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Fin da subito cominciarono ad essere indagate le potenzialità del video e molti artisti lo utilizzarono come supporto d'espressione per il loro pensiero.

Maria Grazia Tolomeo ci informa che il video diventò luogo di ricerca e acquistò una funzione di denuncia: “il video è la documentazione del confine fra il soggetto con i suoi disagi e il mondo con i suoi malesseri, per esempio, in Azione sentimentale di Gina Pane, del 1972, che analizza dolore, tortura, disgusto, direttamente su se stessa e sul pubblico. Al termine di Le lait chaud sempre del 1972- gargarismi di latte mescolati al

62 Simonetta Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte fra politica e comunicazione (Milano: Costa & Nolan, 1999), 96-97.

sangue che esce dalle labbra tagliuzzate con una lametta - afferra la telecamera e la punta sugli spettatori cercandone il coinvolgimento. Il corpo è il limite della nostra esperienza e solo attraverso di esso possiamo capire: l'esperienza diviene coscienza nel video che documenta l'azione e l'universalizza. Il video cessa di di essere documento di un'azione privata per diventare un grido universale anche nelle azioni di Vito Acconci, che simboleggiano conflitti antichi e attuali, in quelli di Marina Abramovic e Ulay, che provocano ansia e insicurezza o nelle ossessioni di Arnulf Rainer. Il video acquista una funzione di forte denuncia, di infrazione dei limiti, di affermazione di libertà e individua la capacità del singolo di intervenire, attraverso il suo corpo, a rimuovere costrizioni e imposizioni [...] La sfida è quella di fare un'azione che sia puramente artistica, davanti ad un pubblico ammesso durante la videoripresa. La nuova frontiera dell'arte è nel corpo stesso dell'artista considerato come luogo della trasformazione e simbolo di tutte le trasformazioni del mondo contemporaneo”.63

Bordini racconta che già in quegli anni l'attenzione critica cercava di stendere una classificazione dei diversi metodi d'impiego del video: “da un lato è evidente l'esigenza di razionalizzazione attraverso una classificazione capace di incanalare le svariate direzioni e ibridazioni del rapporto arte-video; dall'altro il confluire della videoarte nei canali di uno specifico impegno sociale ed ideologico. Sul versante della classificazione si muove Luciano Giaccari che già alla fine degli anni Sessanta aveva iniziato ad organizzare a Varese una videoteca64 che raccoglieva un'ampia documentazione, sulla musica, sul teatro, sulla danza, cui si aggiungono presto i video d'artista”.65

63 Tolomeo, “Sconfinamenti” in Sega Serra Zanetti (a cura di) La coscienza luccicante, cit., 24.

64 Vedi Marco Meneguzzo, Memoria del video. La distanza della storia. Vent'anni di eventi video in

Italia raccolti da Luciano Giaccari (Milano: Pac,1987).

Difatti, nel 1972 Luciano Giaccari elabora la Classificazione dei metodi

d'impiego del videotape in arte (pubblicata per la prima volta nel '73) con l'intento di

definire gli ambiti dell'uso del video, a livello teorico e pratico, all'interno di un'esigenza di sistematizzazione e stimolata dalla mancanza di definizione dell'oggetto video pur nell'ambito di una sua larga diffusione.66 Giaccari scrive che: “La classificazione dei metodi d'impiego si basa su due ipotesi fondamentali: nella prima l'artista ha un rapporto diretto con lo strumento che usa per scopi ricreativi; nella seconda l'artista ha un rapporto mediato con lo strumento, che viene usato da altri sulla sua opera creativa e con finalità prevalentemente documentarie o didattiche”.67

Bordini spiega che su queste basi Giaccari distingueva vari tipi di impiego diretto o creativo: “il videotape, che usa un linguaggio specifico e indipendente; la

videoperformance/videoenvironment, in riferimento ad azioni o allestimenti creativi con

l'impiego di circuiti chiusi e per indicare gli eventi concepiti per essere registrati. Per l'impiego mediato del video Giaccari indicava invece le videodocumentazioni di performance, concerti e spettacoli teatrali, intese come memorizzazioni ed espansioni del fenomeno artistico originario, individuando l'importanza della maneggevolezza del video nei confronti della ripresa cinematografica, della non selettività nei confronti della fotografia, ma anche i rischi dell'interpretazione soggettiva legata alla mediazione dell'operatore. Infine, ancora nel settore non direttamente creativo, venivano annoverati il videoreportage, la videocritica, la videodidattica, auspicando una migliore organizzazione dell'aspetto editoriale e dei circuiti di visione, produzione e distribuzione

66 Vedi Luciano Giaccari, “La videoteca- La classificazione- La mostra” in Marco Meneguzzo, Memoria

del video, cit..

67 Luciano Giaccari citato da Bordini “Le molte dimore” in Saga Serra Zanetti (a cura di), La coscienza

del video”.68

Luciano Giaccari nel saggio Dalle origini della documentazione al museo elettronico ci informa che la sua Classificazione è stata riconosciuta come la prima

elaborazione teorica che, pur non occupandosi di estetica del video, analizzò il rapporto tra arte e video in grado di fondersi in vari modi e con diversi obbiettivi: <<La pubblicazione venne più volte pubblicata in Francia, Germania, Austria, Jugoslavia, America ecc., negli stati Uniti ove fu introdotta nel '75, andò a coincidere se non ha produrre la distinzione americana che definisce oggi “video caldo” quello creativo e “video freddo” quello documentativo>>.69

Non solo Giaccari, ma anche il Centro Video Arte di Ferrara mise appunto un sistema di catalogazione delle attività formato da cinque compartimenti: videoarte, videoregistrazione, videodibattiti, videosociale, videodidattica.70

Da queste attività nasce l'idea che la videoarte possa creare un terreno di comunicazione interamente nuovo: “ Artisti, operatori culturali, critici in sintonia con il clima postsessantottesco, abbracciano l'utopia di un'arte che attraverso l'uso dei mezzi elettronici si possa liberare dalle maglie del sistema, uscire dalle gallerie e dai musei, misurarsi con il sociale, farsi strumento democratico di comunicazione e controinformazione. Queste posizioni trovano uno spazio specifico nei gruppi militanti (tra i più importanti Videobase, di Anna Lajolo, Alfredo Leonardi, Guido

68 Ivi.

69 Luciano Giaccari, “Dalle origini della documentazione al museo elettronico” in Bruno di Marino e Lara Nicoli (a cura di), Catalogo Elettroshock: 30anni di video in Italia (Roma: Castelvecchi, 2001), 38.

70 Vedi Janus (a cura di ), Catalogo Videoarte a Palazzo dei Diamanti, 1973-79, (Torino: Novolito 1980).

Lombardi)71 ”.72

L'idea che il video potesse contribuire ad un cambio culturale e sociale, per Bordini, trova un momento culminante nel corso della rassegna romana “Video '79” che presentava una produzione sia improntata all'impegno sociale e politico, sia una gamma di artisti internazionali (tra cui Marina Abramovic, Robert Cahen, Jean-Luc Godard, Antoni Muntadas, Bruce Nauman, Charlemagne Palestine, Bill Viola), evidenziando la molteplicità degli usi della videoarte.73

Secondo la studiosa tale idea venne abbandonata negli anni '80, periodo in cui gli artisti si concentrarono in modo più specifico su ricerche linguistiche ed estetiche. “Si formano nuovi raggruppamenti come ad esempio Studio Azzurro (1981), Correnti

Magnetiche (1984); nuove forme di aggregazione e di discussione si coagulano intorno

ai festival e rassegne periodiche, come L'immagine elettronica (1983-86) a Bologna,

Ondavideo a Pisa (dal 1985), la Rassegna internazionale del Video d'autore di Taormina

Arte (dal 1987), Invideo a Milano (dal 1990)”.74