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La polizia giudiziaria: organizzazione, funzioni e rapporti con il pubblico ministero

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

La polizia giudiziaria: struttura, funzioni e

rapporti con il pubblico ministero

RELATORE

Prof. Francesco DAL CANTO

CORRELATRICE

Prof.ssa Angioletta SPERTI

CANDIDATO

Valerio DI PASQUA

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La polizia giudiziaria: struttura, funzioni e

rapporti con il pubblico ministero

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3

«Legum servi sumus

Ut liberi esse possimus»

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4

INDICE

INDICE ...4

INTRODUZIONE ...7

CAPITOLO I. IL QUADRO COSTITUZIONALE E LE FUNZIONI DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA ... 10

1. Premessa ... 10

1.1 I cittadini di fronte al potere coercitivo dello Stato ... 10

1.2 La disponibilità diretta della polizia giudiziaria e i principi ad essa connessi ... 14

1.3 Il riparto di competenze fra Stato e Regioni ... 16

1.3.1. Il progetto di riforma del Governo Renzi ... 21

1.4 L’ordine pubblico e la sicurezza pubblica ... 22

1.4.1 L’ordine pubblico in particolare ... 22

1.4.2 La sicurezza pubblica in particolare... 25

1.4.3 Osservazioni conclusive ... 26

2. La polizia amministrativa e la polizia di sicurezza ... 27

3. La polizia giudiziaria ... 29

4. L’organizzazione delle forze di polizia in Italia ... 31

4.1. La Polizia di Stato in particolare ... 36

5. Le qualifiche del personale delle forze di polizia ... 37

5.1. La qualifica di pubblico ufficiale ... 38

5.1.1. I poteri e i doveri del p.u. ... 40

5.1.2 Gli illeciti del p.u... 41

5.1.3 La tutela penale del p.u. ... 47

5.2. La qualifica di ufficiale (e agente) di pubblica sicurezza ... 47

5.2.1 I compiti e i poteri di p.s. ... 49

5.3. La qualifica di ufficiale (e agente) di polizia giudiziaria ... 50

CAPITOLO II. L’EVOLUZIONE STORICA DEI RAPPORTI TRA IL PUBBLICO MINISTERO E LA POLIZIA GIUDIZIARIA ... 57

1. Dall’Unità d’Italia all’avvento del Fascismo ... 57

1.1. Osservazioni sui rapporti tra p.m. e p.g. nel primo codice di procedura del Regno d’Italia ... 61

1.2. Dopo il c.p.p. del 1865 ... 62

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5

2.1 La riforma fascista dell’ordinamento giudiziario nel 1923 ... 67

2.2 Il codice di procedura penale del 1930 ... 70

2.3 La caduta del Fascismo ... 73

3. Breve premessa sul dibattito in Assemblea Costituente ... 76

3.1. Il dibattito in seno alla II Sezione della II Sottocommissione ... 76

3.2. Il dibattito in Assemblea ... 80

4. Dopo l’entrata in vigore della Costituzione ... 86

5. Le pronunce della Corte costituzionale tra il 1956 e il 1989 in relazione all’art. 109 Cost. ... 88

6. Il codice di procedura penale del 1989 ... 90

7. I progetti di riforma Alfano ... 91

CAPITOLO III. I RAPPORTI TRA IL PUBBLICO MINISTERO E LA POLIZIA GIUDIZIARIA NEL DIRITTO VIGENTE ... 94

1. Premessa ... 94

2. Introduzione ... 94

3. Un breve cenno sulle funzioni e sull’organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero ... 98

4. Il rapporto tra il pubblico ministero e la polizia giudiziaria in via generale ... 100

4.1. Rapporti inter - organici ... 107

4.2. Rapporti inter - personali ... 109

4.3. Osservazioni conclusive ... 113

5. Il rapporto tra il pubblico ministero e i servizi di polizia giudiziaria ... 114

6. Il rapporto tra il pubblico ministero e le sezioni di polizia giudiziaria ... 121

6.1. L’organizzazione delle sezioni e il personale ... 121

6.2. Il rapporto fra il personale della sezione e il pubblico ministero ... 124

7. Il procedimento davanti al giudice di pace: un nuovo (e valido) modello di organizzazione dei rapporti fra pubblico ministero e polizia giudiziaria? . 126 8. Cenni sui rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria a livello europeo ... 127

8.1. Due modelli a confronto: Regno Unito vs. Europa continentale ... 128

8.2. Le “idee” del Consiglio d’Europa ... 130

CAPITOLO IV. I RAPPORTI FRA IL PUBBLICO MINISTERO E LA POLIZIA GIUDIZIARIA “SUL CAMPO”.CONCLUSIONI E PROSPETTIVE DI RIFORMA ... 136

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6

1.1. La prassi delle Procure della Repubblica ... 137

1.2. Le prassi dei servizi di polizia giudiziaria ... 140

2. Osservazioni conclusive ... 144

ALLEGATO ...150

BIBLIOGRAFIA ...151

(7)

7

INTRODUZIONE

La tesi, ossia la dissertazione scritta attraverso cui uno studente discute un argomento al fine di conseguire un determinato titolo accademico, rappresenta un vero e proprio studio condotto con metodo scientifico. Per questo motivo, chi scrive ha inteso porre particolare attenzione allo sviluppo dell’opera, alla ricerca delle fonti e alla verifica della loro attendibilità1.

Il senso di questa Introduzione è quello di precisare al lettore la tematica di questo studio, le ragioni della sua scelta nonché le modalità attraverso cui il lavoro è stato organizzato e sviluppato. Ciò non solo per comprendere il senso dell’opera stessa, ma anche e soprattutto per evidenziarne gli aspetti fondamentali.

L’opera ruota intorno all’analisi dell’art. 109 della Costituzione italiana - il quale recita letteralmente: «L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria», e alla verifica delle modalità con le quali il Legislatore vi ha dato attuazione all’interno dell’ordinamento. Lo studio, che attiene ai rapporti fra il pubblico ministero (d’ora in poi, p.m.) e la polizia giudiziaria (d’ora in poi, p.g.), è condotto da una prospettiva di tipo costituzionale e, segnatamente, di ordinamento giudiziario. Non si è tuttavia mancato di approfondire, in determinati punti, specifici aspetti di diritto processuale in modo tale da comprendere le ricadute dei principi e delle regole stabiliti a livello sostanziale.

La scelta dell’oggetto di questo studio è stata determinata dalla volontà di approfondire le modalità mediante le quali lo Stato ha regolato l’assetto dei rapporti fra amministrazione pubblica e Magistratura, verificando in che modo siano parimenti garantiti, da un lato, la “risposta statale” alla violazione della legge e, dall’altro, il rispetto del fondamentale principio dell’indipendenza della

1Per garantire il carattere scientifico del lavoro, è intenzione dell’autore rispettare le principali

indicazioni dottrinarie in materia di scientificità di stesura di una tesi, in particolare quelle offerte da U. Eco in Come si scrive una tesi di laurea:

I. L’oggetto della ricerca deve essere definito in modo che sia riconoscibile da tutti; II. La ricerca deve essere originale;

III. La ricerca deve essere utile agli altri;

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8

Magistratura dall’Esecutivo. Chi scrive non nega poi che l’analisi delle problematiche connesse all’organizzazione della p.g., e il focus sul rapporto tra questa e il p.m., rappresenta una fisiologica conclusione di un percorso di studi intrapreso con l’obiettivo di porsi al servizio dello Stato nel delicato campo oggetto del presente studio.

Per quanto attiene alla struttura dell’opera, quest’ultima è suddivisa in IV capitoli, oltre alla presente Prefazione.

Nel I capitolo si è prima inquadrata la materia a livello costituzionale, con particolare attenzione al riparto di attribuzioni fra Stato e Regioni in materia di ordine pubblico e sicurezza, poi sono stati chiariti i concetti di “ordine pubblico” e di “sicurezza pubblica”, in vista della definizione di quello di p.g.. Introdotta quindi la distinzione fra polizia di sicurezza e p.g., si è poi passati all’analisi dell’organizzazione delle forze di polizia in Italia, in modo tale da garantire la comprensione delle problematiche della doppia dipendenza della p.g. dall’Esecutivo e dall’Autorità giudiziaria. In ultimo, si sono analizzate le diverse qualifiche del personale delle forze di polizia.

Nel II capitolo, si è proceduto ad un excursus storico dei rapporti fra p.m. e p.g. dal Regno d’Italia alla caduta del Fascismo. Successivamente si è avuto particolare cura nell’analisi del dibattito in Assemblea costituente per comprendere la genesi dell’articolo 109 della Costituzione. Concluso tale studio, si è poi passati a verificare l’attuazione del principio costituzionale da parte del Legislatore ordinario dal dopoguerra alle più recenti ipotesi di riforma, con particolare attenzione alle pronunce della Corte costituzionale.

Il III capitolo è invece interamente dedicato allo studio dei rapporti fra p.m. e p.g. così come delineati nel codice di procedura penale e nella legge sull’ordinamento giudiziario. In particolare, si è cercato di individuare un quadro generale di tali rapporti e, di seguito, di comprendere il diverso grado d’intensità della dipendenza dall’autorità giudiziaria dei diversi organi che svolgono funzioni di p.g., ovvero, più nello specifico, di sezioni e servizi.

Nel IV capitolo si è innanzitutto proceduto a verificare qual è la situazione “sul campo” dei rapporti tra p.g. e p.m. riportando le interviste fatte ad alcuni operatori del settore. Di seguito si è passati all’analisi delle criticità dell’assetto attuale,

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9

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10

C

APITOLO

I

I

L QUADRO COSTITUZIONALE E LE FUNZIONI DELLA

POLIZIA GIUDIZIARIA

1. Premessa

Come anticipato nell’Introduzione, il I Capitolo è ampiamente dedicato all’inquadramento costituzionale della materia oggetto del presente studio, ovvero la p.g.. L’operazione è tuttavia complessa ed è quindi necessario “snellirla”, anche perché l’analisi dettagliata delle disposizioni costituzionali coinvolte esulerebbe dalla ragion d’essere di questa tesi. Per questi motivi, si è tentato di individuare, all’interno della Carta, tre diversi “momenti”2

nei quali, per così dire, vengono in gioco la tematica della p.g. e quella dei rapporti fra quest’ultima e il p.m.. Analizziamoli uno per uno.

1.1 I cittadini di fronte al potere coercitivo dello Stato

Il primo “momento” riguarda i rapporti “in movimento” tra il p.m. e la p.g. e costituisce la base costituzionale della disciplina processuale sul “come”, il “quando” e il “perché” delle limitazioni di alcune fondamentali libertà dei cittadini.

Esso può dirsi consacrato nel Titolo I, «Rapporti civili», della Parte I della Costituzione, «Diritti civili e politici dei cittadini», e riguarda i diritti dei cittadini di fronte allo Stato e, quindi, agli organi titolari di poteri coercitivi - quali il p.m. e, appunto, la p.g..

Si tratta dei diritti di libertà personale (art. 13), libertà di domicilio (art. 14), libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 15) e inviolabilità del diritto di difesa

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in ogni stato e grado del procedimento penale (art. 24). Tutti questi diritti offrono al cittadino una tutela ad espansione progressiva secondo una tecnica che è stata definita «a spirale»3, perché la tutela costituzionale “parte” dal bene più vicino all’individuo, la libertà personale, e “arriva” sino a quello forse più lontano, quale il diritto di segretezza delle comunicazioni. Data la loro fondamentale importanza nel quadro costituzionale, è opportuno procedere ad una loro se pur breve analisi.

L’art. 13 protegge la libertà personale dell’individuo, dichiarandone l’inviolabilità. Per libertà personale deve intendersi, innanzitutto, la libertà fisica e, secondo quanto suggerito dalla Corte costituzionale4, anche quella morale e psicofisica. Tale libertà, secondo quanto previsto dai Padri costituenti, può subire limitazioni solo se previste dalla legge e per atto motivato dell’autorità giudiziaria - da intendersi qui come giudice, e non anche p.m., secondo quanto previsto dal codice di procedura5. Tuttavia, nei casi di necessità e urgenza indicati tassativamente dalla legge, «l’autorità di pubblica sicurezza6

può adottare provvedimenti provvisori» che devono essere comunicati all’autorità giudiziaria entro quarantotto ore e, entro le successive quarantotto, convalidati, altrimenti «si intendono revocati». Si tratta di una deroga alla riserva di giurisdizione che trova la sua ragion d’essere nella necessità e nell’urgenza dei casi individuati dal Legislatore: il giudice, in tali situazioni, non interviene più in via preventiva, ma successiva «nella forma di un controllo giudiziario (convalida) sul merito dei provvedimenti restrittivi adottati dalla autorità di polizia»7. La legge processuale, in particolare, prevede due diversi tipi di provvedimenti restrittivi, ovvero l’arresto in flagranza (art. 380 e ss. c.p.p.) e il fermo per gravi indizi di reato (art. 384 e ss. c.p.p.). Ai sensi dell’art. 386 c.p.p., la p.g., eseguito l’arresto o il fermo,

3 R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, XIV edizione, G.Giappichelli Editore, 2013, p. 351 4 Si vedano le ss. 210/1995 e 30/1962 nelle quali, rispettivamente, la Corte ha affermato che la

violazione della libertà personale può derivare anche dalla «menomazione o mortificazione della dignità o del prestigio della persona», ovvero anche dalla «limitazione della libertà morale, quando tale menomazione implichi un assoggettamento totale della persona all’altrui potere».

5

Ai sensi degli artt. 390 – 391 c.p.p., è infatti il g.i.p., e non il p.m., a convalidare l’arresto e il fermo.

6 In riferimento all’art. 13 Cost., il termine “autorità di pubblica sicurezza” è stato oggetto di una

interpretazione teleologica che ha portato a considerarlo nel senso generico di “polizia” e quindi ricomprendente sia l’attività di pubblica sicurezza in senso proprio (ovvero ante delictum), sia quella di p.g. (ovvero post delictum). Si veda, a tal proposito, l’articolo “Autorità giudiziaria e p.g.: concetto di alterità” di A.Calafiore in www.altalex.com

7 F. Dal Canto I diritti e i doveri costituzionali in Manuale di diritto costituzionale italiano ed

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12

deve informarne immediatamente il p.m. competente e il difensore di fiducia eventualmente nominato oppure quello d’ufficio indicato dal p.m. L’arrestato e il fermato devono essere posti nella disponibilità del p.m. «al più presto e comunque non oltre le ventiquattro ore dall’arresto o dal fermo». Il p.m. procede ad interrogatorio e, qualora le misure risultino irregolari o siano divenute inefficaci, deve disporre l’immediata liberazione del soggetto. In caso contrario, ed entro le quarantotto ore dall’esecuzione della misura, il p.m. richiede la convalida dell’arresto o del fermo al giudice per le indagini preliminari il quale fissa l’udienza «al più presto e comunque entro le successive quarantotto ore». Ai sensi dell’art. 311 co. 2, l’ordinanza del g.i.p. che disponga una misura coercitiva, oltre ad essere impugnabile innanzi al Tribunale del Riesame, è ricorribile direttamente in Cassazione nell’ambito della c.d. procedura de libertate. L’intero “procedimento”, dall’esecuzione della misura da parte della p.g. sino al ricorso

per saltum alla Corte Suprema, si caratterizza quindi per il fatto di tutelare al

massimo le libertà dell’indagato, garantendo altresì tempi rapidi di decisione. Fra l’altro, appare evidente che il “meccanismo” costruito dal Legislatore permetta il controllo di tutti i soggetti coinvolti, esclusa ovviamente la Corte di Cassazione8: la p.g. è sottoposta al controllo da parte del p.m., il quale a sua volta è soggetto a quello del g.i.p. Le decisioni di quest’ultimo sono poi sindacabili, come si è detto, da parte dei giudici del riesame e di quelli della Cassazione.

Per quanto attiene al comma 4 dell’art. 13, il quale vieta «ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà», è opportuno riferirlo, in questa sede, non tanto al detenuto bensì all’arrestato e al fermato, sopratutto nel tempo in cui essi rimangono nella disponibilità della p.g. e del p.m.. Anche nei loro confronti, infatti, vige il principio secondo il quale deve essere garantito ogni diritto costituzionale a meno che non sia incompatibile con lo stato di limitazione della libertà personale al quale sono sottoposti9. Durante l’interrogatorio dell’indagato, in particolare, non possono essere usate violenze (quali torture, minacce, droghe, etc.) per ottenere false dichiarazioni e/o confessioni altrimenti non ottenibili o dimostrabili.

8 Anche se non può escludersi che l’interessato ricorra alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. 9 In questo senso, F. Dal Canto, op. cit.

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L’art. 14 Cost., nel definire inviolabile il domicilio, «salvaguarda la proiezione spaziale della libertà personale»10. La tutela avviene in modo speculare a quanto previsto per la libertà personale, anche se appare più sfumata. Infatti, se da una parte si prevede che non possono essere eseguite ispezioni, perquisizioni o sequestri se non nei modi previsti dalla legge e per atto motivato dell’autorità giudiziaria, dall’altra, invece, sono ammessi, sempreché previsti e disciplinati da leggi speciali, «accertamenti ed ispezioni» per motivi di sanità, incolumità pubblica o a fini economici e fiscali senza la necessità dell’intervento - neppure successivo, dell’a.g.11

In merito alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, dichiarate inviolabili dalla Carta, l’art. 15 prescrive che la limitazione può avvenire solo nei casi previsti dalla legge e per atto motivato dell’a.g. - e, quindi, in modo speculare a quanto avviene in materia di libertà personale. Non è invece prevista la possibilità di un intervento straordinario dell’autorità di p.s. tanto che si può parlare di una riserva assoluta di giurisdizione. In caso d’urgenza, infatti, la p.g. può soltanto ordinare al servizio postale la sospensione dell’inoltro della corrispondenza per un massimo di quarantotto ore, decorse le quali senza l’intervento dell’a.g., la sospensione s’intende revocata12

.

In merito all’art. 21 Cost., che riconosce e tutela il diritto di «manifestare liberamente il pensiero», occorre soffermarsi sulla disciplina del sequestro della stampa. Quest’ultima, infatti, non può «essere soggetta ad autorizzazione o censura» e il sequestro può avvenire, nei casi previsti dalla legge, solo per atto motivato dell’a.g. Tuttavia, in caso di assoluta urgenza e di impossibilità di un tempestivo intervento di quest’ultima, il sequestro può essere eseguito ad opera di un ufficiale di p.g., il quale è tenuto a farne denuncia all’a.g. entro ventiquattro ore. In caso di mancata convalida, il sequestro s’intende revocato.

L’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, ex art. 23 Cost., garantisce alla persona l’assistenza tecnica in ogni fase del giudizio

10 F. Dal Canto, op. cit.

11 In merito ai motivi di incolumità pubblica, si pensi all’art. 41 del Testo Unico delle Leggi di

Pubblica Sicurezza (T.U.L.P.S.) il quale consente agli ufficiali e agli agenti di p.g. di procedere immediatamente a perquisizione e sequestro qualora abbiano notizia, anche per indizio, dell’esistenza, in qualsiasi locale pubblico o privato, di armi, munizioni o altro materiale esplodente.

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e, quindi, anche in quella delle indagini preliminari. A tal proposito, si ricordano le disposizioni del c.p.p. che prevedono l’obbligo, per la p.g., di invitare l’indagato a nominare un difensore di fiducia prima del compimento di determinati atti e, in caso di irreperibilità o di mancata comparsa, di richiedere al p.m. la nomina di un difensore d’ufficio13

(art. 350 c.p.p.).

In conclusione, può dirsi che la Costituzione individua un modello di tutela dei diritti fondamentali che si articola nella previsione della riserva di legge (assoluta o relativa) e in quella di giurisdizione. I Padri costituenti, tuttavia, ben consapevoli del fatto che potessero verificarsi situazioni di urgenza nelle quali l’a.g. non sarebbe potuta intervenire in modo tempestivo ed efficace, hanno previsto la possibilità che, in dette situazioni, possa intervenire direttamente l’autorità di p.s. o la p.g. Entrambi gli organi, agendo in regime, per così dire,

extra ordinem, sono stati tuttavia obbligati dal Costituente a rapportarsi quanto

prima con l’a.g. che, avendo il potere di convalidare o meno le misure adottate dalla polizia, rimane la custode ultima dei diritti.

1.2 La disponibilità diretta della polizia giudiziaria e i principi ad essa connessi Il secondo “momento” è rappresentato principalmente dall’art. 109, che disciplina i rapporti fra la p.g. e l’autorità giudiziaria, configurando una disponibilità diretta della prima dalla seconda.

L’art. 109 afferma testualmente che «L’autorità giudiziaria dispone direttamente della p.g.». Cosa s’intenda nello specifico con tale disposizione si vedrà più avanti. Qui appare sufficiente interrogarsi sul significato del termine “autorità giudiziaria” e, soprattutto, sulla “portata”, dal punto di vista del sistema costituzionale, del rapporto di dipendenza fra l’autorità giudiziaria e la p.g., inquadrandolo nell’ambito delle altre disposizioni del Titolo IV, «La Magistratura», della Parte II della Costituzione, con particolare riferimento agli artt. 104, 107, 108 e, soprattutto, 112.

13

Ai sensi dell’art. 97 del c.p.p., il difensore è individuato dal magistrato o dalla p.g. sulla base di un elenco di difensori predisposto dal Consiglio dell’Ordine forense, d’intesa col Presidente del Tribunale. Il difensore d’ufficio ha i medesimi obblighi e diritti di quello di fiducia e deve essere retribuito dal cliente, salvo che questi sia ammesso al gratuito patrocinio.

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Il termine “autorità giudiziaria”, menzionato anche in altre disposizioni costituzionali14, deve qui intendersi riferito sia all’autorità giudicante - ovvero al giudice, sia a quella requirente - ovvero al p.m.. Tale interpretazione non solo rispettala volontà del Costituente, come vedremo nel Capitolo II, ma anche quella del Legislatore ordinario che, nel declinare il principio costituzionale, ha attribuito poteri nei confronti della p.g. sia al giudice15 che al p.m.

Gli artt. 104, 107 e 108 della Costituzione garantiscono l’indipendenza esterna della Magistratura dall’Esecutivo e quella interna del magistrato, in modo da evitare che vi siano «indebite pressioni provenienti dall’esterno o dall’interno dell’ordine giudiziario»16. L’art. 104 stabilisce infatti che «la magistratura

costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere»; l’art. 107 che i magistrati si distinguono «soltanto per diversità di funzioni», e quindi non per gradi, e che il p.m. gode delle garanzie stabilite dalla legge sull’ordinamento giudiziario; l’art. 108 che al p.m. è assicurata, con legge, l’indipendenza.

L’art. 112 prescrive poi l’obbligo, per il p.m., di esercitare l’azione penale - ovvero di chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio, garantendo così l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la legalità dell’intero ordinamento. L’obbligatorietà dell’azione non indica, come noto, che il p.m. è tenuto ad esercitarla in ogni caso, ma solo quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione17.

Qual è la connessione fra questi fondamentali principi e l’art. 109? Qual è il senso di affermare prima l’indipendenza della Magistratura dall’Esecutivo e quella del singolo magistrato, dichiarare poi che l’autorità giudiziaria dispone direttamente della p.g. e, infine, che il p.m. ha l’obbligo di esercitare l’azione penale? La risposta sembra ovvia: i Padri costituenti hanno voluto garantire il giudice e, di conseguenza, l’intero processo penale liberi da influenze esterne, provenienti soprattutto dal governo. Poi, per fare in modo che il giudice fondasse il proprio convincimento in modo libero e completo e che non vi fosse una

14 In particolare negli artt. 13, co. 2 e 3, 15, co. 2, 21, co. 3 e 4, 82, co.2

15 Si pensi all’ordine di esecuzione di una custodia cautelare, di una notifica, di un sequestro

penale o probatorio etc.

16 R. Romboli, La Magistratura, p. 230 in Manuale di diritto costituzionale italiano ed europeo,

Volume III, G. Giappichelli editore, 2009

(16)

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“selezione” nei casi da porre alla sua attenzione, hanno fissato il principio secondo cui il p.m. deve esercitare obbligatoriamente l’azione penale. Tuttavia, questo fondamentale principio sarebbe rimasto un’arma spuntata qualora il p.m. non avesse disposto direttamente della p.g.: è infatti evidente che l’attività investigativa della polizia può, in concreto, condizionare la scelta del p.m. in merito all’esercizio dell’azione. E’ proprio questo il passaggio fondamentale: il p.m. deve avere il controllo sulla p.g. perché, altrimenti, il precetto costituzionale ex art. 112 finirebbe per essere eluso. Come potrebbe il p.m. esercitare l’azione penale se non potesse “dirigere” la p.g. nello svolgimento delle indagini? Come potrebbe esercitare proficuamente l’azione se non avesse prove sufficienti, se non fossero stati individuati i testimoni? E, d’altra parte, come potrebbe evitare la condanna un innocente se non avesse “in mano” tutte le prove?

Si vedrà nel prosieguo dello studio come rispondere a questi interrogativi tentando, in ultimo, di comprendere appieno il senso dell’art. 109.

1.3 Il riparto di competenze fra Stato e Regioni

L’ultimo dei tre “momenti” non attiene propriamente ai rapporti fra p.m. e p.g., bensì all’inquadramento costituzionale di quest’ultima dal punto di vista del riparto di competenze fra Stato e Regioni in una materia, l’ordine pubblico e la sicurezza, che serve a discriminare l’attività di p.g. da quella di polizia di sicurezza. Ma procediamo con ordine.

La riforma del Titolo V, attuata con l. cost. 3 del 2001, ha profondamente inciso sugli assetti organizzativi fra Stato e Regioni, individuando le materie di rispettiva competenza. Per quanto qui interessa, occorre ricordare che la Riforma, all’art. 117, ha attribuito allo Stato la legislazione esclusiva in materia di giurisdizione e norme processuali, ordinamento penale e ordine pubblico e sicurezza – con l’esclusione della polizia amministrativa locale. Le prime due materie, in verità, non pongono particolari problemi in punto d’interpretazione, nel senso che è chiaro che intendano riservare alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la disciplina del diritto sostanziale penale e del relativo processo. Più complesso appare invece il discorso per quanto attiene alla materia “ordine pubblico e sicurezza”, soprattutto perché è esclusa la polizia amministrativa

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locale. In verità, anche prima della riforma, le Regioni potevano emanare leggi in materia di «polizia locale urbana e rurale» e avevano, in quel determinato campo, funzioni di tipo amministrativo. Pertanto, deve ritenersi che il Legislatore costituzionale abbia mantenuto intatti tali poteri, anche perché la polizia amministrativa locale, posta l’esclusione dall’alveo “ordine pubblico e sicurezza” e quindi dalla legislazione esclusiva statale, confluisce nell’elenco ex art. 117 co. 4, ovvero fra le materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato e quindi diviene (o meglio, rimane) oggetto di potestà legislativa regionale. Ma cosa si deve intendere con l’espressione “polizia amministrativa locale”? Sembra chiaro che il Legislatore abbia inteso fare riferimento a quanto già disposto dalla legislazione vigente in materia (e successiva alle pronunce della Corte costituzionale, sopratutto alla s. 115/1995), ed in particolare dall’art. 159 del d.lgs. 112/1998 secondo «le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla polizia amministrativa regionale e locale concernono le misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze, anche delegate, delle regioni e degli enti locali, senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica». In questo senso, col termine “polizia amministrativa locale” deve intendersi quel tipo di attività di polizia nel quale sono coinvolti interessi degli enti locali a carattere amministrativo (ad esempio, l’edilizia; l’ambiente e il decoro urbano; i tributi locali; la rete stradale).

Appare quindi chiaro che, da una parte, la potestà legislativa in materia di polizia amministrativa locale spetta alle Regioni senza alcuna possibilità d’intervento18

(legislativo) da parte dello Stato - fatto salvo quello nelle materie collaterali quali l’ordinamento penale, la sicurezza dello Stato, le armi, le munizioni, gli esplosivi e, magari, la determinazione dei livelli fondamentali in materia del diritto alla sicurezza. D’altra parte, la potestà legislativa in materia di “ordine pubblico e sicurezza” spetta allo Stato in via esclusiva, senza che sia possibile quindi alcuna intromissione da parte delle Regioni. E’ opportuno comunque ricordare che, ai sensi dell’art. 5 della Costituzione, la Repubblica

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«riconosce e promuove le autonomie locali» ed «adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». Inoltre, la legge statale, ex art. 118 3 comma, è tenuta a disciplinare «forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117», ovvero l’immigrazione e, appunto, l’ordine e la sicurezza pubblica. Di recente19 la Consulta ha affermato che la disciplina delle forme di collaborazione fra polizia locale e statale sono demandate espressamente alla legge statale, e non possono essere quindi attuate, in caso d’inerzia del Legislatore statale, con legge regionale. In tal senso, il Giudice delle Leggi ha richiamato alcune sue precedenti sentenze20, ricordando che le «auspicabili forme di collaborazione tra apparati statali, regionali e degli enti locali volti a migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio, sulla falsariga di quanto ad esempio prevede il d.p.c.m. 12 settembre 2000 […] non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa».

Ad oggi, il coordinamento Stato - Regioni avviene, in via generale, attraverso la Conferenza permanente, già istituita con d.p.c.m. del 1983 e quindi disciplinata dall’art. 12 della legge 400/1988. Tale organo, collegiale, è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su delega, dal Ministro per gli Affari Regionali ed è composto dai Presidenti delle Giunte regionali e delle due Province autonome. La Corte costituzionale ha definito la Conferenza «sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica fra lo Stato e le Regioni (e le Province autonome) su argomenti che investono in via generale la materia regionale». In sede di Conferenza sono promosse e stipulate intese, nei casi previsti dalla legge, ed accordi fra Governo e Regioni. L’art. 12 della legge 400/1988 esclude tuttavia che in sede di Conferenza Stato - Regioni possano essere discussi «gli indirizzi generali relativi alla politica estera, alla difesa e alla sicurezza nazionale, alla giustizia». A tal fine, l’art. 7 del d.p.c.m. 12 settembre del 2000 prevede che la collaborazione permanente fra Stato - Regione ed Enti locali in materia di

19

Sentenza 167 del 2010 nella quale sono stati dichiarati incostituzionali alcuni articoli della legge regionale 9/2009, rubricata “Disposizioni in materia di politiche di sicurezza e ordinamento della polizia locale”, perché invasivi della competenza statale in materia di ordine e sicurezza pubblica.

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sicurezza avvenga tramite la stipula di protocolli d’intesa o accordi in sede di Conferenza Unificata21, sentito il Ministro dell’Interno o su sua proposta. Oltre alla stipula di accordi ed intese in sede di Conferenza Unificata, il coordinamento Stato - Regioni può avvenire attraverso la predisposizione di misure specifiche previste nelle leggi statali in materia di ordine e sicurezza pubblica, l’intesa istituzionale di programma22 e i c.d. “Patti per la sicurezza”23.

A livello locale, la legge 131/2003, di adeguamento dell’ordinamento alla riforma costituzionale del 2001, ha affidato al Prefetto la qualifica di Rappresentante dello Stato per i rapporti col sistema delle autonomie e, per quanto qui interessa, il compito di promuovere «l’attuazione delle misure di coordinamento tra Stato ed autonomie locali e le intese e il coordinamento tra Stato e Regione» nelle materie di esclusiva legislazione statale riguardanti, tra le altre, l’ordine pubblico e la sicurezza. L’art. 1 comma 439 della legge 296/2006 ha previsto poi che il Ministro dell’Interno o, per sua delega, i Prefetti possono stipulare convenzioni con le Regioni e gli enti locali «per la realizzazione di

21 La Conferenza Unificata, disciplinata dall’art. 8 e ss. del d.lgs. 281/1997, è un organo collegiale

così definito perché composto dai membri della Conferenza Stato - Regioni e da quelli della Conferenza Stato - Città e autonomie locali. L’organo è convocato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nel caso in cui si debba discutere di «materie e compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane». E’ chiaro che tale ultima disposizione debba essere letta in combinato disposto con l’art. 7 del d.p.c.m. 12 settembre 2000, nel senso che la sicurezza è considerata dal Legislatore materia di competenza della Conferenza Unificata e quindi è sottratta alla discrezionalità del Presidente del Consiglio.

22 L’intesa istituzionale di programma, prevista dall’art. 2 comma 203 della legge 662 del 1996, è

un accordo con il quale amministrazioni centrali, Regioni e Province autonome si impegnano a collaborare per la realizzazione di «un piano pluriennale di interventi d’interesse comune o funzionalmente collegati». Si tratta, a ben vedere, della situazione in cui non si sia trovato un accordo in sede di Conferenza Unificata, ovvero quando il piano d’intervento non è d’interesse o di competenza di quest’ultima. A tal fine, si ricorda l’Intesa fra lo Stato e la Regione Friuli Venezia Giulia stipulata il 9 maggio 2001, alla quale è seguito il “Protocollo d’Intesa in materia di politiche integrate di sicurezza urbana” tra il Ministero dell’Interno e la stessa Regione.

23 I Patti per la sicurezza rappresentano invece l’attuazione dell’art. 7 comma 3 del d.p.c.m. 12

settembre 2000, nel quale si prevede che il Ministro dell’Interno possa promuovere «le iniziative occorrenti incrementare la reciproca collaborazione fra gli organi dello Stato, le regioni e le Amministrazioni locali in materia, anche attraverso la stipula di protocolli d'intesa o accordi per conseguire specifici obiettivi di rafforzamento delle condizioni di sicurezza delle città e del territorio extraurbano». Si ricorda, in particolare, il Patto fra il Ministero dell’Interno e l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni d’Italia) stipulato in data 20 marzo 2007, e i successivi Patti stipulati con i Sindaci dei Comuni metropolitani. Al 10 aprile 2014, così come risulta dal sito del Ministero dell’Interno, sono stati firmati 80 Patti in 17 Regioni.

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programmi straordinari di incremento dei servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini».

Per quanto riguarda altre ipotesi di “raccordo” fra Stato e Regioni in materia di sicurezza, è opportuno analizzare quanto previsto dall’art. 120, ovvero la possibilità che il Governo, nel caso di «pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica», possa sostituirsi a (non meglio precisati) organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni. Secondo qualche autore24, tale potere si viene a configurare qualora le Regioni, legiferando in materie di propria competenza o in quelle di competenza concorrente, creino un pericolo grave per la sicurezza pubblica. Aderendo a tale interpretazione, si tratterà poi di verificare quando si possa definire grave un pericolo per la sicurezza, e, sopratutto, cosa s’intenda col termine pericolo. Secondo altri autori25

, e anche alla luce di alcune sentenze della Corte costituzionale26, la “sicurezza” ex art. 120 non andrebbe letta come materia in senso proprio, ma come competenza finalistica. L’intervento governativo sarebbe pertanto ammesso anche qualora le Regioni non si adeguino ai principi stabiliti dal Legislatore statale - al pari, ad esempio, di quanto avviene per l’intervento sostitutivo in caso di necessità di tutela delle prestazioni concernenti i livelli essenziali dei diritti civili e sociali. La Consulta, più volte intervenuta in materia27, ha difeso con forza i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione previsti dalla Costituzione all’art. 120, ribadendo l’opportunità di ricorrere alla stipula di intese ed accordi fra Stato ed enti sub-statali. In particolare, nella recentissima sentenza 39 del 2013, la Corte, nel censurare l’intervento sostitutivo dello Stato, ha affermato28

che, «nei casi in cui sia prescritta una intesa “in senso forte” tra Stato e Regioni, [...] il mancato

24 Tamburrini, Valentina. I Poteri Sostitutivi Statali: Tra Rispetto Dell'autonomia Regionale E

Tutela Del Principio Unitario

25

Mabellini, Stefania. La Legislazione Regionale: Tra Obblighi Esterni E Vincoli Nazionali. Milano: Giuffrè, 2004;

26 Si veda, in particolare, la sentenza 236 del 2004 nella quale la Consulta ha dichiarato che la

clausola costituzionale di sostituzione «è posta a presidio di fondamentali esigenze di eguaglianza, sicurezza, legalità che il mancato o l’illegittimo esercizio delle competenze attribuite nei precedenti articoli 117 e 118 agli enti sub-statali potrebbe lasciare insoddisfatte o pregiudicare gravemente».

27

Si vedano, in particolare, le sentenze 55/2001, 134/2004 e 105/2006;

28 Richiamando la propria giurisprudenza e , in particolare, le sentenze 383/2005, 33 e 165 del

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raggiungimento dell’accordo non legittima, di per sé, l’assunzione unilaterale di un provvedimento». In queste situazioni, continua la Corte, è necessario procedere alla reiterazione delle trattative «con l’impiego di specifici strumenti di mediazione [...], ai quali possono aggiungersi ulteriori garanzie della bilateralità».

In ultimo, per concludere il quadro costituzionale in materia di ordine e sicurezza pubblica, deve richiamarsi l’art. 126 il quale prevede la possibilità che sia disposto, con decreto del Presidente della Repubblica, previa consultazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali, lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta «che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge» o, appunto, «per ragioni di sicurezza nazionale». Si tratta di ipotesi che si riferiscono, come suggerito in dottrina29, a «casi particolarmente critici che comporterebbero gravissime tensioni fra governo e Regione e che non hanno mai trovato applicazione nella pratica».

1.3.1. Il progetto di riforma del Governo Renzi

In data 12 marzo 2014, il Governo Renzi ha presentato un disegno di legge costituzionale nel quale si prevede, fra l’altro, la modifica del Titolo V della Costituzione. In particolare, all’art. 117, scompare il riferimento alle materie di legislazione concorrente Stato - Regioni e, allo stesso tempo, è ampliato il campo delle materie e delle «funzioni» riservate alla legislazione esclusiva dello Stato. L’inserimento del termine “funzione” nell’incipit dell’articolo sembrerebbe ricollegarsi all’importante sentenza della Corte costituzionale n. 407 del 2002: secondo i giudici infatti, in alcuni casi la materia coinvolta non può essere definita «materia in senso stretto» ossia individuazione oggettiva di uno specifico campo materiale, bensì come «compito» (sentenza n. 336/2005), «valore trasversale» (tra le altre, sentenza n. 536/2002) ovvero «materia - funzione»30. In questo senso, il

29 Si veda G. de Vergottini, Diritto costituzionale, pag. 721, ed. VI, CEDAM

30 Ovvero «riservata alla competenza esclusiva dello Stato, la quale non ha un’estensione

rigorosamente circoscritta e determinata, ma, per così dire, “trasversale” (...), poiché si intreccia inestricabilmente con una pluralità di altri interessi – alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni – connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese».

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cenno anche alle “funzioni”, oltre che alle “materie”, implica una estensione degli effetti finalistici dell’intervento statale anche nelle materie di competenza regionale, determinando una maggiore interconnessione tra reciproche aree di competenza fra Stato e Regioni, soprattutto se si considera che il riferimento alle “funzioni” è presente anche per la competenza regionale.

Per quanto qui interessa, si osserva che la riforma non incide sulla lettera h) dell’art. 117, riguardante, appunto, l’«ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale», se non nel senso di aggiungervi anche la materia «sistema nazionale della protezione civile». Tali materie rimangono pertanto nella competenza esclusiva dello Stato anche se la nuova previsione secondo la quale quest’ultimo, con legge, può delegare l’esercizio della funzione legislativa alle Regioni nelle materie di propria competenza apre la possibilità, peraltro poco auspicabile, di una delega regionale anche in questo campo. D’altra parte, così come previsto dal comma 5 dell’art. 117, non è escluso l’intervento statale nelle materie di competenza regionale «quando ricorrono», fra le altre, non meglio precisate «esigenze di tutela dell’unità giuridica». In questo senso, il progetto di riforma, da una parte chiude la porta all’autonomia regionale e dell’altra invece la apre col rischio, dato il sottile equilibrio sul quale si basano i rapporti fra lo Stato e le Regioni, di una moltiplicazione di conflitti di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale.

1.4 L’ordine pubblico e la sicurezza pubblica

Chiarito dunque l’assetto di competenze e i rapporti fra Stato e Regioni in materia di “ordine e sicurezza pubblica”, occorre chiarire cosa s’intenda con quest’ultima espressione, in modo tale da riuscire finalmente a discriminare l’attività di p.g. da quella di polizia di sicurezza e amministrativa.

1.4.1 L’ordine pubblico in particolare

Il termine “ordine pubblico” assume, all’interno del panorama giuridico, una molteplicità di significati. E’ stato usato la prima volta nel Code Napoléon del 1804 e, ad oggi, è presente, con denominazioni abbastanza simili, in moltissimi

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ordinamenti di tutto il mondo31. Si tratta, a ben vedere, di «un concetto elastico e storicamente variabile a seconda del ramo del diritto a cui esso viene riferito»32 (tanto che qualcuno ha perfino parlato di concetto «proteiforme ed inafferrabile»33): diritto privato (quale limite all’autonomia dei singoli), diritto internazionale pubblico (nell’ottica del rispetto delle norme che disciplinano il rapporto fra Stati), diritto internazionale privato (come limite al riconoscimento, in ambito statale, degli atti giuridici prodotti in altri ordinamenti), diritto pubblico e costituzionale (quale garanzia dell’ordinata e pacifica convivenza tra i cittadini, a tutela della sicurezza del singolo e della collettività) .

La dottrina e la giurisprudenza distinguono due diverse accezioni di ordine pubblico: ideale (o normativa) e materiale (o amministrativa). Alcuni autori34, infatti, intendono l’ordine pubblico in senso ideale, ovvero come un insieme di principi e istituzioni fondamentali la cui tutela è ritenuta imprescindibile per garantire la sopravvivenza dell’intero ordinamento. E, in questo senso, taluni lo considerano un sinonimo di ordine costituito (ovvero affermato e tutelato dal diritto vigente, ovvero dallo Stato - ordinamento), anche alla stregua dell’importantissima sentenza 19/1962 della Corte costituzionale che arrivò ad identificare l’ordine pubblico con «il regime democratico e legalitario, consacrato nella Costituzione vigente, e basato sull’appartenenza della sovranità al popolo (art. 1), sull’eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull’impero della legge (artt. 54, 76-79, 97-98, 101, etc.)» nonché con «l’ordine istituzionale del regime vigente» (da qui il termine di “ordine pubblico costituzionale”). Altri autori35

invece ritengono che l’unica interpretazione costituzionalmente accettabile sia quella di

31 Si pensi ai termini: offentliche Ordnung (Germania), public policy (Regno Unito), offentlig

order (Paesi Bassi), orden pùblico (Spagna) e ordre public (Francia e Belgio).

32 Si vedano C. Meoli, voce Ordine pubblico in Diritto online 2012, Enciclopedia Treccani e T.F.

Giupponi, La sicurezza e le sue dimensioni costituzionali in Diritti umani. Teorie, analisi,

applicazioni a cura di S.Vida, Bologna, 2008.

33 Vedi Fiore, Ordine pubblico (dir. penale), in Enc. Dir., XXX, Milano, 1980; e Fiandaca, Musco

“Diritto penale”. Parte speciale, I, 4 ed. Bologna, 2007.

34

Si vedano, fra gli altri, L. Paladin che, in Ordine pubblico, in Novissimo Digesto italiano, XII, Torino, 1965 alla pag. 130 parla di «ordine pubblico normativo, spettante allo Stato-ordinamento, quale sistema coerente ed unitario di valori e di principi»; C. Lavagna, Il concetto di ordine

pubblico alla luce delle norme costituzionali, in Democrazia e diritto, 1967, pag. 367 ss; V.

Crisafulli, La scuola nella Costituzione, in AA.VV., Studi in onore di G.M. De Francesco, Milano, 1957, pag. 276 ss., che parla di «sistema di valori e di principi inderogabili, che informano storicamente l’ordinamento generale della comunità statale».

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ordine pubblico in senso materiale, inteso quindi come garanzia della sicurezza e dell’incolumità dei cittadini. In particolare, come sottolineato da alcuni36, l’ordine

pubblico materiale è «proprio dello Stato - persona e si manifesta nei compiti di polizia e di sicurezza pubblica», e individua quindi «lo svolgersi regolare e pacifico delle attività umane nella comunità statale»37. Inteso come assenza di perturbazioni allo svolgersi della vita civile, l’ordine pubblico materiale coincide così con l’insieme dei beni oggetto di tutela, soprattutto per mezzo delle norme penali e di pubblica sicurezza.

Sono evidenti le conseguenze, a livello costituzionale, di una diversa interpretazione di ordine pubblico. In particolare, se si aderisce alla visione “ideale”, esso potrebbe rappresentare un limite generale e immanente a tutte le libertà costituzionali; all’opposto, ovvero intendendolo in senso “materiale”, le uniche limitazioni possibili dovrebbero essere quelle espressamente previste dal testo costituzionale o, comunque, collegate alla prevenzione e repressione dei reati. Alla luce di tali considerazioni, appare abbastanza chiaro il perché della preferenza della dottrina per l’interpretazione c.d. materiale. In particolare, a parere di chi scrive, è decisiva la volontà non “caricare”, sul concetto di ordine pubblico, significati e valori di carattere etico - morale, in quanto facilmente oggetto di manipolazioni e strumentalizzazioni in sede non solo giurisdizionale, ma anche preventivo - repressiva. La tesi appare confermata se si pensa a quanto verificatosi durante il Regime fascista e, soprattutto, con l’approvazione del Codice Rocco nel 1930, nel quale, secondo quanto affermato da alcuni autori38, l’intreccio fra la prevenzione e la repressione dei reati nella tutela penalistica dell’ordine pubblico, inteso quale «valore ideale e autonomo»39

, ha ampliato la portata di quest’ultimo ai fini di «controllo sociale e repressione ideologica». Si pensi all’introduzione dei reati di apologia e istigazione a delinquere, slegati spesso da riferimenti a concrete situazioni di pericolo, e all’applicazione delle norme di tutela dell’ordine pubblico «a comportamenti di immediata rilevanza

36 F. Angelini in Ordine pubblico e integrazione costituzionale europea. I principi fondamentali

nelle relazioni interordinamentali, CEDAM

37 N.Palaia, L’ordine pubblico internazionale, Padova, CEDAM, 1974, pag. 35; F. Paolozzi, in

Focus sulla giurisprudenza costituzionale in materia di sicurezza pubblica, Osservatorio

Regionale, pag. 887

38 Fiore, op.cit.

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politica o, quanto meno, agiti in un contesto politicamente significativo».

1.4.2 La sicurezza pubblica in particolare

Per quanto attiene invece al termine “sicurezza pubblica”, da tenersi distinto da quello di “pubblica sicurezza” che si analizzerà più avanti (anche se la giurisprudenza e la dottrina utilizzano i due termini talvolta come sinonimi), la Corte costituzionale ha chiarito, già nel lontano 198740, che con tale espressione deve intendersi «la funzione inerente alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico». Tale lettura è stata confermata dal Giudice delle Leggi anche successivamente alla riforma del 2001. In particolare, prevale, come chiarito da alcuni autori41, un’interpretazione restrittiva della materia “ordine pubblico e sicurezza”, sia nei confronti di altri tipi di sicurezza, sia nei confronti dell’altro ambito, ossia quello della “polizia amministrativa locale”. E’ tuttavia innegabile che, se da una parte la Corte ribadisce la propria interpretazione di “sicurezza e ordine pubblico” e quindi restringe l’ambito d’intervento statale, dall’altra attrae nell’ambito della legislazione statale alcune materie - di competenza concorrente o regionale, perché le ritiene connesse alla prevenzione dei reati. Così, ad esempio, nella sentenza 428/2004, dove la Corte ha ricondotto la disciplina della circolazione stradale alla materia “ordine pubblico e sicurezza” - in quanto «mira senza dubbio a prevenire una serie di reati ad essa collegati, come l’omicidio colposo e le lesioni colpose». Ancor più incisiva è la sentenza 222/2006, ritenuta di grande interesse dalla dottrina in quanto il criterio teleologico adottato dalla Corte «nell’individuazione dei contenuti della materia “sicurezza”» dimostra una forte «capacità penetrativa della potestà legislativa statale nelle materie di competenza regionale». Ma il Giudice delle Leggi è andato ben oltre con la sentenza 21/2010, nella quale ha affermato che la materia della sicurezza ex art. 117, comma 2, lett. b) della Costituzione «non si esaurisce nell’adozione di misure relative alla prevenzione e repressione dei reati, ma comprende la tutela dell’interesse generale alla incolumità delle persone, e quindi la salvaguardia di un bene che abbisogna di una regolamentazione uniforme su

40 Si veda la sentenza 77/1987 41 Si veda la nota 8

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tutto il territorio nazionale». Tale interpretazione è sicuramente molto suggestiva, ma rischia di aprire le porte alla legislazione statale esclusiva in materie di competenza concorrente o regionale, anche perché appare del tutto incerto il riferimento all’ “incolumità delle persone”. La stessa Corte pare essersi resa conto di tale problematica quando, nella successiva sentenza 300/2011, ha, per così dire, aggiustato il tiro affermando che «la semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale non vale di per sé a escludere la potestà legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale». La correzione di quest’ultima sentenza appare fondamentale, poiché riconduce (una volta per tutte?) la materia ex art. 117, comma 2, lett. b) Cost. alla prevenzione e repressione dei reati. Tale interpretazione, peraltro, si inquadra, a parere di chi scrive, in modo ragionevole con le disposizioni costituzionali ex art. 117 e 118 Cost. Infatti il Legislatore costituzionale ha sì inteso riservare alla legislazione esclusiva statale tutte le materie relative alla sicurezza in senso lato - si pensi all’immigrazione, alla sicurezza dello Stato, alla difesa (e quindi alle FF.AA.), all’ordinamento penale, ma ha anche attribuito alla legislazione concorrente materie che toccano interessi fondamentali dei cittadini, quali l’istruzione, la tutela della salute e del lavoro, la protezione civile. Affermare dunque che l’intervento legislativo statale sia lecito perché sono “in gioco” interessi fondamentali appare dunque non giustificato.

Non deve poi esser sottaciuto l’intervento del Legislatore ordinario, che ha seguito, in modo fedele, le indicazioni della Consulta nella definizione dei compiti regionali e locali in materia di sicurezza. Per quanto qui interessa, illuminante è la definizione ex art. 159, co 2, d.lgs. 112/1998, il quale letteralmente afferma che «le funzioni ed i compiti amministrativi relativi all’ordine pubblico e sicurezza pubblica […] concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni».

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Può quindi concludersi, alla luce della giurisprudenza costituzionale e della legislazione ordinaria, che l’espressione “ordine pubblico e sicurezza” deve essere considerata quale endiadi, nel senso che il Legislatore ha voluto esprimere, con due termini, un unico concetto: la prevenzione e la repressione dei reati - anche se il termine “ordine pubblico” è generalmente utilizzato, soprattutto in campo giornalistico, per riferirsi all’attività di tutela dell’ordinato svolgimento di manifestazioni pubbliche, in specie sportive e politiche.

Dall’espressione “ordine pubblico e sicurezza”, la Corte costituzionale ricava la fondamentale distinzione, richiamata da più Autori42, tra polizia amministrativa e polizia di sicurezza, chiarita la quale può finalmente introdursi quella di p.g..

2. La polizia amministrativa e la polizia di sicurezza

Cosa s’intende quindi con l’espressione “polizia amministrativa”? E cosa con quella “polizia di sicurezza”? Ancora una volta occorre richiamare pronunce della Corte costituzionale.

La Consulta, nella già citata sentenza 218/1988, ha prima ribadito le proprie conclusioni ex s. 77/1987, ovvero che «la ripartizione delle attribuzioni fra Stato e regioni compiuta dal dPR 616/1977 in relazione alle funzioni di polizia è fondata sulla distinzione tra le competenze attinenti alla pubblica sicurezza, le quali sono riservate in via esclusiva allo Stato [...] e le altre competenze enucleate dall’ampia categoria della polizia amministrativa e trasferite alle regioni come funzioni accessorie», poi ha precisato che le prime «riguardano le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico» - e quindi attengono alle attività di p.g. e di polizia di sicurezza (in senso stretto), mentre le seconde «concernono le attività di prevenzione o di repressione dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati alle persone o alle cose nello svolgimento di attività ricomprese nelle materie sulle quali si esercitano le competenze regionali (sanità, turismo, cave e torbiere, etc.), senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi tutelati in nome dell'ordine pubblico». La Corte si

42

Si vedano, in particolare, Paolo Tonini in Manuale di Procedura Penale Giuffrè Editore, 2012; Claudio Meoli, voce Ordine pubblico in Diritto online 2012, Enciclopedia Treccani;

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è però spinta oltre, enucleando gli strumenti ermeneutici che consentono di verificare se un determinato potere rientra nelle competenze di polizia amministrativa delegate alle regioni: in primo luogo, infatti, occorre accertare che le funzioni di polizia contestate nel giudizio costituzionale accedano ad una materia delegata alle regioni; successivamente, si deve verificare che gli interessi o i beni da tutelare non ricadano nell’ambito “ordine pubblico”. Risposto positivamente alla prima domanda, i Giudici affermano, e questo è il punto fondamentale, che la tutela degli «interessi primari sui quali, in base alla Costituzione e alle leggi ordinarie, si regge l’ordinata e civile convivenza dei consociati nella comunità nazionale [...] rappresenta il nucleo delle funzioni di polizia di pubblica sicurezza».

Nella successiva sentenza 115/1995 - già citata supra quale fondamento dell’intervento legislativo ex d.lgs. 112/1998, la Corte distingue in modo netto le funzioni di polizia di (pubblica) sicurezza da quelle di polizia amministrativa. I Giudici ribadiscono infatti che la prima riguarda «le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico», mentre la seconda attiene alle «misure preventive e repressive dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono derivare alle persone e alle cose nello svolgimento di attività riconducibili alle materie sulle quali vengono esercitate competenze statali e regionali», senza però che risulti pregiudicato l’ “ordine pubblico”.

La Consulta può dirsi quindi ferma nel delimitare le funzioni di polizia di sicurezza e quelle di polizia amministrativa alla luce dell’ “ordine pubblico”. Appare poi chiaro che i Giudici, almeno alla luce della sentenza 218/1988, intendono la polizia di sicurezza (in senso lato) quale insieme di due diverse “anime”: la p.g., tendente alla repressione del reato, e la polizia di sicurezza in senso stretto che invece mira alla prevenzione dei reati.

Per quanto riguarda la dottrina, le definizioni di polizia amministrativa e di sicurezza, nonché i loro rispettivi ambiti, appaiono decisamente più sfumate. La polizia amministrativa assume così, secondo alcuni43, un «carattere strumentale rispetto alle funzioni sostanziali di amministrazione attiva, finalizzate alla gestione dei servizi e allo sviluppo del benessere». D’altra parte, la polizia di

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sicurezza è definita quale «attività di prevenzione, tendente ad impedire il compimento di atti contrastanti con l’ordinamento giuridico (leggi, regolamenti e provvedimenti dell’autorità) oppure in grado comunque di infrangere l’ordinata e sicura convivenza civile (tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica)». Di diverso avviso alcuni processualpenalisti44 che considerano la polizia di sicurezza quale “specializzazione” della polizia amministrativa. In effetti, a loro parere, mentre la prima «si occupa dell’osservanza della legge e dei regolamenti amministrativi, in esecuzione delle funzioni proprie del potere esecutivo, la seconda ha come compito la tutela della collettività contro i pericoli e le turbative a interessi essenziali per la vita di una società civile quali sono l’ordine pubblico […] e la sicurezza delle persone».

3. La polizia giudiziaria

Abbiamo inquadrato la materia “p.g.” all’interno della Costituzione, individuando l’area dei diritti e dei principi fondamentali coinvolti e il riparto di competenze fra Stato e Regioni in materia di “ordine e sicurezza pubblica”. Abbiamo poi introdotto la differenza fra polizia di sicurezza, polizia amministrativa e p.g.. E’ quindi giunto il momento di approfondire proprio quest’ultimo argomento.

Tradizionalmente, l’espressione “polizia giudiziaria” è usata proprio in contrapposizione a quella di polizia di sicurezza, il cui significato e la cui portata abbiamo poc’anzi chiarito. La distinzione si basa, oltre a quanto già detto, sul dettato normativo dell’art. 55 del codice di procedura penale, il quale disciplina i compiti della p.g., sintetizzabili con la locuzione “repressione di un reato” e, appunto, contrapposti a quelli di “prevenzione dei reati” tipici, si è visto, della polizia di sicurezza (in senso stretto). Secondo quanto afferma un illustre autore45, la distinzione fra la funzione di p.s. e quella di p.g. ha «finalità prettamente garantistiche». In effetti, da una parte, ovvero quando svolge funzione di prevenzione dei reati, la polizia non dispone (salvo rare eccezioni46) di poteri

44 P. Tonini Manuale di procedura penale, XIII edizione, Giuffrè editore 45 Si veda la nota n. 44

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coercitivi, ovvero direttamente limitativi delle libertà fondamentali dei cittadini. Dall’altra invece, ovvero quando svolge funzione di p.g., la polizia può esercitare tali poteri, «con la garanzia del diritto di difesa e sotto il controllo del giudice» (in particolare del giudice per le indagini preliminari, g.i.p.) e la direzione del p.m..

Il Legislatore disciplina, in via generale47, la p.g. nel Titolo III, Libro I, Parte I del c.p.p. e nel Capo III, Titolo I delle Disposizioni di attuazione a tale codice. Come accennato, l’art. 55, rubricato «Funzioni della p.g.», definisce i compiti della p.g., individuando sei macro aeree d’intervento: prendere notizia dei reati, anche di propria iniziativa; impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori; ricercare gli autori dei reati; assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto sia necessario per applicare la legge penale; svolgere ogni indagine e attività disposta o delegata dall’Autorità giudiziaria. La p.g. svolge dunque attività informative, investigative e repressive che tendono ad assicurare alla giustizia gli autori del reato perché vengano processati e, in base alle prove raccolte dalla stessa p.g. e dal p.m., condannati - o, si badi bene, assolti.

Ai sensi del co. 3 del medesimo articolo, tali attività sono esercitate dal personale di p.g.. Il Legislatore, sul punto, si limita ad elencare48 i soggetti che rivestono tale qualifica, distinguendoli in ufficiali ed agenti. La distinzione rileva ai fini dei compiti attribuiti e della legittimazione processuale al compimento di determinati atti. Gli ufficiali di p.g. hanno infatti compiti di vigilanza e comando mentre gli agenti eseguono principalmente gli ordini e le direttive dei propri superiori. D’altra parte, e ciò dal punto di vista del procedimento penale, il c.p.p., mentre ammette che le funzioni di p.g. sono svolte indifferentemente da ufficiali e agenti, legittima in via generale soltanto i primi al compimento degli atti processuali. Per questi motivi, a meno che non sia altrimenti specificato, l’atto processuale può essere compiuto, su delega dell’a.g. ovvero di iniziativa, soltanto

della persona invitata a comparire e non presentatasi), 24 (scioglimento, con la forza, delle riunioni e degli assembramenti che pregiudicano l’ordine e la sicurezza pubblica), 41 (perquisizione e sequestro dei luoghi nei quali si sospetta siano detenute armi non denunciate).

47

Disposizioni di dettaglio sono poi previste nel: Decreto Legislativo 758/94, «Disciplina sanzionatoria in materia di lavoro»; Decreto Legislativo 274/2000, «Competenza penale del giudice di pace»; Legge 60/2001, «Nuove disposizione sul difensore d´ufficio»; Legge 18 ottobre 2001 n. 374, «Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale».

(31)

31

dagli ufficiali di p.g.49

In particolare, sono ufficiali di p.g.: «

a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla Polizia di Stato ai quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;

b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, degli agenti di custodia e del Corpo forestale dello Stato nonché gli altri appartenenti alle predette forze di polizia ai quali l'ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità;

c) il Sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della Polizia di Stato ovvero un comando dell'Arma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza.

Sono invece agenti di p.g.:

a) il personale della Polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;

b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e, nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in servizio. »

In sostanza, se si esclude il Sindaco, si può dire che tutto il personale con qualifica di ufficiale o agente di p.g. appartiene alle forze di polizia.

E allora potrebbe sorgere spontanea una domanda: se, come abbiamo visto, la funzione di polizia di sicurezza deve tenersi concettualmente distinta da quella di p.g., com’è possibile che i soggetti che svolgono, all’evidenza, la prima, esercitino anche la seconda? Insomma, ci si potrebbe chiedere: le forze di polizia cumulano le due funzioni? Ogni ufficiale di p.g. è anche ufficiale di p.s. e viceversa?

Per rispondere a questi interrogativi, occorre approfondire la l’organizzazione delle forze di polizia nel nostro Paese.

4. L’organizzazione delle forze di polizia in Italia

Per comprendere l’assetto organizzativo delle forze di polizia in Italia, sembra opportuno partire dall’analisi della legge 121/1981, rubricata «Nuovo

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