maggiore 1985-1999 (Milano: Edizioni Gabriele Mazzotta, 1987), 18.

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3.4 La videoarte arriva in Italia

Silvia Bordini nel saggio Le molte dimore. La videoarte in Italia negli anni

Settanta considera come “approdo” della videoarte in Italia la mostra “Gennaio 70”

organizzata da Renato Barilli, Maurizio Calvesi e Tommaso Trini al Museo Civico di Bologna. 58

La studiosa descrive “Gennaio 70” come <<una rassegna collettiva sulle tendenze artistiche più recenti- largamente concettuali e comportamentali- presentate all'interno di un ragionamento critico che fa i conti ancora con la fisicità dell'informale, con il superamento della Pop Art, con le disponibilità alla metafora dell'arte povera, con gli sconfinamenti nello spazio, da un lato, e nell'immateriale dall'altro; e tocca inoltre i problemi ideologici, le richieste di procedere “oltre l'estetico”, il che fare dell'arte e dell'artista, così pregnante in quegli anni come analizza Trini59

riflettendo sullo spostamento di attenzione dall'oggetto artistico alla sua dimensione e matrice concettuale>>.60

Sicuramente questa esperienza costituì un modello che fu immediatamente seguito da altre iniziative, ma la prima apparizione della videoarte in Italia fu alla Biennale di Venezia del 1968. Da quel momento l'esperienza videoartistica si fece più complessa accogliendo svariate articolazioni creative, legate anche ad iniziative di breve durata, ma piene di entusiasmo e disponibilità alla sperimentazione.

Bordini, inoltre, segnala alcuni eventi successivi raggruppandoli secondo i luoghi (più

58 Vedi Bordini, “Le molte dimore” in Sega Serra Zanetti (a cura di) La coscienza luccicante, cit., 31. 59 Vedi Tommaso Trini “Mutare le attitudini concettuali, in pratica”, in Renato Barilli (a cura di)

Gennaio '70: 3° Biennale Internazionale della giovane pittura; comportamenti, progetti, mediazioni

(Bologna: Alfa, 1970), 26-27.

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avanti ho dedicato un capitolo ad ognuno di questi eventi):

<< A Milano, dove Tommaso Trini aveva organizzato nel '70 Eurodomus 3, Telemuseo, in cui riportava l'esperienza di Gennaio 70 si inaugura nel '74 Nuovi Media-film e

videotape (a cura di Germano Celant e Daniela Palazzoli); nel '75 alla Rotonda della

Besana Artevideo e Multivision, curata da Tommaso Trini; nel '79 Vittorio Fagone presenta la mostra Camere incantate. Video cinema fotografia e arte negli anni '70, notevole per la presenza di numerose video-installazioni. A Roma la galleria dell'Obelisco nel 1971 organizza la VideObelisco AVR (Art video recording), una sezione video intesa come struttura fissa per la sperimentazione tecnica ed espressiva e come offerta concreta di strumenti e spazi per gli artisti e per il pubblico. Nello stesso anno L'Attico propone alcuni videotapes collegati alla performance (tra cui

Identifications di Gerry Schum); nel '73 la Quadriennale ha un settore video curato da

Francesco Carlo Crispolti e si inaugura la mostra Contemporanea (1973-74) che include un settore di video-tapes e film d'artista; nel '74 Incontri Internazionali d'Arte organizza gli Incontri Video '74 a cura di Achille Bonito Oliva e Grazziella Leonardi; del '79 è la rassegna Video '79 , promossa da A.Silij, F.Salvadori, M.G.Bicocchi. Nel '72 ad

Arcireale si svolse Circuito chiuso-aperto. IV Rassegna d'arte contemporanea,

organizzata da Italo Mussa e Francesco Carlo Crispolti; [...] nel '74 la Galleria del Cavallino di Paolo Cardazzo inizia a dedicarsi alla videoarte, organizzando mostre e producendo numerosi video d'artista. A Pesaro nel '73, alla IX Mostra internazionale

del Nuovo Cinema, artisti e critici dibattono su L'altro video, incontro sul videotape. Le

iniziative più importante di questi anni sono costituite dai laboratori di Ferrara e

Firenze>>.61

(35)

Come segnalato dalla studiosa, a Ferrara nel '72 inizia l'attività del Centro Videoarte

del Palazzo dei Diamanti (emanazione della Galleria Civica d'Arte Moderna), diretto

da Lola Bonora, mentre nel '73 a Firenze viene fondato da Maria Gloria Bicocchi

Art/Tapes/22. In questi laboratori di produzione e distribuzione di videotapes d'artista

erano forti le connessioni e gli scambi di esperienze con quanto avveniva in Europa e negli Stati Uniti .

Così, agli inizi degli anni '70 in Italia scoppia un clima di entusiasmo in cui gli artisti si lasciano affascinare dal nuovo mezzo.

Simonetta Fadda, nel libro Definizione zero. Le origini della videoarte fra politica e comunicazione definisce tale clima come “una specie di ubriacatura collettiva a cui sulle

prime non corrisponde, tuttavia, un utilizzo altrettanto consapevole e realmente diffuso del mezzo”.62

3.5 L'impiego del video

Fin da subito cominciarono ad essere indagate le potenzialità del video e molti artisti lo utilizzarono come supporto d'espressione per il loro pensiero.

Maria Grazia Tolomeo ci informa che il video diventò luogo di ricerca e acquistò una funzione di denuncia: “il video è la documentazione del confine fra il soggetto con i suoi disagi e il mondo con i suoi malesseri, per esempio, in Azione sentimentale di Gina Pane, del 1972, che analizza dolore, tortura, disgusto, direttamente su se stessa e sul pubblico. Al termine di Le lait chaud sempre del 1972- gargarismi di latte mescolati al

62 Simonetta Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte fra politica e comunicazione (Milano: Costa & Nolan, 1999), 96-97.

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sangue che esce dalle labbra tagliuzzate con una lametta - afferra la telecamera e la punta sugli spettatori cercandone il coinvolgimento. Il corpo è il limite della nostra esperienza e solo attraverso di esso possiamo capire: l'esperienza diviene coscienza nel video che documenta l'azione e l'universalizza. Il video cessa di di essere documento di un'azione privata per diventare un grido universale anche nelle azioni di Vito Acconci, che simboleggiano conflitti antichi e attuali, in quelli di Marina Abramovic e Ulay, che provocano ansia e insicurezza o nelle ossessioni di Arnulf Rainer. Il video acquista una funzione di forte denuncia, di infrazione dei limiti, di affermazione di libertà e individua la capacità del singolo di intervenire, attraverso il suo corpo, a rimuovere costrizioni e imposizioni [...] La sfida è quella di fare un'azione che sia puramente artistica, davanti ad un pubblico ammesso durante la videoripresa. La nuova frontiera dell'arte è nel corpo stesso dell'artista considerato come luogo della trasformazione e simbolo di tutte le trasformazioni del mondo contemporaneo”.63

Bordini racconta che già in quegli anni l'attenzione critica cercava di stendere una classificazione dei diversi metodi d'impiego del video: “da un lato è evidente l'esigenza di razionalizzazione attraverso una classificazione capace di incanalare le svariate direzioni e ibridazioni del rapporto arte-video; dall'altro il confluire della videoarte nei canali di uno specifico impegno sociale ed ideologico. Sul versante della classificazione si muove Luciano Giaccari che già alla fine degli anni Sessanta aveva iniziato ad organizzare a Varese una videoteca64 che raccoglieva un'ampia documentazione, sulla musica, sul teatro, sulla danza, cui si aggiungono presto i video d'artista”.65

63 Tolomeo, “Sconfinamenti” in Sega Serra Zanetti (a cura di) La coscienza luccicante, cit., 24.

64 Vedi Marco Meneguzzo, Memoria del video. La distanza della storia. Vent'anni di eventi video in

Italia raccolti da Luciano Giaccari (Milano: Pac,1987).

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Difatti, nel 1972 Luciano Giaccari elabora la Classificazione dei metodi

d'impiego del videotape in arte (pubblicata per la prima volta nel '73) con l'intento di

definire gli ambiti dell'uso del video, a livello teorico e pratico, all'interno di un'esigenza di sistematizzazione e stimolata dalla mancanza di definizione dell'oggetto video pur nell'ambito di una sua larga diffusione.66 Giaccari scrive che: “La classificazione dei metodi d'impiego si basa su due ipotesi fondamentali: nella prima l'artista ha un rapporto diretto con lo strumento che usa per scopi ricreativi; nella seconda l'artista ha un rapporto mediato con lo strumento, che viene usato da altri sulla sua opera creativa e con finalità prevalentemente documentarie o didattiche”.67

Bordini spiega che su queste basi Giaccari distingueva vari tipi di impiego diretto o creativo: “il videotape, che usa un linguaggio specifico e indipendente; la

videoperformance/videoenvironment, in riferimento ad azioni o allestimenti creativi con

l'impiego di circuiti chiusi e per indicare gli eventi concepiti per essere registrati. Per l'impiego mediato del video Giaccari indicava invece le videodocumentazioni di performance, concerti e spettacoli teatrali, intese come memorizzazioni ed espansioni del fenomeno artistico originario, individuando l'importanza della maneggevolezza del video nei confronti della ripresa cinematografica, della non selettività nei confronti della fotografia, ma anche i rischi dell'interpretazione soggettiva legata alla mediazione dell'operatore. Infine, ancora nel settore non direttamente creativo, venivano annoverati il videoreportage, la videocritica, la videodidattica, auspicando una migliore organizzazione dell'aspetto editoriale e dei circuiti di visione, produzione e distribuzione

66 Vedi Luciano Giaccari, “La videoteca- La classificazione- La mostra” in Marco Meneguzzo, Memoria

del video, cit..

67 Luciano Giaccari citato da Bordini “Le molte dimore” in Saga Serra Zanetti (a cura di), La coscienza

(38)

del video”.68

Luciano Giaccari nel saggio Dalle origini della documentazione al museo elettronico ci informa che la sua Classificazione è stata riconosciuta come la prima

elaborazione teorica che, pur non occupandosi di estetica del video, analizzò il rapporto tra arte e video in grado di fondersi in vari modi e con diversi obbiettivi: <<La pubblicazione venne più volte pubblicata in Francia, Germania, Austria, Jugoslavia, America ecc., negli stati Uniti ove fu introdotta nel '75, andò a coincidere se non ha produrre la distinzione americana che definisce oggi “video caldo” quello creativo e “video freddo” quello documentativo>>.69

Non solo Giaccari, ma anche il Centro Video Arte di Ferrara mise appunto un sistema di catalogazione delle attività formato da cinque compartimenti: videoarte, videoregistrazione, videodibattiti, videosociale, videodidattica.70

Da queste attività nasce l'idea che la videoarte possa creare un terreno di comunicazione interamente nuovo: “ Artisti, operatori culturali, critici in sintonia con il clima postsessantottesco, abbracciano l'utopia di un'arte che attraverso l'uso dei mezzi elettronici si possa liberare dalle maglie del sistema, uscire dalle gallerie e dai musei, misurarsi con il sociale, farsi strumento democratico di comunicazione e controinformazione. Queste posizioni trovano uno spazio specifico nei gruppi militanti (tra i più importanti Videobase, di Anna Lajolo, Alfredo Leonardi, Guido

68 Ivi.

69 Luciano Giaccari, “Dalle origini della documentazione al museo elettronico” in Bruno di Marino e Lara Nicoli (a cura di), Catalogo Elettroshock: 30anni di video in Italia (Roma: Castelvecchi, 2001), 38.

70 Vedi Janus (a cura di ), Catalogo Videoarte a Palazzo dei Diamanti, 1973-79, (Torino: Novolito 1980).

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