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Il panorama attuale della videoarte in Italia

Bruno Di Marino si è occupato di analizzare la situazione del video d'arte in

Italia e nel 2001 annunciò: “Oggi abbiamo ormai raggiunto un grado di autentica inflazione nell'ambito dell'arte contemporanea. Un numero sempre maggiore di artisti utilizza il video con modalità di vario tipo. L'unica distinzione da fare è semmai tra quelli che lo usano consapevolmente, che cioè esplorano tutte le possibilità linguistiche del mezzo, e coloro che continuano ad adottarlo come strumento di documentazione o magari con velleità di carattere narrativo, ma senza conoscerlo a fondo e senza padroneggiarlo dal punto di vista tecnico”.91

Affermazione sicuramente ancora valida

come anche la successiva riflessione sull'insegnamento della cultura del video: “In Italia sono sempre mancate due cose: a) le scuole dove poter apprendere tecnica e linguaggio del video; b)gli archivi dove potersi formare culturalmente, conoscendo autori e opere di livello internazionale. L'insegnamento del video a livello teorico è entrato davvero poco nelle Università se si eccettua l'ostinazione di alcuni studiosi come Sandra Lischi a

90 Ibidem, 26.

Pisa, Marco Gazzano a Urbino, Valentina Valentini a Cosenza. E' stato più facile semmai diffondere la pratica del video nelle Accademie di Belle Arti”.92

A parte questa mancanza d'istruzione, tra le varie forme della videoarte la tendenza dominante risulta oggi essere quella della videoinstallazione interattiva, dove lo spettatore è chiamato ad interagire con l'opera, seguita poi dalle più semplici videoinstallazioni che giocano con l’area dell’allestimento e costruiscono uno spazio di immersione percettiva.

Tali informazioni ci sono date da Alessandro Amaducci che ha dedicato parte della sua vita agli studi sulla videoarte. Tra le numerose pubblicazioni si ricorda il libro

Banda anomala. Un profilo della videoarte monocanale in Italia in cui viene ricostruita

la storia della videoarte italiana e delle altre nazioni. Nel testo emerge uno dei problemi che da sempre hanno limitato la sperimentazione e la produzione videoartistica italiana, ossia, la mancanza dei finanziamenti economici da parte delle istituzioni, che costringe gli artisti ad autoprodursi o ad emigrare in altri paesi. Secondo Amaducci questa situazione ha generato negli artisti italiani “ la necessità di confrontarsi con la propria voglia di fare e con la propria estetica, rafforzandosi tecnicamente in maniera autonoma e accumulando un Know-how tecnologico ed estetico così personale che ognuno è riconoscibile per il proprio stile, e non in quanto espressione di uno stile nazionale, o di un centro o di una moda tecnologica. […] C'è stata una selezione naturale in Italia, tale per cui chi è <<sopravvissuto>> ha sviluppato una poetica e uno stile personali, perché è stato costretto a farlo, mancando un mercato e il confronto con l'idea di <<produzione>>, per cui è cresciuta la voglia di esprimersi al di là di tutto, delle tecnologie a disposizione, del pubblico più o meno esistente dei festival che selezionano

o meno, dei critici che guardano oppure no, senza per questo ridursi alla marginalità dell'<<artigianato>> sia pure tecnologico”.93

Inoltre Amaducci afferma che “ i videoartisti Italiani si sono <<salvati>> perché sono anche registi che operano nel mercato televisivo, pubblicitario, realizzando videoclip o lavorando come montatori in società di produzione o in televisioni; molti di loro insegnano la materia che praticano, e creano interessantissime sinergie fra esperienze di mercato ed esigenze espressive per cui la tensione alla sperimentazione influenza e alimenta l'attività di mercato, e viceversa. In conclusione l'autore trova la particolarità della produzione videoartistica italiana “nella specificità dei singoli autori”.94

Una recente intervista ad Alessandro Amaducci, Che fine ha fatto la videoarte? di Francesca Simonetti e Federica Tammarazio, offre numerose informazioni sulla situazione attuale della videoarte in Europa e in Italia:

“In Europa al momento il panorama più attivo e più interessante è senza dubbio quello tedesco, dove la videoarte ha spazi e considerazione maggiori. In realtà c’è difficoltà per un videoartista europeo, rispetto ad un videoartista americano, ad entrare nei circuiti di diffusione. Negli Stati Uniti tutto ciò che è espressione nuova e creativa è tenuta in grande considerazione, mentre in Europa è molto più difficile crearsi uno spazio di visibilità e di mercato. I circuiti di diffusione per gli artisti emergenti sono i Festival di videoarte, mentre per comprendere e vedere in anteprima le nuove tendenze le fiere di Basilea e Kassel che rappresentano le vetrine più importanti, da cui poi parte il vero mercato […] In Italia la videoarte è ancora considerata una moda, un trend che vive grandi ondate d’interesse alternate a momenti di stasi, soprattutto nelle grandi fiere. Ne

93 Alessandro Amaducci, Banda anomala. Un profilo della videoarte monocanale in Italia (Torino: Lindau, 2003), 41-42.

è prova la Biennale di Venezia del 2003 in cui si è dato ampio spazio ai videoartisti, rispetto alle edizioni passate. Si può dire che l’ambito delle gallerie sia molto conservatore, in questo campo, per esempio vanno ancora molto i film d’artista. Le videoinstallazioni si vendono ancora tanto, soprattutto tra i collezionisti, mentre i musei hanno difficoltà ad accogliere nelle proprie collezioni opere di videoarte, a causa dei costi di allestimento e dei cambiamenti di tecnologia. Il problema è infatti la riconversione delle opere nei nuovi formati video: il digitale ha reso necessario un continuo aggiornamento dei supporti, che per i musei rappresenta un onere piuttosto gravoso”.95

Negli ultimi anni le nuove tecnologie hanno trovato le strade aperte anche nella progettazione di allestimenti museali dove si sono integrate a sistemi più tradizionali offrendo maggiori possibilità espositive. Un sapiente utilizzo delle tecnologie multimediali permette di creare ambienti di grande suggestione in cui si raccontano storie e personaggi del passato. Progettare un museo multimediale e interattivo implica la ricerca di un linguaggio particolare che dia vita ad un nuovo rapporto tra visitatore e museo. L’interattività, in particolare, favorisce una fruizione più giocosa e allo stesso tempo più mirata coinvolgendo lo spettatore in prima persona.

95 Vedi “Che fine ha fatto la videoarte?” Alessandro Amaducci, accesso il 29 febbraio 2012

4- Per una “Geografia videoartistica italiana”:

rapporti tra il territorio e la nuova cultura artistica emergente.

Le informazioni storiche e critiche presenti in questi sottocapitoli sono state ricavate grazie alla consultazione di libri, cataloghi e archivi di settore. Per quanto riguarda le informazioni più recenti mi sono dovuta appoggiare a fonti più aggiornate come siti-internet (di musei, fondazioni e associazioni) e articoli di giornale.