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Il sistema monistico: un modello di razionalizzazione dei controlli interni delle società azionarie?

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UNIVERSITÀ Dl PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea in “Corporate Governance: profili giuridici”

Il sistema monistico: un modello di razionalizzazione dei

controlli interni delle società azionarie?

RELATORE

CANDIDATO Arianna D'AMICO 535602

ANNO ACCADEMICO 2016-17 Prof.

(2)

1

Indice

Introduzione

C

APITOLO

I

I modelli di amministrazione della società per azioni come sistemi

alternativi di controllo.

1. Premessa

2. Le origini del sistema monistico nel sistema anglosassone.

3. L’introduzione dei modelli alternativi di amministrazione in Italia:

le alternative di controllo.

4. (Segue). Il modello tradizionale.

5. (Segue). Il modello dualistico.

6. I profili caratterizzanti il sistema monistico nel modello italiano.

7. Composizione del Consiglio di amministrazione: nomina, revoca,

cessazione e sostituzione.

8. I requisiti soggettivi: l’indipendenza, le cause di ineleggibilità e

decadenza.

9. (Segue). Gli amministratori indipendenti.

10. Organizzazione e poteri della funzione gestoria.

11. Modelli organizzativi e performance aziendali.

(3)

2

C

APITOLO

II

La razionalizzazione dei controlli nel sistema monistico.

1. Il governo d’impresa nelle S.p.A.

2. Nozioni e caratteri del controllo interno nelle società per azioni.

3. Il rapporto dialettico tra le funzioni di amministrazione e controllo

nei modelli alternativi.

4. (Segue). La funzione di vigilanza degli amministratori.

5. Il comitato interno per il controllo sulla gestione:

5.1 Il problema della natura giuridica.

5.2 . (Segue). Comitato e consiglio di amministrazione: tra

autonomia funzionale e dipendenza strutturale.

6. La nomina, determinazione del numero e revoca dei componenti il

comitato per il controllo sulla gestione.

7. I requisiti richiesti agli amministratori non esecutivi.

8. Il funzionamento. La cessazione dell’incarico, la sostituzione e la

revoca.

9. I poteri e i doveri del comitato interno per il controllo sulla gestione.

10. (Segue). La vigilanza sull’adeguatezza degli assetti.

11. La duplice responsabilità dei membri del comitato?

C

APITOLO

III

Le critiche e la diffusione del sistema monistico a livello interno e

internazionale: il caso delle società bancarie

1. Le critiche al sistema monistico.

2. Le ragioni dell’insuccesso in Italia.

3. Analisi empirica sui recenti dati sull’adozione dei modelli

alternativi.

(4)

3

4. La propensione per l’adozione del sistema monistico nelle banche a

livello internazionale.

5. La governance delle società bancarie.

6. (Segue). Il sistema di controllo delle società bancarie nel sistema

italiano.

7. Un caso applicativo: l’esperienza di Intesa Sanpaolo S.p.A.

7.1. Il passaggio dal sistema dualistico a quello monistico.

7.2. Le peculiarità dello Statuto di Intesa Sanpaolo S.p.A.

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4 Introduzione

Il recente interesse dimostrato in tema di corporate governance è sostanzialmente riconducibile, per un verso, alla necessità di sopperire le inefficienze dei controlli e al difetto di funzionamento del sistema di strutture e regole aziendali manifestatesi nelle principali crisi e fallimenti societari degli ultimi anni e, per altro verso, alla volontà di rendere competitive le società azionarie operanti a livello internazionale. Coerentemente al generale mutamento della disciplina proprio a livello internazionale, si inserisce la Riforma organica del diritto societario del 2003 nel lungo e lacunoso processo di regolamentazione italiano, non solo per un allineamento dei modelli organizzativi a livello comunitario, ma anche per il tentativo di semplificare la disciplina del governo d’impresa, soprattutto, nei profili del controllo interno.

In tal senso, l’aspetto richiamato dalla riforma, del quale si vuole approfondire l’importanza nel corso di questa tesi, è l’analisi sull’efficienza del sistema dei controlli interni, perseguita dal legislatore italiano attraverso due strade: da una parte con l’ampliamento delle tradizionali funzioni di controllo e, dall’altra, con il tentativo di dare loro una maggiore razionalità.

In particolare, in riferimento a quest’ultima intenzione, si sottolinea come l’introduzione dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo, dualistico e monistico, nel panorama italiano ha contribuito a dotare le società per azioni di un maggiore grado di flessibilità e autonomia statutaria, conferendo ai soci la possibilità di scegliere tra le diverse opzioni in merito alla amministrazione della società.

La presente trattazione ha la finalità di mettere in evidenza come i sistemi di amministrazione dell’ordinamento italiano configurino modelli alternativi di controllo e, in particolare, se il modello monistico possa costituire una possibile razionalizzazione dei controlli nelle società azionarie.

Dalla ricerca sull’origine e sull’evoluzione dei modelli di amministrazione e controllo, affrontata nel primo capitolo, si evince che il concetto di controllo inteso come verifica ex post (affidato tradizionalmente al collegio sindacale) sia

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5 mutato nel tempo, fino alla naturale conseguenza di attivare un controllo ex ante da compiersi anche durante l’attività svolta dall’impresa, che in alcune realtà si è tradotto nel riconoscimento di una maggiore centralità in capo al consiglio di amministrazione: una configurazione, questa, che appare evidente nel modello monistico.

Per tale ragione, è risultato utile indagare la struttura d’origine e il contesto da cui il modello monistico nasce, ovvero il sistema anglosassone, che da subito si rivela essere più adeguato a questa configurazione rispetto al paradigma italiano.

L’osservazione del tessuto capitalistico dei Paesi anglosassoni, caratterizzato dalla forte presenza delle public companies con un assetto di governo a struttura proprietaria diffusa, segnala come la scelta del modello di amministrazione della società sia riconducibile alla permanenza o meno di poteri di amministrazione e controllo in capo ai soci. Con una concisa descrizione delle diverse configurazioni degli assetti proprietari, infatti, si rileva come i sistemi di amministrazione risultino alternativi proprio rispetto alla funzione di controllo.

Dunque, nel corso del primo capitolo, la preliminare trattazione dei sistemi di amministrazione e controllo del panorama italiano pone l’accento sulla circostanza per cui tali modelli rispondono alle esigenze dei diversi assetti proprietari e danno diversa soluzione e forma alla funzione di controllo. Ne segue l’analisi della discussione in merito alla costruzione di un «sistema policentrico dei controlli» che ha generato numerosissime perplessità interpretative, anche relativamente a quello che era l’originale scopo della semplificazione della disciplina.

Di immediata comprensione è che, se il modello tradizionale è rimasto il modello di default, maggiormente adottato dalle società italiane, il modello dualistico, di origine tedesca, ha introdotto la figura di un organo, il consiglio di sorveglianza, di natura “ibrida”, che ha prodotto l’effetto di spostare le funzioni tipicamente assembleari ad un organo professionale dotato anche di alcuni compiti di alta amministrazione attribuibili dallo statuto.

Maggiore rilevanza è data alle specificità del modello monistico, che riflette la tendenza delle società per azioni ad aprirsi al mercato di capitali ed è

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6 caratterizzato nel suo sistema d’origine dall’assenteismo dei soci-investitori, per cui, dunque, appare necessaria la presenza di un organo professionale che sopperisca alla mancanza di un controllo diretto da parte dell’assemblea dei soci.

Appare, immediatamente, evidente tra i primi commentatori della riforma che i sistemi alternativi non abbiano riscosso grande successo, poiché si sono riscontrati dei limiti e lacune normative, imputati alla tecnica del rinvio alla disciplina del sistema tradizionale.

Si rileva, infatti, come, in tema di amministrazione, il sistema di governance monistico non presenti rilevanti divergenze rispetto alla disciplina del consiglio di amministrazione del modello tradizionale, anche se innumerevoli sono le peculiarità che vengono individuate dagli interpreti nella disamina delle norme, soprattutto in riferimento al requisito d’indipendenza.

È, infatti, dedicata particolare attenzione alla figura dell’amministratore indipendente, quale aspetto necessario al fine di esercitare un controllo “neutrale”, di cui sia riferimenti normativi e le forme di autoregolamentazione cercano di dare una definizione, con la finale conseguenza che, in linea generale, per indipendenza si dovrebbe intendere l’assenza del conflitto di interessi, la cui funzione consiste nel proteggere gli interessi di tutti gli stakeholders.

Il capitolo si conclude con l’analisi della funzione di amministrazione nel sistema monistico, con il riconoscimento in capo agli amministratori di generali poteri di vigilanza, intesi come valutazione sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, che serve ad anticipare la principale differenza con la funzione di controllo vera e propria svolta dal comitato interno per il controllo sulla gestione.

Data la finalità ultima della tesi, quale quella di indagare la possibile razionalizzazione dei controlli derivante dall’adozione del sistema monistico, si anticipa, inoltre, che la caratteristica principale di certe tipologie di imprese, quali le società bancarie, sia la necessità di una maggiore regolamentazione e vigilanza, per cui definire efficienti assetti di governo societario significa tenere in considerazione gli interessi in essa coinvolti, con il riconoscimento di un generale

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7 ridimensionamento dei poteri dei soci compensato dal forte potere dell’Autorità di vigilanza.

In base alla posizione dottrinale per cui la scelta di un modello organizzativo può esercitare una notevole influenza sulla crescita aziendale, si riconosce che, a livello internazionale, i modelli preferibilmente adottati per le società bancarie appaiono essere il sistema monistico e il sistema dualistico, poiché il contesto finanziario attuale richiede agli organi di controllo interno di svolgere un ruolo “proattivo” nella gestione aziendale.

Così, nel secondo capitolo, si approfondiscono le interpretazioni relative alla disciplina e al funzionamento dei meccanismi di controllo del sistema monistico, sia per riprendere alcune questioni lasciate aperte riguardanti la “doppia natura” dei membri del comitato per il controllo sulla gestione, sia per dar rilievo all’alternatività di tale configurazione di controllo, sulla quale sono intervenute anche disposizioni speciali previste dal TUF (e dal TUB per le banche), introducendo alcuni correttivi per fornire a questo sistema alternativo gli strumenti per la costituzione di un sistema di controlli efficace ed equiparato al modello tradizionale nelle società quotate.

Prima, però, di entrare nel vivo della trattazione del sistema monistico, si è ritenuto opportuno chiarire il significato attribuito alle funzioni di amministrazione e controllo, nell’ottica che l’attuale molteplicità degli organi sia in grado di evitare le sovrapposizioni di ruoli e le inefficienze, dando spazio alle riflessioni in merito alle interferenze tra esse. Tra l’altro si rileva come una tendenza maggioritaria della dottrina intende il controllo come uno dei momenti costituenti l’intero procedimento decisionale poiché concorre alla formazione di un giudizio probabilmente più razionale della programmazione dell’attività di impresa che, in via anticipata, fornisce spiegazioni a certe peculiarità derivanti dalla natura di amministratori dei membri del comitato per il controllo sulla gestione, per i quali non è un richiesto uno sdoppiamento di personalità, ma taluni doveri derivanti dalla natura dell’incarico.

In questi termini, si è dedicato spazio anche alla funzione di vigilanza degli amministratori, i quali «sulla base delle informazioni ricevute» svolgono

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8 un’attività di verifica della conformità e regolarità dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, definito dalla componente operativa dell’organo amministrativo. Si tratta del riconoscimento in capo ad essi, non solo del dovere di ricercare le informazioni necessarie, ma dell’«esercizio informato del potere» che presuppone una funzione direttiva di scelta di programmazione a monte dei parametri di funzionamento e di vigilanza dell’intera organizzazione al fine di evitare il verificarsi di attività dannose.

Come anticipato, il secondo capitolo affronta la disciplina del comitato interno per il controllo sulla gestione, di cui si rilevano innumerevoli problematiche: dalla critica alla imputazione della funzione di controllo a soggetti che fanno essi stessi parte dell’organo controllato; alle discussioni della dottrina relative alla natura giuridica del comitato; alla portata delle funzioni di controllo, che se per alcuni appare plasmata su quella del sistema tradizionale, per altri trova la sua ratio nelle peculiarità stesse del sistema monistico.

In conclusione, il terzo capitolo è dedicato dapprima alle critiche al sistema monistico, con particolare riferimento alla scarsa diffusione del modello nel contesto italiano testimoniata da alcuni dati empirici, e, all’opposto, si evidenzia la tendenza generale a carattere internazionale a prediligere il modello, soprattutto nelle società bancarie. Alcuni cenni sono dedicati a tal proposito alle caratteristiche della governance delle società bancarie e ai “sistemi” di controllo.

Si affronta quindi il caso di Intesa San Paolo S.p.A., in modo da far risaltare in modo più efficace le ricadute operative del tema della tesi, ovvero la verifica della permanenza di un efficiente controllo anche nel sistema monistico, e anzi di una sua razionalizzazione. Ragion per cui, viene messo in rilievo il passaggio, in tale contesto, dal sistema dualistico al sistema monistico con particolare attenzione, in un primo momento, ai problemi derivanti dall’adozione del sistema dualistico e, successivamente, attraverso l’esame delle principali clausole statutarie che regolano il modello organizzativo ancora oggi adottato, da cui si comprendono i vantaggi attribuiti al sistema monistico, intesi anche come ragione delle migliori performance aziendali rilevate.

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9

C

APITOLO

I

I modelli di amministrazione della società per azioni come sistemi

alternativi di controllo.

1. Premessa

Negli ultimi anni, si è riacceso il dibattito sul tema della corporate

governance, già fortemente sviluppatosi nella seconda metà degli anni novanta,

per il diffuso obiettivo, sia a livello nazionale che extranazionale, ed in particolare dei Paesi europei e nordamericani, di accrescere la cedibilità in termini di governo d’impresa, nel contesto del mercato di capitali internazionale, attraverso il miglioramento delle capacità di gestione e la prevenzione dei comportamenti illeciti da parte dei membri degli “organi vertice”1, responsabili dell’adeguata conduzione dell’attività di impresa; si mira, attraverso l’eliminazione delle problematiche connesse alla “cattiva amministrazione” a conquistare e mantenere salda la fiducia degli investitori, in modo da incrementare la circolazione dei capitali e gli investimenti esteri.

L’odierno interesse dimostrato però, di fatto, non è altro che la conseguenza di una situazione generata dagli scandali finanziari che hanno scosso l’intero sistema mondiale, causando, ad oggi, una delle più grandi crisi economiche, di dimensioni globali per i soggetti coinvolti e con una rapidità di diffusione che ha tutte le caratteristiche del c.d. “effetto domino”. Le conseguenze di tale situazione, si sono ripercosse non tanto sui reali responsabili di tale recessione – rimasti per

1 Per una distinzione degli organi si guardi, V.VENEZIA, Le strutture organizzative Aziendali, Milano, 2013, p. 9: «La progettazione della struttura organizzativa consente di definire i criteri di divisione del lavoro e i compiti da assegnare ai diversi organi aziendali […] formati da un insieme di persone che operano in una determinata area di attività […]. Essi sono distinti in tre livelli: 1. Il vertice aziendale, che ha il compito di governare l’azienda, e di assumere le decisioni fondamentali sulla gestione […]; 2. Il livello direttivo, che ha il compito di coordinare l’attività aziendale e di assumere le decisioni tattiche […]; 3. Il livello operativo, che ha il compito di svolgere le operazioni secondo i programmi definiti dal livello direttivo…».

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10 lo più impuniti2-, ovvero gli istituti finanziari (tra i fallimenti3 dei grandi colossi americani, si ricordano, soprattutto, Enron e Worldcom), ma, principalmente, sui piccoli risparmiatori.

Una delle principali cause della nota crisi viene da molti ricondotta all’assenza e/o all’inefficienza dei controlli4, nonché al difetto di funzionamento del sistema di strutture e di regole.

Numerose sono le definizioni della funzione di corporate governance nell’elaborazione dottrinale; da un punto di vista prettamente etimologico, considerato che l’obiettivo di questo lavoro è quello di ricercare le connessioni tra un’efficace controllo e la corretta amministrazione dell’impresa azionaria nelle diverse configurazioni dei modelli alternativi delineati dall’ordinamento, si osserva che «il termine governance, derivante dal latino gubernare (governare, reggere, guidare, dirigere), […] se unito al vocabolo corporate, indica il metodo di governo dell’impresa, e cioè la struttura e il funzionamento della medesima»5.

In tal senso, la nozione di corporate governance comunemente accettata, è da intendersi come «l’insieme di valori, regole, procedure e prassi operative che formano il tessuto connettivo dell’organizzazione societaria, in grado di garantire:

- una sana e corretta gestione dell’impresa; - la piena trasparenza della gestione;

Altresì, una mappatura dei poteri e delle relative sfere di responsabilità dei vari organi sociali che sia chiara e assicuri un opportuno bilanciamento tra gli stessi»6.

2 Ci si riferisce al fatto che i banchieri americani responsabili della crisi del 2008 non hanno subito gravissime condanne. Per maggiori approfondimenti, si veda V.DA ROLD, “Che fine hanno fatto i banchieri della crisi americana due anni dopo? Stanno tutti bene”, in www.ilsole24ore.it, 2010.

3 Per quanto riguarda l’Italia, noti sono anche i casi Cirio e Parmalat.

4Attraverso l’analisi dei due casi, Enron e Parmalat, è stato delineato un confronto tra il sistema statunitense e quello italiano da cui sono emerse le profonde differenze esistenti e anche l’impossibilità di importare in Italia un modello che mal si adatterebbe alla nostra realtà. Due i temi su cui è stata in particolare richiamata l’attenzione: la tutela civile del risparmio e il sistema dei controlli in M. ONADO, La riforma della legislazione italiana, in Enron e Parmalat: Due sistemi-paese a confronto, a cura di E. Paciotti e G. Salvi, Lecce, 2005, pp. 87-88. Di contro, non tutti sono però d’accordo nel ritenere che la causa deve essere individuata nel malfunzionamento dei sistemi di controllo. Vi è infatti chi ritiene che il vero e ineliminabile problema sia la cupidigia dell’uomo: cfr. G.ROSSI, Il conflitto epidemico, Milano, 2003, pp. 13 ss. 5 F.CUCCO, Il sistema di controllo interno nelle società quotate, Tesi di Dottorato in Diritto ed Economia dei Sistemi Produttivi, Università degli studi di Sassari, XXIII ciclo, p. 37.

6 Cfr. F.CHIAPPETTA, Diritto del governo societario, La corporate governance delle società quotate, Milano, 2007, p. 6.

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11 Pertanto, diviene fondamentale il tema, nelle società per azioni, non solo della gestione, ma del controllo su di essa; funzione questa che si articola diversamente a seconda della specifica attribuzione agli organi sociali e ai rapporti tra essi.

Difatti, è utile anticipare che, nei capitoli successivi, verrà posto in risalto come i sistemi alternativi di amministrazione e controllo, grazie al maggiore grado di flessibilità dell’ autonomia statutaria consentano ai soci di scegliere tra diverse opzioni in merito alla suddivisone delle competenze fra l’organo amministrativo e l’organo di controllo, al fine di ricercare una migliore razionalizzazione dei controlli interni che ha come conseguenza una maggiore correttezza di tutte le operazioni.

A livello internazionale, brevemente, si rileva che il tema dei controlli interni ha sempre ricoperto un ruolo significativo nell’interesse degli studiosi e ha subìto un’evoluzione, dapprima nel sistema statunitense, in cui successivamente a numerosi fallimenti societari intorno alla metà degli anni ’807 emerse l’esigenza di introdurre dei correttivi alle inefficienze dei controlli interni. Ma è soltanto nel corso degli anni duemila che la nozione di controllo interno venne associata all’ampia materia di “gestione dei rischi”, assumendo rilevanza nelle fasi di progettazione delle procedure organizzative.

Coerentemente con l’evoluzione delle disposizioni normative e degli

standards di best practice internazionali, sviluppatisi già nel corso del XX secolo8, si evidenzia come anche l’esperienza applicativa italiana sia stata connotata da diversi interventi legislativi, a cui si aggiungono una serie di raccomandazioni in via autoregolamentare, al fine di delimitare il concetto di “controlli interni”. In questo contesto, si inserisce anche la Riforma organica del diritto societario italiano che ha contribuito, non solo ad adattare la disciplina italiana al contesto

7 G.GASPARRI, I controlli interni nelle società quotate. Gli assetti della disciplina italiana e i problemi aperti, in Quad. Giur. Consob, Roma, 4 settembre 2013, p.14 ss. A tale scopo, venne istituita, nel 1985, la National Commission on Fraudolent Financial Reporting (nota come “Treadway Commission” composta da 5 associazioni professionali statunitensi) per lo studio dei fattori considerati causa della proliferazione nel mercato statunitense di procedure fallimentari.

8 Al riguardo, si rimanda all’ampia disamina sullo sviluppo del sistema dei controlli interni negli USA di G.GASPARRI, op.cit., p. 15.

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12 sopranazionale, ma altresì a determinare l’attuale configurazione del sistema di controllo interno, la cui materia ha subìto un ulteriore rafforzamento in connessione dei gravi scandali finanziari, che a partire dal 2001, hanno coinvolto i già citati grandi gruppi industriali americani ed europei.

Si è resa dunque necessaria la definizione formale del concetto di “sistema di controllo interno”, che assume un ruolo specifico nella struttura organizzativa delle società, esigenza già soddisfatta dal d. lgs. 24 febbraio 1998, n° 58 (art. 149 TUF e art. 57 della delibera Consob n° 11522 – Regolamento di attuazione del d. lgs. 58/1998).

Il Codice di Autodisciplina italiano ha riconosciuto, a riguardo, importanza all’individuazione e gestione del rischio9; quest’ultimo diviene, infatti, obiettivo principale dei controlli, intesi come l’innescarsi di attività per prevenire e contenere gli effetti negativi di eventi rischiosi. Tale definizione10 del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi (“SCI-GR”) non si allontana drasticamente da quella originaria fissata dal Co.S.O. Report (Internal Control

Integrated Framework)11, che lo definisce come «l’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati»12; nonché, dunque, l’insieme degli elementi (quali, la cultura del controllo, un’adeguata responsabilizzazione, un’effettiva separazione delle funzioni) volti al raggiungimento dell’efficacia ed efficienza dei processi aziendali13.

9 Lo strumento più utilizzato è il Modello ERM, Enterprise Risk Management.

10 “Il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi (“SCI-GR”) è quindi uno snodo cruciale della governance di una società. Il rischio è il filo conduttore del sistema dei controlli, il quale ruota intorno all’identificazione, valutazione e monitoraggio dei rischi aziendali” – Codice di autodisciplina del Comitato per la Corporate Governance del dicembre 2011.

11 “The Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission (COSO) is a joint initiative of the five private sector organizations listed on the left and is dedicated to providing thought leadership through the development of frameworks and guidance on enterprise risk management, internal control and fraud deterrence” in www.coso.org.

12COMITATO PER LA CORPORATE GOVERNANCE, Codice di Autodisciplina - Principi guida e regime transitorio, disponibile su www.borsaitaliana.it, luglio 2015, art. 7.P.1 “Sistema di controllo interno e di gestione dei rischi”.

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13 Appare evidente l’intenzione del legislatore italiano di riformare il sistema – delineato dal codice civile del 1942, e ancor prima, nel codice di commercio del 1882 – percorrendo due diverse strade: da una parte, ampliando le funzioni di controllo; dall’altra, dando loro una maggiore razionalità, semplificandone l’interpretazione e l’applicazione.

Il raggiungimento di un unico e definito sistema dei controlli nelle società per azioni sembra, però, essere un traguardo ancora lontano; infatti, esso si trova, tuttora, al centro di vivaci dibattiti dottrinali, soprattutto in tema di efficienza delle alternative di controllo14. Relativamente a ciò, inoltre, nonostante da più parti si sostenga fortemente l’esigenza di semplificazione di tali controlli, sembra preferibile la più recente tendenza verso modelli organizzativi di origine straniera, in modo da permettere ai soci una maggiore elasticità di scelta tra quello che più si adatta alle specifiche necessità.

Infatti, la possibilità di costituire un «sistema policentrico dei controlli»15, se, da un lato, ha generato perplessità interpretative, dato il lungo e lacunoso processo che ha cercato di darvi forma e regolamentazione, dall’altro, ha visto l’introduzione, e quindi l’allineamento a livello internazionale, dei sistemi alternativi di amministrazione.

Dall’attenta analisi di tale argomento, appare chiaro come, originariamente, un controllo affidato al collegio sindacale, nei due specifici compiti di sorveglianza e revisione contabile16, definito come un «controllo societario, ossia sulla società e sulla sua organizzazione, e successivo ad atti o a comportamenti già posti in essere (ex post)»17 del modello italiano tradizionale, si è evoluto nel tempo18, per

14 G.D’ONZA, Il sistema di controllo interno nella prospettiva del risk management, in Collana Studi economico-aziendali, Milano, 2008, p. 234.

15 N.ABRIANI, voce Sistema monistico, in Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, XVI, Milano, 2007.

16 Cfr. art 183, comma 1, cod. comm. 1882.

17 P. FERRO – LUZZI, Per una razionalizzazione del concetto di controllo, in AA.VV., I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, a cura di M. Bianchini, C. Di Noia, Milano, 2010, pp. 130-131.

18 FONDAZIONE ARISTEIA, ISTITUTO DI RICERCA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, Il sistema dei controlli nella riforma del diritto societario. I modelli alternativi di controllo interno, in www.fondazionenazionalecommercialisti.it, n. 16, maggio 2003.

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14 la «necessità di controlli da compiersi anche durante l’attività svolta dall’impresa (ex ante)19».

«La naturale conseguenza di tale cambiamento di approccio è stata la centralità (ed esclusività nel sistema monistico) del consiglio di amministrazione, non solo rispetto alla gestione della società, ma con riguardo anche alla funzione di controllo»20, affidata a quella specifica attività di “alta amministrazione”21, con la quale si passa ad una concezione del controllo «come funzione fisiologica della gestione e che si concretizza cioè nell’esercizio del potere amministrativo come strumento di indirizzo e di correzione permanente della direzione degli affari, verso l’obiettivo di un pieno rispetto delle regole vigenti»22, e cioè un controllo direzionale, in base al quale da un “consiglio che gestisce” si arriva ad “consiglio che controlla” la gestione23.

Tale configurazione è tipica del modello monistico, ragion per cui è necessario porre l’attenzione sulle origini e l’introduzione nel nostro Paese, al fine di indagare il contesto da cui esso nasce e le sue diverse implicazioni nel paradigma italiano.

Nella ricerca sull’origine e sull’evoluzione dei vari modelli di amministrazione e controllo, è evidente l’opportunità di valutare l’influenza che le istituzioni, le norme e la prassi, hanno su ogni sistema-paese, per verificare la possibilità di convergenza tra i sistemi. In merito a questo punto, il dibattito sulla convergenza è ancora in atto, in quanto, nonostante la spinta data dalla globalizzazione dei mercati finanziari e dall’omogeneizzazione delle culture e

19 M.IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005, p.172. 20 Cit. C.MOSCA, I principi di funzionamento del sistema monistico. I poteri del comitato di controllo, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino, II, 2006, p.736.

21 Nel diritto amministrativo l’attività di indirizzo politico-amministrativo e di controllo di competenza del ministro, nel cui esercizio emana atti definiti «di suprema direzione della pubblica amministrazione» o «di raccordo della funzione di indirizzo politico con quella amministrativa». Attuazione dell’art. 97 della Costituzione, l’alta amministrazione è espressione del principio della separazione delle competenze fra organi politici e organi amministrativi in www.treccani.it.

22 P.MONTALENTI, Il sistema dei controlli interni nelle società di capitali, in Le Società, 2005, p. 52. 23 In questi termini, si esprime G.FERRARINI, Funzione del consiglio di amministrazione, ruolo degli indipendenti e doveri fiduciari, in AA.VV., I controlli societari. Molte regole, nessun sistema, a cura di M. Bianchini e C. Di Noia, Milano, 2010, p. 51.

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15 delle normative nazionali, le differenze tra i vari modelli restano, in alcuni casi, ancora evidenti.

2. Le origini del sistema monistico nel sistema anglosassone.

Il modello di ordinamento giuridico anglosassone è definito common law, giacché «basato sui precedenti giurisprudenziali più che su codici o, in generale, leggi e altri atti normativi di organi politici, come invece avviene nei sistemi di civil law derivanti dal diritto romano»24, e cioè caratterizzato da una sostanziale assenza di norme imperative, anche in materia di amministrazione e controlli interni. La materia è, infatti, quasi del tutto demandata a regole di autodisciplina, nonché alle c.d. best practices inglesi che sono contenute nei testi elaborati e approvati dal Finalcial Reporting Council25:

I. UK Corporate Governance Code, in altre parole il corrispettivo al

nostro Codice di Autodisciplina, definisce gli standard di buona pratica in relazione al governo societario, ossia in materia di amministrazione e controllo;

II. Turnbull Guidance, che nell’accezione di una attività preventiva di

controllo, espone un’ampia definizione di controlli interni riferendosi all’approccio del risk management;

III. Guidance on Audit Committees sui ruoli e responsabilità dei comitati

di controllo e degli amministratori indipendenti26.

Il modello di governance diffuso tra le società inglesi, comune anche agli Stati Uniti, che prende il nome di modello anglosassone, è di tipo monistico, anche

24 Definizione Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

25 “The Financial Reporting Council (FRC) is the UK’s regulator for the accounting, audit and actuarial professions and is also responsible for corporate governance in the UK”, da www.iasplus.com.

26 Di seguito, spiegazione delle sigle: FRC [Financial Reporting Council); UK CGC [UK Corporate Governance Code – Codice di Autodisciplina inglese]; TG [TurnbullGuidace]; GAC [Guidace on Audit Committees].

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16 definito “one-tier board model”27, in cui appare dominante il ruolo del consiglio di amministrazione.

È necessario, però, evidenziare che il modello “ad uno scalino” trova, ovviamente, la sua origine e il suo più adeguato sviluppo nel tessuto capitalistico dei Paesi anglosassoni, in cui la struttura societaria, che rispecchia questo modello di governo è la cosiddetta “public company”: un assetto di governo a struttura proprietaria diffusa (definito anche modello outsider system), in cui si realizza la massima dissociazione tra proprietà e controllo. Evidente è la differenza (che si analizzerà con maggiore attenzione nei capitoli successivi) rispetto al contesto italiano, che di contro è caratterizzato dalla presenza di piccole-medie imprese, prettamente a conduzione familiare, in cui la proprietà è invece “chiusa”, con forte coincidenza tra proprietà e controllo, e come tale lontana dai colossi statunitensi28.

Riprendendo il discorso sul sistema monistico di stampo britannico, il consiglio di amministrazione è considerato l’organo fondamentale (Board of

Directors29), è nominato dall’assemblea degli azionisti, e ha compiti di:

- pianificazione strategica;

- funzione di indirizzo e controllo della gestione operativa; - gestione dei rischi30;

- definizione di standard di comportamento31;

- promozione della trasparenza, comunicazione e scambio di informazioni tra organi;

27 Il sistema monistico è anche detto one-tier system (che si contrappone a quello dualistico “a due scalini) in quanto è costituito da un solo livello di nomina: l’assemblea dei soci nomina il consiglio di amministrazione. È tipico dell’esperienza inglese – americana e si basa sul rapporto fiduciario che il consiglio di amministrazione ha nei confronti dei soci, il cosiddetto trust (Art 2 della Convenzione dell’Aja, come riprodotta nel testo della legge 16 ottobre 1989 n. 364: “Per trust si intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico”).

28 R.SPARANO -R.ADDUCCI, Aspettando la riforma del diritto societario: la nuova disciplina dei patti parasociali, in www.altalex.com, Roma, dicembre 2003.

29Company Act del 1989.

30Cfr. B.COYLE, Corporate Governance, 3rd ed., ICSA Publishing, London, 2014, p. 220, «[t]he board of directors should take business risk into consideration when it makes strategic business decisions. It should choose policies that are expected to be profitable but should limit the risks to a level that it considers acceptable. For example, when the board takes major investment decisions itself or decides on corporate strategy, risks as well as expected returns are properly assessed».

31 UKCGC, A.1 (The Role of the Board) Main Principle: «[e]very company should be headed by an effective board which is collectively responsible for the long-term success of the company».

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17 - impostazione dei valori e standard della società32.

Il suo ruolo principale, però, è quello di alta supervisione e impostazione dei principi e standard della società, che fondano il nucleo centrale della corporate

governance, distinguendosi dalle mere funzioni di management33 operativo svolte

day by day dai dirigenti. Tra le materie di “alta amministrazione” riservate al board, si evidenziano: l’approvazione della strategia complessiva; l’approvazione

dei budget operativi; la supervisione delle operazioni; approvazione dei bilanci; approvazione per eventuali mutamenti della struttura societaria originaria; e la verifica delle performance del management. Si va, dunque, a configurare nella funzione del board nel suo complesso (e dei singoli componenti) quel tipo di direzione aziendale che comporta non solo il coordinamento delle attività, ma anche, e soprattutto, l'assunzione di decisioni di pianificazione, di gestione e di controllo per garantire l'ottenimento di risultati in linea con gli scopi aziendali ed in grado di soddisfare gli stakeholders.

Nonostante svolga questi compiti, il board non ha funzioni strettamente di gestione, proprie del management: infatti, è sempre nel ruolo di membri dell’executive management (per esempio, direttori esecutivi, il chief executive

officer, il chief legal affairs, il chief operations officer, ecc.) che sono individuate

le funzioni quotidiane di gestione, che si traducono in poteri esecutivi esclusivi. Data la complessità di questo organo, al proprio interno, si differenziano due tipologie di amministratori (esecutivi e non esecutivi), che fa sì che esso possa avere una composizione mista – con la compresenza di entrambi i tipi di amministratori – o costituito da soli amministratori esecutivi; ratio di tale distinzione è quella di creare una dialettica fra amministratori che gestiscono e amministratori che controllano.

32 UKCGC, Preface, par. 4, «[o]ne of the key roles for the board includes establishing the culture, values and ethics of the company. It is important that the board sets the correct ‘tone from the top’. The directors should lead by example and ensure that good standards of behaviour permeate throughout all levels of the organisation. This will help prevent misconduct, unethical practices and support the delivery of long-term success».

33 Per una definizione di management in www.dizionari.corriere.it: “Il complesso delle funzioni amministrative, direttive e gestionali di un'impresa o di un'azienda; Der. di (to) manage ‘amministrare, governare’”.

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18 Il consiglio di amministrazione è, inoltre, presieduto da un chairman34, vale

a dire il Presidente, che ha il compito di convocare e dirigere le sedute fino al risultato delle votazioni; e, così facendo, si pone come intermediario tra le diverse tipologie di amministratori, in modo da garantire una corretta collaborazione ed un efficace scambio di informazioni.

Sarebbe opportuno, raccomanda il Codice, che a ricoprire questo ruolo non sia una figura come il CEO, escludendolo dalla gestione, da un lato per far sì che esso rimanga neutrale nello svolgimento del compito di direzione delle sedute in cui si incontrano i diversi interessi degli amministratori, dall’altro per evitare una eccessiva concentrazione di poteri nelle sue mani. Per ovviare all’inconveniente del cumulo di cariche, si preferisce individuare all’interno dei comitati, un lead

director (indipendente), che ricopre una funzione di contatto tra gli azionisti e il

Presidente, collabora con quest’ultimo per il miglior funzionamento del consiglio stesso e raccoglie le istanze dei consiglieri non esecutivi, così da divenire un vero e proprio punto di incontro e di riferimento dei consiglieri non esecutivi e, in particolare, di quelli indipendenti.

Agli amministratori esecutivi è affidata la gestione dell’impresa, e tra questi può essere scelto il managing director o direttore generale, il cosiddetto CEO (Chief Executive Officer), corrispettivo dell’amministratore delegato del sistema italiano.

Il consiglio di amministrazione delega la totalità dei propri poteri all’amministratore delegato che risponde della gestione della società, e se ne assume, così, la responsabilità e rappresentanza legale, attraverso il potere di firma degli atti per nome e per conto del suddetto consiglio. Anche se, è utile sottolineare che con l’attribuzione della delega, il consiglio non si spoglia interamente dei propri poteri, che può esercitare in qualsiasi momento, ma svolgendo tale attività

34Definizione da Wikipedia, l’enciclopedia libera: «The chairman (also chairperson, chairwoman or chair) is the highest officer of an organized group such as a board, a committee, or a deliberative assembly. The person holding the office is typically elected or appointed by the members of the group. The chairman presides over meetings of the assembled group and conducts its business in an orderly fashion. When the group is not in session, the officer's duties often include acting as its head, its representative to the outside world and its spokesperson. In some organizations, this position is also called president (or other title),in others, where a board appoints a president (or other title), the two different terms are used for distinctly different positions».

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19 di vigilanza sull’operato dell’amministratore delegato, acquisisce anche una funzione di controllo.

In definitiva, si osserva come in un sistema monistico diventa fondamentale il ruolo dei non-executive directors, cioè di quei soggetti che non partecipano direttamente alla gestione dell’impresa, i quali «should constructively challenge

and help develop proposals on strategy»35e non hanno rapporti diretti con la proprietà (per questo chiamati anche outsider directors36), riuscendo, in tal modo,

a garantire obiettività e razionalità di giudizio (indipendent judgement). La loro presenza all’interno del consiglio diventa, dunque, caratteristica importante di questo sistema, poiché gli amministratori non esecutivi svolgono la funzione di controllo, fungendo anche da stimolo all’operato del board. Essi, scelti tenendo conto di specifici requisiti di onorabilità e professionalità, faranno parte del comitato di controllo interno, che ha il compito di rafforzare il monitoring, verificando l’attività degli executives.

Per prevenire altri scandali finanziari, le best practices inglesi hanno concentrato maggiormente in capo al board le responsabilità in materia di controlli interni e gestione del rischio37; difatti, in base alle modifiche del Codice inglese del 2010, il board ha il compito di definire l’architettura complessiva del sistema di risk management e di controllo interno, così da obbligarlo a controllare annualmente l’efficacia del sistema di controllo interno e della gestione di tutti i rischi d’azienda, in una continua comunicazione e scambio di informazione con gli azionisti. Tant’è che si fissa il passaggio dalla concezione del board con funzioni prettamente consultive della tradizione americana, per le quali esso si limitava a fornire pareri sulle scelte strategiche, ossia dall’advisory board, ad un

monitoring board a cui viene riconosciuto il compito di monitorare le operazioni

dei manager. Così definito, il board, con un approccio risk-based (ERM), deve effettuare un monitoraggio continuo su ogni aspetto del controllo interno,

35 UK CGC, A.4 (Non-Executive Directors) Main Principle.

36 Definito anche chairman che è responsabile del complessivo andamento del board e del corretto funzionamento dei rapporti tra amministratori esecutivi e non esecutivi, puntando su una concreta collaborazione.

37 Le ICGN-Corporate Risk Oversight Guideline, 2010, in www.icgn.org , sancisce che «the risk oversight process begins with the board».

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20 esprimendo valutazioni sull’applicazione delle pratiche disposte dal Codice di Autodisciplina.

Nonostante ciò, si conferma, da una parte l’importanza della funzione dei comitati endoconsiliari nel mantenimento e verifica dei sistemi di controllo interno, dall’altra si inserisce la nomina di amministratori indipendenti dal

management, che saranno approfonditi successivamente nella trattazione dei

profili caratterizzanti il sistema monistico della disciplina italiana.

Tipicamente inseriti nell’organizzazione aziendale del sistema inglese sono i comitati: i) nomine, (ii) remunerazione, (iii) controllo e rischi, (iv) operazioni con parti correlate, (iv) strategie e supervisione; tra cui, in particolare, l’audit commitee e il risk commitee ricoprono specifici ruoli che evitano i sovraccarichi di funzioni, valorizzando la collaborazione tra essi.

All’audit committee sono affidate le funzioni di controllo interno e gestione del rischio; così definito dal principio generale fissato dal Codice che, inoltre, stabilisce che il comitato sia composto da amministratori non esecutivi indipendenti, in modo che essi siano potenzialmente estranei ai conflitti di interessi. Infatti, questo tipo di indipendenza richiesta ai componenti l’organo appare essenziale per assicurare la correttezza delle operazioni. Ove richiesto, inoltre, esso deve fornire un parere sulla relazione annuale e sui documenti contabili, per stabilire se siano adeguati e comprensibili, così da fornire anche opinioni dal connotato strategico.

In riferimento alla sua funzione principale di verifica indipendente sul sistema di controllo interno e, più in generale, sulla gestione del rischio, esso rispecchia e/o sostituisce la funzione di internal audit. A proposito di quest’ultima funzione, è importante chiarire che anch’essa non è altro che funzione di verifica integrata con le altre funzioni aziendali, che riguarda cioè il controllo sui processi di gestione del rischio, controllo interno e governance, per assicurare il raggiungimento degli obiettivi pianificati.

Infine, sempre in tema di comitati, uno dei più comuni è anche il Risk

committee, ossia il comitato rischi, che ricopre una funzione di controllo e

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21 un’ottica di controllo ex ante, differentemente dall’audit commitee che svolge una funzione sul controllo in materia finanziaria e di controllo interno ex post. È un comitato che si distingue dal comitato esecutivo rischi (solitamente presieduto dal

chief executive o dal direttore finanziario) al quale invece è affidato il ruolo di

attuare la strategia di gestione del rischio giornalmente38.

3. L’introduzione dei modelli alternativi di amministrazione in Italia: le alternative di controllo.

La disciplina italiana della governance delle società per azioni, dall’entrata in vigore del Codice Civile del 1942, è sostanzialmente rimasta immutata per più di sessanta anni, fino agli anni della Riforma organica del diritto societario del 2003 e della Legge sul Risparmio del 2005.

La Riforma organica39 ha introdotto la nuova disciplina delle società di capitali e cooperative, che trova la sua reale genesi nel decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 5840, in cui vi è raccolta e razionalizzata la disciplina del mercato finanziario (TUF)41. Ed è proprio nell’ambito dei lavori preparatori al TUF che si rese evidente la necessità di un intervento sui modelli e sulle strutture societarie ormai obsoleti, predisponendo un sistema di norme espressamente concepite per la gestione di attività di impresa, assai dinamiche, in un ordinamento moderno e flessibile.

38 S.ALVARO D.D’ERAMO – G.GASPARRI, Modelli di amministrazione e controllo nelle società quotate – Aspetti comparatistici e linee evolutive, in Quad. Giur. Consob, n. 7, maggio 2015, p. 65.

39 Recante il titolo “Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative”, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, N. 366, pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (GURI), s.o., 22 gennaio 2003, n. 17.

40 Il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, noto più semplicemente come testo unico della finanza - abbreviato TUF - o anche legge Draghi, è la principale fonte normativa vigente nella Repubblica Italiana in materia di finanza e di intermediazione finanziaria; che pur contenendo norme sul collegio sindacale, non dedicavano previsioni relative alle funzioni e alla struttura del consiglio di amministrazione.

41 P. BALZARINI, La riforma del diritto societario, in Strumenti, in www.mondadorieducation.it, 30 settembre/ottobre 2003, p. 3.

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22 Per tale ragione, a pochi mesi dall’approvazione del TUF, avvenuta con decreto 24 luglio 1998, venne istituita la “Commissione Mirone”, presieduta dall’onorevole Vietti42, che redasse un progetto di legge delega, per la parte societaria, emanando i decreti legislativi 17 gennaio 2003 n. 5 e 6, destinati a entrare in vigore il 1° gennaio 2004, dai quali scaturisce la modifica della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative43, quale esigenza primaria di tutta la Riforma, quella di favorire «la nascita, la crescita e la competitività delle imprese, oltre che di favorire l’accesso al mercato dei capitali da parte delle piccole e medie imprese»44.

L’istanza di ammodernamento della disciplina del sistema societario appare evidente dalle finalità dichiarate dalla Riforma:

- adeguare il diritto commerciale italiano ai modelli vigenti sui mercati internazionali;

- semplificare la disciplina societaria e renderla meglio rispondente alle esigenze economiche attuali;

- favorire la nascita di nuove imprese e l’iniziativa economica;

- ridefinire gli aspetti civilistici e processuali della disciplina dei principali modelli di società di capitali e cooperative;

- aumentare lo spazio attribuito all’autonomia statuaria, riconoscendo una maggiore flessibilità organizzativa alla società45.

42I lavori preparatori della Riforma del Diritto societario sono raccolti in M.VIETTI F.AULETTA,G.LO CASCIO – U.TOMBARI – A.ZOPPINI (a cura di), La riforma del diritto societario. Lavori preparatori testi e materiali, Milano, 2006.

43Cfr. RELAZIONE ILLUSTRATIVA AL DISEGNO DI LEGGE DELLA COMMISSIONE MIRONE, in Riv. soc., 2000, 14 ss. Il Disegno di Legge che recita: al fine di rispondere «ai problemi, non più eludibili conseguenti alla inadeguatezza della disciplina del codice rispetto alla […] realtà economica del Paese e al necessario coordinamento con la […] riforma contenuta nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria».

44 P.MONTALENTI, La riforma del diritto societario: profili generali, in La riforma delle società: profili della nuova disciplina, a cura di S. Ambrosini, 2003, I, p. 57 ss.

45Come ha lucidamente scritto M.VIETTI in proposito (Nuove società per un nuovo mercato. La riforma delle società commerciali, in Collana Colloqui sulla Repubblica, 19, 2003) «E, nella medesima prospettiva, si ritiene che le condizioni normativamente più propizie per l’adattamento della struttura organizzativa delle singole imprese alle esigenze di mercato debbano essere quelle che meglio consentano alla ‘mano invisibile’ del mercato di operare da sé, premiando le iniziative migliori col successo e le peggiori con l’estromissione: ciò a cui sembra risultare funzionale la massima estensione dell’autonomia statutaria e la relativa compressione del tasso di imperatività del singolo ordinamento. In questo senso, si è parlato di una sorta di ‘corsa al ribasso’ da parte dei vari ordinamenti nazionali, ciascuno volto ad ampliare quanto più possibile l’autonomia organizzativa dei privati nella speranza di attrarre, con la prospettiva di un più elevato grado di flessibilità, una maggiore quantità di risorse».

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23 Da queste finalità appare evidente come il tema del governo d’impresa, e quindi anche la definizione della corporate governance, siano stati considerati dal legislatore della Riforma nella loro globalità, e cioè come sistema di regole che dirige e controlla le società di capitali46. Cosicché, le intenzioni riformatrici in tema di governo d’impresa non si limitano alla materia di amministrazione e controllo, ma devono essere estese anche alle disposizioni concernenti gli assetti proprietari, la struttura finanziaria e le loro influenze.

Si è, dunque, dedotto che la soluzione dell’introduzione dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo deve essere interpretata quale «risposta all’istanza47 di dotare le società di maggiore flessibilità quanto all’organizzazione interna, permettendo di adottare modelli compatibili alla struttura di società destinate a operare sul piano multinazionale48».

La Riforma, nella prassi, non ha introdotto modifiche alle tipologie di società di capitali previste49, ma ha ampliato la materia in tema governance50 con la previsione dei modelli alternativi di amministrazione e controllo e il riconoscimento di maggiore spazio concesso all’autonomia statutaria per favorire la flessibilità organizzativa. Anche se, l’autonomia statutaria rimane comunque parzialmente subordinata al «principio gerarchico delle fonti», per cui le norme imperative sono di fatto “superiori” agli interventi statutari che non possono essere in contrasto con le prime51.

46 Si tratta della definizione proposta dal Report of the Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance, Londra, 1992, p. 15 (c.d. Cadbury Report).

47Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 21-5-2003, Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell’Unione Europea. Un piano per progredire, pubblicato in Riv. Soc., 2004.

48Cfr. MOSCA, op.cit., p. 739.

49 Nell’ordinamento giuridico italiano, anche dopo la Riforma, secondo il principio di tipicità del contratto di società (art. 2249 c.c.), le società di capitali possono distinguersi in: società per azioni (Spa – artt. 2325 ss. c.c.); società in accomandita per azioni (Sapa – artt. 2452 ss. c.c.); società a responsabilità limitata (Srl – artt. 2462 ss. c.c.).

50 P.SPADA, Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla «nuova» società a responsabilità limitata), in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 489 ss., in part. p. 503, secondo cui a seguito della riforma il tipo ha perduto gran parte della sua funzione, contribuendo ora solo “alla selezione delle norme inderogabili e all’accertamento della trasformazione delle società”.

51 G.MERUZZI, La corporate Governance in Italia dopo la Riforma delle Società di Capitali, Verona, al Primer Congreso Internacional de Derecho Mercantil di Bogotà del 22, 23 e 24 settembre 2004 su “La Empresa en el Siglo XXI”, organizzato dal Dipartimento di Diritto Commerciale della Università Externado de Colombia e dalla Camera di Commercio di Bogotà.

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24 D’altro canto, la libertà di scegliere il modello di governance più funzionale alla propria attività societaria deve sempre, soprattutto nelle S.p.a., tener conto di altri elementi attinenti alla struttura societaria, da cui dipendono anche le diverse configurazioni di amministrazione e controllo, ossia: la dimensione, il grado di apertura al mercato di rischio, l’assetto proprietario, la struttura finanziaria, il contesto sociale-economico-culturale.

Si osserva, infatti, che tali elementi possano portare ad articolazioni diverse della struttura societaria, intesa altresì come bilanciamento delle funzioni di amministrazione e controllo.

Pertanto, appare rilevante richiamare, anche se in maniera semplicistica, la descrizione di uno degli elementi che più influenza la scelta di un modello di

governance e che ne condiziona anche le performance: l’assetto proprietario.

L’assetto proprietario, secondo una certa prospettiva, «riguarda essenzialmente le modalità di distribuzione dei diritti di proprietà tra i diversi soggetti che partecipano alla vita di un’impresa»52, ed è legato imprescindibilmente al modello di governance prescelto. Alla primordiale prospettiva che il controllo sia un’esclusiva prerogativa di chi sopporta il rischio economico, si avanza l’idea che nelle società di capitali quotate, l’apertura al mercato si traduce in un allontanamento della proprietà e il controllo, poiché l’aumento del numero dei soggetti coinvolti conduce a dinamiche di tutela degli interessi e attribuzioni di prerogative più complesse53.

In linea teorica, si evidenzia che l’assetto proprietario si distingue per tre schemi caratteristici:

52 R.RAPPELLI, Corporate Governance e assetti proprietari: la governance dei gruppi aziendali, Dottorato in Marketing per le Strategie d’Impresa, Università degli Studi di Bergamo, XXI ciclo, 2009, cit. p. 40. 53 A.CAPASSO, Assetti proprietari e governo d'impresa: Corporate governance e risorse immateriali, Padova, 1996. p. 15. ss «[il tema degli assetti proprietari], sotto il profilo metodologico, si presta ad essere affrontato in una duplice prospettiva: positiva e normativa. In chiave positiva, l’obiettivo consiste nell’individuare i principi e i meccanismi che regolano la distribuzione dei poteri di indirizzo della gestione, nonché dei relativi rischi, fra i diversi soggetti coinvolti nell’impresa. Sotto il profilo normativo, l’obiettivo consiste nel pervenire ad una definizione ottimale degli assetti proprietari e organizzativi che soddisfi alcune esigenze di carattere generale, quali: a) assicurare lo sviluppo e la competitività dell’impresa nel lungo periodo; b) garantire l’efficiente allocazione delle risorse finanziarie e dei fattori di produzione; c) favorire la mobilità della funzione imprenditoriale fra soggetti diversi quando ciò può tradursi nella creazione di valore economico; d) conciliare i fini imprenditoriali con le legittime aspirazioni degli altri soggetti coinvolti nell’attività dell’impresa».

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25 - Società ad azionariato diffuso (public company): tipico del sistema

anglosassone; in cui il capitale sociale è frammentato in un numero elevato di azioni, quotate su mercati regolamentati, spettanti ad un grande gruppo di azionisti. Non essendoci un gruppo di controllo tra i possessori di azioni, l'assemblea ordinaria si limita quindi essenzialmente a svolgere le funzioni formali attribuitele dalla legge; mentre le decisioni sostanziali sono prese dagli amministratori. È un tipo di assetto proprietario che porta ad estremizzare il concetto di separazione tra proprietà e controllo, in quanto si ha una massima separazione tra il soggetto che si occupa di gestire l’impresa e coloro che apportano i capitali, legati ad essa solo per l’investimento sostenuto54.

- Impresa consociativa: (solitamente di grandi dimensioni) è un

modello d'impresa, il cosiddetto modello "renano - nipponico", a proprietà ristretta, tipico delle realtà tedesca e giapponese (definiti anche modelli insider

system) dove è maggiormente sentita la concezione di impresa come comunità;

si tratta di imprese con un nucleo ristretto di azionisti di riferimento, detto “nocciolo duro”55, che tende ad avere una posizione di controllo, mentre il resto della proprietà è frammentata. La proprietà e il controllo sono solitamente separate, ma c’è una forte tendenza a coinvolgere nelle decisioni tutti gli

stakeholders, tant’è che spesso si trovano rappresentanti dei dipendenti

all’interno dell’impresa.

- Impresa padronale: si tratta di un’impresa a proprietà concentrata o

chiusa. Vi è solamente un individuo, l'imprenditore, che prende le decisioni importanti per la vita societaria, e dunque è la proprietà che diviene anche responsabile dell’amministrazione e del controllo (coincidenza tra proprietà e controllo). Tale modello, detto anche modello latino, ha avuto particolare applicazione in Italia, ove le società sono caratterizzate dall’appartenenza dell’azionariato ad un numero ristretto di persone, spesso legate da rapporti familiari, se non addirittura ad una sola persona (da qui la definizione di

54 A. ZERBETTO, Il contesto di riferimento del governo d’impresa e le determinanti della qualità della corporate governance in Italia: Un’analisi empirica delle società quotate, in Tesi di Dottorato di Ricerca in Business and Management, Torino, 2015 p. 7 e ss.

55 L’espressione deriva dal francese “noyau dur”, perché proprio in Francia questa forma di controllo si è sviluppata per prima

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26 padronale). I proprietari esercitano essi stessi il supremo potere di guida e di governo, assumendo di frequente, peraltro, le decisioni operative: in tal senso, essi rappresentano il soggetto economico e insieme svolgono funzioni dirigenziali56.

Alla luce di tale richiamo, appare evidente che, tra le volontà primarie della Riforma, può essere individuata l’opportunità alle società di «scegliere tra un paniere di modelli legali alternativi di amministrazione e controllo e agli azionisti attuali e futuri di selezionare il sistema di governo che, tra l’altro, più si addice al loro grado d’avversione al rischio ed alle esigenze di flessibilità, celerità e trasparenza della gestione»57. In altre parole, date le diverse configurazioni di assetti proprietari, ne discende la necessità di individuare diverse variabili e soluzioni di tipo organizzativo, strategico e manageriale che condizionano le condotte dell’impresa e tengano conto delle relazioni e degli interessi che si realizzano in essa58.

Di fatto, si osserva che nella Relazione ministeriale al d.lgs. 6/2003, si è cercato, sinteticamente, di definire le caratteristiche dei sistemi alternativi, e si è messo in evidenza come, il sistema dualistico, di origine tedesca, appare «il modello che più realizza la dissociazione tra proprietà (dei soci) e potere (degli organi sociali)»59, in quanto, «è un sistema in cui la proprietà non nomina gli amministratori e non approva il bilancio, ma decide sull'elezione del consiglio di sorveglianza, che è l'organo misto di gestione e di controllo, così indirettamente determina le linee del programma economico della società (oggetto sociale) e le modifiche di struttura della società», mentre il sistema monistico, di origine anglosassone, con la sua struttura più flessibile e semplificata, «tende a privilegiare la circolazione delle informazioni, tra l’organo amministrativo e l’organo deputato al controllo, conseguendo risparmi di tempo e di costi e una elevata trasparenza tra gli organi di amministrazione e controllo […]».

56 Da Wikipedia, l’Enciclopedia libera.

57 F.GHEZZI M.RIGOTTI, Commenti sub artt. 2409 sexiesdecies, 2409 septiesdecies, 2409 octiesdecies, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2005.

58 R. FARACI ‒ G. VAGNANI, I rapporti tra impresa e proprietà, in «sinergie» n. 73-74/07, Verona, 2007, p. 380 e ss.

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27 Dallo studio della Riforma, si nota che l’introduzione dei modelli alternativi richiama un ulteriore aspetto di grande rilievo, che è quello dell’analisi sul sistema dei controlli; la Riforma, di fatto, ricopre un ruolo importante nella discussione sul tema dell’efficienza dei controlli all’interno dell’impresa, poiché i sistemi alternativi, a parte essere una novità significativa per il sistema italiano, valorizzano l’intenzione del legislatore, non solo necessariamente di risposta alla crisi di mercato, ma di adattamento a contesti internazionali competitivi, caratterizzati da diversi assetti proprietari.

È ormai assodato, però, che tra i primi commentatori della riforma, i sistemi alternativi non hanno riscosso grande successo60, in quanto si sono riscontrati dei limiti e lacune normative, maggiormente imputate alla tecnica del rinvio utilizzata. Rimane infatti, predominante il modello di default, ossia il modello tradizionale (art. 2380 c.c.). La tecnica normativa del rinvio utilizzata per i modelli alternativi, che richiama le norme del tradizionale “in quanto compatibile”, ha la diretta conseguenza che «reprime il potenziale innovativo di tali modelli, comprimendo le specificità sul modello tradizionale»61.

Dimostrazione palese degli innumerevoli richiami è la scarsità delle discipline dei modelli alternativi nei termini quantitativi delle norme ad essi riferite che, «a fronte della quarantina di articoli che disciplinano il modello di default, al dualistico ne sono dedicati otto (di cui due di mero rinvio) ed al monistico quattro (di cui uno di rinvio)62». Nell’analisi di questa tesi, si è infatti rilevato come le interpretazioni63 relative alla disciplina preposta dalla Riforma, si pongono in

60 Secondo i dati diffusi da INFOCAMERE (Nuove società. Vecchia governance, in www.ilsole24ore.com, n. 223, 13 agosto 2004, p. 17) alla data del 22 luglio 2004 tra le società che avevano già adeguato gli statuti ben 7985 avevano optato per il mantenimento del sistema tradizionale, mentre 190 avevano optato per il sistema monistico e solo 44 per il sistema dualistico. Per un’analisi, con particolare riferimento alla disciplina dei controlli, dei problemi applicativi sollevati dalla disciplina dei sistemi monistico e dualistico, che solo in parte sono stati sino ad oggi risolti dagli interventi sul testo normativo, si rinvia a S. FORTUNATO, I «controlli» nella riforma del diritto societario, in Riv. soc., 2003, p. 863 ss., in part. p. 875 ss.

61Cit. S.ALVARO D.D’ERAMO G.GASPARRI, op.cit., p. 5.

62 S. POLI, L’evoluzione della governance delle società chiuse, Milano, 2010, p. 155.

63 M.VIETTI F.AULETTAG.LO CASCIO U.TOMBARI A.ZOPPINI, op. cit., p. 3534. Rilievi critici sull’uso eccessivo del rinvio al tradizionale per disciplinare i sistemi alternativi si ritrovano nelle Osservazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre sulla riforma delle società di capitali, nelle Osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante “riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della l. 3 ottobre 2001 n. 366” dell’ASSONIME

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