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Il dibattito in seno alla II Sezione della II Sottocommissione

3. Breve premessa sul dibattito in Assemblea Costituente

3.1. Il dibattito in seno alla II Sezione della II Sottocommissione

Delineato dunque il quadro storico, è ora necessario soffermarsi sul dibattito in seno alla II Sezione della II Sottocommissione che aveva l’incarico di delineare l’assetto istituzionale della Magistratura. In particolare, in seno alla II Sezione, furono presentate tre diverse relazioni sul potere giudiziario con relatori, rispettivamente, l’on. Calamandrei (autonomista), l’on. Leone (D.C.) e l’on. Patricolo (Unione nazionale delle forze liberali e democratiche).

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Nella relazione dell’on. Calamandrei si affermava167

“semplicemente” che «la polizia giudiziaria, che ha per compito la prevenzione, l'accertamento e la repressione dei reati, è posta alla dipendenza esclusiva e diretta dell'autorità giudiziaria».

Nell’introduzione alla propria relazione, l’on. Leone aderiva ad una visione del p.m. quale organo del potere esecutivo, posto sotto la vigilanza e la direzione del Ministro della Giustizia. Al p.m. si sarebbe così potuto attribuire, fra gli altri, il potere di «capo della polizia, non solo giudiziaria; ma in genere di tutta la polizia», in modo tale da «predisporre una direttiva imparziale della polizia, impersonata in un magistrato». L’art. 10 stabiliva poi che la polizia era posta «sotto la direzione del p.m.». Nella seduta di giovedì 5 dicembre del 1946, l’on. Leone, nel descrivere la propria relazione dopo l’esposizione dell’on. Calamandrei, dissentì con quest’ultimo proprio sulla configurazione del p.m. che, a suo parere, rappresentava «lo Stato nel suo diritto soggettivo di punire, con poteri che sono talvolta superiori a quelli dello stesso giudice», tanto che era difficile «precisarne la natura» perché, se si consideravano le funzioni giudiziarie, il p.m. appariva come un organo del potere giudiziario, ma, se si faceva riferimento ai «suoi poteri concernenti l’iniziativa nel processo penale e la direzione della p.g.», sembrava un organo dell’Esecutivo. Per questi motivo, era necessario «creare un maggiore e più diretto contatto fra il pubblico ministero e la polizia», che doveva essere «alle sue dirette dipendenze, agli effetti delle indagini che egli deve promuovere».

La relazione dell’on. Patricolo si ispirava invece a principi d’indipendenza ed autonomia del potere giudiziario tanto da prevedere la riunione di tutti gli organi giurisdizionali dello Stato nella Magistratura e la «soppressione del Ministero politico della giustizia», le cui funzioni sarebbero state così assorbite «dai competenti organi del potere giudiziario». All’art. 1, si stabiliva dunque che il potere giudiziario era «indipendente da ogni altro potere dello Stato», mentre, all’art. 2, si affermava che erano organi di tale potere la magistratura requirente e giudicante, la p.g. e l’amministrazione degli istituti di prevenzione e pena.

Nella seduta di venerdì 10 gennaio, la II Sezione discusse del p.m. e, quindi,

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anche del rapporto fra quest’ultimo e la p.g.. Dopo un breve dibattito, venne approvato, se pur con modifiche, l’art. 8 del progetto dell’on. Calamandrei secondo il quale «l’azione penale è pubblica, e il Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformità alla legge, senza potere in nessun caso sospenderne o ritardarne l’esercizio», venendo così sancito il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Seguì la discussione sulla figura del p.m., soprattutto per quanto atteneva al suo collocamento all’interno dell’assetto istituzionale. L’on. Leone, come chiarito supra, ribadì che il p.m., nel sistema da lui creato, era un organo del potere esecutivo cui erano sottratte tutte le funzioni giurisdizionali e che, pur non avendo egli espressamente affermato che il p.m. doveva porsi in rapporto gerarchico col Ministro, tale rapporto si poteva tuttavia ricavare dall’insieme delle norme. L’on. Calamandrei mise in luce le contraddizioni derivanti dal voler conciliare il principio di legalità con la dipendenza gerarchica dal Ministro, dalla quale derivava l’obbligo, per il p.m., di uniformarsi all’ordine ricevuto. Poteva infatti accadere che l’ordine era di non procedere, «mentre egli, per legge, è tenuto a procedere. E allora gli si presenta il dilemma: o non procedere perché il Ministro così gli ordina, e viola la legge; o si attiene al principio di legalità, non uniformandosi all’ordine del Ministro, e allora infrange il rapporto gerarchico di dipendenza dal Ministro». Per questi motivi non si poteva considerare il p.m. sottoposto al principio di legalità e, al pari, dichiarare la sua dipendenza dal Ministro. Delle due, l’una. Secondo gli onn. Targetti, Ambrosini e Mannironi, la Costituzione non avrebbe neppure dovuto occuparsi della materia, anche per ragioni di opportunità. L’on. Leone, intervenendo in risposta, ribadì invece che fosse più che mai opportuno trattare di alcuni istituti relativi al p.m.: se non si voleva discutere della dipendenza del p.m., era comunque necessario «ricondurre decisamente la p.g. alle dipendenze del P.m.», perché «questa dipendenza già esiste, ma non funziona». Sembrava quindi assolutamente opportuno inserirla in Costituzione, anche perché il Legislatore avrebbe potuto inserire norme «più attuabili ed energiche» che avrebbero evitato «il ripetersi di inconvenienti segnalati da più parti». In particolare, l’on. Leone richiamò una situazione di «pieno regime di arbitrio assoluto», nella quale la polizia agiva violando l’obbligo di sottoporre determinati provvedimenti alla

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previa deliberazione del p.m. Per questi motivi, appariva necessario «porre direttamente alle dipendenze del Pubblico ministero la polizia giudiziaria, affinché [...] sia soddisfatta, da una parte l’esigenza della legalità e dell’onestà dell’indagine giudiziaria, e, dall’altra, l’esigenza della tecnicità dell’indagine». Il pensiero dell’on. Leone sembrava motivato da due diverse necessità: la prima era quella di evitare che la polizia agisse “di testa propria”, paralizzando o compromettendo il giusto svolgimento delle indagini o dell’acquisizione delle prove; la seconda era invece quella di garantire la presenza di un soggetto “tecnico” durante la fase delle indagini.

L’on. Uberti, in merito ai rapporti fra p.g. e p.m. e alle problematiche sollevate dall’on. Leone, affermò che «tale stato di cose presenta tanti inconvenienti che non possono essere tollerati in uno stato di diritto». L’on. Ambrosini, da parte sua, riteneva che non fosse opportuno trattare, in Costituzione, dei rapporti fra p.g. e p.m., ritenendo che tale materia dovesse essere disciplinata in una legge organica fondamentale. La discussione, tuttavia, continuò sul problema della natura dell’organo del p.m. (esecutivo o giudiziario) e sulla sua “dipendenza” (dal Ministro o dal C.S.M.), soprattutto in seguito alla mancata approvazione della pregiudiziale circa il fatto che non si dovesse parlare delle attribuzioni del p.m. e dei rapporti col Ministro. L’on. Leone presentò quindi la proposta secondo la quale il p.m. dipendeva dal Ministro della Giustizia e che la polizia era sotto la sua direzione. Dato che la prima parte della proposta non fu approvata, venne messa in votazione quella dell’on. Cappi secondo la quale il p.m. godeva «di tutte le garanzie dei magistrati» e veniva «sottoposto alla vigilanza del Ministro della Giustizia», della quale la Sezione approvò soltanto la prima parte.

La seduta antimeridiana del 10 si concluse, alle 12.45, senza alcun pronunciamento della II Sezione sulla questione della p.g., che venne invece affrontata nel pomeriggio, quando il Presidente, on. Conti, mise ai voti i supra citati artt. 25 del Progetto Calamandrei e 10 del Progetto Leone: il primo, si ricorda, stabiliva che «la polizia giudiziaria, che ha per compito la prevenzione, l’accertamento e la repressione dei reati, è posta alla dipendenza esclusiva e diretta dell’autorità giudiziaria», mentre il secondo affermava, più semplicemente, che «la polizia è sotto la direzione del p.m.». L’on. Targetti si dichiarò contrario

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ad entrambe le proposte, perché collegate a quella sul p.m. Secondo l’avvocato, infatti, se si fosse considerato il p.m. organo dell’Esecutivo, la polizia sarebbe stata necessariamente alle sue dipendenze; se, viceversa, si fosse sostenuto che egli era un rappresentante dell’ordine giudiziario, non si sarebbe potuto affidare ad un magistrato la disponibilità della polizia, sottraendola così all’Esecutivo. L’on. Mannironi, d’altra parte, ricordò che i magistrati avevano più volte espresso il desiderio che «una sezione speciale della polizia» venisse posta «alle dirette dipendenze della Magistratura ai fini inquirenti». Il Presidente ritenne che, sul punto, potesse intervenire anche una legge ordinaria. L’on. Bozzi dissentì col quest’ultimo, sostenendo che il problema, «profondamente sentito», «difficilmente» sarebbe stato risolto con legge ordinaria. Per questi motivi, sostenne la necessità di inserire il principio in Costituzione, anche al fine di fornire ai p.m. lo strumento per compiere con sollecitudine le indagini.

A seguito delle osservazioni dell’on. Targetti, che riteneva più opportuno parlare genericamente di “autorità giudiziaria”, e dell’on. Laconi, il quale invece osservava che la locuzione “alla dipendenza” poteva far sembrare che la polizia dipendesse sotto ogni punto di vista dall’a.g., venne proposta la formula «la polizia giudiziaria è sotto la direzione dell’autorità giudiziaria». Dopo l’intervento dell’on. Uberti, che riteneva più opportuno, «anche al fine di non moltiplicare i comandi», che la polizia fosse alle dipendenze del Questore, ma che comunque dovesse eseguire gli ordini dell’a.g., fu accolta l’indicazione dell’on. Cappi secondo la quale il magistrato doveva avere «la possibilità pratica di ordinare determinate indagini al commissario di pubblica sicurezza».

L’articolo, approvato dalla II Sezione della II Sottocommissione, prevedeva dunque che «l’Autorità giudiziaria può disporre direttamente dell’opera della p.g.». L’11 gennaio del 1947, quando il Presidente della II Sezione, on. Conti, propose di coordinare il testo di tutti gli articoli approvati dalla Sezione, l’art. di cui supra non venne modificato, diventando il n. 12. Nel testo del Progetto definitivo di Costituzione elaborato dalla Commissione, l’articolo in esame non subì modifiche, divenendo il n. 100.