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5. Le qualifiche del personale delle forze di polizia

5.1. La qualifica di pubblico ufficiale

5.1.2 Gli illeciti del p.u

Si procede di seguito all’analisi degli illeciti propri del p.u. perché questi si estendono anche al personale con qualifica di ufficiale o agente di p.g. e quindi il loro studio appare necessario per un avere un quadro completo della p.g.

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Gli illeciti possono essere penali, civili, contabili e disciplinari, anche se l’analisi è qui limitata agli illeciti penali perché, da un lato, non v’è una disciplina specifica per quanto attiene all’illecito civile (e quindi il p.u. risponde ex art. 2043 c.c.) e, dall’altro, perché sembra opportuno rinviare infra l’analisi di quelli contabili e disciplinari.

Occorre, innanzitutto, ricordare alcune fondamentali disposizioni costituzionali (in particolare, gli artt. 28, 97 e 98) che agiscono da filo conduttore nella lettura e nell’interpretazione delle ipotesi di reato di cui infra. E’ tuttavia fondamentale tenere a mente che tali disposizioni si riferiscono ai funzionari pubblici e all’organizzazione della p.a. e quindi non possono essere arbitrariamente estese al p.u. in quanto, da un lato, non tutti i p.u. sono funzionari pubblici (si pensi all’avvocato o al notaio) e, dall’altro, non tutti i funzionari pubblici sono p.u. L’art. 28 disciplina il c.d. principio di responsabilità dei dipendenti e dei funzionari dello Stato, affermando che essi rispondono direttamente, dal punto di vista civile, penale e amministrativo, «degli atti compiuti in violazione dei diritti»86 e che la responsabilità civile, in tali casi, si estende allo Stato e agli enti pubblici (si tratta di un ipotesi di responsabilità in solido). Gli articoli 97 e 98 invece disciplinano l’assetto costituzionale della Pubblica Amministrazione. In particolare, l’art. 97 stabilisce che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge» e si informano a principi di buon andamento e imparzialità, mentre l’art. 98 afferma che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione».

Fra gli illeciti penali, l’attenzione deve focalizzarsi sui «delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione» disciplinati dall’articolo 314 e ss. del Capo I, Titolo II, Libro II del codice penale. Si tratta, in particolare, dei reati propri di peculato (art. 314 e ss.), concussione (art. 317 e ss.), corruzione (art. 318 e ss.), abuso d’ufficio (art. 323 e ss.), rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326), omissione d’atti d’ufficio (art. 328) e rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica (art.

86 Per quanto attiene alle ipotesi di risarcibilità, la Corte di Cassazione, con l’importantissima

sentenza 500 del 1999, ha inteso il termine “diritti” in senso lato e quindi vi ha ricompreso anche gli interessi legittimi.

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329)87.

Il peculato è un reato plurioffensivo88 che tutela la legalità, il patrimonio, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione. Esso si configura come l’indebita appropriazione di denaro o altra cosa mobile altrui che si trova, al momento della consumazione del reato (o del tentativo di consumazione), nella disponibilità del p.u. (o incaricato di pubblico servizio) in ragione del suo ufficio (o servizio). Se il p.u. ha agito con artifizi o raggiri per procurarsi il possesso del bene, la giurisprudenza89 considera integrato il reato di truffa aggravata. Esempio di peculato, nell’ambito della p.g., è quello dell’ufficiale che si appropria, per farne un uso personale, di attrezzature di proprietà dello Stato che egli ha in dotazione nell’esercizio delle sue funzioni (armi, munizioni, capi di vestiario, telefono cellulare) oppure sottrae oggetti sottoposti a confisca o sequestro (droga, armi, munizioni, denaro).

Dal 2012, la concussione, che rappresenta quasi un unicum nel panorama del diritto penale a livello europeo ed internazionale90, è un reato proprio del solo p.u. La legge 190 del 2012, oltre ad elevare la pena massima da 10 a 12 anni di reclusione, ha scisso la disciplina delle due originarie condotte del reato: la costrizione, regolata dall’art. 317, e l’induzione, attualmente disciplinata dall’art. 319 quater. In quest’ultima ipotesi poi, ed è questa l’innovazione più significativa, la legge prevede che una pena fino a 3 anni di reclusione anche per il privato (ovvero per «colui che da o promette denaro o altra utilità»). La fattispecie incriminatrice prevede quindi l’ipotesi del p.u. (e incaricato di pubblico servizio, nel solo caso dell’induzione) che, «abusando della sua qualità» (abuso soggettivo) «o dei suoi poteri» (abuso oggettivo), da un lato «costringe», dall’altro «induce», «taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità». Per distinguere le due modalità di integrazione dei reati, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in una recentissima sentenza91, hanno sostenuto che, pur essendo entrambe delle forme di pressione che incidono sul processo volitivo,

87 Fra i reati qui non analizzati si ricordano: l’interruzione di pubblico servizio ex art. 340 e la

falsità (materiale ed ideologica) in atti ex art. 476 e ss. c.p.

88 Si veda Cass. 24 agosto 1993, n. 8009 89

Si veda Cass. 4 giugno 1997, n. 6753

90 In molti ordinamenti europei e non, il reato assimilabile alla concussione è infatti rappresentato

dall’estorsione aggravata.

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«la costrizione presuppone una maggiore carica intimidatoria, una più perentoria iniziativa del funzionario pubblico finalizzata alla coartazione dell’altrui volontà, sì da porre l’interlocutore davanti ad un aut-aut» (è il c.d. voluit quia coactus), mentre «l’induzione designa una più sfumata azione di pressione dell’agente pubblico sull’altrui volontà e si concretizza, oltre che nell’inganno, in forme di suggestione e persuasione, ovvero di più blanda pressione morale, sì da lasciare al destinatario una maggiore libertà di autodeterminazione» (si tratta del c.d. coactus

tamen voluit). Rappresenta un’ipotesi concussione quella dell’ufficiale o agente di

p.g. che si presenta in divisa affermando di essere il comandante di una tenenza della Guardia di Finanza, «sottolineando con ciò i propri poteri discrezionali in ordine al controllo fiscale, e così inducendo alcuni commercianti alla consegna gratuita» di alcuni beni92.

La corruzione, disciplinata dall’art. 318 e ss., è un reato proprio del p.u.93

e dell’incaricato di pubblico servizio (anche se, in quest’ultimo caso, le pene, ai sensi dell’art. 320, sono ridotte di non meno di un terzo). La fattispecie, pur accomunata dal soggetto attivo e dal fatto che questi agisce per ottenere denaro o altra utilità, si differenzia in propria (art. 319) ed impropria (art. 318). La prima si verifica quando il p.u., per compiere l’attività corrotta, deve porre in essere atti contrari ai doveri d’ufficio. La seconda invece si integra quando il p.u., per compiere tale attività, esegue atti conformi ai doveri d’ufficio, ovvero agisce «nell’esercizio delle sue funzioni»94

. Rispetto alla concussione, come chiarito dalla giurisprudenza95, la corruzione propria è caratterizzata dal fatto che, in questo caso, il privato non si trova «in uno stato di soggezione nei confronti del funzionario» (si tratta del c.d. metus publicae potestatis). La Cassazione, nella importante s. 1170 del 2001, ha infatti affermato che «il criterio per distinguere la concussione dalla corruzione propria è quello del rapporto tra le volontà dei soggetti». In particolare, continua la Suprema Corte, tale rapporto, nella

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Si veda, a tal proposito, la s. Cass. Pen. Sez. VI 24 gennaio 2001

93 In particolare,il Tribunale di Perugia (9 gennaio 2002) ha chiarito che, perché si integri il reato,

il soggetto deve essere in servizio attivo e non in pensione o comunque sospeso. Non è tuttavia necessario che egli, in quel momento, sia in effettivo servizio.

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Qualora poi i fatti ex artt. 318 e 319 siano commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, è integrata la fattispecie della corruzione in atti giudiziari prevista dall’art. 319 ter

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corruzione, è «paritario e implica la libera convergenza» delle volontà «verso un comune obiettivo illecito ai danni della p.a.» Nella concussione invece il funzionario «esprime una volontà costrittiva o induttiva che condiziona il libero esplicarsi di quella del privato, il quale, per evitare maggiori pregiudizi, deve sottostare alle ingiuste pretese del primo». Un esempio96 di corruzione propria è quello commesso dagli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza che, a seguito di un «accordo illecito negoziato per far sfuggire una società commerciale ai controlli contabili», eseguono una “verifica” superficiale e affrettata, «contravvenendo al dovere di ufficio di accertare, in modo rigoroso ed imparziale, la situazione contabile della società esaminata». E’ bene ricordare che rappresenta un’autonoma fattispecie di reato, definita ex art. 322 dal Legislatore “istigazione alla corruzione”, la condotta di colui che offre denaro o altra utilità al p.u. (o incaricato di pubblico servizio) al fine di indurlo a compiere, omettere o ritardare un atto del suo ufficio. Si pensi al soggetto che, tratto in arresto, offra del denaro all’agente di p.g. perché lo liberi.

Il reato di abuso d’ufficio, disciplinato dall’art. 323, si configura come l’attività del p.u. (o dell’incaricato di pubblico servizio) che, nell’esercizio del suo ufficio (o servizio), «intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto». Occorre inoltre che il p.u. (o l’incaricato di pubblico servizio) agisca in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero che non si astenga in presenza di un proprio interesse, di quello di un proprio congiunto o nei casi prescritti dalla legge (si tratta del c.d. “conflitto di interessi”). Recente l’esempio97

di un caso di abuso d’ufficio compiuto da un appartenente alla Polizia di Stato che, utilizzando il fax in dotazione al proprio ufficio «col pretesto di effettuare accertamenti», ha richiesto all’Automobile Club d’Italia informazioni sulle auto di lusso immatricolate in una data provincia al fine di favorire la moglie, procacciatrice d’affari presso un’agenzia d’assicurazioni.

Il reato di rivelazione di segreti d’ufficio, previsto dall’art. 326, tutela il buon andamento della p.a. con specifico riferimento al pregiudizio che ad essa può

96 Si veda, in proposito, la s. Cass. Pen. Sez. VI n. 22638 del 2001 97 Si veda la s. Cass. Pen. Sez. VI n 20094 del 2011

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derivare dalla rivelazione di un segreto d’ufficio. In particolare, si tratta dell’attività del p.u. (o dell’incaricato di pubblico servizio) che, «violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio o comunque abusando della sua qualità», rivela notizie d’ufficio che dovevano rimanere segrete, ovvero ne agevola la conoscenza. Si pensi, in questo senso, al caso dell’agente della Polizia stradale che riveli ai propri amici le date e i luoghi nei quali saranno effettuati posti di blocco. L’art. 326, tra l’altro, punisce anche la condotta del p.u. che, «al fine di procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio», si avvalga illegittimamente di notizie che devono rimanere segrete. Si ipotizzi il caso dell’agente di Polizia che, conosciuto il luogo dove un importante rapinatore ha nascosto i proventi della propria attività, lo comunichi ad un conoscente perché questi se ne impossessi.

Il rifiuto (o l’omissione) d’atti d’ufficio è un reato, previsto dall’art. 328, che punisce la condotta del p.u. (o dell’incaricato di pubblico servizio) il quale indebitamente rifiuti di compiere un atto del suo ufficio (ovvero ometta di compierlo entro trenta giorni dalla richiesta scritta98 del privato). Nel primo caso, è necessario, perché sia integrata la fattispecie, che l’atto venga compiuto senza ritardo per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene o sanità. E’ doveroso sottolineare come parte della giurisprudenza99

ritenga che «l’errore, ancorché colpevole, sulla legge extrapenale da cui discende il dovere violato determina un errore sul fatto che esclude il dolo» e quindi non sussiste responsabilità. Non si può nascondere che questa e altre affermazioni, come quella della necessità della diffida scritta e della notifica al p.u.100, sebbene aventi una propria logica e una propria base giuridica, non fanno altro che indebolire la fattispecie incriminatrice, avvilendo la fiducia dei cittadini nella giustizia e nella p.a.

L’art. 329 disciplina invece il reato, proprio del militare o dell’agente della forza pubblica, di rifiuto o ritardo di obbedienza ad una richiesta dell’Autorità competente. La Cassazione, in una importante pronuncia del 5 dicembre 1986, ha

98 Secondo quanto affermato dalla giurisprudenza (si veda, ad esempio, Tribunale di Pescara 22

aprile 2002), tale richiesta deve avere la «forma di una espressa diffida ad adempiere e deve essere formalmente notificata al pubblico ufficiale tenuto a provvedere sulla stessa». La Cassazione ha poi ribadito, con la s. n. 41645 del 2001, che non sono sufficienti richieste generiche e reiterate. Peraltro, la risposta del p.u. può avvenire anche oralmente.

99 Si veda la s. Corte d’Appello di Cagliari 3 maggio 2001 100 Si veda la nota n. 61

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chiarito numerosi aspetti della disposizione in esame, affermando che la richiesta può provenire da una Autorità militare o civile sovra ordinata gerarchicamente o meno (si pensi ai giudici ex art. 220 c.p.p.) e che i destinatari del precetto penale sono sia i militari delle Forze Armate dello Stato sia gli agenti della forza pubblica, ovvero gli appartenenti dei corpi civili preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e investiti di poteri coercitivi (si pensi alla Polizia di Stato, al Corpo di polizia penitenziaria e al Corpo forestale dello Stato).