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1. Dall’Unità d’Italia all’avvento del Fascismo

1.2. Dopo il c.p.p del 1865

Negli anni successivi all’approvazione del codice di procedura, il dibattito

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politico si concentrò infatti sulla necessità di garantire una maggiore indipendenza dei magistrati, soprattutto giudicanti, dal potere politico. In particolare, il r.d. 4 gennaio n. 5230 del 1880, ad opera del Guardasigilli Villa, istituì, presso il Ministero della Giustizia, una commissione consultiva, che aveva il compito di formulare pareri non vincolanti sulle nomine, le promozioni e i trasferimenti di tutti i magistrati giudicanti, e, dal 1890, requirenti.

Nel 1890 poi, con la riforma Zanardelli, le carriere dei giudici e dei p.m. furono unificate e proclamate «uguali e promiscue» in merito al trattamento economico e normativo e alle promozioni, tanto che tutti i componenti dell’ordine giudiziario, giudici e p.m., venivano così inquadrati in sette gradi.131

Nel 1907, la c.d. legge Orlando132 istituì il Consiglio Superiore della Magistratura (d’ora in poi, C.S.M.) presso il Ministero della Giustizia e i Consigli giudiziari presso i Tribunali e le Corti d’Appello. Il C.S.M. era composto da due membri di diritto e diciotto membri elettivi. I primi erano il primo Presidente della Corte di Cassazione di Roma, che aveva la presidenza, e il Procuratore generale preso la stessa Corte. Fra i secondi, sei consiglieri di Cassazione e tre sostituti Procuratori erano designati dalle cinque Corti di Cassazione del Regno e nominati dal Ministro, mentre altri nove magistrati erano nominati, con decreto reale, su proposta del Ministro e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. L’istituzione del C.S.M. non rappresentava, in ogni caso, l’avvenuta indipendenza dei giudici dal potere esecutivo, tanto che il Ministro Orlando, nel discorso d’inaugurazione del Consiglio, parlò sempre della Magistratura quale «principalissimo tra i servizi pubblici». D’altra parte, come ricordato da autorevoli autori, «gli organi dell’autogestione erano pur sempre ministeriali e legittimati ad esprimere [...] meri pareri, dai quali il Guardasigilli, titolare delle decisioni finali, ben poteva discostarsi ed adottare soluzioni difformi»133. Pochi anni dopo, fra l’altro, con l’approvazione della l. 1311 del 1912, promossa dal Ministro

131 I, uditori; II, pretori; III, giudici di Tribunale e sostituti Procuratori del Re; IV, presidenti di

Tribunale e Procuratori del Re, consiglieri e sostituti Procuratori generali presso le Corti d’Appello; V, consiglieri e sostituti Procuratori generali presso le Corti di Cassazione, presidente di sezione e avvocati generali presso le Corti d’Appello; VI, primi presidenti e Procuratori generali di Corte d’Appello, presidente di Sezione e avvocati generali presso le Corti di Cassazione; VII, primi presidenti e Procuratori generali presso le Corti di Cassazione.

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Legge 511 del 1907, così chiamata per il nome dell’allora Ministro della Giustizia

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Finocchiaro Aprile, fu abolita l’elezione dei membri togati da parte delle cinque Corti e sostituita con una nomina regia, su proposta del Guardasigilli.

1.3. Il codice di procedura penale del 1913

Per quanto riguarda la disciplina processual - penalistica, furono numerose, già negli anni immediatamente successivi al 1865, le proposte di modifica e gli interventi correttivi. Dopo l’approvazione, nel 1889, del nuovo codice penale (c.d. Codice Zanardelli), diventò impellente, a livello dottrinale e politico, la necessità di una riscrittura del codice di procedura, tanto che furono nominate diverse commissioni e venne redatto un primo testo. Le vicissitudini politiche del Regno non permisero tuttavia l’approvazione del testo fino al 1913 quando, durante il quarto governo Giolitti, il Ministro Finocchiaro Aprile riuscì134 a far approvare il nuovo codice di procedura penale del Regno (regio decreto n. 127 del 27 febbraio 1913), il cui «pregio principale consiste(va)», secondo un illustre commentatore135 dell’epoca, «in una più logica e metodica disposizione delle norme».

L’analisi del codice, alla luce della disciplina organizzativa della Magistratura così come descritta supra, consente di comprendere l’assetto dei rapporti fra p.m. e p.g.136 prima dell’avvento del Fascismo.

Nel codice era delineato un processo «a parte unica»137 dove il p.m., considerato portatore non di un interesse proprio ma pubblico, era titolare di poteri d’istruzione, se pur sommaria, e coercitivi - al pari del giudice istruttore. Il Procuratore del Re, che promuoveva ed esercitava l’azione penale (art. 179), poteva infatti richiedere l’istruzione formale, ovvero procedere, dopo istruzione sommaria, per citazione diretta o direttissima. In questo senso, al codice è addebitabile la colpa di aver avviato «l’assimilazione fra le funzioni processuali del p.m. e del giudice»138 portata avanti dal Fascismo con la codificazione del

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Secondo parte della dottrina [P. Tonini, Polizia giudiziaria e magistratura, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 1979], il codice è stato «il frutto di un colpo di mano del Governo» perché quest’ultimo, abusando dei poteri di delega, ha “fatto e disfatto” [L. Lucchini, Elementi di

procedura penale, 5 ed., Firenze, 1921, 58] il testo del progetto approvato del Parlamento

135 E. Ferri, Il nuovo codice di procedura penale. Prime impressioni, Milano 1914, p. 2 136

Si veda, a tal proposito, anche G.Milia, Manuale di p.g. secondo le nuove disposizioni del Codice di procedura penale, Ghidoni, 1913

137 V. Manzini, Manuale di procedura penale italiana, Torino, 1912, 14 138 P. Tonini, ibidem

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1930, anche se, come si vedrà infra, numerosi sono stati anche i passi in avanti rispetto al 1865. Fra l’altro, l’art. 182 attribuiva al Procuratore generale, nei confronti del Procuratore del Re, il potere di avocazione dell’istruzione (art. 182): in questo modo, il Governo, anche grazie alla l. 438 del 1908 che aveva esteso ai Procuratori generali le norme sui Prefetti, esercitava, di fatto, il controllo sul Procuratore generale e, attraverso l’art. 182, sul Procuratore del Re.

Per quanto invece attiene alla p.g., è interessante ricordare che, nel corso dei lavori preparatori al codice, la dottrina si divise sull’opportunità di «conservare agli ufficiali di pubblica sicurezza l’esercizio delle funzioni di p.g.»139

. Alcuni ritenevano infatti che fosse necessario istituire due diversi corpi: uno di polizia amministrativa e uno di p.g. sul principio che, in caso di commissione di un reato, la prima aveva fallito il proprio compito e quindi non era opportuno affidarle anche quello di reprimerlo140. Altri141 pensavano invece che tale proposito fosse del tutto impraticabile. In sede di redazione del progetto, la prima ipotesi venne scartata e, per questo, si procedette rafforzando il controllo della Magistratura sull’esercizio delle funzioni di p.g. Le commissioni ministeriali e lo stesso Parlamento, a tal proposito, chiesero che anche il Questore fosse inserito tra gli ufficiali di p.g., in modo tale che venisse anch’egli sottoposto al controllo disciplinare da parte del Procuratore. Il Governo, nel redigere l’elenco dei soggetti aventi qualifica di p.g., escluse invece il Questore, disattendendo così i voti del Parlamento.

In merito a tale elenco, è importante osservare un aumento142 dei soggetti aventi qualifica di p.g., la loro suddivisione in ufficiali e agenti e la presenza di una norma di chiusura con la quale si attribuiva tale qualifica anche a «tutte le altre persone incaricate di ricercare ed accertare determinate specie di reati», pur con la garanzia della riserva di legge e il limite del servizio e delle attribuzioni. Nel codice fascista del 1930, come si vedrà, questi limiti vennero meno.

Rispetto al codice del 1865, dato che il Pretore non era inserito nell’elenco dei soggetti aventi qualifica di p.g., non si riscontrava più una «commistione fra atti di

139 P. Tonini, ibidem 140

U. Conti, Della p.g., in Giust. pen., 1900, 138

141 E. Presutti, Polizia di pubblica sicurezza e polizia amministrativa, in Arch. giur., 1900, 124 142 Non solo l’Arma dei Carabinieri e la Polizia, ma anche la G.d.F., le guardie forestali, le guardie

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p.g. e atti di istruzione»143. Il potere di compimento delle prime indagini, prima spettante al Pretore, venne infatti trasferito al p.m. e, contestualmente, fu introdotta la fase procedimentale delle c.d. “investigazioni preliminari”. Tale operazione, tuttavia, oltre ad appesantire il procedimento, rimase incompleta perché al Pretore, nei luoghi ove non era presente il Procuratore del Re, era conferito il compito di condurre «atti urgenti di accertamento ed assicurazione delle prove», arrestare l’imputato al di fuori della flagranza ed interrogarlo.

Il codice aumentò anche il numero degli atti che la p.g. poteva compiere di propria iniziativa, autorizzandola a procedere ad interrogatorio, sommarie informazioni testimoniali, atti di ricognizione, ispezione e confronto non solo in caso di flagranza, ma anche ove vi fosse l’«urgenza di raccogliere le prove del reato o di conservarne le tracce». Quest’ultima previsione, fra l’altro, è stata il frutto di un lungo dibattito in Parlamento, dato che, in sede di redazione del progetto, si prevedeva, all’opposto, il divieto per la polizia di procedere a tali atti - in un ottica di compromesso fra Esecutivo e Magistratura: il primo avrebbe mantenuto il controllo sulla polizia, la seconda avrebbe ottenuto lo svuotamento delle funzioni processuali di quest’ultima all’interno del processo.

In ultimo, e per quanto attiene ai rapporti fra p.g. e p.m., è opportuno distinguere, come suggerito da illustre dottrina144, fra norme di tipo gerarchico e norme processuali.

Fra queste ultime, si ricordano quelle secondo cui il Procuratore del Re godeva di un potere di sostituzione nei confronti della p.g. (art. 180: «può procedere ad atti di p.g. direttamente [...] ovvero per mezzo degli ufficiali di p.g.»); poteva delegare alla p.g. il compimento di singoli atti durante le “investigazioni preliminari” e l’istruzione sommaria; al Procuratore, poi, la p.g. era tenuta a trasmettere, entro 24 ore, gli atti compilati e le cose sequestrate (art. 173). Fra le norme di tipo gerarchico si ricorda invece la disposizione ex art. 163 secondo la quale la p.g. esercitava le proprie funzioni sotto la direzione e dipendenza degli uffici del p.m. (Procuratore del Re e Procuratore generale). Tuttavia, secondo una riserva inserita dal Governo in sede di (abuso di) delega, al p.m. poteva essere

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P. Tonini, ibidem

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opposto il rapporto di dipendenza - se stabilito da legge o regolamento speciale - del personale di p.g. dal corpo di appartenenza.

Dal punto di vista disciplinare il codice rappresentò invece un indubbio passo in avanti rispetto al 1865. Se, infatti, col codice ottocentesco, il potere disciplinare era riservato al Ministro del corpo di appartenenza su relazione del Procuratore generale, nel 1913 tale potere passò alla sezione d’accusa. Tale organo, composto da cinque membri di cui tre votanti, era istituito presso ogni Corte d’Appello col compito, fra gli altri, di esercitare il potere disciplinare - censura o pagamento di una somma di lire cinquanta - nei confronti degli appartenenti alla p.g. in caso di trasgressione delle disposizioni di legge, su richiesta del Procuratore generale.

Il codice, «accettabile in periodi ordinari al di fuori di profonde crisi politiche», avrebbe consentito, come il predecessore, una «lenta evoluzione in senso garantistico». Tuttavia, la violenta crisi istituzionale nel dopoguerra ne evidenziò gli aspetti più negativi – quali il potere di avocazione del Procuratore generale - tanto che il Governo finì per usare la p.g. per «filtrare il materiale da passare ai giudici».